Fontana e le timide riforme pubbliche anti-formigoniane

Attilio Fontana è un oggetto misterioso. Il presidente della Lombardia, leghista, non è uno alla Salvini, tutto il giorno dirette Facebook e comunicati tonitruanti. Zitto zitto sta però cambiando molte cose dell’architettura regionale, smontando il sistema Formigoni che Roberto Maroni, che per primo lo aveva ereditato, non aveva neppure provato a scalfire. Il predominio della sanità privata (architrave del celeste impero formigoniano) ora è rimesso in discussione – piccoli passi, per carità – dal documento intitolato “Regole di sistema 2019” in cui la Regione chiede ai privati di programmare le attività non in base ai propri fatturati, ma alle esigenze dei pazienti, fornendo innanzitutto le cure più necessarie e quelle con maggiori tempi di attesa.

Propone di vincolare 35 milioni di euro per prestazioni non scelte dai boss privati, ma dall’assessorato alla Sanità. Non è la rivoluzione guevarista, è solo un timido avvio di una piccola riforma di buon senso: visto che è la Regione a pagare i privati, con soldi pubblici, pare naturale che possa almeno indicare dove indirizzare una (piccola) parte dei denari sborsati.

La seconda novità è la scomparsa delle tre società regionali da decenni protagoniste di grandi scandali, di sprechi e corruzioni, che saranno sostituite da un’unica grande azienda che manovrerà 10 miliardi di euro all’anno. Le tre destinate a morire sono Infrastrutture Lombarde spa (Ilspa), l’appaltificio pesantemente coinvolto nelle indagini per i grandi appalti Expo, a lungo regno di Antonio Rognoni, arrestato e condannato per una bella collezione di turbative d’asta; Lombardia Informatica (Lispa), che vide il debutto di Antonio Di Pietro a caccia di tangenti già negli anni prima di Mani pulite; e l’Azienda regionale Centrale Acquisti (Arca), che compra i materiali per la Regione. Dovranno lasciare il posto ad Aria (Azienda regionale Innovazione e Acquisti).

La meno nota delle tre società destinate a scomparire, Arca, spende 5,6 miliardi l’anno per comprare farmaci, apparecchiature sanitarie e rifornimenti per la pubblica amministrazione regionale. Non è un esempio d’efficienza: ci ha messo sei anni per concludere l’appalto per rifornire il sistema sanitario lombardo dei kit per i diabetici.

Lombardia Informatica, un evergreen degli scandali, dovrebbe creare software per gli uffici regionali e per il sistema sanitario, ma li compra per lo più da società esterne. Che cosa fanno allora – ha chiesto la Corte dei conti – i 450 dipendenti che intascano stipendi per oltre 20 milioni?

Con la nuova Aria, promette Fontana, finiranno scandali e sprechi. Non è proprio garantito. Di certo saranno realizzati risparmi (promessi 3,7 milioni di spese in meno): una sola sede, un solo consiglio di amministrazione, un solo direttore generale, un solo ufficio legale, una sola struttura finanziaria, razionalizzazione delle strutture e del personale.

Critiche le opposizioni: “Nessun pregiudizio sulla fusione che porterà a un’unica grande società”, ha dichiarato il consigliere regionale Pd Pietro Bussolati. “Ma è un’operazione priva di una visione strategica e di un piano di rilancio. È solo il deludente accorpamento di tre situazioni con grossi problemi che così rischiano di amplificarsi”. Come a dire: tre zoppi non fanno un grande corridore. “È una frettolosa toppa dopo anni di mala gestione”. Ora tocca a Fontana dimostrare che invece il sistema Formigoni sta davvero per essere smontato.

 

I magistrati hanno il diritto di esprimersi

Due sono gli episodi che negli ultimi giorni hanno acuito lo scontro tra i magistrati e il ministro degli Interni Matteo Salvini e che hanno anche messo in discussione il diritto di esternazione dei magistrati. Il primo è la visita in carcere del ministro al detenuto condannato per tentato omicidio in danno di un ladro “catturato” dalla vittima, percosso, fatto inginocchiare e gravemente ferito con un colpo di fucile. La visita e la manifestazione di solidarietà del ministro sono comportamenti assolutamente impropri che, a differenza di quanto sostenuto dalla corrente di destra della Associazione Nazionale Magistrati, delegittima l’operato dei magistrati poiché fa passare il messaggio (inveritiero) – e strumentale a fini politici/elettorali – di una ingiusta condanna nei confronti di chi era scriminato dalla legittima difesa.

