Matteoli, appello post mortem

Ricorso post mortem. Nelle aule di giustizia italiana se ne sono viste tante. Ma quello che si è verificato a Venezia in uno dei tronconi della vicenda Mose forse è inedito: tra i quattro imputati che hanno presentato appello contro una sentenza di primo grado risulta anche Altero Matteoli che purtroppo è morto in un incidente stradale il 17 dicembre 2017.

Che cosa è successo? Si tratta di un caso più unico che raro di appello post mortem. Matteoli, come ha ricordato ieri il Corriere del Veneto, era infatti ancora vivo quando il 14 settembre 2017 venne letta in aula la sentenza che lo condannava a quattro anni, ma morì prima del deposito delle motivazioni.

Da qui la decisione della sua famiglia, assistita dagli avvocati Francesco Compagna e Gabriele Civello, di presentare appello contro la condanna. Non per evitare, ovviamente, che sia scontata, ma per salvare la reputazione del loro congiunto.

Non è l’unico appello ‘particolare’ della vicenda Mose. Giorgio Orsoni ha fatto ricorso nonostante sia stato assolto in primo grado per prescrizione. La difesa dell’ex primo cittadino di Venezia sostiene che Orsoni non potesse essere accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti perché la figura del sindaco non è tra quelle previste dalla legge.

Ilva, tornano i veleni e arrivano le “mentine”

Mentre ArcelorMittal sul solco della migliore tradizione della famiglia Riva, ex patron dell’Ilva, pensa alla sua immagine e distribuisce agli operai scatole di mentine con sopra il suo logo contro il bruciore della gola, le mamme del quartiere Tamburi che due giorni fa, dopo la chiusura delle scuole, avevano simbolicamente messo i lucchetti al cancello della direzione del siderurgico con il cartello “oggi vi chiudiamo noi”, continuano a lottare. Tengono in braccio i bambini. Mostrano i cartelli: “I nostri figli vogliono vivere, la fabbrica dà profitto, la scuola no”. Invano ieri hanno chiesto che una delegazione potesse partecipare al tavolo tecnico convocato dal Prefetto fra Comune, Ispra e Arpa. Sono stanche di sopportare promesse disattese dai governi che si sono succeduti. Dopo ore di attesa, un gruppo di manifestanti ha cercato di sfondare il cordone della polizia, infine ha occupato il Comune che diventerà la scuola per i 700 bambini dei Tamburi rimasti senza. “Ora è il momento di lottare con tutte le forze, con il vostro aiuto per riprenderci il diritto alla salute nostra e dei nostri figli”, ha detto Angelo Di Ponzio, papà di Giorgio, il bambino di 15 anni morto di tumore un mese fa. Intanto ieri il commissario straordinario dell’Ilva, Enrico Laghi, nell’Audizione in Commissione Ambiente della Camera ha dichiarato: “Non c’è stato nessun superamento delle polveri e altri potenziali inquinanti previsti dalle norme vigenti”. Eppure l’Arpa ha specificato come “il rilevante contributo delle emissioni di inquinanti rilevate nei quartieri limitrofi all’ex Ilva, pur nel rispetto dei limiti normativi, non garantisca, in alcun modo, l’assenza di effetti lesivi sulla salute della popolazione”.

Tant’è che l’assessore regionale all’Ambiente, Gianni Stea, ha chiesto la revisione dell’Aia (Autorizzazione integrata Ambientale) considerando anche che la produzione dell’acciaio ora è solo di 5 milioni di tonnellate, contro gli 8 milioni annui consentiti. E il Procuratore della Repubblica di Taranto, Carlo Maria Capristo ha convocato in Procura per il 18 marzo i rappresentanti di ArcelorMittal, Comune, Arpa, Asl, custode giudiziario e commissario per le bonifiche per un confronto con i magistrati del Pool Ambiente. Mentre l’onorevole del M5S Giovanni Vianello, che dopo una campagna elettorale incentrata sulla promessa della chiusura dell’Ilva ieri ha dichiarato: “Nessuno del M5S ha mai detto che lo stabilimento siderurgico non inquina, anzi, il problema esiste ma la realtà non può essere messa – a uso e consumo di alcuni – sul tavolo sacrificale del protagonismo e dell’allarmismo a ogni costo”. E il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, destinatario di una lettera molto aspra dei Comitati tarantini ha detto: “Il territorio di Taranto è in sofferenza da anni e il governo si trova a gestire una situazione ereditata dagli esecutivi precedenti”. È intervenuto anche il governatore Emiliano: “La misura e la pazienza della Puglia sono colme. Siamo pronti a elevare il livello della contrapposizione col governo per ottenere la piena e definitiva tutela della salute della nostra gente”.

