Tutt’altro libertino: Tondelli

Verso Correggio il navigatore ordina di prendere “via Lenin”, anche se non c’è il busto del bolscevico come nella vicina Cavriago. L’autore di Altri libertini è sepolto a Cànolo, poco distante dalla cittadina dov’è nato è cresciuto. Per trovare la lapide bisogna compiere diversi giri del piccolo cimitero senza farsi distrarre dalla passione degli emiliani per i nomi curiosi. Quasi nascosto in un angolo, Pier Vittorio Tondelli sorride sotto la scritta “Nunc dimittis servum tuum, Domine”, il cantico in cui si chiede congedo dalla vita dopo aver conosciuto Cristo. A ridosso del camposanto le ultime foglie cadono da una vite di Lambrusco. Niente eucarestia, ma piuttosto Dioniso tra la Bassa e Berlino.

“Fra lo sberleffo e lo scherno del gruppo, mi diletto a scrivere un interminabile romanzo-inventario dei miti generazionali”, scriveva Tondelli nel 1978 a proposito del libro d’esordio. “In tutta onestà preferirei dedicarmi a una attenta, documentata, precisa e rigorosa pratica erotica. Tanto per unire corpo e anima. Il che successe ai tempi dell’alcol, tenebroso periodo poi sublimato in uno studio, La letteratura dell’alcol, discusso con Umberto Eco”. Il voto di Eco (29) sarà l’unica “macchia” (vinosa) sul libretto di Tondelli: una distesa di 30. Considerava il testo carente dal punto di vista della semiotica, ma lo apprezzava per il resto: se fosse stato direttore di Playboy l’avrebbe persino pubblicato. Il breve autoritratto viene letto nel documentario Lo chiamavamo Vicky di Enza Negroni. Per 50 minuti si parla dell’autore di Camere separate senza mai dire che fosse omosessuale. Come fare un documentario su Kafka senza dire che era ebreo. Se ne duole Sciltian Gastaldi, autore del saggio Tondelli: scrittore totale (Pendragon). “Se Pao Pao, il romanzo in cui Tondelli ‘frocializza’ la caserma, è meravigliosamente camp, Camere separate è il primo romanzo italiano sull’Aids”, mi dice rammaricandosi di non far parte del parterre de rois di invitati alle celebrazioni tondelliane a Correggio e Reggio, nei giorni scorsi, con Belpoliti, Romagnoli, Ligabue e altri. L’evento, ideato da Piergiorgio Paterlini, si intitolava “Tondelli non era invidioso” e fa riferimento alla sua attività di “talent scout”. Tondelli non voleva scoprire o lanciare nessuno e aveva scritto una letteraccia all’Indipendente reo di averlo definito così, ma di fatto il suo ruolo editoriale era un po’ quello: “Eravamo tutti fottuti individualisti. L’unico che voleva fare qualcosa in comune era Tondelli, che ha avuto l’idea del progetto under 25 su cui l’ho preso per il culo anni. Mi sembrava insensata ma aveva ragione lui”, dice Mario Fortunato, intervistato nel bel documentario di Stefano Pistolini Ciao, libertini!, in onda su Sky Arte domani, a trent’anni esatti dalla morte.

Gastaldi ce l’ha poi con Giulio Tondelli che “solo nel 2018” ha donato i libri del fratello alla biblioteca di Correggio tenendo per sé volumi seminali come Frammenti di un discorso amoroso, fitti di annotazioni; e ce l’ha con Fulvio Panzeri, il critico vicino a Cl e legato a Testori, curatore del lascito letterario tondelliano. In nome del riavvicinamento finale alla religione, ha tolto da Altri libertini le bestemmie nell’opera omnia e ostacolato il lavoro di chi non la vedeva come lui negando l’accesso alle carte. Il corpus di Tondelli ostaggio di Cl e bigotterie provinciali varie? Però affascina ascoltare Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, nel documentario di Pistolini: “Aveva una bibbia annotata che poi ho recuperato e la parte che preferiva era quella del profeta Osea”. Osea viene lasciato dalla moglie che si dà al meretricio ma la riscatta e la riprende con sé.

