Mail box

 

Il trasporto su rotaia è crollato. Il Tav oggi è un’opera inutile

Sono un ex ferroviere che ha iniziato a lavorare 41 anni fa e per circa due anni ho svolto il mio lavoro come aiutomacchinista sui treni merci. Ho un ricordo particolare della stazione di Pontremoli: sui treni merci e sui carri a basso pianale venivano caricati camion che poi, in scali come Parma, Piacenza o Bologna continuavano il loro percorso su strada. Un po’ quello che si vorrebbe fare oggi con il Tav ma che non ci sono più tutte quelle merci e gli scali sono quasi vuoti. Me li sono andati a cercare con Google Maps: quello che si vede è desolante. Mi piacerebbe che il trasporto delle merci si sviluppasse su rotaia, ma negli anni sono state fatte scelte diverse e oggi occorrerebbe rivoluzionare tutto per poter riportare tutte quelle merci su rotaia, obbligando anche i vari possessori di camion, le società di spedizioni e le aziende a usufruire per le lunghe tratte la ferrovia, rendendo appetibile il servizio con minori costi, e che i treni merci dovrebbero avere la garanzia degli arrivi agli orari prestabiliti, cosa che non è mai successa perché l’orario del treno merci è sempre stato quanto di più elastico esiste, da qui anche la scelta di spedite direttamente via ruota. Oggi siamo in una fase inversa dove il trasporto merci su rotaia è calato verticalmente, perciò prima occorrerebbe riportare gli scali alla loro efficienza, o almeno vedere una inversione di tendenza. La domanda vera è: vogliamo fare davvero un’altra cattedrale nel deserto?

Delfo Lippi

 

Italiani “popolo bue”: ripartiamo dall’istruzione

Ho trovato questa frase attribuita a John Lennon: “La nostra società è dominata da gente folle che persegue scopi malati. Penso che veniamo gestiti da fanatici con obiettivi fanatici, ed è probabile che sarò io a essere considerato un pazzo per quello che sto dicendo. È questa la cosa più folle”. Trovo straordinario che un uomo ricchissimo scriva una frase del genere: lui, divo tra i divi, parla così male della società che l’ha innalzato sulla cima dell’Olimpo. Mi chiedo perchè una massa enorme di poveri o di miserabili, anzichè parlare come lui parli come Salvini, Trump e Berlusconi. I politicanti si guardano bene dal dire che il popolo italiano è formato in gran parte da buoi e pecoroni. Perchè anche la stragrande maggioranza dei giornalisti esita a dire che se abbiamo dei politici mediocri è perchè sono retti da un popolo bue? Abbiamo il governo che ci meritiamo. Provo una gran rabbia nel vedere che solo alcuni ricchi dicono la verità. E aggiungo: quando si demolisce con ferocia la scuola, è naturale che si crei un popolo bue.

Angelo Casamassima

 

Per il salvataggio di Salvini incolpate noi, non Di Maio

Noi che abbiamo votato contro l’autorizzazione a procedere sul caso Diciotti non abbiamo salvato Salvini, abbiamo salvato Di Maio, e lo rifaremmo mille volte. Mentre Salvini passa le sue giornate nei comizi parlamentari ad aumentare il consenso, Di Maio deve affrontare una vertenza dopo l’altra al ministero del Lavoro, portare avanti i temi del contratto, tenere a bada la Lega, gestire tutti i problemi interni del Movimento, e spiegare in televisione ogni volta tutto daccapo. Praticamente da solo, perchè Di Battista l’ha mollato sul più bello. Luigi era all’angolo dopo il voltafaccia di Salvini che aveva cambiato idea sul processo. Era evidente che ci volevano fregare. Questi speravano che noi “stupidi grillini” saremmo rimasti inchiodati ai nostri principi fino alla fine. È Di Maio a in prima linea, ogni giorno che cerca di cambiare l’Italia, ed era chiaro che, dalla sua posizione, dover dire sì all’autorizzazione a procedere costituiva un bel problema (le ragioni magari non le sapremo mai). Meno male quindi che ha fatto decidere a noi, i “datori di lavoro”. Siamo noi ad aver impedito il processo a Salvini, non Di Maio, sia chiaro! Di Maio ha fatto sacrosanto uso dello strumento di democrazia diretta. Siamo noi, al massimo, che siamo venuti meno ai principi del movimento e abbiamo evitato il processo a Salvini. Noi siamo gli incoerenti. Che anche i cosiddetti “dissidenti” lo capiscano, una buona volta. O vadano a frignare nel Gruppo misto.

