Condannato e assolto. Carriera azzoppata per Henry John Woodcock, che ieri è stato “censurato” dai giudici disciplinari del Csm, una sanzione che blocca di fatto per dieci anni la carriera dei magistrati che l’hanno subita: preclusi gli incarichi semi direttivi e direttivi.
È una condanna che nessuno si aspettava, a cominciare dall’accusa, perché riguarda esclusivamente la “grave scorrettezza” nei confronti dell’ex procuratore facente funzioni di Napoli Nunzio Fragliasso, per un comportamento legato a un articolo di Liana Milella su Repubblica del 13 aprile 2017, in merito alle polemiche politiche intorno all’inchiesta Consip e a Matteo Renzi, con virgolettati di Woodcock mai autorizzati dal pm. Escluse anche le contestate scorrettezze, per lo stesso articolo, verso i pm di Roma che hanno ereditato Consip.
Woodcock, invece, è stato assolto, così come la sua collega Celeste Carrano, da altri due capi di incolpazione – ben più gravi – perché mettevano in discussione la correttezza nella conduzione dell’indagine Consip: violazione del diritto alla difesa per la mancata iscrizione nel registro degli indagati di Filippo Vannoni, ex consulente di Palazzo Chigi, ascoltato come testimone (quindi senza avvocato), e le presunte pressioni per farlo parlare quando lo interrogarono nel dicembre 2106. Un’ assoluzione rilevante anche per il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo: “La sentenza conferma la correttezza dell’agire processuale dei magistrati dell’Ufficio che ho la responsabilità di dirigere, i quali, posso assicurarlo, continueranno a lavorare in armonia e serenità d’animo”. Ieri, a dimostrare la vicinanza ai pm, c’era al Csm l’aggiunto Enzo Piscitelli.
Dunque, Woodcock, accusato mediaticamente di essere un magistrato alla ricerca della ribalta, è stato condannato per una incolpazione minore, legata proprio alla stampa. L’ipotesi che si può fare, in attesa delle motivazioni, è che i giudici disciplinari lo abbiano condannato non tanto perché parlò con Milella ma perché non lo disse a Fragliasso, da qui il riconoscimento di “grave scorrettezza” che prevede, in automatico, la censura.
Facciamo questa ipotesi perché la giornalista ha testimoniato a favore del pm: “Ho tradito la fiducia di Woodcock. Avevo dato la mia parola d’onore che non avrei scritto”. Lei, che da oltre vent’anni è amica del pm e che mai ha pubblicato una riga di quello che si sono detti, durante il periodo incandescente di Consip viola il patto di amicizia e riservatezza e sia pure con l’escamotage di frasi de relato, pubblica la conversazione. Dopo l’uscita dell’articolo, Woodcock dice a Fragliasso che in realtà era stato lui a parlare con Milella. Senza quella “confessione per onestà”, ha detto durante le dichiarazioni spontanee, questa incolpazione “non ci sarebbe stata”. Ma i giudici devono aver ritenuto “gravemente scorretto” il suo comportamento perché, prima che uscisse l’articolo, ha chiamato Fragliasso per metterlo in contatto con Milella per un’intervista, senza però dirgli che lui stesso, sia pure riservatamente, aveva parlato con la giornalista. E la testimonianza di Fragliasso deve aver avuto un peso determinante. Ai giudici del Csm ha detto di avere “stima professionale” per Woodcock, suo uditore, ma che in quel casosi sentì “umanamente tradito” perché “quando caldeggiò che io parlassi con Milella, avrebbe dovuto dirmi” che le aveva già parlato.
L’assoluzione di Woodcock e Carrano dall’accusa di mancata iscrizione nel registro degli indagati di Vannoni sarà, invece, verosimilmente il punto principale di un ricorso in Cassazione del sostituto pg della Cassazione, Mario Fresa, che aveva molto insistito per una condanna alla censura di Woodcock (per Carrano chiesto il più leggero ammonimento) proprio per questa incolpazione: la linea della procura generale è sempre stata che i pm, per le carte che avevano in mano e per la scelta di iscrivere nel registro degli indagati altri personaggi coinvolti in quel filone, avevano l’obbligo di indagare Vannoni e di sentirlo con un difensore. Infatti, Fresa nella sua breve replica di ieri aveva ribadito: “Sono stati usati due pesi e due misure”. Non, però, secondo i giudici disciplinari, che possono aver tenuto conto anche di una testimonianza importante: quella del procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo. L’estate scorsa disse al Csm: Vannoni l’abbiamo indagato sulla base degli stessi elementi in possesso dei colleghi napoletani, “ma è stata una nostra valutazione”, poteva essercene “un’altra diversa”.