Caramelle per l’8 marzo, D&G e Barilla: gli spot boomerang

Vieni avanti creativo, ma non esagerare, altrimenti c’è il rischio di tornare precipitosamente indietro insieme alla tua campagna pubblicitaria. Boomerang ad alta velocità come quello nato dall’offertona diTrenitalia per la Festa dell’8 marzo. Alle donne che viaggeranno in business sarà offerta una caramella gelée al limone. Va bene che alcuni si illudono che le donne vengano via con poco, ma dai, almeno un pacchetto intero, anche non gelée. In confronto Renzi con i suoi 80 euro era Sardanapalo. Immaginiamo le concitate riunioni dei creativi: no la prugna no, può dare effetti indesiderati; facciamo alla banana? mah, attenzione ai doppi sensi. Va bene: profumo di limone, e crepi l’avarizia. Questa spremuta di meningi gelée ha imposto a Trenitalia di cancellare al volo la promozione, ma non ha impedito l’insurrezione dei social con un’alluvione di meme. Finalmente qualcuno che fa regali più brutti del mio ex, chissà se le caramelle arriveranno anche loro in ritardo, chissà se ce ne saranno abbastanza per tutti (l’offertona era “fino a esaurimento scorte”). Trionfo su Youtube per il video di Mina e Alberto Lupo che cantano in coppia Parole parole, nel punto in cui lei dichiara “Caramelle non ne voglio più”.

Per il creativo modalità Frecciarossa l’unica consolazione è di essere in buona compagnia. Grazie anche alla ferrea guardia dei social le campagne boomerang sono in aumento, e non mancano le vittime illustri.

Sono dell’altroieri le accuse di sessismo e razzismo, con annesse scuse tardive, legate allo sbarco in Cina di Dolce&Gabbana. Tre spot in cui si vedeva una modella cinese assaggiare un pezzo di pizza, un piatto di spaghetti e un cannolo usando le bacchette, domandandosi se il cannolo non fosse di dimensioni eccessive. Quando si dice lo stile italiano.

“Qui sono solo Carlo” annunciava solennemente Carlo Cracco nello spot della cucina Scavolini con cui aveva detronizzato Lorella Cuccarini. Lo chef più amato dalle italiane, recidivo per avere incitato le massaie a “osare” le patatine rustiche San Carlo (spot costato poi una sanzione per pubblicità ingannevole), si aggirava per casa sua in maniche di camicia, tra luci soffuse e assoli di sax in sottofondo, non limitandosi alla cucina, ma passando anche in bagno. “Vi starete chiedendo cosa ci fa Carlo Cracco in un bagno.” In effetti in molti non ci hanno dormito la notte, soprattutto i soliti social. Morale: nel nuovo spot Scavolini il bagno è prudentemente scomparso, senza però che si sia risolto il mistero di cosa ci facesse Cracco.

Alcune trovate hanno già il boomerang incorporato, come #Guerrieri, la campagna di storytelling lanciata da Enel nel 2013. “Vogliamo celebrare la determinazione della gente comune, degli italiani che non mollano di fronte alla difficoltà e alle incertezze sociali”. Chi di populismo ferisce, di populismo perisce; pochi mesi e parecchi sfottò in rete dopo, ecco sbucare la campagna di Blu Magenta #Coglioni. “Abbiamo le tasse più alte del pianeta, un debito pubblico superiore a duemila miliardi, la disoccupazione giovanile al 40%. Facciamo trecento miliardi di evasione fiscale all’anno. Siamo uno dei Paesi più corrotti al mondo…”.

Ma c’è anche chi ha imparato la lezione. “Non farei mai uno spot con una famiglia gay” dichiarò nel 2013 Guido Barilla, presidente dell’omonima azienda. Ne nacque un vero e proprio boicottaggio che costrinse il re del Mulino Bianco a scusarsi pubblicamente. Una conversione modello Innominato: a sei anni di distanza sui pacchi di spaghetti sono apparsi disegni gay friendly firmati dalla designer Olimpia Zagnoli.

Da un eccesso all’altro: potenza del politicamente corretto, con qualche ragionevole dubbio sulla buona fede. Come direbbe il professor Nicola Palumbo di C’eravamo tanto amati, il creativo è sempre più oltre.

