Lo avevano sorpreso seminudo in macchina con una bambina di 10 anni e aveva rischiato il linciaggio pubblico. Per questo ieri don Paolo Glaentzer, che operava nella parrocchia di Sommaia, a Calenzano (Fi), è stato condannato con rito abbreviato dal Tribunale di Prato a 4 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di violenza aggravata su minore. La pena è leggermente inferiore rispetto a quella chiesta dal pubblico ministero Laura Canovai, che avrebbe voluto una condanna a 5 anni. Don Glaentzer, già sospeso dall’Arcidiocesi di Firenze, era stato arrestato il 23 luglio scorso e da allora si trova ai domiciliari a Bagni di Lucca. Dopo l’arresto, aveva ammesso il rapporto con la bambina ma si era giustificato parlando di “relazione affettiva”, aggiungendo che “era stata sempre lei a prendere l’iniziativa”. Alla vittima degli abusi è stato dato un risarcimento di 50 mila euro, respinta invece la richiesta dei genitori che si erano costituiti parte civile. “Per noi era importante affermare il principio della responsabilità”, ha commentato il procuratore capo Guseppe Nicolosi.
Buzzfeed accusa: “Il Wwf finanzia abusi e torture”
Il Wwf finisce al centro di uno scandalo rivelato dal giornale statunitense BuzzFeed News. Sei i Paesi coinvolti. Centinaia gli intervistati. Una prima parte del lavoro è stato pubblicato nel reportage “La guerra segreta del Wwf”: la onlus è accusata di finanziare guardaparco che “hanno torturato e ucciso persone” nel parco nazionale di Chitwan in Nepal, dove è morto un contadino. Ma non sarebbe il solo.
“L’amata organizzazione no profit con il tenero logo del panda – scrivono i giornalisti Tom Warren e Kate Baker – finanzia, equipaggia e lavora direttamente con forze paramilitari accusate di pestaggi, torture, aggressioni sessuali e uccisione di moltissime persone”. Tra le accuse anche quella di traffico illecito di armi in Asia e Africa. Le vittime sono soprattutto abitanti indigeni di quelle zone. Il Wwf si difende e annuncia un’indagine interna: “Al centro del nostro lavoro ci sono i luoghi e le persone. Prendiamo sul serio tutte le accusa, abbiamo politiche rigorose, qualsiasi violazione è inaccettabile”.
La denuncia di BuzzFeed non è la prima. Ce ne sono state altre negli anni da parte di Survival International, ong che si occupa di popoli indigeni. “Questo è lo scandalo che il Wwf sta coprendo da decenni”, ha dichiarato il direttore generale Stephen Corry, cogliendo l’occasione per chiedere di abbandonare il progetto del parco nazionale Messok Dja nel nord del Congo. Tra i finanziatori c’è anche l’Unione Europea, che assieme ad altri Paesi ha investito circa 60 milioni nel programma Biopama a tutela della biodiversità nel mondo. “Bruxelles è già stata avvertita”, fa sapere l’antropologa di Survival International, Fiore Longo, che ha trascorso due mesi sul posto. “I ranger sono supportati dal Wwf, hanno macchine con il loro logo, sono lì già da dieci anni sebbene l’area non fosse protetta”, dice. E denuncia: “Ai locali è stato vietato l’accesso e sono stati ridotti alla fame. Si tratta di cacciatori-raccoglitori che oggi non si avvicinano più alla foresta per paura di morire”.
L’accusa nei confronti del Wwf è di perpetrare un modello colonialista e razzista. A supporto video, consultabili online, con la testimonianza di presunti locali. La controversia è sfociata anche in un’istanza presentata nel 2016 contro il Wwf al Punto di contatto Ocse in Svizzera. Poi caduta nel nulla. “I contenuti pubblicati da BuzzFeed sono gli stessi utilizzati da Survival International”, fa notare Isabella Pratesi, direttore del dipartimento di conservazione del Wwf Italia. Ma i due autori non citano mai l’ong, anzi scrivono di disporre di migliaia di documenti che accerterebbero le violazioni in Africa e Asia. L’America Latina, pur avendo un altissimo numero di popoli indigeni, ne resta fuori. Forse perché la maggior parte dei Paesi latinoamericani, a differenza degli altri, ha firmato la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, per cui per l’utilizzo del territorio è necessario il consenso delle comunità originarie. Non si dimentichi che l’80% della biodiversità mondiale è integra grazie a loro.