Del tutto corretto è stato, quindi, l’intervento del Procuratore della Repubblica di Piacenza finalizzato a ristabilire celermente la verità dei fatti e a difendere la funzione giurisdizionale legittimamente svolta. Peraltro, secondo la legge disciplinare, sono vietate le dichiarazioni dei magistrati solo se riguardino soggetti coinvolti in procedimenti che siano ancora in corso di trattazione ovvero trattati e non definiti con provvedimento non oggetto di impugnazione, laddove il caso in questione era stato definito con sentenza della Corte di Cassazione del 16 febbraio (che confermava la condanna per il reato di tentato omicidio), a nulla rilevando che sia avvenuto o meno il deposito delle motivazioni.

Il secondo episodio è costituito dalle dichiarazioni del presidente dell’Anm critiche nei confronti della nuova normativa sulla legittima difesa che hanno provocato la reazione del ministro Salvini, il quale ha dichiarato che non spetta ai magistrati stabilire se, e in quali termini, una legge debba o meno essere approvata e, comunque, “si facessero eleggere”. Al di là dell’abusata espressione “si facciano eleggere” – che sta a evocare un (pericoloso) primato della politica sul primato della legge – si osserva che la Anm, (come qualsiasi cittadino, anche se magistrato), ha il diritto, ex articolo 21 della Costituzione, di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Pertanto, essa può, legittimamente, criticare qualsiasi provvedimento legislativo adottato o in corso di approvazione, senza che ciò costituisca ingerenza dell’ordine giudiziario nei confronti di altro organo costituzionale, per il semplice motivo che la Anm è un’associazione di categoria avente natura privatistica.

Quindi la Anm, attesa la sua natura di sindacato delle “toghe”, da un lato ben può liberamente manifestare e svolgere critiche – anche se è preferibile che le esternazioni del Presidente siano precedute da delibere dell’organo esecutivo che esprima la volontà dell’associazione –, dall’altro non ha alcun diritto di chiedere – come spesso avvenuto (anche allorquando il ministro di Giustizia ha preannunciato la riforma del Csm) – di essere consultata nell’iter di formazione di una legge che riguardi, comunque, la magistratura (ivi compresa la riforma dei codici), non avendo alcuna competenza in merito, salvo che non si tratti di interloquire su aspetti attinenti le strutture e l’organico dei magistrati e del personale ausiliario e, cioè, su tutto quello che concerne il “servizio” da discutere con il ministro cui, ex articolo 110 della Costituzione, “spettano l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia”.

Questo, nel rigoroso rispetto dei ruoli.

Il socialismo surreale di Sallusti

Mercoledì 6 marzo Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, riferendosi al “reddito di cittadinanza”, approvato in questi giorni dal governo, inizia così il suo editoriale: “Oggi è il giorno zero di uno Stato socialista, speriamo provvisorio”. Sallusti avrebbe una qualche ragione se si riferisse al Psi dell’ultimo Craxi che violava princìpi che prima ancora di essere socialisti sono liberali, garantendo a Silvio Berlusconi, il vero proprietario del Giornale sotto la maschera del fratello Paolo, una posizione oligopolista nel settore dell’informazione che è contraria ai princìpi dello Stato liberista così come lo avevano previsto i suoi padri fondatori, da Adam Smith a David Ricardo, e manteneva un numero sterminato di parassiti, di prosseneti, di fannulloni, di dame dalla coscia facile, insomma si era trasformato nel partito “dei nani e delle ballerine” come disse il compagno Rino Formica.

Ma il craxismo non è il socialismo. Socialismo è coniugare una ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili e in questo si differenzia dal comunismo che schiaccia i diritti civili in nome di un’uguaglianza sociale che là dove si è realizzato, per esempio in Unione Sovietica, non è stata raggiunta perché anche lì si è creata una classe politica di privilegiati e di favoriti (la “nomenklatura”). Principio fondante e iniziale del socialismo come del liberismo correttamente inteso è che tutti i cittadini abbiano pari opportunità almeno sulla linea di partenza. Per questo il liberismo imponeva tasse ereditarie altissime che farebbero impallidire i Sallusti, i Berlusconi e tutti i neo o pseudoliberisti di oggi. Perché non ci sono solo i fannulloni pronti a sdraiarsi sul divano grazie al reddito di cittadinanza, ci sono anche, e in misura rilevante, i fannulloni che sul divano ci sono già da sempre, come tanti figli di ricchi, che probabilmente anche Sallusti conosce, il cui unico merito è aver ricevuto una cospicua eredità.

