Consoli e le operazioni “baciate”: verso un’altra richiesta di processo

Ancora guai per Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca. Per lui – insieme ad altri funzionari – è arrivata la chiusura indagine per un’altra “baciata”. La pratica è ormai un classico: far dipendere l’elargizione di un finanziamento alla sottoscrizione di azioni della banca stessa. L’inchiesta della Procura di Monza ha accertato che la concessione di un prestito di 6 milioni a due clienti dell’istituto – i fratelli Massimo e Roberto Gatti – già in situazione di difficoltà, era stato vincolato con minaccia al contestuale acquisto di titoli per un valore di 3 milioni. Per Consoli & C. si va dunque verso la richiesta di processo.

Pochi giorni fa, la Corte di Cassazione aveva confermato a carico dello stesso Consoli il maxi-sequestro (finalizzato alla confisca) di beni mobili e immobili fino a un valore di 45 milioni disposto dal Tribunale di Treviso.

La Procura di Verbania lo scorso 8 febbraio aveva chiesto 41 rinvii a giudizio tra ex vertici ed ex dipendenti di Veneto Banca, compreso ancora Consoli. Truffa aggravata il reato contestato ai dipendenti, in concorso tra loro, con i vertici di Veneto Banca.

Fatture Marmodiv: “Precedenti penali e ditte fantasma”

Ditte fantasma, ma anche soggetti che secondo la Guardia di Finanza sono omonimi di nominativi segnalati come sospetti per terrorismo o altri che sono finiti in indagini delicate come per associazione a delinquere. C’è anche questo nell’elenco di ditte che hanno emesso fatture nei confronti della Marmodiv, una delle cooperative al centro dell’inchiesta della procura di Firenze che è costata gli arresti domiciliari a Tiziano Renzi e Laura Bovoli, accusati di false fatture e bancarotta.

Secondo le accuse dei pm fiorentini i genitori dell’ex premier sono stati in passato amministratori di fatto di questa cooperativa sulla quale pende una richiesta di fallimento del pm. Secondo le accuse proprio attraverso la Marmodiv sono state emesse una serie di fatture per operazioni inesistenti.

In un’informativa, anticipata ieri da La Verità, del 7 agosto 2018 – al capitolo “Analisi dei rapporti commerciali alla base delle fatture utilizzate negli esercizi dal 2013 al 2017” – le Fiamme Gialle hanno raggruppato gli accertamenti su una serie di fatture. Tra queste ci sono quelle emesse dalla Link Soc. Coop, società che si occupa di “trasporto merci su strada”, costituta nel 2012 e fallita cinque anni dopo. La società ha emesso fatture nei confronti della Marmodiv per 6 mila e 100 euro nel 2014 e poco più di 34 mila nel 2015.

È scritto nell’informativa: “Dal 2013 al 2016 l’intermediario che ha trasmesso le relative dichiarazioni dei redditi” è un imprenditore foggiano. Si tratta di un soggetto già nel mirino delle procure: “Risultano – è scritto nelle carte della Finanza – nella banca dati Sdi numerosi precedenti penali che vanno dall’associazione a delinquere (notizia di reato del 25 ottobre 2007), ai reati fallimentari (notizia di reato 4 dicembre 2017) a reati tributari”.

Quando poi le fiamme gialle sono andate nella sede della Link hanno anche scoperto che a quell’indirizzo non vi era alcuna società.

E non si trovano le tracce neanche della ditta individuale Iqbal Sikandar che invece si occupa di “cura e manutenzione del paesaggio compresi parchi e giardini” e che pure era in passato in rapporti con la Marmodiv. Quando le Fiamme Gialle sono andate nella sede di Milano hanno scoperto che lì non c’era nulla. Lo stesso per la ditta individuale “Kabir ayesha” con sede a Marino e che nel 2016 ha emesso fatture nei confronti della Marmodiv per poco più di tre mila euro.

Nazir Mohammad, cittadino pakistano, è invece il titolare di una ditta che si occupa di “spedizione di materiale propagandistico”. Quando gli agenti sono andati a bussare nella sede di questa ditta non hanno trovato alcuna insegna, ma solo un’abitazione. “Nazir non è mai stato censito all’anagrafe comune”, è scritto negli atti.

