Bankitalia, whistleblower rischia il posto

“Dopo la puntata di Report dedicata allo scandalo dei diamanti, che ha ricostruito le indagini del collega della Vigilanza Carlo Bertini, serve un sussulto di dignità”. I sindacati dei dipendenti di Banca d’Italia scendono in campo a fianco del primo whistleblower dell’istituto che lunedì scorso ha denunciato tramite la trasmissione d’inchiesta di Rai3 le coperture ai massimi livelli della vendita di pietre a prezzi gonfiati ai clienti di Mps, un business miliardario che ha distrutto i risparmi di migliaia di italiani.

Il funzionario di via Nazionale, per non aver voluto girare la testa e tacere di fronte alla scoperta di connessioni della vendita delle pietre con altissimi dirigenti, politici, massoni e ’ndranghetisti, è stato sottoposto dai suoi capi a fortissime pressioni, poi costretto a una visita psichiatrica (che ne ha confermato l’idoneità alle mansioni), quindi demansionato, infine messo sotto procedura disciplinare con la sospensione dal lavoro e dallo stipendio. Oggi la Commissione di disciplina di Bankitalia deciderà il destino di Bertini e domani glielo comunicherà.

Le premesse non sono confortanti. Per questo la Federazione autonoma lavoratori Banca d’Italia (Falbi) aveva indetto per domani uno sciopero di un’ora di tutti i dipendenti, ma dopo che la Banca ha contestato una violazione per mancato preavviso, lo ha spostato al 28 dicembre con le medesime modalità.

“Non siamo belle statuine”, scrive in una nota il Sindacato indipendente banca centrale (Sibc). “Siamo dalla parte di chiunque fa il proprio lavoro con coraggio e quindi dalla parte di Carlo. Carlo va immediatamente reintegrato in servizio, al suo posto”. La Falbi ribadisce che “l’unica responsabilità del collega è quella di aver agito con indipendenza di giudizio e consapevolezza dei propri doveri. Per due volte ci siamo formalmente rivolti al Governatore Visco, perché intervenisse in questa vicenda e giudicasse l’accaduto con equanimità e senso di giustizia. Riteniamo di pronunciare a testa alta: ‘Io sono Carlo’. Anche l’intera categoria per solidarietà nei confronti del collega e a difesa dell’istituzione partecipi allo sciopero”.

La Uilca, dal canto suo, sottolinea “la straordinaria gravità delle dichiarazioni del vicedirettore generale di Banca d’Italia, Alessandra Perrazzelli, riportate da Report, dalle quali emergono concezioni militaresche in seno al Direttorio, in cui l’obbedienza al superiore gerarchico è il valore guida e in cui ‘anche di fronte a delle cose spaventose’ il consiglio più opportuno è di comportarsi ‘come una statua di marmo’, di farsi scivolare addosso le cose, perché questo è il metodo di chi fa carriera’”. Anche secondo la Fisac Cgil, “la cieca obbedienza non ha sempre servito bene l’istituto. Basti ricordare la nota vicenda Popolare di Lodi-Fazio, in cui le strutture della Vigilanza si opposero alle scelte del Governatore, salvando l’istituto. La Banca ha bisogno di pesi e contrappesi al suo impianto gerarchico, mentre le scelte organizzative e gestionali vanno in direzione opposta. Ne citiamo due: la prima è quella di far seccare la rete delle filiali”, la seconda “è la riforma delle carriere dei direttivi che, aumentando la discrezionalità ed emarginando gli scatti automatici, mette il futuro di carriera e retributivo in mano ai capi”. Basteranno i comunicati dei sindacati a salvare il whistleblower Bertini?

“Presunzione d’innocenza: legge abnorme che cancella le notizie”

È una norma spropositata, metterà a rischio il diritto di cronaca”. Carlo Bartoli dal 1° dicembre è il nuovo presidente dell’Ordine dei giornalisti. Fresco di incarico, si ritrova con una norma appena entrata in vigore, quella sulla presunzione di innocenza, che, tra le altre cose, impone un divieto per le autorità pubbliche – e quindi pm e polizia giudiziaria – di “indicare come colpevole” l’indagato o l’imputato. E per molto tempo. Ossia “fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. Non solo: la norma impone anche ai procuratori di parlare con la stampa solo tramite comunicati ufficiali.

Carlo Bartoli, questa nuova legge non rischia di limitare il diritto del cittadino a essere informato?