Il Parlamento dorme, la società civile no. E lancia una petizione
Mentre il Parlamento dorme, la società civile s’è desta: mesi fa, infatti, la dottoressa Serena Caprio ha lanciato una petizione su Change.org “per sensibilizzare la classe politica al tema delle adozioni da parte di persone singole al fine di dare un seguito concreto alla proposta di Legge dell’Onorevole Ravetto. È evidente che i tempi siano maturi per affrontare una questione troppe volte ignorata dal dibattito politico: le adozioni da parte di persone singole”.
L’appello – diretto al presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ai presidenti di Camera e Senato Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati, al premier Giuseppe Conte, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e alla stessa Ravetto – ha già raccolto quasi 18.000 firme: l’obiettivo delle 25 mila non è poi così lontano. “Il nostro ordinamento – si legge nell’appello online – ha il dovere di seguire l’evoluzione dei tempi. Senza rinnegare alcun valore, si chiede solo di riconoscere anche alle persone singole la possibilità di amare e di crescere un minore, nel suo pieno interesse”.
“Per i minori è meglio avere un padre e una madre”
Ho un parere moderatamente contrario. Penso che la prima cosa da fare non sia allargare ai single ma alleggerire le pratiche di adozione. Conosco tante coppie che vorrebbero adottare, ma hanno difficoltà enormi; aprire ai single è una extrema ratio.
Non capisco, invece, i timori legati alla possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali: le cosiddette famiglie arcobaleno in Italia esistono già, indipendentemente da questa proposta di legge. Esistono già genitori che vivono con una persona dello stesso sesso. Anzi, la battaglia degli omosessuali è di essere genitori entrambi, non singolarmente.
Non penso che un bambino cresciuto da una persona sola sia discriminato, però certamente ha qualche problema: la polarità delle figure genitoriali è utile alla crescita; tuttavia, anche in questo caso, è una situazione già esistente e diffusa, a causa di separazioni e divorzi.
Siamo realisti: per molte donne, in età non più fertile, l’adozione è una scelta obbligata, anche perché il ricorso a pratiche mediche di fecondazione, dopo i 40 anni, ha percentuali di riuscita bassissime. Ciò detto, non ci vedo nulla di male: meglio vivere con una mamma sola che in un istituto. Tuttavia, cerco di mettermi dal punto di vista dei bambini, non delle donne: per i bambini è meglio avere un padre e una madre. Non dimentichiamo, comunque, che avere un bimbo in adozione è dura, è una fatica notevole: già avere un figlio proprio è pesante e faticoso, adottarlo lo è ancor di più. Essere in due che ci si aiuta a vicenda rende la cosa un po’ più facile. Infine, trovo sbagliato e paradossale, per come è la legge oggi, che i single possano adottare solo disabili. Senza contare che spesso, purtroppo, i bimbi con handicap vengono già cresciuti da madri sole perché i padri se ne vanno. I numeri del fenomeno sono impressionanti: una tragedia.
“Spesso i bimbi si aprono di più con un genitore solo”
Parto dalla mia esperienza personale: ho adottato un bambino ucraino da single, ma poi ho dovuto comunque sposare il mio compagno perché questo prevede la legge ucraina. Quanto a quella italiana, la possibilità per i single di adottare resta confinata a casi particolari, ad esempio a parenti o medici che hanno avuto modo di assistere e curare il minore. Poi ci sono tanti casi simili al mio, nati dai programmi estivi di accoglienza post-Chernobyl: molti di questi bimbi erano orfani o coi genitori assenti o carcerati o violenti, perciò adottabili, ma la decisione è ancora a discrezione dei singoli tribunali italiani. Alcuni infatti l’hanno negata.