Libro di passaggio tra gli anni di piombo e quelli di plastica, Altri libertini viene processato in un colpo di coda censorio per blasfemia e oscenità. Prima di andare in pensione il “procuratore antisesso” dell’Aquila Bartolomei ordina il sequestro in particolare sulla base di una denuncia. Un documento straordinario da me rinvenuto al tribunale di Mondovì: “Porcodio alle pagine 12, 20, 31, 32, 91, 112, 126, 139, 179; ’codio a pagina 182; diocane alle pagine 25, 26, 31, 32, 33, 140; bruttodio a pagina 27; cazzo di dio a pagina 17” e così via contando parolacce e bestemmie. Tondelli viene difeso da Corrado Costa, avvocato e artista. Al loro rapporto è stato dedicato un convegno dall’Ordine degli avvocati di Reggio, Stile Costa.

Altri libertini vendeva già benissimo prima del processo – e dell’assoluzione – e si può dire che abbia aperto gli anni 80 così come Camere separate e la morte dell’autore per Aids li hanno chiusi, mettendo i sigilli fallimentari a un’epoca “frocia”, creativa e purtroppo avvelenata dalla politica (D’Agostino). Poche cose ce la fanno rimpiangere: tra queste c’è Tondelli, i suoi romanzi ma anche Un weekend postmoderno, diario giornalistico di attraversamento del decennio. Allontaniamoci però dalle suggestioni cimiteriali, per tornare dall’omega all’alfa. Attraverso viuzze e portici si arriva al palazzo in cui lo scrittore è nato, un edificio moderno ma non sgradevole di fronte al quale c’è il tempietto, sulla cui grata si arrampicava da bambino per guardare l’immagine della Madonna. Poi è cresciuto fin troppo e poteva guardare il tetto (a basket, schiacciava con due mani). La progressione gli ha dato la misura del tempo. “Già cos’è l’eternità/ se gli anni Ottanta era tanto tempo fa?”, cantavano gli Üstmamò.

Opposizione, il leader Tikhanovsky condannato a 18 anni di carcere

Il tribunale di Gomel ha condannato il blogger Serghey Tikhanovsky, marito della ormai più celebre oppositrice Svetlana, al termine di un processo a porte chiuse, durato 173 giorni, che si è svolto all’interno della struttura detentiva dove è prigioniero da quando è stato arrestato nel maggio 2020. È stato condannato a 18 anni di carcere di massima sicurezza insieme ad altri cinque oppositori. “Il dittatore si è vendicato pubblicamente dei suoi oppositori più forti” ha commentato la moglie Svetlana Tsikhanovskaya. Tsikhanovsky è stato accusato di sovvertimento violento del governo, aver organizzato manifestazioni, incitato all’odio sociale, aver organizzato azioni contro l’ordine pubblico. L’anno scorso Tikhanovsky voleva candidarsi alle elezioni presidenziali contro Aleksandr Lukashenko, poi divenuto presidente per la sesta volta, scatenando così le proteste

Fox News avvertì Trump: “Capitol Hill è una rovina”

Nella giornata del 6 gennaio, il capo dello staff della Casa Bianca, Mark Meadows, ricevette chat e sms da diversi esponenti della destra più vicina a Donald Trump: tutti sollecitavano il presidente e i suoi consiglieri a fermare l’attacco al Congresso da parte di migliaia di esagitati ‘trumpiani’ sobillati dal magnate stesso. A Meadows scrisse Donald jr, il figlio maggiore del presidente, mentre Ivanka, la ‘prima figlia’, la più influente della famiglia, invitò di persona il padre, insieme al marito Jared Kushner, a fare qualcosa.