Bisogna fare una premessa: l’esigenza alla quale prova a rispondere questa nuova legge è assolutamente giusta e la condividiamo tutti. Va certamente salvaguardata la presunzione d’innocenza. Il punto è: come la si salvaguarda? È questo il vero strumento, o per salvare la presunzione di innocenza si è disposti a ridurre la possibilità di dare conto di quella che è l’attività della giustizia? Perché, al di là di ogni altra considerazione, una delle preoccupazioni di uno Stato è sicuramente quella di dimostrare ai cittadini che esercita l’azione della giustizia in maniera imparziale, senza guardare in faccia a nessuno. Il solo fatto di non poterlo raccontare, secondo me, rappresenta un grave problema.

È un modo per nascondere le notizie?

La norma a mio avviso è spropositata. Sì, le notizie rischiano di scomparire dietro questo paravento. Ma io voglio dire una cosa e la voglio dire molto chiaramente: i giornali sicuramente talvolta hanno commesso degli errori, anche gravi. Poi ciascuno paga. Ma non ci si è accorti che sono altri gli ambiti che vedono la presunzione di innocenza massacrata, a cominciare da trasmissioni televisive che non hanno alcun carattere giornalistico. Forse dovrebbero cominciare da lì, non dal limitare la fruizione di informazioni su inchieste, indagini e processi.

D’ora in poi, durante le conferenze stampa, verranno fornite solo informazioni generiche. Ciò non aiuta il buon giornalismo.

Assolutamente. Poi quando si è generici si colpisce una moltitudine e non si focalizza su un individuo. L’elemento di grande criticità è l’accentrare nelle mani di una sola persona tutto il flusso delle informazioni su un settore nevralgico come è la giustizia. Io voglio solo ricordare che la pubblicità del processo e dell’azione penale è uno dei cardini della civiltà, delle nostre democrazie. Dove non c’è pubblicità non c’è democrazia, a partire dalla Carta dei Diritti dell’uomo. Quindi, senza voler alzare i toni all’inverosimile, io credo che una riflessione attenta vada fatta, sul rapporto tra fine ed effetto. Cioè, davvero con questa norma si raggiunge lo scopo che noi peraltro condividiamo? Io penso di no. Questa norma va ben oltre, è molto rischiosa per la democrazia e per il senso che i cittadini devono avere della giustizia.

Ormai la norma è in vigore. Cosa si può fare per limitare i danni adesso?

L’ideale sarebbe la possibilità di ridiscutere, di rivalutare questa norma, ma nel frattempo bisogna chiedere ai magistrati di applicarla con molto buon senso. Vediamo che conseguenze pratiche avrà e poi prenderemo una decisione.

Forse l’Ordine dei giornalisti avrebbe dovuto fare qualcosa prima. A settembre scorso, convocati in Commissione Giustizia dove si stava discutendo lo schema di decreto legislativo, l’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della Stampa non si sono presentati.

In questo c’è del vero. Io sono stato eletto presidente da pochi giorni, ma mi prendo la responsabilità anche per quello che non è stato fatto in precedenza. Se è stato fatto poco me ne assumo la responsabilità.

Renzi non risponde ai pm, anzi li attacca: “Costituzione violata”

Ieri Matteo Renzi si è presentato in procura a Firenze. Convocato come indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione Open, non ha reso interrogatorio ma ha solo consegnato ai magistrati la sua memoria difensiva. Cinque pagine e cinque punti. Il senatore mette in fila quelle che definisce “premesse di fatto grossolanamente erronee e arbitrarie” sulle quali si fonda l’accusa di concorso in finanziamento illecito. Renzi chiede ai pm di chiarire questi punti, dopodiché sarà pronto a tornare in Procura per farsi interrogare in una data che sarà dunque rifissata.