Spesso l’adozione di un single è quasi meglio per questi bambini così spaventati e feriti che hanno necessità di costruire una relazione individuale. Ci sono moltissimi casi felici di coppie che hanno adottato, ma, nella mia esperienza, ho visto che è molto complicato per questi bambini inserirsi in un contesto affettivo allargato e già consolidato: alle spalle hanno traumi così grandi che è più facile far cadere le barriere con una persona sola. Non sono bambini appena nati e partoriti: con loro bisogna scavare, scoprire traumi che non hai causato tu, che non conosci, devi convincerli ad aprirsi.
Non è vero che la famiglia tradizionale è la più efficace: la famiglia più efficace è quella in cui ci sono amore, fiducia e rispetto. La resistenza viene soprattutto da alcuni parlamentari cattolici, molto fanatici, che pervertono il significato di famiglia. Io dico sempre che ogni volta che si nomina la famiglia tradizionale un antropologo muore. Nella tradizione, non solo italiana, la famiglia non è la mamma più il papà più il bambino. La famiglia è per definizione allargata, laddove i minori vengono cresciuti da una moltitudine di affetti. Oltretutto adesso le statistiche ci dicono che un matrimonio su due finisce in un divorzio: ormai esiste una fisiologia, non una patologia, di famiglie di persone single perché separate dal rispettivo compagno.
La società è molto più avanti rispetto ai parlamentari che la rappresentano: ho conosciuto molte persone, cattolici soprattutto, contrarie in linea di principio alle adozioni dei single, ma poi, una volta conosciute la mia storia e la relazione con mio figlio, hanno cambiato idea. Spesso si teme quel che non si conosce. Ma è un pregiudizio.
Adozioni per single? La proposta è ferma
È dalla scorsa legislatura, e ormai da quasi tre anni, che la proposta di modifica della legge 4 maggio 1983 n. 184 prende polvere sulla scrivania di questa o quella commissione parlamentare: la proposta – avanzata dalla deputata di Forza Italia Laura Ravetto – punta, in soldoni, a equiparare, in materia di adozioni, i single ai coniugi (sposati da almeno tre anni); il nuovo testo dovrebbe cioè rivolgersi alle “persone adottanti”, non più alle coppie.
Già la Convenzione europea del 1967 (esecutiva dal 1974) prevede l’illimitata possibilità del singolo di adottare un minore, e così infatti avviene in gran parte d’Europa: in Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania; senza contare gli Stati Uniti e persino la rigidissima Cina. L’Italia, ancora una volta in tema di diritti civili, fa la figura della Cenerentola stracciona, benché esistano per single sparute possibilità di adozioni, cosiddette “speciali”: quando si è instaurato un rapporto stabile con il minore orfano; quando il minore orfano è disabile; quando è impossibile l’affidamento preadottivo perché, ad esempio, non si riesce a trovare una coppia o perché tra il single e il minore esiste una pregressa e sostanziosa relazione affettiva.
“È vergognoso – commenta l’onorevole Ravetto – che si classifichino i bambini in serie A e serie B. E poi è anche un controsenso: se una persona sola è in grado di prendersi cura di un disabile, che ha necessità di più attenzioni, a maggior ragione può adottare gli altri”. Intanto, la sua proposta di legge, dal maggio 2016, attende ancora di essere calendarizzata: “Non demordo. Attendo una risposta dalle commissioni Giustizia e Affari sociali. Certo mi aspettavo un maggior consenso da parte del Pd nella scorsa legislatura e del Movimento 5 Stelle in questa: non si può bloccare il parlamento sui diritti perché non sono nel contratto di governo. I diritti sono materia trasversale: discutiamone”.
Ma veniamo alle principali obiezioni mosse alla modifica di legge: la prima è che bisogna velocizzare le adozioni in generale per le coppie. “Siamo tutti d’accordo, ma una cosa non esclude l’altra”, commenta Ravetto. Molti, poi, sono spaventati dalla possibile apertura agli omosessuali. “Non è così: già ora le coppie omosessuali, sulla base di sentenze, possono adottare. Siamo arrivati al paradosso per cui ciò che conta è essere in due: abbiamo fatto il salto culturale dagli etero agli omo, discriminando del tutto i single, di cui sinceramente non interessa l’orientamento sessuale, ma se siano o meno in grado di crescere un bimbo. Non capisco le resistenze legate alla cosiddetta sensibilità cattolica: cosa c’è di cattolico nel tenere un bambino in comunità piuttosto che affidarlo a un single? Poi, attenzione, è sempre un giudice a valutare caso per caso chi è in grado di adottare”.