Tutti si rendevano conto della gravità di quanto stava accadendo. Tutti tranne Trump, che ne pareva compiaciuto, e Meadows, che fece quello che sa fare meglio: niente. Come – dice – non aveva fatto nulla quando, giorni prima, aveva ricevuto dal colonnello in congedo Phil Wardon un vero e proprio piano per un colpo di Stato: proclamare lo stato d’emergenza nazionale, esautorare il Congresso, congelare il risultato delle elezioni e garantire la permanenza al potere di Trump. Quel piano, Meadows lo ha da poco trasmesso alla commissione della Camera che indaga su quanto avvenne il 6 gennaio: il capo dello staff della Casa Bianca sostiene di non averne informato Trump; ma neppure allertò i servizi di sicurezza. Tutto ciò e la reticenza a deporre davanti alla commissione gli sono ieri valsi l’accusa di oltraggio al Congresso: adesso, il Dipartimento della Giustizia deve decidere come procedere, ma Meadows potrebbe fare la fine dell’ex guru di Trump Steve Bannon, che il mese scorso è stato brevemente arrestato prima di essere rimesso in libertà su cauzione.

Chi contattò Meadows, mentre una folla di energumeni dava l’assalto al Congresso e interrompeva le operazioni di certificazione del risultato elettorale? Da Donald jr ai commentatori di Fox News, gli unici giornalisti ascoltati dal magnate presidente, tutti chiedevano a Meadows di indurre Trump a fermare le violenze dei suoi ultrà: “Mark, il presidente deve dire alla gente sul Campidoglio d’andare a casa”. Molti dei ‘trumpiani’ avevano quindi capito la delicatezza della partita che si giocava quel giorno. Donald jr, che pure non è il più saggio né il più politico dei figli, scriveva: “Serve un messaggio dallo Studio Ovale”, un discorso del presidente; “Le cose si sono spinte troppo oltre, sono sfuggite di mano”. Sean Hannity suggeriva: “Chiedigli di rilasciare una dichiarazione in cui invita a lasciare il Congresso”. Laura Ingraham avvertiva: “Quello che sta accadendo sta distruggendo la sua eredità e tutti noi”.

Che ne sia stato informato o meno, Trump solo tardivamente fece una dichiarazione che non suonò, però, una presa di distanza dall’assalto al Campidoglio, ma piuttosto un “Grazie ragazzi! Avete fatto la vostra parte. Ora, tornate a casa”.

Quanto al piano di Wardon, un texano, una delle voci più forti della campagna Stop the Steal, “Stop al furto” – delle elezioni, il cui risultato sarebbe stato truccato –, lo avevano anche ricevuto alcuni senatori ‘trumpiani’; ed era probabilmente noto a Rudolph Giuliani, l’avvocato di Trump, che conosce bene Wardon e ne citò più volte le fantasiose tesi cercando, senza alcun successo, d’ottenere l’avallo dei tribunali dell’Unione alle accuse di brogli. L’ex colonnello sostiene che Paesi come la Cina e il Venezuela avevano acquisito il controllo delle infrastrutture elettorali in gran parte degli Stati Usa.

Tutti questi sviluppi non paiono turbare Trump che, invece, agita la politica statunitense con l’idea di fare lo speaker della Camera, dopo le elezioni di midterm del 2022, senza essere deputato, sempre che i Repubblicani riconquistino la maggioranza. La posizione gli consentirebbe di tenere sotto tiro l’Amministrazione democratica di Joe Biden fino alle Presidenziali 2024, quando Trump ha sempre in animo di ricandidarsi.

Benalla di nuovo in tribunale per i soldi presi da un oligarca russo

Ancora guaicon la giustizia per Alexandre Benalla. L’ex monsieur Securité di Emmanuel Macron è stato posto in stato di fermo ieri, insieme alla moglie, nell’ambito dell’inchiesta per corruzione, riciclaggio di denaro e frode fiscale detta “dei contratti russi”. Niente a che vedere dunque con le violenze del Primo maggio 2018 e l’uso illegale di passaporti diplomatici per cui a novembre è stato condannato a tre anni, di cui due con la condizionale. Al centro delle indagini della Brigata di repressione della delinquenza economica c’è un contratto firmato nel 2018 dall’oligarca russo Iskander Makhmudov, vicino al Cremlino, e dalla società di Vincent Crase, l’ex collega di Benalla condannato anche lui per i fatti del Primo maggio. Un contratto da 294 mila euro per garantire la sicurezza del miliardario nei suoi spostamenti in Francia, dove possiede diverse proprietà, e quella dei suoi figli, mentre Benalla lavorava ancora all’Eliseo. Metà della somma sarebbe stata versata sui conti della società Velours, per cui Benalla ha lavorato. Sono stati i giornali Le Point e Mediapart a rivelare l’esistenza del contratto.