Nella memoria il leader di Italia Viva contesta due elementi del capo di imputazione: il ruolo di direttore di fatto della Open e l’esistenza di una corrente renziana all’interno del Pd. Sul primo punto è scritto: Renzi “non ha mai neppure partecipato a un Consiglio direttivo della Fondazione Open. Affermare, dunque, che ha diretto la Fondazione Open risulta un modo surrettizio per inserire capziosamente il Senatore nell’indagine”. La corrente renziana, secondo Renzi stesso, poi non è mai esistita: è “un autentico sproposito dal punto di vista politico, reso ben più grave per essere contenuto e ribadito negli atti di una indagine penale, ove non può essere consentita una simile, grossolana e arbitraria mistificazione della realtà”. Ma i pm che a ottobre hanno chiuso l’inchiesta sono convinti di altro: ossia che la Open sia stata un’articolazione politico-organizzativa della corrente renziana del Pd. Tanto che per i magistrati alcune delle somme incassate in alcuni anni dalla Fondazione sono state poi “utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi (entrambi gli ex ministri sono indagati per concorso in finanziamento illecito, ndr) e della corrente renziana”. La Finanza ha anche fatto alcuni calcoli: dal 2012 al 2018 la Open ha sostenuto costi “relativi a beni e servizi alla persona fruiti” da Renzi per 548.990 euro.

Ancora. Nella memoria si parla anche di un “erroneo inquadramento del sostegno della Fondazione Open al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 come finanziamento illecito dell’allora segretario nazionale del Pd”. E qui Renzi fornisce ai pm una sua personalissima visione del referendum: “Aveva una portata ampia e trasversale, (…) in alcun modo inscrivibile nelle logiche o iniziative ‘di partito’ né tantomeno ‘di corrente’ e ancor meno ‘del singolo politico’”. Quella del 2016 fu “una discussione autentica” e “civile”.

Del referendum ha già parlato il Tribunale del Riesame nell’ultima ordinanza – quella di ottobre scorso – con la quale ha rigettato il ricorso di Marco Carrai sulle perquisizione subite nel 2019 (l’imprenditore ha già presentato un nuovo ricorso). Scrivono i giudici: “Di estrema rilevanza si pone l’impegno economico della Fondazione per l’esito del referendum”. Open nel 2016 – secondo i calcoli riportati dai giudici – ha sostenuto costi per la campagna per il sì al referendum pari a 1,4 milioni di euro circa. “Se è vero – scrive il Riesame – che una fondazione politica è comprensibilmente schierata nell’occasione di un evento così importante, non si può non tenere presente che all’esito della consultazione popolare l’allora presidente del Consiglio Renzi aveva legato il proprio destino di premier e persino la propria vicenda politica”. E infatti proprio il 4 dicembre 2016, Renzi dichiarava: “Io ho perso, in Italia non perde mai nessuno. Io non sono così: ho perso”, annunciando così la fine del suo governo.

Ieri, davanti ai pm, Renzi ha esibito anche un punto a suo favore. Quello incassato in Giunta delle immunità parlamentari, che ha dato il via libera alla relazione della senatrice di Forza Italia Fiammetta Modena, la quale ha proposto di sollevare un conflitto di attribuzione alla Consulta sulla questione di alcune chat finite agli atti che risalgono al periodo in cui Renzi era già stato nominato senatore: 14 i voti favorevoli, tra cui Lega e Fratelli d’Italia, due soli voti contrari, con M5S e Pd che invece si sono astenuti. L’ultima parola però spetta all’Aula. “La violazione di tali guarentigie è stata rimarcata anche dalla Giunta”, è scritto nella memoria del leader Iv, secondo il quale “il mancato rispetto della Legge fondamentale appare tanto più grave in ragione del carattere reiterato e sistematico della violazione”. Su questo aspetto i pm in passato hanno già risposto spiegando in sostanza che quelle conversazioni sono agli atti perché captate dal cellulare non di Renzi, ma di altro soggetto non parlamentare.

Alla fine nella memoria si chiede ai pm di archiviare la posizione del senatore. In alternativa vengono anche offerti degli spunti agli investigatori: eliminare dal fascicolo la corrispondenza secondo Renzi “indebitamente acquisita senza rispetto dell’articolo 68 della Costituzione”, quello sulle guarentigie parlamentari. O “espellere dal fascicolo” “qualsiasi riferimento all’asserito finanziamento illecito per le iniziative della Leopolda”. A quel punto però diventerebbe un’altra indagine.

Il Ceo di Moderna: “Servono almeno 10 anni per vedere gli effetti avversi”

“Se vuoi dati scientifici perfetti sulla sicurezza su 10 anni, devi aspettare 10 anni”, sono chiare le parole di Stéphane Bancel, Amministratore delegato di Moderna, “noi ci siamo presi molti rischi finanziari, non l’avremmo mai fatto per un vaccino tradizionale”. Il flusso dei dati sui vaccini è continuo, la tecnologia è nuova e non ci sono conoscenze complete. Sta agli Stati scegliere la strategia migliore, per tutelare i propri cittadini, in base alle informazioni che si acquisiscono.