Appello al nuovo Pd: votate il reddito di cittadinanza
Al ballottaggio delle ultime, sciagurate elezioni presidenziali, con cui il Brasile si è messo nelle mani di un governo composto per buona parte da militari, il candidato di estrema destra, Jair Bolsonaro, ha ottenuto solo il 39% dei voti ma ha vinto perché il 29% degli elettori, prevalentemente di sinistra, si sono astenuti o hanno votato scheda bianca. Qualcosa di analogo potrebbe accadere da noi in una futura competizione elettorale se 1,8 milioni di ex elettori del Pd che il 4 marzo 2018 votarono M5S per sfuggire al renzismo, di fronte alla scelta tra Salvini e un candidato della sinistra, decidessero di ripiegare sull’astensionismo per punire un Pd che, sott’altra guida, proseguisse la politica neoliberista di Matteo Renzi.
Zingaretti ha la possibilità di scongiurare quest’esito autoritario convincendo i suoi parlamentari a votare in favore del salario minimo e del reddito di cittadinanza: gli atti più “a sinistra” della nostra Repubblica dopo la riforma agraria del 1950. È un’opera di convincimento non facile (ma neppure impossibile) perché molti parlamentari Pd sono stati allevati da Renzi e di Renzi ricalcano ideologia e argomentazioni avverse al Reddito proprio perché “di sinistra”. In sintonia con questo rifiuto vi è quello di intellettuali ed esegeti consapevolmente o inconsapevolmente neo liberisti.
LE CRITICHE. Alcune di queste argomentazioni contestano la sostanza del reddito di cittadinanza: con una sola legge esso pretende di raggiungere troppi obiettivi (assistere gli inabili, formare e occupare i disoccupati, ecc.); non ci sono i soldi per assicurare a 5 milioni di poveri un reddito mensile di 780 euro; per aiutare i poveri occorre procurargli un lavoro ma, per creare lavoro, occorre investire prioritariamente nella crescita economica; il RdC è una provvidenza di stampo cattolico che contrasta con la razionalità di un sano paese capitalista.
Altre argomentazioni riguardano le modalità di erogazione: il meccanismo operativo è farraginoso; comporta il coinvolgimento di troppi enti (Inps, Poste, Comuni, ecc.); i centri per l’impiego sono inadeguati; non esiste una piattaforma nazionale per il trattamento dei dati; non sono ancora assunti e organizzati i navigator; si carica la Pubblica amministrazione di un impegno esorbitante; i “furbetti” escogiteranno mille sotterfugi per ottenere il reddito che non gli spetta; la fretta con cui i 5 Stelle stanno varando il RdC dipende dall’imminenza delle elezioni europee; bastava proseguire con il Rei varato dal governo Gentiloni.
L’URGENZA. Il comun denominatore di tutte queste argomentazioni, di cui mai si parla, è il fattore tempo. Chi muore di fame non può attendere i tempi del perfezionismo burocratico. Secondo una storiella indiana, l’elefante vive cento anni e la farfalla vive un’ora. Dunque l’elefante non può dire alla farfalla: “Aspettami dieci minuti”. Il ricco-elefante, quando anche introduce un beneficio di welfare, lo progetta parametrandolo sui propri lunghi tempi di resistenza, non su quelli brevi della povera farfalla. Una persona incalzata da povertà assoluta quanto tempo può attendere per sfamare se stessa e i propri figli senza cedere alla tentazione del furto e della violenza?
