Il caso della grande pala d’altare di Caravaggio a Napoli continua a dare soddisfazioni. Dopo che il ministero per i Beni culturali ha provvidenzialmente bloccato il trasloco promozionale dell’opera, si anima il dibattito e si scoprono i retroscena. Se il primo è, per la verità, privo di grandi sorprese (sui giornali dei palazzinari si stracciano le vesti per il veto “stalinista” [sic] i sacerdoti dell’interesse privato a spese pubbliche) sono i secondi a rivelarsi istruttivi. Ieri il Corriere del Mezzogiorno ha pubblicato una bella intervista allo storico dell’arte Giuseppe Porzio, specialista della pittura caravaggesca napoletana e già membro del comitato scientifico della mostra che si aprirà, al museo di Capodimonte, il prossimo 12 aprile e che aveva improvvidamente richiesto il Caravaggio. Porzio ha rivelato di essersi dimesso, mesi fa, dopo che le sue obiezioni (scientifiche) proprio contro la richiesta del Caravaggio non erano state tenute in alcun conto. E fin qui siamo (più o meno) nella normale dialettica di una istituzione culturale. Ciò che è stupefacente è la reazione del super-direttore di Capodimonte, Sylvain Bellenger. “Il direttore – ha raccontato Porzio – mi ha inviato una email nella quale mi chiedeva, per coerenza, di dimettermi anche dal comitato scientifico del museo”. Giustamente Porzio non si è affatto dimesso: ricordando che il comitato scientifico è lì per guidare (e, se serve, contenere o correggere) il direttore, e non viceversa.
La riforma Franceschini ha trasformato i 30 principali musei italiani in imprese totalmente nelle mani dell’amministratore delegato (il direttore coi superpoteri), che spesso è del tutto ignaro del patrimonio straordinario che gli è affidato. Visto che l’unico metro di Franceschini (e Renzi, che da presidente del Consiglio ritenne quella pessima riforma un fiore all’occhiello del suo governo) era il numero dei biglietti strappati e il fatturato, molti direttori (non tutti, per la verità) si sono buttati a far cassa, cercando di usare i quattro anni del loro mandato per spararla più grossa possibile, ovviamente a spese del bilancio pubblico e dei loro stessi musei.
Indimenticabile l’uso grottesco della Reggia di Caserta, ridotta dal suo direttore Mauro Felicori (ora paracadutato dal presidente campano De Luca, ovviamente suo grande estimatore, al commissariamento della Fondazione Ravello) a una location per eventi commerciali e banchetti di matrimonio, con sommo spregio di tutela e dignità del monumento. E come tacere i danni patiti da opere somme della Pinacoteca di Brera, ferite da sbalzi climatici durante la direzione (assai incline a sfilate di moda e altri eventi simili) di un’altra creatura franceschiniana, James Bradburne? E che dire degli Uffizi, dove il direttore tedesco Eike Schmidt ha voluto buttare all’aria alcune sale appena rifatte dal suo predecessore (e la Corte dei Conti non ha nulla da dire, uno si chiede?), presentando un allestimento imbarazzante, che pare una caricatura delle scenografie di Kubrick e che sembra aver messo in lavatrice il Tondo Doni di Michelangelo o chiuso in un televisore il Battesimo di Cristo di Verrocchio, Leonardo, Lorenzo di Credi?
In ciascuno di questi casi ci si può chiedere: e i rispettivi consigli scientifici non hanno avuto nulla da dire? L’impressione è che questi consigli non contino in verità alcunché: un po’ per come è scritta la norma, un po’ per la prepotenza dei direttori, un po’ per il conformismo remissivo di molti degli illustri componenti. Quello dell’Accademia di Firenze, per esempio, non risulta sia mai stato riunito, in quattro anni (!). E sul sito degli Uffizi figura ancora tra i componenti Alessandro Nova, stimatissimo direttore del Kunsthistorisches Institut di Firenze, che invece si è dimesso (in disaccordo con Schmidt) almeno un anno fa, non essendo mai rimpiazzato.
Ora, la domanda è: il nuovo ministro pentastellato Alberto Bonisoli ha qualcosa da dire su tutto questo, o andiamo avanti come se Franceschini fosse ancora sulla sua poltrona? Il segnale del Caravaggio è stato positivo: Bonisoli ha permesso alla Direzione delle Belle Arti di decidere in scienza e coscienza, e il quadro non è stato concesso ad un direttore che aveva l’unico scopo di far aumentare la bigliettazione del suo museo esponendo un feticcio.
Ci mancherebbe altro, direte voi: e invece no, negli ultimi anni Franceschini e la sua corte (in parte ancora attendata al Collegio Romano) avevano condizionato moltissime scelte tecniche, spingendo sempre e comunque sulla mercificazione del patrimonio.
Ma tra poco verrà il bello: in autunno i direttori franceschiniani scadranno. La legge dice che “possono essere rinnovati una sola volta, con decisione motivata sulla base di una valutazione positiva dei risultati ottenuti, per ulteriori quattro anni”. Alcuni dei direttori meritano di essere confermati: molti altri musei, invece, meritano di essere liberati da guide che si sono dimostrate fallimentari, o addirittura pericolose. È allora che capiremo se il ministro Bonisoli ha intenzione di cambiare davvero.