Francesco Ferraro

 

Troppe menzogne nel Paese, c’è bisogno di verità

Ciò che mi terrorizza della politica è la facilità e la disinvoltura con cui i suo esponenti mentono. Non troviamo neanche giornalisti degni di questa professione, anzi: nei telegiornali offrono il microfono a comizietti preconfezionati, recitati a pappagallo. La nostra Costituzione andrebbe corretta: la nostra è una Repubblica fondata sulla menzogna. Se poi vogliamo parlare di quelle trasmissioni televisive di “approfondimento politico”, queste sono in mano a regie raffinate, capaci di far interrompere dai professionisti dell’insulto e mandare in vacca qualunque ragionamento serio, mentre basterebbe togliere voce e audio a chi interrompe, o meglio non invitare più i disturbatori. Viviamo immersi in un mare di menzogne, al punto che molta gente non crede più a nulla e a nessuno, e anche persone perbene vengono risucchiate in questa sub-cultura di scetticismo e fatalismo, che si sintetizza in frasi tipo “tanto il mondo è sempre andato così”, “quando vanno al potere sono tutti uguali”, “il denaro è la sola religione”. C’è bisogno di verità.

Paolo De Gregorio

Le tasse fantasma. Il cuneo fiscale in busta paga e il potere d’acquisto

 

Il poco consumo interno che l’Italia registra può essere spiegato dalle “tasse fantasma”. Il valore è stato calcolato sul pari, per facilitarmi la spiegazione. Un datore di lavoro compila una busta paga da 2.000 euro lordi, ma il lavoratore percepisce solo circa 1.000 euro netti. I restanti 1.000 euro sono le tasse che versa il datore di lavoro che recupera la spesa della busta paga (lordo) mediante la vendita del prodotto o servizio. Mentre il lavoratore con il netto si procura il vivere quotidiano, le spese comuni, cibo, vestiti, ecc. E qui le tasse fantasma. Su questi prodotti in vendita o servizi si ritrovano le stesse tasse pagate tramite la busta. Il datore di lavoro recuperando il lordo e mettendolo insieme alle altre spese (materiali o altro) deve anche compilare la busta paga per intero (lordo). Ma tutti noi facciamo acquisti quotidianamente (non li sto a elencare), ripagando con il rimanente: vale a dire con il netto, le stesse tasse che il datore di lavoro rimette sul prodotto o sul servizio, ma che nessuno incassa, perché lo Stato le ha già prese dalla busta paga. E, quindi, sono assorbite dal netto della busta paga. Praticamente sui prodotti che si acquistano, si ripagano le stesse tasse. Forse queste doppie tasse sono la causa del poco consumo interno?

Lettera firmata

 

Che il costo del lavoro sia un problema è chiaro: lo scontano le aziende (con la ricaduta sul prezzo finale di vendita) e i dipendenti nelle buste paga. È il vecchio cruciale tema del cuneo fiscale. Ma mai qualcuno (almeno secondo le mie limitate conoscenze) si era ancora spinto così in là da paragonarlo a una tassa fantasma perché, al contrario, si tratta di una somma di imposte note: quelle dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali che pesano sul costo del lavoro sia per quanto riguarda i datori di lavoro che dipendenti e liberi professionisti. Stabilito che la fetta maggiore della ricchezza distribuita dal sistema delle imprese torna allo Stato, è evidente che una maggiore disponibilità di soldi da spendere non guasterebbe. Ma non si può considerare una doppia tassazione. Il cuneo fiscale dovrebbe abbassarsi per rendere più competitive le imprese e dare maggior potere d’acquisto ai lavoratori. Questo perché, in Italia, la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa, netto, in busta paga è altissima. Tanto che secondo l’Ocse, l’Italia è al terzo posto per peso del cuneo fiscale, con tasse e contributi a carico di lavoratore e datore di lavoro che lo scorso anno sono arrivate a pesare per il 47,7% contro la media Ocse del 35,9%.