REI VS RDC. È invece pretestuosa la contrapposizione tra il Rei di Gentiloni e il reddito di cittadinanza di Di Maio. Il primo disegno di legge per la “Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al governo per l’introduzione del salario minimo orario” fu presentato dai 5 Stelle nel 2013. Questo titolo ingenerava un equivoco: nella letteratura scientifica consolidata, per “reddito di cittadinanza” si intende un sussidio universale e incondizionato concesso a tutti i cittadini in povertà. Invece ciò che il disegno di legge prevedeva era un “reddito di inclusione”, cioè un sussidio concesso a quei soli cittadini che, oltre a essere poveri, presentano determinate condizioni restrittive.
Questo disegno di legge rimase tale fin quando, il 15 settembre 2017, il governo Gentiloni se ne intestò uno molto simile con cui introduceva una “misura nazionale di contrasto alla povertà” correttamente intitolata “reddito d’inclusione”. Per ottenere il Rei, pari a 187 euro mensili in media per 1,2 milioni di destinatari, oltre a essere poveri, occorreva dimostrare altre sei condizioni, tra cui quella di non possedere navi e imbarcazioni da diporto. L’applicazione di questo decreto è stata fallimentare: a un anno di distanza, il reddito, erogato dall’Inps, ha raggiunto la metà degli aventi diritto.
L’ASSISTENZA. Ora il reddito di cittadinanza proposto dai 5 Stelle non è altro che un Rei di 780 euro esteso a 4.917.000 persone. Come scopo principale ha l’aiuto ai poverissimi e come esigenza primaria l’urgenza di questo aiuto perché chi soffre la fame non può attendere. Non è un ufficio di collocamento: tra i 4,9 milioni di destinatari, 990.000 sono minori di 14 anni; 669.000 sono maggiori di 65 anni e inabili al lavoro; 1.260.000 sono occupati ma guadagnano meno di 780 euro al mese per cui hanno bisogno di una integrazione; solo 945.000 sono in grado di lavorare e in cerca di occupazione. Mentre la Germania ha una rete di centri per l’impiego dotata di 110.000 impiegati e di un budget per l’organizzazione pari a 12 miliardi l’anno, l’Italia dispone di soli 8.000 impiegati e di un budget di appena 800 milioni. Dunque sarebbe stato opportuno distribuire per un paio d’anni un vero e proprio reddito universale e incondizionato di cittadinanza mentre, nel frattempo, si sarebbe provveduto a creare una macchina organizzativa dotata e rodata per il Rei. Ma, per evitare l’accusa renziana di incentivare la pigrizia dei giovani distesi su un fantasioso divano, i 5 Stelle hanno preferito varare un RdC gravato da una diecina di condizioni, confidando nel progressivo assestamento della macchina organizzativa, supportata dalla rapida creazione di un’efficiente piattaforma informatica.
L’OCCASIONE. Il Pd, complice del misfatto per cui, in settanta anni di vita repubblicana, l’Italia non ha saputo dotarsi di una rete di centri per l’impiego, necessaria non meno di una rete autostradale, ha ora l’occasione per farsi perdonare questa grave colpa, appoggiare il RdC e poi collaborare affinché la sua erogazione avvenga nel modo più rapido, in favore dei 5 milioni di italiani che, in povertà assoluta, non possono attendere.
Dice Woody Allen che tre sono le grandi domande dell’umanità: da dove veniamo, dove andiamo e cosa ceniamo questa sera. I ricchi, che hanno tempo da perdere, possono cincischiarsi intorno alle prime due; i poveri sono costretti a concentrarsi sulla terza e a trovare una soluzione immediata.
Il Pil è un po’ meno peggio. L’Istat rivede il dato: da -0,2 a -0,1%
Il Prodotto interno lordo del quarto trimestre 2018 è sceso dello 0,1% su base congiunturale. Lo rileva l’Istat, rivedendo al rialzo la stima diffusa a fine gennaio (-0,2%). In termini tendenziali, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, la variazione del Pil è invece nulla. In questo caso la correzione è stata al ribasso (+0,1%). La variazione congiunturale diffusa il 31 gennaio 2019 era, invece, risultata negativa dello 0,2% mentre quella tendenziale era pari a +0,1%. Confermata, dunque, la recessione tecnica nonostante la revisione al rialzo del dato congiunturale.