Presidenziali: Hidalgo, la candidata isolata della sinistra in pezzi

A meno di cinque mesi dalle Presidenziali, Anne Hidalgo non è stata mai così sola. La sua campagna per l’Eliseo si sta trasformando in un “supplizio”, scriveva La Tribune. La candidata socialista non ha mai raccolto più del 6% nei sondaggi per il primo turno dello scrutinio di aprile. L’ultimo studio Odoxa le ha attribuito il 3%. Per la sindaca di Parigi non si tratta solo di non riuscire a far decollare la campagna. La candidata, continuava La Tribune, “si è scavata la tomba”. Mercoledì, ospite di TF1, Hidalgo ha proposto di organizzare una “primaire de la gauche”, un voto per eleggere un candidato unico che possa rappresentare tutto il popolo di sinistra: “Se non facciamo questo sforzo – ha detto – la sinistra non potrà più esistere nel nostro Paese”.

La proposta è stata un flop. Avrà almeno avuto il merito di rilanciare il dibattito sulla possibilità (fin qui improbabile) di un’alleanza della gauche, finora muta nel dibattito pre-elettorale, mentre le idee della destra e dell’estrema destra occupano lo spazio mediatico. Sempre la destra e l’estrema destra si contendono la sfida per il ballottaggio contro Macron che, con il 23%-25%, resta il favorito. La nomina di Valérie Pécresse a candidata della destra gollista Les Républicains sta rimescolando le carte in tavola. Partita sfavorita nello scrutinio dei tesserati del partito, l’ex ministra di Sarkozy e governatrice della regione di Parigi, l’Ile de France, è diventata la principale rivale di Macron. Con il 17%-20% delle intenzioni di voto, ha scavalcato anche Marine Le Pen (al 15%-16%), può ambire al ballottaggio e persino alla vittoria. La destra dà un’immagine di unità, mentre la sinistra annaspa. Alle municipali del 2020 l’unione di socialisti e ecologisti, in alcuni casi anche degli “indomiti” di Mélenchon, aveva permesso alla sinistra di conservare città come Parigi e conquistarne altre come Marsiglia. Ma per le presidenziali è un’altra faccenda. I candidati dei partiti maggiori sono cinque: oltre alla Hidalgo per il Ps, Yannick Jadot di Éurope Écologie-Les Verts, Jean-Luc Mélenchon de La France insoumise e Fabien Roussel del Partito comunista, a cui si aggiunge Arnauld Montebourg, ex ministro di Hollande, che fa campagna da solo con il suo movimento La Remontada. Ci sono poi Philippe Poutou del Nuovo partito anti-capitalista e Nathalie Arthaud di Lotta Operaia. Tutti insieme non raccolgono più del 25% delle intenzioni di voto. La proposta di Hidalgo di organizzare delle primarie fa sognare solo gli elettori: il 73% la approva, secondo un sondaggio Ipsos. A parte Montebourg (1%-3%) che vi è favorevole, un no categorico è arrivato dagli altri candidati.