Comunque oggi il problema non è il socialismo, questa “terza via” fra capitalismo e comunismo che non è riuscita a inverarsi e là dove ha tentato di farlo, vedi l’attuale Venezuela, è stata strangolata dai padroni del mondo.

Il problema è il turbocapitalismo globalizzante che sta mettendo in ginocchio popoli e individui. È un capitalismo nemmeno più industriale, ma finanziario, che non dà lavoro, che non offre lavoro se non a pochissimi. Un abile finanziere può agire anche da solo, o con uno staff ridottissimo, lavorando sul denaro che non è ricchezza ma solo l’apparenza della ricchezza. Il collasso della Lehman Brothers, che ha messo in ginocchio interi Stati con le loro popolazioni, non ne è che l’esempio più evidente, ma solo uno dei tanti. Negli Stati Uniti il problema è stato risolto immettendo nel sistema, nella forma del credito, 3 trilioni di dollari e creando un’enorme bolla speculativa che prima o poi, più prima che poi, ricadrà sulla testa di tutti, forse anche su quella dello stesso Sallusti.

Ma accecato dal suo miope disprezzo per i Cinque Stelle che stanno cercando di avviare un programma di un minimo di riequilibrio sociale in un Paese come il nostro in cui le disuguaglianze sono fortissime e, oserei dire, intollerabili, Alessandro Sallusti queste cose non le vede o piuttosto conoscendone l’intelligenza non le vuole vedere.

E pensando al giornalismo italiano di oggi, a quasi tutto il giornalismo italiano di oggi, non certamente al solo Sallusti, viene in mente un famoso articolo di Karl Kraus, “La stampa come mezzana”, pubblicato ai primi del Novecento, in cui il celebre scrittore, aforista, polemista mette sullo stesso piano i giornalisti e le prostitute. Intellettuali in questo caso.

Mail box

 

Separazione delle carriere: i rischi che comporta

Egregio Travaglio, a me Renzi, B. & soci non piacciono per nulla, ma mi permetta di non comprendere la sua posizione sulla giustizia: perché lei è così contrario alla separazione tra le carriere? Perché lo voleva Gelli? Mi scusi ma è come dire che siccome la prima legge di proibizione della vivisezione l’ha voluta Goering, allora continuiamo pure a vivisezionare? In quanto alla nostra giustizia, che è bizantina, io la riformerei integralmente adottando il metodo americano: netta separazione delle carriere, sei colpevole alla 1ª condanna, ricorsi possibili ma difficili, giurie e patteggiamenti. Ne guadagneremmo in tempi, costi e certezza della pena.

A. Marini

 

Caro Travaglio, si riparla della questione della separazione delle carriere, ma io (come penso altri 60 milioni di italiani non addetti ai lavori) non riesco a comprenderla. In sostanza non capisco come questa riforma, ove approvata, avrebbe ripercussioni così disastrose. Lo scrivo perché vorrei capire a fondo, dato che ho sempre aderito a tutte le battaglie del Fatto… ma per spiegarla ad amici e parenti, avrei bisogno di capire alla perfezione i pericoli che ne deriverebbero. Sarei grato se lei volesse informarci di più e nei dettagli… come fece nel caso della “schiforma” costituzionale che per me diventò motivo di battaglia personale.

Massimo Giorgi

 

Cari Marini e Giorgi, la separazione delle carriere prelude al controllo del Governo sulle procure che – come in Francia – dovranno chiedere il permesso ai politici prima di indagare su un politico o un loro amico. Per questo Gelli, Craxi, Berlusconi e ora i Renziani la vogliono.