Il quarto trimestre del 2018 ha avuto però una giornata lavorativa in meno del trimestre precedente e due giornate lavorative in più rispetto al quarto trimestre del 2017. Sul fronte della domanda interna, che nel terzo trimestre era calata registrando una riduzione dello 0,1% dei consumi e dell’1,1% degli investimenti fissi lordi, negli ultimi tre mesi dell’anno ha invece contribuito positivamente (+0,1%) al Pil con una crescita dello 0,1% dei consumi e dello 0,3% degli investimenti.
Rousseau e primarie, sempre voto è
Un milione e seicentomila votanti alle primarie. Non male. Dentro al Pd sono sorrisi, si festeggia, Matteo Renzi è ancor più piccolo, Nicola Zingaretti ancor più grande. Uno e sei, la metà rispetto ai tempi di Veltroni (la metà in pochissimi anni), ma si stappa il prosecco (pessimo secondo Fabrizio Roncone del Corriere).
Ma dov’è la vittoria? Questione di parametri. Dentro ai democrat si temeva di peggio, addirittura di non superare il milione, lo stesso Romano Prodi lo ammette, quindi tutto il resto è farina di primissima qualità, è cemento per rafforzare delle fondamenta ormai fragili; ora il gioco sarà intestarsi l’affluenza e comprendere come ci si è salvati all’ultimo sospiro, a quale aspetto attribuire il (presunto) exploit.
Zingaretti e la voglia di sinistra? Può essere. La simpatia per il fratello di Montalbano? Il nazional-popolare è nel nostro Dna.
L’anti-renzismo? Ci sta sempre bene.
La preoccupazione rispetto ai temi proposti dal governo? Un classico, quindi possibile.
Con un però: in gran parte il gioco è la contrapposizione rispetto ai 5Stelle e al voto sulla piattaforma Rousseau, il refrain proposto dai commenti presi dai telegiornali, e da alcuni giornali nazionali, è “guardate la differenza tra la democrazia partecipata e quella virtuale”, come se fosse uno scontro a sottrazione. E perché? La democrazia è partecipazione, non importa la forma, e forse l’uno ha stimolato l’altro; la democrazia è partecipazione e giusta contrapposizione, il cercare il meglio, l’andare in fuga e tentare di staccare il più possibile l’avversario; l’avversario deve capire, recuperare, migliorare e contrapporre un’altra visione.
Sono anni che ci lamentiamo, valutiamo, sondiamo, e commentiamo la disaffezione come primo segnale di una preoccupazione dilagante e pericolosa, mentre non ci rendiamo conto, a prescindere dal giudizio sul risultare adeguati o meno, della capacità del Movimento di aver riportato la politica al centro del dibattito e della valutazione oggettiva dei suoi protagonisti. Senza Movimento, in parte, oggi, Zingaretti non ci sarebbe stato, magari più avanti, ma ora no; senza Movimento, Berlusconi sarebbe l’imperituro burattinaio, ancora a contare “uno, due, tre” fuori dalla stanza del presidente Mattarella.
Questo è il punto.
Parabola calcistica, in Italia sta sempre bene: per alcuni celebri e informati commentatori, la Juventus ha perso in Champions League a Madrid contro l’Atletico, perché in Italia non ha rivali, è troppo forte, passeggia la domenica, non riesce a trovare i giusti stimoli per migliorarsi, manca il ritmo partita. L’adrenalina. Così quando si trova in Europa, dove il divario è differente, sono bei ceffoni. Forse. Vedremo se al ritorno questa lettura sarà ancora valida.
Allo stesso tempo l’Italia ha delle speranze se le nuove forze avranno la capacità di contrapporsi e coinvolgere, altro che inciuci, accordi da transatlantico, caminetti e amenità varie. Uno contro l’altro, storie e prospettive differenti, programmi differenti qui in Italia, come in Europa. E ben tornata democrazia, sempre la ben venuta. Ce n’è sempre di bisogno.
