L’endorsement di governo, dato per scontato quello reiterato del ministro Roberto Cingolani, stavolta è arrivato dalla sottosegretaria del ministero della Transizione ecologica, Vannia Gava, nel corso della giornata di studi annuale organizzata dall’Associazione Italiana Nucleare. Titolo: Il nucleare decisivo per la Transizione energetica. “È importante avere la libertà di ragionare su un argomento scientifico che investe le politiche energetiche di tutti senza sentirsi attaccati”, ha detto. L’inserimento del nucleare nella tassonomia Ue delle fonti di energia finanziabili nella lotta ai cambiamenti climatici, è il punto, lo rende “fondamentale per la transizione”, per “correre e non rincorrere gli altri”. E non importa se per realizzare i più basilari dei progetti innovativi sul nucleare di “nuova generazione” servano ancora 10, 14 o 20 anni: “Se mai si arriva a un percorso, mai si arriva al traguardo”. La critica, è la tesi della sottosegretaria leghista, è ideologia se non tiene conto del progresso scientifico, è “violenza psicologica”, “demonizzazione”. Anche nei media: “Stiamo attenti quando parliamo di nucleare perché questo paese ha bisogno di tutto meno che di insicurezza”.
Il filo rosso che unisce gli interventi della giornata è assicurare al nucleare una fetta importante nel mix del futuro: nell’impossibilità di sfruttare le rinnovabili in modo costante, perché per limiti tecnici non sono impeccabili nell’accumulo e nella conservazione di energia, bisognerà scegliere a quale fonte rivolgersi. Il gas, nella fase transitoria, ha già conquistato il suo ampio spazio, protagonista del Pnrr, e con l’inserimento del nucleare nella tassonomia Ue ora bisogna spingere per assicurarsi uno spazio dignitoso. Per rispettare l’equità che tanto viene chiesta, ecco dunque una sintesi delle posizioni dell’Ain emerse ieri, al netto della discussione specifica tecnico-scientifica: 1) Il nucleare è considerato verde e non pericoloso per la transizione 2) La Cop26 gli affida un ruolo chiave 3) I nuovi reattori sul mercato (per lo più gli Smr, i piccoli reattori modulari) sono sicuri e facilmente realizzabili 4) Le scorie non saranno un problema (sono definite “uno spauracchio”) perché nuove tecnologie, e qui citiamo il presidente dell’associazione Umberto Minopoli, “consentirebbero di studiare e realizzare tecnologie che minimizzerebbero il problema e sdrammatizzerebbero la discussione spesso concitata e disinformata su di esse” 5) La “fusione nucleare” sarà il punto di svolta. Infine, 6) Il dissenso è quasi sempre privo di fatti e numeri e non fa bene all’industria.
Va riconosciuta all’Ain l’onestà intellettuale di aver invitato almeno una controparte in grado di fornire un’altra lettura delle cose. “Non credo che il nucleare possa svolgere un ruolo decisivo nella transizione – ha spiegato il senatore Antonio Misiani, viceministro al Tesoro nel governo Conte-2 e oggi responsabile Economia del Pd – La produzione a livello mondiale di elettricità col nucleare ha raggiunto un picco nel 1996, il 17,5%, e da allora è andata declinando: nel 2020 è al 10,2%”. Gli investimenti sul nucleare sono ammontati a 18 miliardi di dollari, quelli sulle rinnovabili a oltre 300. “Il flusso di investimenti, il mercato a oggi ci dice che il mondo sta andando da una determinata parte e non da quella del nucleare per come è tecnologicamente caratterizzato oggi”. Le stesse proiezioni portate al convegno mostrano che al 2040 la forchetta della produzione scenderà tra il 7 e l’11%. Nessun cambio di passo. “Per la posizione ideologica di una parte del mondo ambientalista?” provoca Misiani. No, per l’aumento del costo della produzione (+36% nell’ultimo decennio a fronte di una diminuzione del 72% da eolico e del 90% dal fotovoltaico). “Questa è la realtà dei flussi di investimento: lo dice il mercato prima ancora che i decisori pubblici”.
E ancora, i tempi: negli Emirati Arabi, dove la discussione è tutt’altro che democratica, un impianto progettato nel 2012 sarà operativo nel 2021 difficile immaginare si faccia meglio in Italia, senza considerare l’opinione pubblica contraria e un referendum chiarissimo. Infine, le scorie “problema irrisolto in Italia come in altri Paesi”, che anche con la quarta generazione di reattori diminuirebbe ma senza sparire. Proprio ieri Sogin, la società che gestisce lo smantellamento degli impianti nucleari italiani, ha avviato la seconda fase della consultazione pubblica per l’iter di localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. Le prospettive non sono rosee visto che – di nuovo – nessuna amministrazione delle 67 aree idonee identificate sembra volerlo accogliere. In più, nei giorni scorsi, Sogin ha subito un attacco informatico: le sono stati sottratti 800 Gigabyte di dati, poi messi in vendita sul dark web. Contratti, progetti, schemi d’impianto, ma anche foto e cv dei dipendenti che vanno dal 2004 al 2020. L’annuncio di vendita conteneva anche un campione di dati rappresentativo del contenuto: una proposta di qualifica del 2016 per la fornitura di strumenti all’impianto Eurex di Saluggia, dove ci sono circa 270 metri cubi di rifiuti liquidi radioattivi. Insomma, mentre lobby e pezzi di politica, con addentellati ai vertici del ministero, spingono sul nucleare, nessuno vuole nemmeno accogliere le scorie. E chi dovrebbe gestirle non riesce a garantire la sicurezza dei suoi dati.