L’ecologista Jadot, a cui non dispiace l’idea di riunire i socialisti dietro di sé, pensa che in realtà Hidalgo voglia ritirarsi dalla corsa per l’Eliseo e che quella delle primarie era solo una mossa strategica per uscirne a testa più alta possibile. Per il comunista Roussel ci sono troppe divergenze nei programmi. Inoltre Jadot (6%-9%) e Mélenchon (8%-11%) sperano di poter crescere ancora. L’unione è dunque lontana. Alla fine, Anne Hidalgo, che non riesce a scrollarsi di dosso l’immagine di parigina che non sa nulla del resto della Francia, ha fatto sapere che si rimetterà alla decisione della “primaire populaire”, un voto che si sta organizzando online nel tentativo di riunire la sinistra intorno a un programma comune. Si dovrebbe tenere dal 27 al 30 gennaio e sono registrati più di 280 mila iscritti. Ma nelle ultime ore gli occhi sono puntati tutti su Christiane Taubira. L’eventuale candidatura della popolare ex ministra della Giustizia di Hollande potrebbe essere l’ultima carta da giocare per la sinistra. Già mesi fa in tanti avevano sperato in una sua candidatura. A settembre lei aveva finito per intervenire pubblicamente per dire che no, non si sarebbe candidata. Nel frattempo però la situazione è cambiata. Zemmour sta imponendo le sue idee razziste nel dibattito pubblico. La gauche è frammentata e rischia uno scivolone come nel 2017, quando il candidato Ps Benoît Hamon ottenne solo il 6,3% dei voti al primo turno delle presidenziali, il peggior risultato della storia del Ps. Secondo l’Odoxa, Christiane Taubira è la personalità preferita della gauche (54%). La sua candidatura potrebbe rilanciare la sinistra alle urne? Lei sembra abbozzare una candidatura. Alcuni giorni fa, alla trasmissione Le Quotidien, ha detto: “Rifiuto di pensare che l’elezione sia persa per la sinistra”. Secondo L’Express, avrebbe un “piano segreto” e starebbe preparando una “lettera aperta” da pubblicare prima di Natale per tastare il terreno.

Chi spara ancora su Mani Pulite

A trent’anni di distanza da Mani Pulite è in atto, da parte della fairy band berlusconiana ma non solo (“abbasso il manipulitismo”, Luciano Violante) la campagna per la “liquidazione finale” di quell’esperienza, stravolgendone anzi capovolgendone la storia.

Mani Pulite viene da lontano. Viene dal collasso dell’Unione Sovietica del 1989. Essendosi di fatto spenta la minaccia dell’“Orso russo” si liberò il voto di molti cittadini che avevano appoggiato la Prima Repubblica e la sua corruzione col fegato in mano (il “turatevi il naso” di Indro Montanelli). Questi voti democristiani, ma anche non democristiani, finirono per convergere su un movimento nuovo, anti-partitocratico, la prima Lega di Umberto Bossi. La comparsa di una vera opposizione, dopo che da trent’anni il Pci si era associato al potere, liberò le mani dei magistrati di Milano dove la corruzione, partitica e imprenditoriale, estesa per tutto lo Stivale era più presente e più pesante. Se in clima consociativo un magistrato osava indagare su qualche “colletto bianco” veniva trasferito lontano dal suo distretto di competenza in modo da renderlo innocuo.

Mani Pulite ebbe un vastissimo sostegno popolare: per la prima volta dopo decenni, a parte casi eccezionali, la classe dirigente, politica ed economica, era chiamata a rispondere alle leggi che tutti noi dovevamo osservare. Non fu una “rivoluzione” come si dirà in seguito per dare un significato eversivo alla legittima azione dei magistrati. Fu piuttosto un atto di conservazione, di rispetto di quel minimo di legalità che una comunità deve avere per poter tenersi insieme.

All’inizio anche i grandi giornali, che avevano la coda di paglia per avere appoggiato, o comunque non denunciato, la corruzione della Prima Repubblica, si schierarono dalla parte dei magistrati. Esemplare è un editoriale di Paolo Mieli allora direttore del Corriere intitolato: “Dieci domande a Tonino”. Tonino, come se ci avesse mangiato insieme a Montenero di Bisaccia.

Le resistenze al ripristino della legalità portato dalle inchieste di Mani Pulite cominciarono appena il clima si fece un po’ meno incandescente. È del 1994 – primo governo Berlusconi, ministro della Giustizia Alfredo Biondi – il cosiddetto “decreto salva-ladri” che impediva la carcerazione preventiva sostituendola con i “domiciliari” per i reati tipici di “lorsignori”: corruzione, peculato, concussione, abuso d’ufficio, finanziamento illecito, falso in bilancio, frode fiscale.