M5s, opposizioni e governo: tutti contro il manifesto leghista

Non poteva passare inosservato, e infatti il volantino firmato dalla Lega di Crotone che “inneggia” al ruolo della donna come madre si è attirato una tempesta le polemiche.

Anche diverse rappresentanti del governo gialloverde si sono dissociate pubblicamente.

“Il volantino è scioccante, ci riporta indietro di decenni. Come donne di questo governo esprimiamo la nostra più profonda preoccupazione”, dichiarano le ministre del M5S Elisabetta Trenta, Giulia Grillo e Barbara Lezzi. Scatenate ovviamente le opposizioni: “Mi auguro che sia uno scherzo di cattivo gusto, temo invece che sia un becero tentativo di relegare le donne a un ruolo riproduttivo”, attacca Alessia Rotta del Pd. Per Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto, il manifesto offre una visione della donna “imbarazzante e medievale”. Anche il leader della Lega, Matteo Salvini, ha preso le distanze: “Non ne sapevo niente e non ne condivido alcuni contenuti. Lavoro per la piena parità di diritti e doveri per uomini e donne, per mamme e papà”.

Vaccini, Salvini scrive alla Grillo: “A scuola pure senza certificati”

Ci risiamo. Entro lunedì i genitori che a settembre avevano presentato solo un’autocertificazione dovranno dimostrare di aver vaccinato i propri figli. E il tormentone sulla possibile esclusione da scuola ricomincia. Stavolta è il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a chiedere un’ulteriore deroga, con una lettere inviata alla ministra della Salute, Giulia Grillo. “L’intento è quello di garantire la permanenza dei bambini nel ciclo della scuola dell’infanzia: evitiamo traumi ai più piccoli”, scrive, chiedendo alla collega di firmare un decreto. Lo scorso settembre il governo gialloverde era intervenuto sull’obbligo vaccinale concedendo la possibilità di iscriversi con una semplice autocertificazione, da convertire in sei mesi. Ora le polemiche ricominciano: la richiesta di Salvini ha subito scatenato le critiche di Regioni (Toscana e Lombardia) e associazione dei presidi. Non è chiaro cosa deciderà di fare la responsabile in materia: la ministra Grillo da una parte ha ribadito ”l’intento di superare il decreto Lorenzin sui vaccini obbligatori”, dall’altra però ha sottolineato che questo compito “spetta al Parlamento” (e dunque non al suo Ministero con un decreto). Alla scadenza mancano ormai pochi giorni.

Non è solo una questione di genere

Il 1 febbraio la Francia, dopo sei anni di dibattiti, ha sancito la costituzionalità della legge del 13 aprile 2016, approvata da una maggioranza trasversale, che ha introdotto la criminalizzazione dell’acquisto di sesso, ha decriminalizzato le persone prostituite e ha creato programmi di uscita, protezione e sostegno per le vittime di prostituzione e tratta. In Italia, invece, torna ciclicamente la discussione intorno alla legge Merlin, sull’opportunità di riaprire le case chiuse e legalizzare la prostituzione (vedi il Veneto e la proposta del consigliere regionale della Lega Antonio Guadagnini). E, complice il caso della giornata di ieri – quello del volantino della Lega di Crotone, e delle parole della mente che lo ha partorito (il segretario Giancarlo Cerrelli, per cui “la donna è donna se è madre”, ovvero esiste solo se si assume la responsabilità della riproduzione) – sembra sempre più riecheggiare il binomio angelo del focolare o puttana. Viene da chiedersi davvero se non si stia tornando agli anni ‘50, e al dibattito del tempo sull’abolizione delle case chiuse. “La femmina d’ingegno è per lo più sterile”, si sentiva dire allora.

Il tema del commercio del sesso è al centro di un dibattito acceso non solo in Italia. E non solo tra le femministe (come molti, ahinoi, continuano a pensare). “Per decenni – ha ricostruito la giornalista e attivista britannica Julie Bindel, di cui pubblichiamo in queste pagine un estratto del suo ultimo libro – abbiamo oscillato fra il pro-sex work e l’abolizionismo. Ma oggi le donne che hanno vissuto la violenza della prostituzione hanno preso la parola contro la favola della ‘Pretty woman’, dando vita a un movimento globale”.

Al centro, ci sono sempre le inique dinamiche dei rapporti di potere tra uomo e donna. La spirale di violenza che la cronaca quotidianamente offre ce lo ricorda. Alla fine torna tutto sempre a questo antico ma irrisolto problema: un problema che riguarda sia donne sia uomini.