E non è finita: perchè fatture per 12.200 euro sono state emesse anche dalla ditta individuale “Distribuzione Italia” di Ilyas Muhammad. Anche questa si occupa di “spedizione di materiale propagandistico”. Si tratta di una ditta “segnalata a diverse procure per emissione di fatture per operazioni inesistenti”. In riferimento a questa ditta, la Finanza annota: “Ha emesso fattura nei confronti della Marmodiv con descrizione molto generica (…) la fattura ha quale descrizione ‘acconto’. Tuttavia da riscontro effettuato nella documentazione della Marmodiv non è stata rinvenuta alcuna ulteriore fattura anche di saldo”.

Ma è nelle note che viene fuori una novità: la “Distribuzione Italia di Ilyas Muhammad oggetto della presente è una ditta individuale con un titolare di origine pakistana (…)in particolare si registrano bonifici eseguiti per importi tondi e con casuali generiche di acconti o saldo di fatture verso controparti in alcuni casi apparentemente poco coerenti con l’attività esercitata. (…) si evidenzia inoltre cautelativamente – scrive la Guardia di Finanza – che tutti i soggetti pakistani riportati nella presente presentano omonimia con soggetti presenti in lista Crime nell’archivio informatico di World Check come terroristi”. Si tratta di una lista di nomi segnalati da varie autorità. L’omonimia però non vuol dire identità. Ovviamente i Renzi non sono toccati da nessuna indagine che riguarda i fornitori. Intanto ieri si è tenuta l’udienza del Riesame. I Renzi dopo il no del gip hanno chiesto di nuovo la revoca dei domiciliari dove si trovano dal 18 febbraio scorso. L’avvocato Federico Bagattini ha depositato una memoria di 25 pagine. Entro lunedì arriverà la decisione del Riesame.

Antitrust, la nomina di Rustichelli ancora sub iudice

Sul fuori ruolodel magistrato Roberto Rustichelli, nominato presidente dell’Antitrust a fine dicembre dai presidenti di Camera e Senato, la Terza commissione del Csm, da settimane nel pantano, non ha trovato la quadra e si avvia verso due proposte. Quella di maggioranza è per il via libera, nonostante il magistrato abbia accumulato, e superato, 10 anni di incarichi extragiudiziari, tetto stabilito dalla legge Severino e dalla circolare del 2014 del Consiglio. Quella di minoranza, invece, è per il no al fuori ruolo, proprio per le normative citate, che superano leggi precedenti. Il giro di tavolo dei consiglieri non è definitivo, tanto è vero che non hanno ancora votato, ma non sembrano esserci margini per una proposta unitaria al plenum. Magistratura Indipendente, che ha in Commissione i consiglieri Cartoni e Bragion, da sempre è per il via libera a Rustichelli, lo è anche il forzista Cerabona. Unicost, in Commissione con il presidente Ciambellini, fa “il pesce in barile”, in attesa di capire se conviene o meno seguire Mi, a differenza di altre volte; il laico di M5S Benedetti è “oscillante” tra le due posizioni mentre Zaccaro, togato di Area è per negare il fuori ruolo.

Tra nomine e ricorsi al Tar

Il 25 giugno dello scorso anno, con la sentenza del Consiglio di Stato, si chiudeva la partita giudiziario-amministrativa della contestata nomina dei direttori “stranieri” arrivati a guidare, per opera dell’allora ministro Dario Franceschini, i musei italiani. Il 18 agosto del 2015 agli Uffizi di Firenze era arrivato il tedesco Eike Schmidt (all’Accademia l’altra tedesca Cecile Hollberg), a Capodimonte (Napoli) il francese Sylvain Bellenger, alla Pinacoteca di Brera l’inglese James Bradburne, a Mantova l’austriaco Peter Assman, a Paestum il tedesco Gabriel Zuchtiregel, alla Galleria nazionale di Urbino l’austriaco Peter Aufreiter. Alcuni di loro furono presto bocciati dai ricorsi al tar. Poi la sentenza che li rimise in carica