Svezia e Danimarca, ad esempio, hanno sospeso Moderna per i giovani, perché secondo le Agenzie per la Sanità “sono in aumento le segnalazioni degli effetti collaterali come miocardite e pericardite”. La Francia, ha sconsigliato la terza dose con Moderna. Insomma, le conoscenze si stanno costruendo, lo stesso trial della Pfizer (NCT04816643) sulla fascia 5-11 anni, terminerà il 24 luglio del 2024. Senza proiettarci decadi in avanti, proviamo a capire qualcosa in più sul breve periodo. In Germania, il Paul-Ehrlich-Institut (Agenzia del Ministero della Salute), ha elencato cinque casi di decessi sospetti da vaccino, su 2 milioni di vaccinati, in giovanissimi di età compresa tra 12 e 17 anni. L’ultima notizia, in senso cronologico, riguarda il decesso di un ragazzo di 12 anni, avvenuto dopo 2 giorni dal booster. Secondo il rapporto finale dell’autopsia, “la vaccinazione non è l’unica causa dell’esito fatale, il bambino aveva una malattia preesistente”. Jason avrebbe avuto un’infiammazione del muscolo cardiaco sconosciuta ai genitori, e scoperta solo durante l’autopsia. Va anche detto che le vaccinazioni pediatriche sono incentivate proprio per i fragili. Allo stato attuale i decessi segnalati in relazione a una vaccinazione anti-Covid nei bambini e negli adolescenti sono rari.

I periti sulla prof. 55enne: “Morta per AstraZeneca”

La docente di Musica, Augusta Turiaco, è morta a causa dell’inoculazione del vaccino AstraZeneca. La “relazione causale tra il decesso e la somministrazione” è certificata dalla relazione dei tre specialisti, nominati dalla Procura di Messina nell’indagine sulla morte dell’insegnante 55enne, scomparsa lo scorso 30 marzo per un’emorragia celebrale provocata da una trombosi. Per il momento l’inchiesta resta ancora contro ignoti, ma la relazione dei tre consulenti potrebbe far cambiare le cose. Gli inquirenti infatti dovranno riflettere per capire se possono esserci “responsabilità oggettive” e “penali” tra la morte della docente e il vaccino.

Non è detto però che l’indagine messinese possa seguire la strada intrapresa dai colleghi di Siracusa, che a marzo hanno messo sotto inchiesta l’Ad di AstraZeneca Italia, Lorenzo Wittum, accusato di omicidio colposo per il decesso del sottufficiale della Marina militare Stefano Paternò, morto a 43 anni il 9 marzo per un arresto cardiaco, 15 ore dopo l’inoculazione di AstraZeneca.

Nella stessa inchiesta erano stati inizialmente indagati anche i medici e l’infermiere che avevano iniettato il vaccino e prestato soccorso al militare. Accusa archiviata dalla Procura di Siracusa dopo la relazione dei periti che certificava una “correlazione eziologica tra il decesso e la somministrazione del vaccino AstraZeneca”.

Nella corposa relazione, completata lo scorso 30 novembre e depositata sul tavolo dei pm messinesi Federica Rende e Roberto Conte, i consulenti hanno escluso “la sussistenza di eventuali e ulteriori cause patogeniche”.

Non ci sarebbero “responsabilità colpose” per il “personale medico e infermieristico” del Policlinico di Messina, dove la donna venne ricoverata. Esaminando le cartelle cliniche, infatti, non sarebbero emersi errori sanitari, inoltre i periti aggiungono che il contesto in cui avvenne la morte era di “assoluta incertezza normativa” e di “scarsi dati della coeva letteratura scientifica”.

“Nel foglietto illustrativo del farmaco e nel consenso informato dell’epoca non erano indicati tra gli effetti collaterali le trombosi, aggiunte solo in data 25 marzo”, spiega al Fatto l’avvocata Daniela Agnello. Dopo il decesso della docente, la famiglia aveva subito presentato un esposto in procura, chiedendo che venissero fatte delle “indagini sulla produzione e commercializzazione del vaccino, sulla regolarità della sperimentazione e sulla corretta informazione”.