M. Trav.

 

Attenzione alle parole, possono tradursi in violenza

“Spara a Salvini e mira bene”, recita la scritta comparsa sul muro del liceo Marconi a Parma. Ed è unanime lo sdegno del mondo politico di ogni fazione. Come scrive su Facebook il sindaco Federico Pizzarotti: “Le minacce di morte sono inaccettabili: le idee politiche si contrastano con altre idee politiche”. E non fomentando l’odio. Perchè a volte, ci vuole poco per passare dalle parole ai fatti. La stessa violenza è, per la stragrande maggioranza dei casi, per chi non è in grado di argomentare. Chi ha imbrattato questi muri di spray e rancore mi auguro venga individuato, perché non è neppure degno di scrivere sulle pareti di un liceo, sinonimo di cultura ed elevazione morale. Mi stupisco che non ci siano errori ortografici, ma forse ha chiesto aiuto al T9, non si sa mai…

Cristian Carbognani

 

La Costituzione è uguale per tutti, anche per i ministri

Secondo la decisione della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato, una legge costituzionale consentirebbe ai ministri di commettere reati, anche in violazione dei diritti inalienabili della persona umana, qualora “l’interesse nazionale” lo richieda. Se, effettivamente, una legge della Repubblica prevedesse questo, sarebbe manifestamente incostituzionale: la tutela dei diritti inviolabili della persona umana, in base alla Costituzione, non è nella “disponibilità” di nessuna maggioranza parlamentare. Ora, in questo caso, la Legge n° 1 del 1989, che attua il principio dell’autorizzazione parlamentare per i reati commessi dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni, è formulata in modo tanto generico da prestarsi a interpretazioni fuorvianti.

Il vaglio parlamentare dell’autorizzazione a procedere posto a tutela dell’operato di un Ministro dovrebbe limitarsi alla valutazione della sussistenza del cosiddetto fumus persecutionis o della manifesta infondatezza delle accuse, com’era previsto per la vecchia immunità dei parlamentari.

Ma seppure si volesse intendere in modo “estensivo” la tutela, essa dovrebbe contemplare reati che non attengono ai diritti inviolabili della persona; ad esempio, nel corso di una grave crisi energetica, un ministro (in violazione di precedenti leggi) stipula un contratto di fornitura di gas naturale con un Paese terzo. Se invece con la tutela dell’“interesse nazionale” si volesse ammettere che un ministro possa eludere il processo per, ad esempio, sequestro di persona, sulla base di un voto di una contingente maggioranza parlamentare, allora avremmo sancito che la tutela dei diritti inalienabili è soggetta a valutazione politica e questo non è ammesso nella Costituzione della Repubblica.

Enrico Marino

 

È giusto che il Fatto Quotidiano sia estraneo a giochi di potere

Mentre provate a fare il salto in Borsa, vi scrivo per manifestare tutto il mio supporto alle vostre attività editoriali. Credo in voi e nella vostra idea di giornalismo e mi auguro che la quotazione vada per il meglio in modo che voi possiate avere a disposizione i fondi per migliorare sempre di più. Nel nostro Paese un giornale che si basi sui fatti e che sia slegato da logiche politiche di potere è quantomai necessario. Anche se vi danno dei “grillini”, non hanno propriamente ragione in quanto il vostro lavoro resta obiettivo al di là di qualsiasi opinione personale che voi possiate avere. Vi ringrazio per quello che fate ogni giorno e vi auguro ogni successo.

Manuel Traballoni

Con l’uscita dalla Champions è finito un ciclo. Zidane lo aveva capito

Gentile redazione, ho assistito al crollo del Real Madrid in Champions League e onestamente non me l’aspettavo vista l’andata vinta contro l’Ajax. Al ritorno abbiamo assistito alla fine di un ciclo, la sconfitta 4-1 al Bernabeu per me era impensabile. È vero che dall’inizio dell’anno nemmeno in campionato la squadra ha ingranato, e che l’esonero del tecnico Lopetegui a novembre era già un segnale preoccupante, però ero sicuro che il sostituto Solari avrebbe messo le cose a posto. Invece è crollato tutto. Come e quando il Real si potrà risollevare?