Premesso che della carcerazione preventiva, quando riguardava la cosiddetta gente comune, non si era mai interessato nessuno, tantomeno le cosiddette destre (solo dopo Mani Pulite diventate improvvisamente “garantiste”), che anzi intonavano la canzone “in galera subito e buttare via le chiavi”. Per Pietro Valpreda, in galera da quattro anni senza processo e Giuliano Naria che fece nove anni di carcerazione preventiva, entrambi risultati innocenti, non si levò da quelle sponde un solo laio. Sono solo due esempi. Quando in gattabuia cominciarono a finire i colletti bianchi si invocò Amnesty International, perché, si disse, i magistrati li incarceravano per farli confessare, in pratica li torturavano. Replicò Francesco Saverio Borrelli: “Non è così. Noi li arrestiamo e loro confessano”.

Un’altra canzone intonata soprattutto da Berlusconi era che le inchieste danneggiavano l’immagine del nostro Paese all’estero. Falso. In quel periodo l’intera stampa internazionale ammirava, meravigliandosene, l’Italia perché stava riuscendo a ripristinare la legalità (la legalità, non la moralità che è altra cosa) in un Paese che aveva la trista, ma giustificata, fama di essere particolarmente corrotto e Ilda Boccassini, componente del Pool di Mani Pulite fu inserita tra le cento personalità più rilevanti del mondo occidentale. Altra canzone cantata soprattutto da Berlusconi, ma non solo, era che Mani Pulite danneggiava l’economia del nostro Paese. Falso anche questo. Tangentopoli ci è costata, secondo le indagini al ribasso di Giuliano Cazzola, 630 miliardi, cioè un quarto dell’attuale debito pubblico. Si inventarono poi di sana pianta categorie giuridiche mai prese in considerazione da alcun Codice Penale, come l’“accanimento giudiziario” e la “modica quantità” per i falsi in bilancio.

Non sapendo a che altro aggrapparsi i ladri di regime invocarono la pacificazione nazionale. Cioè il cittadino che si era comportato onestamente, che non aveva evaso le tasse o rubato sottobanco, che insomma aveva rispettato la legge, doveva “pacificarsi” con quelli che la legge l’avevano violata. Si arrivò anche a teorizzare, da parte dell’onorevole Tremonti, che “i comportamenti previsti dalla legge come reati cessano di esserlo se la coscienza morale dominante non li considera tali”. Ma su questa strada ci si è spinti anche oltre: la punibilità o meno di un cittadino dipenderebbe dal consenso che ha o non ha presso l’opinione pubblica (Angelo Panebianco). I reati non sono più tali a seconda della tipologia dei fatti, ma dei loro autori.

Ma la truffa linguistica e logica che faceva, per così dire, da suggello a tutte le altre, e le completava, era la famosa formula “bisogna uscire da Tangentopoli” (con un’amnistia, con un indulto, con un atto di clemenza). Forse che, amnistiando gli stupratori, usciamo da Stupropoli? I mafiosi da Mafiopoli? I ladri da Ladropoli? In realtà così si incoraggiano solo gli stupratori, i ladri, i mafiosi a continuare a fare quel che fanno. In questo caso i corruttori e i concussori.

Ma questo è il passato. Oggi, persa ormai ogni verecondia, si rifà la storia di Mani Pulite al contrario. Si sostiene che Mani Pulite fu un “colpo di Stato bianco” ispirato dagli americani (perché mai gli americani avrebbero dovuto togliere di mezzo i partiti filo yankee e salvare il Partito comunista, non è facilmente comprensibile). Per Vittorio Macioce de Il Giornale Mani Pulite non fu che “una rivoluzione politica fallita, che si è arenata all’improvviso davanti alla vittoria di Berlusconi nel ’94”. Per il molto commendevole prof. Panebianco, ma non solo per lui, esiste un “partito delle Procure” naturalmente di sinistra. Non si è accorto il prof. che la sinistra in Italia non esiste più da tempo (“D’Alema di’ qualcosa di sinistra, di’ qualcosa”, Nanni Moretti ). Dice ancora il prof. (editoriale sul Corriere dell’8.6.2021) rimpiangendo il tempo in cui “la si chiamasse Repubblica dei partiti oppure partitocrazia, la politica comandava e i magistrati erano dominati e controllati”. Cioè il liberale Panebianco si mette tranquillamente sotto i piedi la tradizionale separazione dei poteri (Montesquieu), Esecutivo, Legislativo, Giudiziario e sogna un Paese dove il potere giudiziario è sottoposto al governo. Ma questo è esattamente ciò che avviene nelle dittature.