Il mito della “puttana felice”: come la lobby del sesso ci vende i bordelli

La prima occasione in cui ho incontrato i miti persuasivi del mercato del sesso è stata il film Pretty Woman, del 1990, diretto da Garry Marshall. È una commedia romantica e la storia va così: Julia Roberts, che interpreta una donna prostituita sulla strada, incontra Richard Gere, che fa la parte di un ricco uomo d’affari e la porta nel suo albergo di gran lusso. Scopriamo che il compratore vuole una “prestazione fidanzatina” (girlfriend experience) da parte della donna, e assistiamo a diverse scene in cui si beve champagne e si mangiano fragole. Richard Gere ostenta Julia Roberts come un trofeo con i suoi contatti d’affari altrettanto upper-class e le rispettive mogli della buona società, cui risulta evidente che lei non è una di loro, tuttavia alla fine i due si innamorano e vivono felici e contenti. La relazione tra il compratore di sesso e la donna prostituita viene presentata come quella tra un cavaliere dalla splendente armatura che salva la fanciulla povera ma bella secondo i canoni tradizionali, la quale è finita sulla strada per circostanze difficili e senza colpa alcuna. Salvandola, Gere pulisce Roberts del suo status di “puttana”. Allo stesso tempo, salva sé stesso dall’identificazione con i ruoli del puttaniere predatore o del patetico incapace di una vera relazione. Nel 1991 ero a Mosca per parlare a un gruppo di studentesse tra i 16 e i 18 anni. Domandai alle ragazze che lavoro avrebbero voluto fare e più del 50 per cento rispose che avrebbe voluto essere una prostituta. Scioccata, chiesi come mai. La risposta più comune, a parte il fatto che in questo modo sarebbero potute emigrare dalla Russia in Occidente, fu che così avrebbero potuto incontrare un uomo come Richard Gere e avere una bella vita. (…)

Nasceva così il mito della “puttana felice”. L’espressione “sex work” (“lavoro sessuale”)/“sex worker” (“lavoratrice sessuale”) diventerà la parola d’ordine di una lobby composta da accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort, nonché compratori di sesso, una lobby ben finanziata con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso a livello globale, ossia trasformare gli sfruttatori in manager e garantire il “diritto” degli uomini di abusare impuniti dei corpi delle donne. Ma, come spiega Rachel Moran, la prostituzione non è “né sesso, né lavoro”, il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede. (…) In anni recenti il mercato del sesso è stato sottoposto a un rinnovamento d’immagine per dare l’impressione che non sia pericoloso, che addirittura non si tratti di prostituzione. Chi è a favore del commercio sessuale utilizza una terminologia che maschera la realtà di ciò che invece è: una persona, quasi sempre un uomo, che fa sesso con un’altra persona, quasi sempre una donna, senza desiderio reciproco. (…) Ho sempre sentito le sopravvissute, o donne ancora in prostituzione ma che vorrebbero uscirne, parlare di cosa è davvero il sesso che si fa. A differenza della lobby pro-prostituzione, i cui membri parlano di “sesso sicuro”, le donne che ho intervistato raccontano i dettagli. Parlano dell’odore tremendo dei compratori, del dolore di una vagina disidratata e ulcerata che viene penetrata da una molteplicità di uomini. L’orrore di avere lo sperma o altri fluidi corporali vicino alla faccia. La barba che sfrega sulla guancia fino a farla sanguinare, il collo dolorante a forza di girare la testa di colpo per allontanarla dalla lingua che cerca di baciarle. O di non riuscire a mangiare, a bere o a baciare i figli per via di quello che hanno dovuto fare con la bocca. Di come il braccio e il gomito fanno male per avere disperatamente cercato di farlo venire per non essere penetrata un’altra volta. (…)

La sopravvissuta alla prostituzione Fiona Broadfoot racconta che “i compratori ti fanno sentire una merda quando hanno una bella camera d’albergo e possono comprarti. Tu sei la puttana schifosa e loro quelli con i soldi e il potere. Almeno in strada veniamo guardati tutti e due come schifezze, in un modo o nell’altro, da parte dei residenti e della polizia”.