Aldo Gentilini

 

Gentile lettore, permette una piccola tirata d’orecchi? Se avesse visto con attenzione il match d’andata tra Ajax e Real Madrid, vinto 2-1 dagli spagnoli, non potrebbe dire di aver assistito con sorpresa, martedì, al crollo dei Galacticos; perché già il 13 febbraio i ragazzi di Ten Hag avevano messo sotto i campioni d’Europa. Nel primo tempo Tadic aveva colpito un palo clamoroso e una papera colossale di Curtois (recidivo anche al Bernabeu) aveva mandato in gol Tagliafico; per un fuorigioco millimetrico, il Var – al debutto in Champions – aveva costretto l’arbitro ad annullare la rete. Per tutti i 90 minuti a produrre gioco era stato l’Ajax. Il Real era andato in vantaggio con un contropiede Vinicius-Benzema molto anni 60 (alla Jair-Mazzola, per intenderci), subito Ziyech aveva riportato l’Ajax sull’1-1 ed erano stati gli olandesi a continuare a condurre le danze. Al minuto 87, altro contropiede “vintage” dei blancos e gol dell’1-2 di Asensio. Poi Dolberg aveva avuto la palla del 2-2 ma si era divorato il gol. Aveva vinto il Real, con molta esperienza e tanta fortuna; aveva perso l’Ajax, immeritatamente. Al Bernabeu, due sere fa, la superiore bravura nel gioco degli eredi di Cruijff non ha invece trovato ostacoli: nemmeno nel Var. Ed è finita 1-4. Davide che batte Golia per ko.

Fine del ciclo del grande Real? Decisamente sì. L’aveva capito Zidane abbandonando il timone all’indomani della terza Champions vinta; non l’aveva capito Florentino Perez, che ingaggiando al suo posto Lopetegui era convinto di farne il Capello del Milan anni 90, quello che prese il posto di Sacchi seguitando a mietere successi. Invece i gol di CR7 non li ha più fatti nessuno, Modric ha giocato di malavoglia, Isco, Bale e Marcelo sono finiti tra le riserve, Vazquez, Llorente e Regulion non si sono dimostrati all’altezza, Solari (vice Lopetegui) non era il nuovo Guardiola e la corazzata è colata a picco. Applausi. Sipario.

Paolo Ziliani

“Torturo i migranti col ferro da stiro”: video-choc dalla Libia

“A volte li torturo io stesso: li ustiono con il ferro da stiro rovente”. In un reportage esclusivo un trafficante parla a volto coperto e racconta alcuni dettagli sconvolgenti l’inferno delle prigioni dei migranti in Libia. È una delle anticipazioni del servizio che andrà in onda questa sera nel corso della trasmissione Piazzapulita, in onda alle 21.15 su La7. Voci, testimonianze, video di carcerieri e carcerati. L’intera area del nord della Libia, dove si raccolgono migliaia di profughi da tutto il continente africano e da cui partono la maggior parte dei barconi carichi di immigrati e diretti verso l’Italia, è ormai da mesi “off-limits” per i giornalisti europei, che non riescono ad avvicinarsi ai campi, veri e propri lager. La squadra di Piazzapulita è però riuscita a raccogliere una serie di testimonianze attraverso alcuni reporter presenti in loco. Dalle immagini emergono le prove di una violazione sistematica dei diritti umani che continua a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste. Il tutto sempre nel silenzio dell’Italia e dell’Europa.

Fu accusato ingiustamente di omicidio, cancellato ergastolo all’accusatore di Enzo Tortora

Dopo aver trascorso oltre 30 anni in carcere, ha rischiato di passarci il resto della sua vita, ma la condanna all’ergastolo inflitta in primo grado è stata cancellata dai giudici di appello: da ieri Gianni Melluso, 60 anni, detto ‘’Gianni il bello’’ il grande accusatore di Enzo Tortora, è stato assolto dai giudici di Trapani e scarcerato.

Era accusato di essere stato il mandante dell’omicidio di Sabine Maccarrone, una ragazza svizzera assassinata a Marsala nell’aprile del 2007: il suo corpo fu trovato in un pozzo artesiano. A indicare Melluso come mandante del delitto era stato l’autore dell’omicidio, Giuseppe D’Assaro, che agli inquirenti disse di avere accettato l’incarico di morte in cambio di una casa e di non conoscere i motivi del delitto. I legali di Melluso, gli avvocati Nino Caleca e Carmelo Carrara, hanno però smontato l’accusa producendo un video in cui Gianni il bello aveva rivolto un appello a D’Assaro perché confessasse il delitto, scatenando così la sua vendetta con le accuse poi riconosciute false.