“Sono passati 250 giorni prima di avere l’esito della consulenza – aggiunge Agnello –, che ha escluso la sussistenza di ulteriori cause patogenetiche o di disordini immunitari o infezioni. Oggi possiamo affermare, con assoluta certezza, che Augusta è morta a causa della somministrazione del vaccino”.

Under 12: solo Lazio e Lombardia sopra il 10% di prenotazioni

II primo bambino, cinque anni, è stato vaccinato ieri all’Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma. “Sta bene”, ha detto l’assessore regionale alla Salute Alessio D’Amato. L’istituto è uno degli otto hub individuati dalla Regione Lazio per il V-Day rivolto alla fascia d’età 5-11 anni. Un anticipo della campagna vaccinale contro il Covid per i bambini, che nel resto del Paese parte oggi. Anticipo che ne ha coinvolti circa un migliaio, 900 reclutati dai pediatri, gli altri portati dai genitori di “spontanea volontà”, come ha precisato D’Amato. Altri 40 mila, nel Lazio, sono già prenotati. Sono poco più del 13% dei 300 mila bimbi potenzialmente vaccinabili in questa regione. Il che significa che è non andata male, ma non è un boom. Peraltro il Lazio è una delle poche regioni che supera la percentuale del 10% di bambini che le famiglie hanno già messo in coda per la somministrazione.

La Lombardia, per esempio, che si rivolge a una platea di 600 mila piccoli pazienti, nel tardo pomeriggio di ieri contava quasi 62 mila prenotazione, pari al 10,48%. Poi si scende al 7,81% della Toscana, che sulla carta ha 215 mila bambini da vaccinare e ha raccolto, in base all’ultimo dato disponibile ieri, 16.802 adesioni. Si arriva al 6,94% del Piemonte, con 17 mila prenotazioni su un totale di 245 mila “candidati”. E al 6,39% dell’Emilia-Romagna, che ha una platea di 240 mila bimbi e, fino al pomeriggio di ieri, contava 15.344 prenotazioni. Senza contare che più si procede verso il Sud più i numeri si riducono drasticamente. In Campania, su 300 mila nella fascia 5-11, ne sono già prenotati 5.044, che equivalgono ad appena l’1,68% del totale. Per non parlare della Sicilia, dove non si arriva nemmeno allo 0,5%. Qui la platea è di 309 mila unità, le adesioni nel pomeriggio di ieri erano ferme a 1.400.

Che ci sia un problema è evidente a Vincenzo De Luca, governatore della Campania. “Abbiamo un punto di criticità vero che è la scarsa adesione della fascia 5-11 anni alla campagna di vaccinazione – dice De Luca –. Ovviamente è un tema che va affrontato con grande delicatezza, cercando di persuadere le famiglie. Però non c’è dubbio che abbiamo una grande difficoltà”.

Nel frattempo il focus sui ricoveri pediatrici contenuto nell’ultimo rapporto dei 16 ospedali sentinella individuati da Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) riporta che il 40% dei minori ricoverati per Covid ha un’età superiore a 5 anni, e che nessuno, sopra i 12 anni, risulta essere vaccinato.

Comprensibile che ieri Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, abbia ricordato che la vaccinazione “offre uno strumento importante per proteggere i bambini dal rischio di malattia grave.

Stime dell’Ecdc valutano come ogni 10 mila casi sintomatici pediatrici ci sono 65 ospedalizzazioni, 6 ricoveri in terapia intensiva e un decesso”. Senza dimenticare, ha proseguito Locatelli, il rischio di sviluppare i sintomi prolungati del Long Covid, di manifestare la sindrome infiammatoria multisistemica (si verifica a una età media di 9 anni). Ricordando poi i dati che arrivano dagli Usa, “dove sono già stati vaccinati milioni di bambini che non mostrano nessun profilo di allerta per quanto riguarda il profilo di sicurezza e non ci sono evidenze di casi di miocardite e di pericardite”. Ma la corsa per ora non c’è. Nonostante le sollecitazioni arrivate anche da Annamaria Staiano, presidente della Società italiana di pediatria: “I vantaggi rispetto ai rischi del vaccino sono veramente elevatissimi da un punto di vista medico, psicologico e sociale. Vaccinare i bambini significa permettere loro di svolgere la loro normale vita quotidiana. Significa poter andare a scuola e non essere costretti di nuovo a tornare alla didattica a distanza”.