Volantino sessista: “È mio, la donna faccia la mamma”

In occasione dell’imminente festa della donna, la Lega Giovani di Crotone-Salvini premier ha pensato di offrire al gentil sesso un tributo alternativo allo scontato mazzetto di mimose: un manifesto con l’identikit delle minacce moderne alla “dignità” femminile. Il volantino, già pubblicato sui social (e di cui era prevista una diffusione ai gazebo della Lega domani sera), invita a stare in guardia da “chi ritiene che ci sia bisogno di quote rosa” o da “chi contrasta culturalmente il ruolo naturale della donna”. Com’era ovvio, nella giornata di ieri si sono scatenate le polemiche, tant’è che il vicepremier Salvini si è dissociato dall’iniziativa. I giovani del movimento calabrese, contattati dal Fatto, hanno preferito non rilasciare dichiarazioni e, a proposito di emancipazione, ci hanno invitato a parlare con Giancarlo Cerrelli, avvocato cassazionista, esperto in diritto di famiglia e della persona: il primo segretario della Lega a Crotone (proprio il seggio che aveva inizialmente eletto Salvini in Parlamento).

Avvocato Cerrelli, cosa intendete con l’espressione “ruolo naturale della donna”?

Il ruolo naturale della donna è quello di madre. La riproduzione è un compito che spetta solo alle donne.

Le donne che non fanno figli sarebbero quindi “contro-natura”?

Non dico che non siano naturali, ma il primo ruolo che una donna dovrebbe avere nella società è quello di madre. Prima la maternità era una cosa gioiosa, ora invece… Questo non significa che le donne non dovrebbero lavorare, ma dovrebbero pensare prima a sostenere e promuovere la vita e la famiglia, cosa che hanno sempre fatto nella storia. La nostra società è altrimenti destinata a finire. Purtroppo le lotte femministe hanno fatto credere cose sbagliate, facendo nascere i “cosiddetti diritti delle donne”: e oggi c’è un’autodeterminazione della donna sfrenata che l’ha portata ad aggredire l’uomo.

Qual è il limite entro cui una donna si può autodeterminare, secondo lei?

La donna si deve autodeterminare ma in accordo con l’uomo. Non può prendere decisioni che ledono la vita altrui, come quella di abortire o affittare l’utero. Anche se la legge purtroppo prevede il diritto di abortire.

“Purtroppo”?

È sbagliato che una persona abbia il potere di decidere sulla vita altrui.

E non è quello che succede nel momento in cui ci sono persone che vogliono proibire ad una donna di abortire?

No. Chiariamoci, io sono contrario all’aborto, uomo o donna che lo decida. Perchè è considerato un diritto? Perché è una rivendicazione di libertà della donna! E l’uomo? Così si crea una guerra tra i sessi.

Cosa pensa sua moglie?

È d’accordo con le mie idee.

Nel volantino criticate anche “chi strumentalizza la donna, come anche i migranti e i gay”. In passato, lei si era espresso, non senza polemiche, sui gay…

La mia posizione è chiara: per me la famiglia si compone di un uomo e una donna.

Parla a titolo personale o a nome del suo partito?

Per quanto riguarda il volantino, parlo a nome della Lega Crotone. Ma ho avuto anche il sostegno di molti leghisti autorevoli.

Tipo?

Preferisco non fare nomi.

La Consulta salva la Merlin e il processo B.-escort: il favoreggiamento è reato

La Corte costituzionale ha salvato senza se e senza ma la legge Merlin che punisce chi sfrutta o favorisce la prostituzione, anche quella esercitata liberamente. Una sentenza che arriva pochi giorni dopo che Salvini ha invocato le case chiuse. Una sconfitta per chi aveva sollevato la questione, ovvero la Corte d’Appello di Bari e la difesa di Gianpaolo Tarantini e Massimo Verdoscia, condannati in primo grado rispettivamente a 7 anni e 10 mesi e 3 anni e 6 mesi e ora sotto processo in secondo grado per le escort presentate a Silvio Berlusconi, tra il 2008 e il 2010, ai tempi di Patrizia D’Addario e le olgettine.

La Corte di Appello di Bari aveva chiesto ai giudici costituzionali di stabilire se, di fronte al “fenomeno sociale della prostituzione professionale delle escort” e cioè “in un contesto operativo sgombro da costrizioni”, il divieto di reclutamento e favoreggiamento sia una violazione del “principio della libertà di autodeterminazione sessuale della persona umana; libertà che si estrinseca, nel caso delle escort, attraverso il riconoscimento del loro diritto di disporre della sessualità nei termini contrattualistici dell’erogazione della prestazione sessuale contro pagamento di denaro o di altra utilità”.

