Colin Wilson è morto un lustro fa. Divenne famoso più di sessant’anni fa, nel 1956, con The Ousider, saggio con cui entrò nella testa di irregolari di genio, da Nietzsche a Van Gogh, da Eliot a Camus e a tanti altri. Un’opera anti-borghese, contro il Sistema, e che rispunta prepotente in La gabbia di vetro, scritto dieci anni dopo The Outsider. Stavolta Wilson studia la mente di un serial killer e parte da un’immagine cupamente bucolica. Quella di Damon Reade, giovane ma già considerato il più grande esperto inglese di William Blake, poeta con l’ossessione della Bibbia e una decisa inclinazione per il misticismo.
Reade vive da solo in campagna, nel nord dell’Inghilterra. I suoi vicini di casa, si fa per dire, sono gli “zingari” del villaggio, evitati da tutti, e che prendono pure il sussidio. Razzismo e reddito di cittadinanza, mezzo secolo fa. L’analisi di Reade sulla famiglia dei vicini ha il sapore oggettivo, più che del pregiudizio. Anche perché non c’è persona più tollerante (e solitaria allo stesso tempo) del giovane studioso di Blake: “Queste persone non hanno valori. La vita non ha significato per loro. Ritirano il loro sussidio ogni settimana – credo che adesso sia lo Stato stesso a provvedervi – e poi non fanno nulla per gli altri sei giorni che passano prima del nuovo assegno”. Tra letto e divano. Non ditelo a Di Maio. Un giorno, da Reade, si presenta un poliziotto. A Londra, c’è un serial killer che semina cadaveri scrivendo citazioni di Blake. E così lo studioso si trasferisce nella Capitale per indagare sul valore “mentale” di questi omicidi. E capire, soprattutto, perché uno che legge Blake si mette ad ammazzare ferocemente, nella Swinging London degli anni Sessanta.