Draghi si blinda da Omicron, ma i contagi salgono pure qui

I lavoratori frontalieri avranno la deroga che hanno già, i bambini seguiranno il regime dei genitori (tampone per i vaccinati, tampone e isolamento per i non vaccinati), ma resta il problema dei tempi ridotti per i test: da oggi chi arriva in Italia anche da Paesi dell’Unione europea, vaccinati compresi, deve avere la negatività certificata da non più di 48 ore col molecolare, da non più di 24 con l’antigenico rapido (il green pass europeo e quello italiano prevedono 72 e 48 ore). Questo renderà complicato viaggiare verso il nostro Paese il lunedì da località in cui non è facilissimo fare il tampone il sabato e la domenica. Fosse stato per la Salute, peraltro, l’antigenico rapido sarebbe stato eliminato.

L’ordinanza firmata martedì dal ministro Roberto Speranza, che di fronte all’avanzata della variante Omicron stringe le maglie rispetto al green pass Ue, ha creato qualche tensione con Bruxelles, garante dei vaccini che ha negoziato con Big Pharma e ora non più validi per entrare in Italia senza tampone. Una vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourova, ha lamentato di non essere stata informata. Mario Draghi ha difeso a spada tratta l’ordinanza alla Camera, poi da Palazzo Chigi hanno fatto trapelare un certo disappunto per i presunti ritardi della Salute nella comunicazione all’Ue. Oggi c’è il Consiglio europeo e non si prevede che Draghi si trovi di fronte a un plotone d’esecuzione. Anche Grecia, Portogallo e Irlanda hanno introdotto o ipotizzano regole simili. Alla Salute sottolineano che il provvedimento “era urgente ed è stato comunicato informalmente a Bruxelles martedì sera quando Speranza l’ha firmato”, al termine del Consiglio dei ministri che ha disposto la discussa proroga dello stato d’emergenza fino a marzo. “Ci hanno anche risposto, ringraziando per la tempestiva comunicazione”, spiegano da Lungotevere Ripa. La notifica formale, prevista dall’articolo 11 del Regolamento 2021/1953 sul green pass europeo, è però arrivata solo ieri. Lo Stato che impone nuovi limiti deve farla “se possibile 48 ore prima dell’introduzione” delle restrizioni, che sono in vigore da oggi. Ma appunto: “Se possibile”. Protestano intanto le associazioni degli albergatori e altre categorie e si lamenta il ministro del Turismo leghista, Massimo Garavaglia, dopo che l’aveva già fatto, martedì, il collega dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Come al solito il giochino è lasciar solo Speranza, il “rigorista”.

Draghi però si è assunto le sue responsabilità: “C’è Omicron che ha capacità di contagio nettamente superiore, da noi i contagi con Omicron sono meno dello 0,2 per cento, in altri Paesi la variante è molto diffusa, ad esempio in Danimarca, in Regno Unito diffusissima, per cui si è pensato di attuare la stessa pratica che si usa oggi per i visitatori che provengono dal Regno Unito, non credo ci sia molto da riflettere”, ha detto il presidente del Consiglio a chi chiedeva valutazioni più approfondite. E ancora: “Difenderemo la nostra normalità con le unghie e con i denti”, ha ribadito Draghi.

È vero che siamo messi meglio di altri Paesi dell’Ue e del Regno Unito, che ieri ha segnato il record assoluto di contagi giornalieri, 78.610 di cui 10.017 da Omicron (contro i 4.671 su 59.610 di martedì) e 160 morti. Anche Francia, Austria e Slovenia hanno numeri più alti dei nostri e le restrizioni agli ingressi dall’estero sono giustificate, tanto più che il governo ha deciso di non chiudere nemmeno un bar per due ore e quindi non ha molte leve oltre a green pass e super green pass e zone gialle. Non per questo stiamo bene. Ieri in Italia sono state registrate 23.195 nuove infezioni, valore massimo della quarta ondata: sono notoriamente sottostimate e lo 0,2 per cento di Omicron risente probabilmente di ritardi nel sequenziamento. Soprattutto siamo in difficoltà negli ospedali e diverse Regioni rischiano di seguire Friuli-Venezia Giulia e Alto Adige in zona gialla. Infatti, come scriviamo da settimane, aumentano i posti letto su cui si calcolano le percentuali e si decidono i “colori”.

