La Corte costituzionale ha salvato senza se e senza ma la legge Merlin che punisce chi sfrutta o favorisce la prostituzione, anche quella esercitata liberamente. Una sentenza che arriva pochi giorni dopo che Salvini ha invocato le case chiuse. Una sconfitta per chi aveva sollevato la questione, ovvero la Corte d’Appello di Bari e la difesa di Gianpaolo Tarantini e Massimo Verdoscia, condannati in primo grado rispettivamente a 7 anni e 10 mesi e 3 anni e 6 mesi e ora sotto processo in secondo grado per le escort presentate a Silvio Berlusconi, tra il 2008 e il 2010, ai tempi di Patrizia D’Addario e le olgettine.
La Corte di Appello di Bari aveva chiesto ai giudici costituzionali di stabilire se, di fronte al “fenomeno sociale della prostituzione professionale delle escort” e cioè “in un contesto operativo sgombro da costrizioni”, il divieto di reclutamento e favoreggiamento sia una violazione del “principio della libertà di autodeterminazione sessuale della persona umana; libertà che si estrinseca, nel caso delle escort, attraverso il riconoscimento del loro diritto di disporre della sessualità nei termini contrattualistici dell’erogazione della prestazione sessuale contro pagamento di denaro o di altra utilità”.
La richiesta degli avvocati di Tarantini e Verdoscia, Nicola Quaranta, Ascanio Amenduni e Gioacchino Ghiro, era stata di rivolgersi alla Corte Costituzionale, avendo sostenuto che la legge Merlin del 1958, famosa per aver messo fuori legge le case “chiuse”, violasse una serie di principi costituzionali, compresa la libertà di impresa, nella parte in cui prevede la punibilità, appunto, anche di chi favorisce la prostituzione “volontariamente e consapevolmente esercitata”. Invece, ieri la Corte Costituzionale ha ritenuto infondate tutte le questioni sollevate. Ha stabilito che “non è in contrasto con la Costituzione la scelta di politica criminale operata con la legge Merlin, quella cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino”. Inoltre, la Corte ha ritenuto che il reato di favoreggiamento della prostituzione non contrasta “con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale”. Insomma, la punibilità di chi recluta escort, sia pure per scelta, nulla c’entra, come avevano detto i giudici e gli avvocati di Bari, con la violazione del principio “dell’autodeterminazione” della donna, della libertà sessuale o della “libertà di iniziativa economica della prostituta”.
In attesa delle motivazioni, la Corte sembra ricalcare quanto sostenuto dall’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri che aveva chiesto ai giudici di dichiarare infondate le eccezioni di incostituzionalità e aveva posto in luce il rischio, nel caso di “cancellazione” della punibilità dei mediatori di escort, che questo potesse favorire la strategia processuale degli sfruttatori delle donne (la maggioranza) costrette a prostituirsi con minacce e violenza. Questo era il concetto dietro alle inevitabili affermazioni tecniche: “Si rischia un vuoto normativo che produce un vuoto di tutela”, aveva detto Palmieri durante la discussione. Una piaga, quella della tratta delle donne, di cui erano consapevoli anche gli avvocati che si erano rivolti alla Consulta. L’avvocato Quaranta, durante l’udienza di martedì aveva detto: “Questa difesa non è insensibile al dramma della prostituzione coatta, degli schiavi del sesso” ma la legge Merlin “fa di tutta un’erba un fascio. Nel processo è emersa una realtà completamente diversa , quella delle escort, i sex workers, per cui” – aveva sostenuto il legale – “sarebbe un vulnus alla libertà sessuale” trattare questi casi come quelli di prostituzione coatta.
Non è così per la Corte Costituzionale anche se non sappiamo se nelle motivazioni ci sarà qualche passaggio dedicato alla possibilità del giudice, con la stessa legge Merlin, di valutare assoluzioni di mediatori di escort, così come sostenuto dall’avvocato dello Stato Palmieri.
All’udienza pubblica alcune associazioni di donne avevano chiesto di costituirsi in giudizio ma la Corte ha respinto, come sempre in questi casi, perché non lo hanno fatto nel processo. Fra queste associazioni, “Differenza Donna” che, naturalmente, si è detta soddisfatta:“Da questo risultato occorre ora partire per una grande mobilitazione per i diritti e la libertà delle donne”.Secondo l’avvocato Amenduni, invece, il legilatore deve intervenire, il settore così resta “selvaggio”. Ora per Tarantini, Verdoscia e gli altri imputati ricomincia il processo d’Appello e la strada per loro è tutta in salita.