Sussurri e grida (nel senso di insulti e frasi maligne) da uno scandalo: quello del Salone del Libro di Torino. E, assieme, la radiocronaca involontaria (un copione degno del “teatro da camera”) della grande rabbia di Piero Fassino (e di sua moglie, Anna Serafini, ex parlamentare del Pci, del Pds e dei Ds) per la sconfitta che lo ha scalzato dalla poltrona di sindaco della città della Mole (“…una città di merda…”, “…una città di cazzoni…” dice la signora). Con un primo obiettivo scontato, quasi banale, la nuova prima cittadina a Cinquestelle, Chiara Appendino: “Lei? Una squilibrata… Ci ha un disturbo, evidente…”, spiega ancora la Serafini. “Nevrotica, nevrotica…” incalza Fassino. Ma ce n’è anche un secondo, inaspettato visto il consesso, e quasi un convitato di pietra, tenuto conto che le parole scivolano tra un calice di vino bianco “Montecarlo” e le divagazioni su come si cercano i funghi nei boschi, durante una cena in uno dei ristoranti subalpini più rinomati. Gli strali, infatti, arrivano anche per un vecchio compagno di Piero, sin dai tempi della federazione torinese del Pci di via Chiesa della Salute: il presidente Pd della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino. Maurizio Braccialarghe, ex assessore alla Cultura della giunta Fassino, si rivolge così alle altre due commensali, la Serafini e la moglie Marta, chiarissimo nel suo giudizio: “Se lui (Piero, ndr) avesse capito, sarebbe come lui (Sergio, ndr): sarebbe di un cinismo esasperato…”. L’ex sindaco, allora, ride e conferma: “Di un cinismo esasperato…”. Braccialarghe argomenta ancora meglio: “Lui brucerebbe qualunque cosa…”. E Fassino anche questa volta è d’accordo: “Qualunque cosa…”.
È la sera del 24 ottobre 2016, lunedì. Solo quattro mesi prima, il 19 giugno, la grillina Chiara Appendino ha vinto il ballottaggio della Mole e le bandiere a Cinquestelle hanno invaso i portici di Palazzo di Città assieme ai cori “Onestà, onestà”. Si avverò così la profezia tafazzista di Fassino che, all’allora giovane consigliera comunale del M5S, in Sala Rossa aveva detto: “Mi auguro che un giorno lei si segga su questa sedia e vediamo se sarà capace di fare quello che auspica”.
La stagione, però, in quell’ottobre, è già cambiata e, da politica, è diventata giudiziaria. La Procura di Torino, ancora guidata da Armando Spataro, sta infatti indagando sul default dei conti del Salone del Libro e sulle turbative d’asta per l’affitto dei padiglioni fieristici del Lingotto. Una vicenda che, tre mesi fa, ha portato alla chiusura indagini: gli indagati sono 28 e tra loro, oltre all’ex patron del Salone Rolando Picchioni, ad attendere le decisioni del gup c’è pure l’ex sindaco Pd di Torino. In quell’autunno 2016, un avviso di garanzia aveva raggiunto anche l’ex assessore Braccialarghe già molto malato e che, purtroppo, sarebbe morto all’inizio del 2018.
I carabinieri, in quei giorni, stanno intercettando i telefoni di mezza città della politica e della cultura e, in una conversazione, captano che Fassino e Braccialarghe dovranno vedersi a cena il lunedì sera, con le rispettive mogli. Convinti che sia probabile un incontro legato all’inchiesta e alle vicende della grande kermesse culturale del Lingotto, gli inquirenti imbottiscono di “cimici” il ristorante “Gatto Nero” di corso Filippo Turati 14: uno dei templi della cucina torinese, prima ancora addirittura della grande moda enogastronomica. Preferito dalla Torino dell’industria, della politica e delle lobby, non era raro che ospitasse, negli anni Novanta, anche Umberto Agnelli e suo figlio Giovannino. La lunga intercettazione “ambientale”, si legge nel verbale di autorizzazione, durerà “dalle 21.06 circa alle 23.10 circa del 24 ottobre 2016”.
In realtà, in quella cena, l’argomento del Salone del Libro sarà sfiorato appena una volta, senza nessuna importanza apparente per l’inchiesta e, anche in questo caso, solo per commentare le sorti della “città di merda” e “di cazzoni” finita nelle mani di “quei cattivi: loro (i Cinquestelle, ndr) sono cattivi e presuntuosi…”.
Nonostante tutto questo però (“L’irrilevanza”, potrebbero sostenere gli avvocati difensori), le 78 pagine del brogliaccio di quelle conversazioni a tavola sono depositate adesso tra le oltre 24 mila dell’inchiesta. Diventando così, se non una prova processuale, certamente un fatto politico. Lo scenario di una mancata “elaborazione del lutto” da parte dell’ex sindaco, per la sconfitta al ballottaggio comunale.
Gli interpreti, indicati dai carabinieri, sono questi: Fassino, Braccialarghe, Anna Serafini, Marta Casadio, moglie dell’ex assessore, l’Uomo 1 e l’Uomo 2 (definiti “operanti”), l’Uomo 3 (“cameriere”), la Donna 1 (“operante”), la Donna 2 (“cameriera”). E una cagnetta: appartiene a Piero e ad Anna e, durante l’intera cena, interromperà spesso il dialogo o diventerà essa stessa l’oggetto della conversazione. Nel prosieguo, si apprenderà che si chiama Nina. Di lei, l’ultimo segretario dei Ds dice con i due amici: “È statisticamente dimostrato che l’affetto ha una funzione terapeutica: aiuta a vivere…”.