Agli atti è stata acquisita anche la sentenza per la scomparsa della piccola Denise Pipitone di Marsala, un caso giudiziario finito in tv a Chi l’ha visto: zio acquisito della sorellastra di Denise, D’Assaro aveva fatto dichiarazioni, poi ritrattate, sulla scomparsa della bimba e la sentenza ne attestava la totale inattendibilità. Scarcerato una prima volta nel 2010 dopo avere scontato 30 anni per rapine e spaccio di stupefacenti, chiese scusa alla famiglia Tortora sostenendo di essere stato costretto ad accusare il presentatore da due boss della camorra. “Ero nel carcere di Pianosa con i più spietati criminali del dopoguerra italiano: da Raffaele Cutolo e Leoluca Bagarella, miei compagni di cella, a Graziano Mesina e Renato Vallanzasca – disse in un’intervista a l’Espresso – dal 1978 stavo scontando varie condanne. Non posso negare di avere venduto droga ai vip ma io Tortora non l’ho mai conosciuto”.

C’è amianto nel calcestruzzo: la demolizione del Pilone 8 del Morandi potrebbe slittare

L’esplosione rischia un rinvio. Tutto è, anzi sarebbe, pronto per sabato prossimo: alle 10:50 di mattina 250 microcariche dovrebbero esplodere e il pilone 8 del Morandi dovrebbe crollare su se stesso. Il condizionale, però, è d’obbligo perché sull’operazione incombe il rischio amianto. Del resto cittadini e ingegneri da tempo lanciavano allarmi (anche con un esposto al procuratore di Genova, Franco Cozzi). E due settimane fa Gabriele Camomilla, che fino al 2000 aveva curato la manutenzione del ponte per conto di Autostrade, lo aveva detto chiaramente al Fatto: “Nei progetti del Morandi è indicato che nella struttura è presente amianto“.

Così nei giorni scorsi sulla scrivania della prefettura, dove era in corso la riunione della Commissione Esplosivi, è arrivato lo studio della Asl. I carotaggi effettuati sul ponte hanno confermato la presenza di amianto nel calcestruzzo. Oggi la Commissione Esplosivi, che ha richiesto un’ulteriore e più approfondita valutazione, si riunirà di nuovo e deciderà se autorizzare l’esplosione.

Una questione che è stata posta anche alla Procura che ha, appunto, ricevuto l’esposto dei Liberi Cittadini di Certosa e dell’avvocato Marika Marcantonio. Spiega Cozzi: “Bisognerà valutare se l’amianto individuato sia prodotto dall’uomo o se siano delle tracce presenti naturalmente nel materiale di costruzione del ponte. E soprattutto occorrerà capire la quantità dell’amianto. Noi a questo punto dobbiamo dare due autorizzazioni all’esplosione: la prima, che pare scontata, legata al fatto che il pilone 8 è ancora sotto sequestro per l’inchiesta. La seconda, su cui sono in corso valutazioni, sui rischi per la salute. Bisogna fare presto, ma bene. E non si può certo mettere a rischio la salute della gente per guadagnare qualche giorno”.

Una valutazione su cui sembra d’accordo anche il sindaco-commissario Marco Bucci: “Se il piano A non fosse praticabile, abbiamo pronti anche il B e il C”.

Remigio, morto in fondo al mare nell’ultimo giorno di lavoro sulla piattaforma

“L’ultimo giorno e avrebbe staccato. In serata lo aspettavamo a casa, poi è arrivata la chiamata dell’Eni che ci informava della tragedia”. I familiari attendono le pratiche legali sulla salma di Egidio Benedetto, il tecnico della piattaforma “Barbara F.” morto in seguito all’incidente avvenuto martedì mattina in mezzo all’Adriatico. Il corpo è stato riportato in superficie alle 5.30. I sommozzatori dei vigili del fuoco lo hanno ritrovato dentro la cabina da cui stava movimentando le operazioni di carico di una bombola d’azoto a bordo di una supply vessel. L’abitacolo d’acciaio era adagiato sul fondale, mentre i cavi della gru sono rimasti agganciati alla nave d’appoggio e sospesi sott’acqua.