Fermare certi “super” direttori. La grande occasione di Bonisoli

Il caso della grande pala d’altare di Caravaggio a Napoli continua a dare soddisfazioni. Dopo che il ministero per i Beni culturali ha provvidenzialmente bloccato il trasloco promozionale dell’opera, si anima il dibattito e si scoprono i retroscena. Se il primo è, per la verità, privo di grandi sorprese (sui giornali dei palazzinari si stracciano le vesti per il veto “stalinista” [sic] i sacerdoti dell’interesse privato a spese pubbliche) sono i secondi a rivelarsi istruttivi. Ieri il Corriere del Mezzogiorno ha pubblicato una bella intervista allo storico dell’arte Giuseppe Porzio, specialista della pittura caravaggesca napoletana e già membro del comitato scientifico della mostra che si aprirà, al museo di Capodimonte, il prossimo 12 aprile e che aveva improvvidamente richiesto il Caravaggio. Porzio ha rivelato di essersi dimesso, mesi fa, dopo che le sue obiezioni (scientifiche) proprio contro la richiesta del Caravaggio non erano state tenute in alcun conto. E fin qui siamo (più o meno) nella normale dialettica di una istituzione culturale. Ciò che è stupefacente è la reazione del super-direttore di Capodimonte, Sylvain Bellenger. “Il direttore – ha raccontato Porzio – mi ha inviato una email nella quale mi chiedeva, per coerenza, di dimettermi anche dal comitato scientifico del museo”. Giustamente Porzio non si è affatto dimesso: ricordando che il comitato scientifico è lì per guidare (e, se serve, contenere o correggere) il direttore, e non viceversa.

La riforma Franceschini ha trasformato i 30 principali musei italiani in imprese totalmente nelle mani dell’amministratore delegato (il direttore coi superpoteri), che spesso è del tutto ignaro del patrimonio straordinario che gli è affidato. Visto che l’unico metro di Franceschini (e Renzi, che da presidente del Consiglio ritenne quella pessima riforma un fiore all’occhiello del suo governo) era il numero dei biglietti strappati e il fatturato, molti direttori (non tutti, per la verità) si sono buttati a far cassa, cercando di usare i quattro anni del loro mandato per spararla più grossa possibile, ovviamente a spese del bilancio pubblico e dei loro stessi musei.

Indimenticabile l’uso grottesco della Reggia di Caserta, ridotta dal suo direttore Mauro Felicori (ora paracadutato dal presidente campano De Luca, ovviamente suo grande estimatore, al commissariamento della Fondazione Ravello) a una location per eventi commerciali e banchetti di matrimonio, con sommo spregio di tutela e dignità del monumento. E come tacere i danni patiti da opere somme della Pinacoteca di Brera, ferite da sbalzi climatici durante la direzione (assai incline a sfilate di moda e altri eventi simili) di un’altra creatura franceschiniana, James Bradburne? E che dire degli Uffizi, dove il direttore tedesco Eike Schmidt ha voluto buttare all’aria alcune sale appena rifatte dal suo predecessore (e la Corte dei Conti non ha nulla da dire, uno si chiede?), presentando un allestimento imbarazzante, che pare una caricatura delle scenografie di Kubrick e che sembra aver messo in lavatrice il Tondo Doni di Michelangelo o chiuso in un televisore il Battesimo di Cristo di Verrocchio, Leonardo, Lorenzo di Credi?

In ciascuno di questi casi ci si può chiedere: e i rispettivi consigli scientifici non hanno avuto nulla da dire? L’impressione è che questi consigli non contino in verità alcunché: un po’ per come è scritta la norma, un po’ per la prepotenza dei direttori, un po’ per il conformismo remissivo di molti degli illustri componenti. Quello dell’Accademia di Firenze, per esempio, non risulta sia mai stato riunito, in quattro anni (!). E sul sito degli Uffizi figura ancora tra i componenti Alessandro Nova, stimatissimo direttore del Kunsthistorisches Institut di Firenze, che invece si è dimesso (in disaccordo con Schmidt) almeno un anno fa, non essendo mai rimpiazzato.

Ora, la domanda è: il nuovo ministro pentastellato Alberto Bonisoli ha qualcosa da dire su tutto questo, o andiamo avanti come se Franceschini fosse ancora sulla sua poltrona? Il segnale del Caravaggio è stato positivo: Bonisoli ha permesso alla Direzione delle Belle Arti di decidere in scienza e coscienza, e il quadro non è stato concesso ad un direttore che aveva l’unico scopo di far aumentare la bigliettazione del suo museo esponendo un feticcio.

Ci mancherebbe altro, direte voi: e invece no, negli ultimi anni Franceschini e la sua corte (in parte ancora attendata al Collegio Romano) avevano condizionato moltissime scelte tecniche, spingendo sempre e comunque sulla mercificazione del patrimonio.