Come un fiume carsico che riemerge di continuo, il tema della rabbia e dell’amarezza spunta ininterrottamente qui e là nella cena e tra le pagine. E così, sempre tra le 21.06 e le 23.10 di quel lunedì, Appendino e i Cinquestelle devono aver sentito spesso le orecchie fischiare.
Fassino: “Con questi qui, che non sanno cosa fare… Fanno danni, questi fanno danni… Tu devi vedere che cos’è il Consiglio comunale con ’sti 24 zoppi… La capacità dialettica? Tale per cui l’intervento dura 28 secondi… Questi dementi zombie… Lui? (Paolo Giordana, ex capo di gabinetto della sindaca, poi travolto da un’inchiesta giudiziaria, ndr) è peggio di lei. Insomma, una bella gara, diciamo la verità…”.
Serafini: “Lei, una persona viziata che non ha mai lavorato nella sua vita. Perché, lavorare alla Juventus è l’unica cosa seria? Sapete questa bocconiana su cosa ha fatto la tesi di laurea? Sul parco giocatori…”.
Ancora Fassino, ridendo: “La compravendita dei giocatori, incredibile. Bocconiana… Stiamo preparando un’iniziativa: cento giorni dell’Appendino visti da me…”.
Braccialarghe: “Quello che mi stupisce? Che nessuno di loro ha mai lavorato…”.
Serafini: “Lei, secondo me, ha il problema. Il disturbo della personalità. Non sopporta le donne…”. Fassino: “Lei non sopporta le donne…”.
Serafini: “Urla…”.
Fassino: “Nevrotica, nevrotica…”.
Intanto, le scelte dal menu si sono compiute. Uomo 3 e Donna 2 hanno preso la comanda: baccalà mantecato, spaghettini basilico e pomodoro, altri spaghettini alla Peppino Fiorelli (un piatto tradizionale del “Gatto Nero”, pomodoro, capperi, acciughe e carciofi, tutto tritato), ancora spaghetti alle vongole e gratin di melanzane, infine sorbetti per tutti. Per la cagnetta Nina, invece, “un po’ di rigadini di ciccia, con del pane e un po’ di brodo alla carne…”.
Ma il vero piatto da servire freddo, se non è proprio quello della vendetta, è almeno quello del risentimento. E a questo punto, entra in scena il fantasma del “Commendatore”: Chiamparino. Introduce Braccialarghe: “L’altro che veramente devo dire io non lo saluto neanche più…”. Fassino: “Tu sai che in questi giorni lui non si è fatto vivo?…”.
Serafini: “Uno che ha fatto cose micidiali… Uno che fa orrore, diciamola tutta…”.
Braccialarghe: “Un uomo che dovrebbe baciare dove cammina Piero… Coi conti che avevamo nel 2011 (quelli del Comune, prima amministrato da Chiamparino ndr) era sull’orlo del fallimento… E avere un successore che non ha mai detto nulla… Piero, uno che gli faceva ombra… Come mai questo atteggiamento non ce l’ha con l’Appendino? Lui invece soffriva la presenza di Piero, ha sempre sofferto…”.
Piero perlopiù tace (e la registrazione non consente di ricostruire le possibili smorfie), ma senza dubbio neppure si indigna, si dissocia o smentisce. In un caso, abbiamo visto, addirittura ricalca: “Di un cinismo esasperato…”. La chiusura tocca ancora alla signora Fassino, con la stessa plastica efficacia con cui aveva cominciato parlando dei torinesi che avevano voltato le spalle al marito: “Per esempio Chiamparino: io penso che lui sia proprio invece un uomo di merda…”. L’ultima replica è dell’ex sindaco, non si capisce sino in fondo se ironico o invece lapidario: “Non sta raccogliendo un grande giudizio…”.
Il resto sono le signore che parlano di campagna e di belle case di proprietà, con Anna Serafini che esalta il casale in Maremma con “venti ettari…” e lui, Piero, che la interrompe per celebrare a sua volta quella di Roma: “Un posto bellissimo, al Pantheon…”. E poi sempre lui, che non si trattiene sulle sue eterne aspirazioni estere (“I tedeschi, gli austriaci, gli svedesi, i francesi tutti a chiedermi come va il referendum (quello sulla riforma costituzionale, perso da Matteo Renzi il 4 dicembre 2016, ndr)…”; riflessioni che spaziano da Berlino sino alla Washington con una citazione anche per la Birmania; un magnificat a sangue freddo (e nonostante tutto) per Renzi: “In questo devo dire che ha ancora un’idea forte della politica…”. Infine, nelle battute dei singoli commensali, persino due allusioni alla “questione del Quirinale” (segnali forse di un’altra cocente delusione?) e disprezzi sparsi per Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani.
Alle 23.10, i carabinieri certificano l’epilogo: “Gli interlocutori escono dal locale, si sentono le voci di altri ospiti del ristorante. Fine registrazione…”. Anche Nina, la cagnetta, se n’è andata: non la si ode più abbaiare.
Due anni e mezzo dopo, Piero Fassino è un parlamentare Pd di Ferrara e, a Torino, si vede sempre meno. Non è dato sapere se sua moglie continui a considerarla “una città di merda” e se la giudichi ancora abitata, perlopiù, da “cazzoni”.
L’ex sindaco, intanto, ha scritto un libro a quattro mani, sull’Alta velocità, con quel “cinico esasperato” di Sergio Chiamparino. Che, invece, è rimasto solo sotto la Mole, a cercare di recuperare, voto su voto, le urne regionali di maggio: puntando sulla battaglia per il sì al Tav e sperando in Nicola Zingaretti, più che nel suo vecchio compagno dei tempi di via Chiesa della Salute. Per impedire che Matteo Salvini si prenda anche il Piemonte.