Questo è il tempo del dolore per la moglie Carmelina, per i due figli Luca e Francesco e per gli altri parenti, stretti dentro una stanzetta della camera mortuaria dell’ospedale di Ancona: “Ieri (martedì, ndr) era l’ultimo giorno di lavoro prima della sosta – raccontano – in Eni funziona così: 15 giorni in piattaforma e 15 a casa e avanti così. Lui ha lavorato con Eni e sulle piattaforme per decenni, era un tecnico esperto e appassionato. Presto sarebbe andato in pensione, entro il 2019 di certo, ma stava valutando l’ipotesi di accedere al percorso previsto dalla Quota 100. Ci siamo sentiti la sera precedente la tragedia, era tutto normale, ovviamente. Nel pomeriggio con l’elicottero sarebbe tornato sulla terraferma e il van dell’azienda lo avrebbe riportato a casa. Come sempre. Ora non c’è più speriamo non abbia sofferto. L’inchiesta? Seguirà il suo corso, ma vogliamo andare fino in fondo”.

Nella giornata di ieri, dopo il cadavere di Benedetto, i tecnici di una ditta specializzata hanno recuperato la cabina e successivamente la gru volata in mare dalla piattaforma dopo essersi staccata dal basamento.

San Ferdinando, ruspe sulle baracche vuote. È già pronta la quarta tendopoli

Le ruspe sono entrate in azione e nella baraccopoli di San Ferdinando non ci sono più migranti. All’appuntamento per lo sgombero, ieri mattina, la prefettura e le forze dell’ordine si sono trovate con circa 300 persone delle oltre 1.500 presenti fino a pochi giorni fa. Molti lavoratori stagionali, che finora non avevano accettato di essere trasferiti negli ex Sprar e nei Cas, hanno deciso di andarsene alla spicciolata, prendendo il treno verso altre zone agricole d’Italia o nei casolari abbandonati sparsi nelle campagne della Piana di Gioia Tauro. Le ruspe hanno iniziato puntuali ad abbattere il ghetto della vergogna, il non luogo che in meno di un anno e mezzo ha causato tre morti carbonizzati in incendi provocati anche da bracieri improvvisati dai migranti per resistere al freddo.

Agenti antisommossa, idranti in funzione preventiva, gli autoblindo delle forze dell’ordine, le ruspe dell’esercito e almeno due elicotteri. Tra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, sono stati circa mille gli uomini impiegati per uno sgombero accettato dagli stessi migranti che si sono fatti trovare con valigie borsoni pronti. Nemmeno un cenno di protesta per una prova muscolare che, almeno ieri, non poteva non dare l’effetto sperato e cioè lo smantellamento a favore di telecamere della baraccopoli di San Ferdinando. Con tanto di tweet del ministro dell’Interno Matteo Salvini secondo cui, “come promesso, dopo anni di chiacchiere degli altri, noi passiamo dalle parole ai fatti”.

E se per il prefetto Michele Di Bari, “il superamento della baraccopoli si sta realizzando coniugando legalità a senso di umanità”, per la Flai-Cgil è fondamentale che gli impegni presi con i migranti “sia mantenuti”. “Dobbiamo restare umani. – dice il sindacalista Abdel Ilah El Afia – Non permetteremo a nessuno di lasciare dormire le persone in mezzo alla strada”. Aurelio Monte dell’Usb ha definito la giornata di ieri “irreale. Molti di questi migranti andranno nelle campagne e troveranno un’alternativa alla baraccopoli”. Non tutti, infatti, hanno accettato il trasferimento nei Cas. Circa 80 migranti hanno rifiutato pure di andare nella nuova tendopoli gestita dal Comune. Verranno sistemati nelle tende piazzate a 20 metri di distanza dalle baracche abbattute con le ruspe.

Un film già visto. Dal 2010 ad oggi, infatti, il ciclo tendopoli-baraccopoli-nuova tendopoli sembra essere l’unica soluzione trovata dalle istituzioni per i lavoratori stagionali. Così è stato dopo la rivolta di Rosarno con la prima tendopoli costruita a San Ferdinando diventata un ghetto, poi sgomberato nel 2012 in seguito a un’ordinanza del sindaco Domenico Madaffari, oggi defunto. All’epoca la prefettura ha realizzato, a 200 metri di distanza, una seconda tendopoli (quella sgomberata ieri) trasformata nel giro di pochi anni in una struttura degradata e diverse volte incendiata. Poco distante, nel febbraio 2016, è sorta la terza tendopoli. Molti migranti che hanno perso la baracca sono finiti lì dentro. Non tutti. Tanti da ieri dormiranno all’interno di alcune tende del ministero dell’Interno collocate a fianco. In quella che ufficiosamente nessuno vuole chiamare la quarta tendopoli.