Ora, bisogna intendersi. La Magistratura è il massimo organo di garanzia di un Paese. Può sbagliare naturalmente, anche se il nostro ordinamento prevede, più di ogni altro, una serie di controlli, gip, primo grado, Appello, Cassazione, possibilità di revisione del processo. Però alla Magistratura ci si crede o non ci si crede. Se non ci si crede allora bisogna essere conseguenti e aprire tutte le carceri, perché chiunque può essere stato vittima della corruzione della Magistratura.

Concludiamo questo articolo, dedicato non solo alla “liquidazione finale” di Mani Pulite ma dell’intera Magistratura, con un articolo di Goffredo Buccini (Corriere, 20.11.2021): “Un personaggio pubblico in grado di migliorare di molto il clima sarebbe ancora in campo”. Indovinate chi è?

 

Caso Suarez, la Procura della Figc archivia l’indagine

La procura della Federcalcio ha archiviato il caso di Luis Suárez e del suo esame di italiano all’Università di Perugia. Lo annuncia la Figc con una nota: “Dalla documentazione ricevuta dalla Procura della Repubblica di Perugia, infatti, non sono emersi elementi sufficienti per ritenere provate condotte illecite rilevanti nell’ambito dell’ordinamento federale sportivo di dirigenti o comunque tesserati, unici soggetti sottoposti alla Giustizia Sportiva”. Nei giorni dell’esame, nell’estate 2020, si ipotizzava un passaggio di Suárez alla Juventus.

Ivo Caizzi reintegrato al Corriere della Sera

Ivo Caizzi, inviato e corrispondente da Bruxelles, è stato reintegrato al Corriere della Sera dai giudici della sezione Lavoro della Corte d’Appello di Milano. Secondo la sentenza, il suo licenziamento è inefficace e Rcs deve riammetterlo in servizio, oltre a pagargli le retribuzioni maturate “in forza del rapporto di lavoro mai interrotto”. Caizzi era stato licenziato da Rcs ad aprile 2020, perché la società affermava che avesse raggiunto l’età pensionabile, senza preavviso e senza rendere nota la motivazione nemmeno alla rappresentanza sindacale dei giornalisti di via Solferino, mentre era in piena attività per il Corriere e bloccato a Bruxelles per il lockdown.

Corruzione Esercito, sequestrati i “regali”

C’erano un moschetto una enciclopedia Treccani e vari gadget militari – tra cui un giubbotto della Marina Militare – fra gli oggetti sequestrati ieri dalla Procura di Roma, nell’abitazione di Biella di Eugenio Guzzi e Rosa Loviero, i coniugi imprenditori, indagati per corruzione con l’ex capo di Stato Maggiore, Enzo Vecciarelli (nella foto). Per i pm, il generale avrebbe agevolato appalti nelle forze armate alla società dei coniugi in cambio di ben 59 capi di alta sartoria, anch’essi sequestrati. Per la difesa, invece, c’è stato un “normale scambio di regali tra amici”. Nello stesso fascicolo è indagato anche l’attuale commissario straordinario Covid-19, Francesco Paolo Figliuolo (estraneo ai sequestri).

Lfc, la Procura chiede 5 anni per Barachetti

Il pm di Milano Stefano Civardi ha chiesto una condanna a 5 anni di reclusione per l’imprenditore Francesco Barachetti, imputato per peculato e false fatture per la vicenda della compravendita del capannone di Cormano acquistato dalla Lombardia Film Commission tra il 2017 e il 2018, con cui sarebbero stati drenati 800 mila euro di fondi pubblici. A giugno, con il rito abbreviato, sono già stati condannati i revisori contabili per la Lega in Parlamento Alberto Di Rubba, anche ex presidente di Lfc, e Andrea Manzoni. Altr, tra cui il commercialista Michele Scillieri, hanno già patteggiato. La Fondazione Lombardia Film Commission – parte civile insieme al Comune di Milano nel processo – chiede un risarcimento di quasi 1,7 milioni.