Salario minimo, i 5Stelle sono più vicini al sindacato del Pd
Luigi Di Maio invita il neo-segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ad appoggiare la proposta di salario minimo legale che il M5S presenterà in aula il 22 marzo: “Io sono pronto ad aprire un tavolo con tutte le parti, dalle forze parlamentari alle imprese ai sindacati, per portare a casa questo risultato. Vediamo chi c’è”, dice il capo politico del M5S. Il leader del Pd per ora ha risposto che è meglio evitare “furbizie”, ma finora la discussione esula dai contenuti. Perché se si leggessero le due proposte in campo – il ddl n. 658 a prima firma Nunzia Catalfo per il M5S e il ddl 310 primo firmatario Mauro Laus per il Pd, entrambi depositati al Senato – si scoprirebbe innanzitutto il primo paradosso. Il progetto di legge più vicino alle istanze del sindacato, che si presume sia il più legato al Pd, è quello dei 5Stelle. E Di Maio con il sindacato ci vuole parlare tanto che ha convocato le varie sigle per lunedì.
Il salario minimo legale esiste nella maggioranza dei Paesi europei – 22 su 27 – e stabilisce per legge una soglia minima di retribuzione al di sotto della quale non si può andare. Come si vede dalla tabella, si passa dai quasi 2.000 euro al mese, lordi, del Lussemburgo, ai 260 della Bulgaria. Nel plotone di testa si trovano i 6 firmatari del Trattato di Roma del 1957, tranne l’Italia. E sono proprio questi ad avere i livelli più alti. In fondo c’è l’Europa dell’Est. I cinque Paesi che restano fuori sono Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia. Che hanno la caratteristica di avere garanzie sul piano dei contratti e della retribuzione consolidate. Qui c’è il punto di fondo del contrasto tra le ipotesi di salario minimo legale e le posizioni del sindacato. Quest’ultimo chiede di fare affidamento alla contrattazione tra le parti come strumento più efficace per retribuzioni dignitose. La via legale, si sostiene, potrebbe rappresentare il grimaldello per introdurre riduzioni di fatto dei salari. Quello che però va messo sulla bilancia è il peso crescente del “lavoro povero” che, come stima l’Anpal nel suo rapporto 2018 sul mercato del lavoro, interessa 3 milioni di lavoratori, “5,2 milioni se si considera il reddito annuale, invece di quello mensile”. E su questo versante, dice il rapporto, anche se gli studi economici concordano nel ritenere quasi nulli gli effetti sull’occupazione, “il salario minimo potrebbe garantire – in virtù di una maggiore forza prescrittiva – una protezione più efficace nei confronti dei bassi salari, riducendo la discrezionalità e gli abusi nella determinazione dei livelli retributivi”.
Il punto sembra essere questo e su di esso si basa il progetto Catalfo secondo cui “in Italia l’11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, mentre 5,7 milioni di giovani rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà”. Per questo la proposta del ddl 658 è di fissare per legge una “retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente non inferiore a quella previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore (corsivo nostro) per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro” e comunque “non inferiore a 9 euro all’ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali”.
Il limite si fissa anche per le collaborazioni così come ridisegnate dal Jobs Act. Centralità al contratto di lavoro, quindi, e clausola di salvaguardia sui 9 euro l’ora (lordi).
Il progetto del Pd, invece, non fa nessun riferimento al sindacato e fissa una retribuzione oraria minima “non inferiore a 9 euro al netto dei contributi previdenziali e assistenziali”. Visto che il salario medio oggi è a 9,48 euro, la misura sembra troppo ottimistica perché aumenterebbe i salari di colpo del 30-35% ma è anche quella più distante dalle richieste del sindacato (e non a caso proviene dalla fase renziana). La discussione non può essere liquidata facilmente. Lo stesso presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha auspicato addirittura un “salario minimo europeo” che sarebbe la soluzione più efficace per tutti.
Negli Stati Uniti, intanto, il dibattito verte sull’ipotesi di un salario minimo di 15 dollari l’ora. Il candidato socialista alle primarie democratiche, Bernie Sanders, ne fa un punto d’onore. Ma, almeno su questo, l’America è lontana.