Ma tra poco verrà il bello: in autunno i direttori franceschiniani scadranno. La legge dice che “possono essere rinnovati una sola volta, con decisione motivata sulla base di una valutazione positiva dei risultati ottenuti, per ulteriori quattro anni”. Alcuni dei direttori meritano di essere confermati: molti altri musei, invece, meritano di essere liberati da guide che si sono dimostrate fallimentari, o addirittura pericolose. È allora che capiremo se il ministro Bonisoli ha intenzione di cambiare davvero.

“È anticostituzionale per gli stranieri”. Primi ricorsi in arrivo

“In un paio di mesi credo che già riusciremo a depositare i primi ricorsi, probabilmente con una prima causa pilota al Tribunale di Milano per sollevare l’eccezione di incostituzionalità della legge sul reddito di cittadinanza che prevede i due requisiti del permesso di lungo periodo e dei 10 anni di residenza per gli stranieri”. Ad annunciarlo l’avvocato Alberto Guariso dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che negli ultimi anni ha visto accogliere molti ricorsi in materia di discriminazione.

“L’emendamento discrimina gli stranieri, perché prevede l’obbligo per i cittadini di Paesi extra Ue di produrre documentazione del Paese di origine tradotta e legalizzata dall’autorità consolare italiana e di attestare la composizione del nucleo familiare e la situazione reddituale e patrimoniale nel Paese di origine, sostiene sempre l’Asgi che si appella ai parlamentari chiedendo di “cancellare” il cosiddetto “emendamento Lodi”, chiamato così per l’ormai noto caso delle mense scolastiche a Lodi su cui si sono pronunciati di recente i giudici milanesi, proprio su ricorso dell’associazione.

Upb in audizione: “Meno di mille euro a 1 beneficiario su 4”

Su 5 milioni di poveri assoluti in Italia, sono il 71,4% – pari a 3,6 milioni di individui – quelli che potrebbero ricevere il reddito di cittadinanza. Ma solo il 5,5% dei percettori avrà un beneficio superiore ai 6 mila euro, un quarto delle famiglie otterrà invece meno di 1.000 euro. A fornire i nuovi numeri sul reddito di cittadinanza è Alberto Zanardi dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), durante l’audizione in Commissione Lavoro alla Camera sul decretone che contiene anche quota 100. Emerge così che per il reddito di cittadinanza il costo a regime è di 7,8 miliardi di euro, in linea con relazione tecnica, mentre in media le erogazioni per nucleo sono di circa 6 mila euro annui. Sul fronte territoriale, il 56% dei nuclei beneficiari è residente al Sud e nelle isole, mentre il 28% è del Nord. E se rimane il problema congenito del disequilibrio verso Sud e single (quasi il 50%), sulla misura arrivano le mazzate Cei. Bisogna evitare l’effetto spiazzamento, è il ragionamento della Conferenza episcopale italiana, evitando così il rischio di “aumentare queste forme di cittadinanza non solo passiva ma anche parassitaria nei confronti dello Stato attenuando la spinta a cercare lavoro”.

Poca pressione sulla macchina burocratica, ma tanti esclusi

Cinque anni fa, Matteo Renzi si era molto raccomandato con i suoi tecnici: il bonus degli 80 euro doveva essere automatico, direttamente in busta paga. Il reddito di cittadinanza non è automatico, richiede una lunga serie di procedure, non complesse ma bisogna pur sempre attivarsi. Il rischio è che siano proprio i più fragili, quelli che non sanno neppure della misura, che non hanno capito cosa e quando devono fare a essere esclusi. Ci vorrà un po’ di tempo a capire se la calma del primo giorno di domande – 44.000, piuttosto ordinate – indica che i potenziali beneficiari hanno capito che un giorno in più o in meno fa poca differenza, che andrà tutto bene. Oppure che i poveri che vanno a chiedere il sussidio sono la parte alta di quel gruppo di cinque milioni di bisognosi, mentre i più sprovveduti e bisognosi di assistenza restano esclusi.

Il sospetto che qualche problema sia inevitabile sta nei numeri forniti dall’Ufficio parlamentare di bilancio. Il tasso di povertà assoluta tra le famiglie con più di quattro membri è 17,8 per cento, quelle potenzialmente beneficiarie sulla base dei requisiti sono il 13,7. Nel Nord-Ovest il tasso di povertà assoluta è del 5,7 per cento, i beneficiari sono quasi la metà, 3,1. Idem nel Nord-Est: 4,8 contro 2,6. La spiegazione è che in quelle Regioni ci sono più stranieri, che vengono esclusi e le necessità economiche di base sono più alte, a causa dei prezzi. Qualche barriera strutturale a raggiungere i più deboli quindi c’è già nell’impianto della misura.