La richiesta degli avvocati di Tarantini e Verdoscia, Nicola Quaranta, Ascanio Amenduni e Gioacchino Ghiro, era stata di rivolgersi alla Corte Costituzionale, avendo sostenuto che la legge Merlin del 1958, famosa per aver messo fuori legge le case “chiuse”, violasse una serie di principi costituzionali, compresa la libertà di impresa, nella parte in cui prevede la punibilità, appunto, anche di chi favorisce la prostituzione “volontariamente e consapevolmente esercitata”. Invece, ieri la Corte Costituzionale ha ritenuto infondate tutte le questioni sollevate. Ha stabilito che “non è in contrasto con la Costituzione la scelta di politica criminale operata con la legge Merlin, quella cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino”. Inoltre, la Corte ha ritenuto che il reato di favoreggiamento della prostituzione non contrasta “con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale”. Insomma, la punibilità di chi recluta escort, sia pure per scelta, nulla c’entra, come avevano detto i giudici e gli avvocati di Bari, con la violazione del principio “dell’autodeterminazione” della donna, della libertà sessuale o della “libertà di iniziativa economica della prostituta”.

In attesa delle motivazioni, la Corte sembra ricalcare quanto sostenuto dall’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri che aveva chiesto ai giudici di dichiarare infondate le eccezioni di incostituzionalità e aveva posto in luce il rischio, nel caso di “cancellazione” della punibilità dei mediatori di escort, che questo potesse favorire la strategia processuale degli sfruttatori delle donne (la maggioranza) costrette a prostituirsi con minacce e violenza. Questo era il concetto dietro alle inevitabili affermazioni tecniche: “Si rischia un vuoto normativo che produce un vuoto di tutela”, aveva detto Palmieri durante la discussione. Una piaga, quella della tratta delle donne, di cui erano consapevoli anche gli avvocati che si erano rivolti alla Consulta. L’avvocato Quaranta, durante l’udienza di martedì aveva detto: “Questa difesa non è insensibile al dramma della prostituzione coatta, degli schiavi del sesso” ma la legge Merlin “fa di tutta un’erba un fascio. Nel processo è emersa una realtà completamente diversa , quella delle escort, i sex workers, per cui” – aveva sostenuto il legale – “sarebbe un vulnus alla libertà sessuale” trattare questi casi come quelli di prostituzione coatta.

Non è così per la Corte Costituzionale anche se non sappiamo se nelle motivazioni ci sarà qualche passaggio dedicato alla possibilità del giudice, con la stessa legge Merlin, di valutare assoluzioni di mediatori di escort, così come sostenuto dall’avvocato dello Stato Palmieri.

All’udienza pubblica alcune associazioni di donne avevano chiesto di costituirsi in giudizio ma la Corte ha respinto, come sempre in questi casi, perché non lo hanno fatto nel processo. Fra queste associazioni, “Differenza Donna” che, naturalmente, si è detta soddisfatta:“Da questo risultato occorre ora partire per una grande mobilitazione per i diritti e la libertà delle donne”.Secondo l’avvocato Amenduni, invece, il legilatore deve intervenire, il settore così resta “selvaggio”. Ora per Tarantini, Verdoscia e gli altri imputati ricomincia il processo d’Appello e la strada per loro è tutta in salita.

Pignatone: “A Roma c’è la mafia e sono le sentenze a dirlo”

“Oggi sono le sentenze, alcune delle quali definitive, e non solo le ipotesi di accusa: a Roma ci sono le mafie”, dice il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone davanti alla commissione antimafia. “La Capitale non è una città dominata dalla mafia, come lo sono Palermo o Reggio Calabria – spiega -, ma sono presenti. Uso il plurale perché da una parte ci sono gli esponenti delle mafie tradizionali, soprattutto Camorra e ‘ndrangheta, che hanno delocalizzato le loro attività ognuna con le proprie specialità, dall’altra le mafie proprie della città di Roma, come i Casamonica, gli Spada, i Fasciani: una serie di associazioni non paragonabili alle mafie tradizionali del Sud ma con una specifica significatività e con una pericolosità notevole”. Non bastasse, ha spiegato il procuratore aggiunto Michele Prestipino davanti alla stessa assise a San Macuto, ”a Roma ci sono colletti bianchi che iniziano a parlare il linguaggio dei mafiosi e che si comportano in quel modo lì. Oltre all’espansione in maniera orizzontale del metodo mafioso a Roma, c’è dunque anche quella verticale”.