I Peggiori

Prima o poi, alla spicciolata, arrivano tutti. Dopo 10 mesi di anestesia totale sotto l’incantesimo dei Migliori, giornaloni ed espertoni scoprono ciò che il Fatto e pochi altri ripetono dall’estate: puntare solo sui vaccini è un errore; spaccare il Paese col Green Pass (anche in versione Super deluxe) è un boomerang perché il Covid si combatte tutti insieme, come nel primo anno; concentrarsi solo sulla caccia ai no-vax serve a nascondere il disarmo degli altri strumenti anti-contagio e ad abbassare la guardia dei vaccinati; pavoneggiarsi con la bugia dei primi della classe istiga gl’italiani a rilassarsi per lo scampato pericolo. Chi lo diceva passava per no-vax e vedovo di Conte. Ora persino al sito di Rep scappa il titolo “Il Green Pass non ferma i focolai” (subito corretto). E il Centro Ue prevenzione e controllo malattie (Ecdc) avverte che “la sola vaccinazione non consentirà di prevenire l’impatto” della variante Omicron. I vaccini restano importanti, ma non bastano: il contagio galoppa anche tra i vaccinati e la protezione cala. Urgono “azioni forti per ridurre la trasmissione e alleviare il peso sui sistemi sanitari” col “rapido ripristino e rafforzamento degli interventi non farmaceutici”: mascherine, igiene, distanze (vero Bianchi?), telelavoro (vero Brunetta?), capienze ridotte sui mezzi pubblici (vero Giovannini?), ventilazione dei locali.

Lo scrivono pure Giordano e Vespignani sul Corriere: “È scoraggiante la sostanziale inerzia del governo”, “l’Italia nelle ultime due settimane sembra… una bella addormentata… Non si fa nulla. E non si comunica alla popolazione nulla” (ieri Draghi ha, se possibile, ampliato quel nulla). Della terza dose si sa da maggio, ma siamo partiti a dicembre e “solo il 30% della fascia 60-69 anni ha ricevuto il richiamo, il 37% di quella 70-79 e il 62% degli over 80”. Misure decisive come “sequenziamenti, contact tracing, test nelle scuole le abbiamo trattate come fuori moda per concentrarci sulle intemperanze anti-vax”. Intanto Figliuolo si lodava, s’imbrodava, chiudeva un terzo degli hub vaccinali, sproloquiava di “immunità di gregge”. E ora fa la ruota su La Stampa che festeggia la “quarta luccicantissima stella sulla sua divisa”: quella del “super Comando operativo di vertice interforze” (“Covi”, fico eh?) “fortemente voluta da Draghi, ma anche dal Colle, che non ha mai fatto mistero della sua stima”. E il migliore dei Migliori, con 129 morti e 23mila infetti in 24 ore, che fa? Con un occhio al Colle, pensa di fermare Omicron alla frontiera con la quarantena per stranieri non vaccinati, come se non avessimo decine di migliaia di pendolari che fanno la spola con Svizzera, Francia e Austria. Se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere.

Lulù, la cagnetta e la killer Valerie: le “muse” che hanno ispirato il jazz

Capita di passeggiare per strada senza sapere chi è la persona a cui è dedicata quella via. Succede lo stesso con il jazz, con una gran quantità di brani che portano il nome, o fanno riferimento, a personaggi femminili sconosciuti ai più. Ed è proprio a loro che è dedicato Le muse del jazz, scritto dal giornalista musicale Vanni Masala e illustrato da Marilena Pasini per Edizioni Curci.

Dopo aver lavorato insieme per Io sono Michel Petrucciani, graphic novel dedicato al noto pianista morto nel 1999, l’ormai collaudata coppia di autori si ributta sul jazz, questa volta con un omaggio a quello che Masala definisce “il femminile sconosciuto”: donne vissute o viventi, le cui vicende sono correlate alla musica. Un’idea poi tradotta in questo saggio: una galleria in 68 ritratti in cui testi e immagini offrono lo spunto per un viaggio musicale, reso ancora più “immersivo” da un’apposita playlist online, disponibile tramite un Qr code in ultima pagina. Pregevole, inoltre, è la prefazione di Ornella Vanoni (“la miglior interprete italiana”, secondo Masala), entusiasta di aver preso parte a un progetto che dà rilievo alle donne nella musica, l’unico campo “dove non c’è mai stata una supremazia maschile”, secondo la cantante.