Ma il bicchiere è anche mezzo pieno: qualunque sia la ragione, se la pressione sulla macchina burocratica è gestibile, c’è almeno una vaga possibilità che tutti i pezzi del sistema reddito (dall’Inps al navigator) riescano a gestire almeno l’erogazione del sussidio nei tempi previsti. Trovare un lavoro ai beneficiari è un’altra storia.

Nella città di Di Maio, niente ressa e qualche contrattempo

Lo chiameremo con un nome di fantasia, Pasquale. È più vicino ai 60 anni che ai 50, è disoccupato da dieci anni e ieri era tra le venticinque persone che di mattina presto si sono presentate al Caf Uil di via Verdi a Pomigliano d’Arco per fare domanda di reddito di cittadinanza. Se n’è andato maledicendo la legge e l’illustre ministro concittadino Luigi Di Maio, senza farne il nome: il suo deposito alle Poste, i risparmi di una vita, sfora le griglie per accedere al beneficio. “Ma io con quei soldi ci ho vissuto e ci vivo, e ci devo mantenere i figli all’università”, si è sfogato. Gli altri sono rimasti pochi minuti: il software per l’inoltro delle domande non era ancora attivo. “Il programma ci è stato inviato poco fa, alle 10 – dice l’operatrice Mena Abete, che con calma e competenza ha gestito i modesti afflussi – avevamo avvertito la nostra utenza che oggi non era il caso di accalcarsi, che avremmo iniziato da giovedì 7”. Nel frattempo sono arrivati altri quattro richiedenti. “Abbiamo inoltrato le loro istanze in pochi minuti”. Sono più preoccupati di ricevere il sussidio o di trovare un lavoro? “Il lavoro. La prima domanda che ci fanno è: quando ci chiameranno? L’ha fatta anche una signora di 65 anni, che non sarebbe obbligata ad accettare”. La speranza che non muore. Al Caf Cgil Pomigliano d’Arco in corso Vittorio Emanuele, nel ventre di un palazzone popolare, gli invii telematici non sono iniziati e i corridoi sono vuoti. “Abbiamo protocollato i dati cartacei di una decina di domande”, spiegano.

A Napoli l’ufficio postale centrale di piazza Matteotti era praticamente deserto. Un signore ci ha scherzato su: “Si vede che ha ragione Di Maio, la povertà è stata abrogata”.

Migliaia di appuntamenti e turni in ordine alfabetico

“Sono disoccupato da cinque anni, ho due figlie piccole con problemi di disabilità e vivo in affitto. Spero che il reddito di cittadinanza mi faccia rientrare nel mondo del lavoro”. Mario, nome di fantasia, ha 48 anni e abita nella periferia di Roma. Per 12 anni è stato agente di commercio, poi la crisi lo ha costretto a chiudere la partita Iva. Ieri è stato uno dei primi a presentare la domanda per il reddito nel Centro di assistenza fiscale della Cisl di Roma Cinecittà, dove gli utenti passati per inviare la richiesta sono stati meno di dieci. “Qui non c’è stata alcuna fila – spiega la responsabile del Caf –. Sono venuti tutti per appuntamento”. Anche gli altri centri parlano di una giornata che è filata liscia, senza situazioni di sovraffollamento. “Già da gennaio – spiega Alessandro Biagiotti, responsabile Caf Cgil del Lazio – sono aumentate del 40% le richieste Isee. Ma poi abbiamo creato un calendario ordinato di incontri, e li gestiremo tutti nelle prossime settimane senza fretta”. L’affluenza maggiore si registra in viale Irpinia, traversa della Prenestina: ma si tratta giusto di una coda formata da una decina di persone. In tutto il Lazio, la Cgil conta complessivamente 1.500 appuntamenti presi tra diretti e con numero verde. I centri più piccoli ne hanno avuti quattro o cinque, quelli più grandi sono arrivati a 20. Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli) parlano di circa 500 appuntamenti tra Roma e Provincia. Si contano su una mano quelli presenti ieri nella sala d’attesa della sede vicino via Ostiense. “Abbiamo pensionati vedovi, over 50 disoccupati da tempo o madri separate che prendono molto poco come assegno di mantenimento”, raccontano gli operatori.