Sensuale e ambigua, ma anche dolce e sentimentale, Mary Louise Brooks, nota ai più come Lulù, è un personaggio immancabile quando si parla dell’età del jazz. Stella del cinema europeo e statunitense durante gli anni Venti, Lulù e il suo famosissimo caschetto di capelli neri (“the girl in the black helmet” l’avevano chiamata all’epoca) sono stati fonte di ispirazione per moltissimi musicisti, non solo della Valentina di Crepax. Tuttavia il brano a cui la si collega più spesso, News for Lulù di Sonny Clark, non è in realtà dedicato all’attrice, ma al cane dell’autore.

Qualche anno dopo sarà Elenor Powell, alias Rosalie, ad attirare attenzioni e ispirazioni dei compositori. Regina del tip-tap durante la cosiddetta “era dello swing”, Cole Porter le dedicò uno dei suoi più noti tormentoni (Rosalie, appunto): un successo così grosso che per poco non fu trasposto sul grande schermo.

Nelle Muse del jazz non ci sono però soltanto donne celebri e idealizzate, ma anche quelle che, pur con le loro ombre, hanno ispirato artisti e musicisti: è il caso di Valerie Solanas, attivista femminista che nel ’68 tentò di uccidere Andy Warhol. In quegli anni, Valerie scrisse addirittura un manifesto per l’eliminazione dei maschi, Scum, che nel 1976 diventò il titolo di un brano degli Area, influentissimo gruppo italiano di musica progressiva.

“Caro Zoro, cura il tuo boy”: Makkox ha copiato Disegni

So’ ragazzi. Non c’è da prendersela. I ragazzi fanno marachelle, si sa. Tutti siamo stati ragazzi e abbiamo fatto marachelle. Travaglio si travestiva da vigile urbano e faceva le multe, poi restituiva i soldi anonimamente. Padellaro a dodici anni dipinse di giallorosso un tritone del Bernini. Dobbiamo essere noi adulti a tenerli d’occhio, questi birbantelli, a fargli capire cosa si può fare e cosa no.

Facile a dirsi. Impegni, fretta, interviste in giro rendono impossibile sapere tutto quello che fanno gli incoscientelli che abbiamo messo al mondo, cui cerchiamo di insegnare qualcosa che li aiuti in questa società difficile, specie quando non saremo più là a proteggerli.

Zoro di certo non s’è accorto della marachella che ha combinato zitto zitto il suo ragazzo. Se ne sono accorti tutti quelli che mi hanno telefonato, inviato email, scritto sui social sostenendo che il ragazzo di Zoro aveva copiato non solo un mio personaggio, Turborenzi, supereroe che disegno sul Fatto dal 2013 con notevole successo di pubblico (non è difficile, Renzi sta sui coglioni pure alle lucertole), ma perfino le battute della strip, mandando in video il risultato. Non volevo creare dissidi tra Zoro e il suo ragazzo, ho risposto che sicuramente c’era un equivoco, nessuno si metterebbe mai a disegnare un personaggio così simile a un altro, famoso e letto da parecchie migliaia di persone. Sarebbe sciocco. Però le chiamate m’hanno incuriosito. Una sbirciata a quei disegnini gliel’ho data anch’io.

Bene. L’ho detto, non voglio creare dissidi tra Zoro e la sua creatura. Solo invitarlo a prendersi del tempo tra tanti impegni e controllare meglio quello che fa il suo boy, io coi miei l’ho fatto, avevo paura che copiassero qualcuno oppure si drogassero, tra le due il pericolo minore. Perché la gente poi è cattiva, le colpe delle cazzate che fanno i nostri ragazzi le attribuisce sempre a noi adulti, un po’ per comodo, un po’ per superficialità, un po’ per fare del male gratuito. E così ci ritroviamo esposti e magari presi per il culo noi che l’unica colpa che abbiamo è non aver sorvegliato abbastanza qualcuno che ancora sta crescendo e non si accorge di quello che combina.

Mio padre mi prese per un orecchio e mi riportò da Upim a restituire le pinne che avevo fregato sfidando i miei amici a chi era più coraggioso. Non chiedo a Zoro di pigliarlo per un orecchio, il suo ragazzo. Solo di stargli più vicino, per non doverla poi scontare lui. Ricordando sempre che è solo una marachella. So’ ragazzi.