Patrizia De Rubertis

A bassa voce e senza politici: è riapparso Biagi l’alieno

Attenzione, attenzione! C’è un marziano nell’etere, appare poco dopo le 15 sul palinsesto di Rai3. Non parla di cronaca nera, non chiede ai parenti dei morti ammazzati ‘che cosa si prova’, non si occupa di pettegolezzi, di corna, di altarini scoperti, di figli segreti… non dà lezioni di look né di maquillage, non cucina e non fa cucinare nessuno. Quindi è certamente un alieno. Dice di chiamarsi Biagi, Enzo Biagi, ma è chiaramente un nome falso, tipo Mario Rossi. Sostiene di essere un giornalista, ma basta guardarlo per capire che è un bluff: parla a bassa voce, siede composto, ha una postura quasi immobile, attenta ma impassibile… non ha politici in studio, non ha opinionisti, non c’è nemmeno Salvini in collegamento. Deve provenire da qualche galassia remota perché preferisce intervistare degli scrittori, va a recuperarli con la sua astronave negli angoli più diversi del pianeta, convinto che possano dire cose interessanti su passato e futuro dei loro popoli. Ieri si è introdotto in casa di Luis Sepulveda, “il cileno errante”, e l’ha a lungo interpellato su Salvador Allende, sul colpo di Stato di Augusto Pinochet, sulle rivoluzioni, le dittature, sull’essenza e il destino dell’America Latina. Cose dell’altro mondo: infatti il programma si intitolava proprio così. L’Ufo Biagi ha infettato il terrestre Loris Mazzetti, ieri anche lui è apparso su Rai3, e intervistava uno scrittore, l’incredulo Pino Cacucci. Non c’è tempo da perdere, setacciate l’Area 51. Passo e chiudo.

Reddito: ora per legge si può discriminare

Parliamo dei requisiti per l’accesso al reddito di cittadinanza, quelli che si applicano solo alle persone straniere. Queste, come anche Il Fatto ha più volte scritto, oltre a essere residenti in Italia in modo continuativo da almeno dieci anni, dovranno presentare anche una documentazione supplementare, secondo l’emendamento leghista votato in Senato alcuni giorni fa. Ciò che è accaduto si può spiegare in modo semplice, senza giri di parole, facendo un passo indietro e riferimento a quanto accaduto “a casa nostra”, a Lodi, quando solo poche settimane fa sono state definite discriminatorie le norme contenute nel regolamento del nostro Comune, a guida leghista, per l’accesso ai servizi scolastici, perché contrarie al principio della parità di trattamento previsto, in quei casi, per legge. Il tutto in forza di una sentenza, ormai famosa, pronunciata dal Tribunale civile di Milano, nel dicembre scorso.

Cosa è accaduto allora in Senato? È accaduto che si è deciso, semplicemente, di cominciare a provare a cambiare la legge partendo dalla normativa che disciplina l’accesso al reddito di cittadinanza. Semplice, no? L’esponente del Carroccio Luigi Augussori, lodigiano doc, senatore della Repubblica e ancora (anche) consigliere comunale a Lodi, è il primo presentatore dell’emendamento che così recita: “1-bis. Ai fini dell’accoglimento della richiesta (…), nonché per comprovare la composizione del nucleo familiare, in deroga all’articolo 3 del decreto del presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea devono produrre apposita certificazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’Autorità consolare italiana, in conformità a quanto disposto dall’articolo 3 del decreto del presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e dall’articolo 2 del decreto del presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394”. Tali disposizioni non si applicano, secondo il comma 1-ter, “a) nei confronti dei cittadini di Stati non appartenenti all’Ue aventi lo status di rifugiato politico; b) qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente; c) nei confronti di cittadini di Stati non appartenenti all’Ue nei cui Paesi di appartenenza è oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni. A tal fine, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, (…) è definito l’elenco di tali Paesi (…)”.

Per fugare ogni dubbio: “Devono produrre apposita documentazione” significa che, per accedere al reddito di cittadinanza, le persone straniere dovranno produrre la certificazione relativa al reddito e al patrimonio familiare rilasciata dallo Stato di provenienza, fatta eccezione per i rifugiati politici e per i cittadini di Paesi dai quali non è possibile ottenere questo documento. La certificazione dovrà essere tradotta in italiano e legalizzata dal consolato. Alle orecchie di chi ha seguito la vicenda lodigiana queste parole non suonano nuove perchè sono la copia esatta di quanto previsto dal (fu) Regolamento che la giunta della sindaca Sara Casanova ha dovuto revocare perché discriminatorio.

Ora, brutalmente, quello che è uscito dalla porta viene fatto rientrare dalla finestra; lo scenario è diverso – reddito di cittadinanza, e non servizi sociali a domanda individuale – ma la logica è la stessa: gli stranieri sono presunti furbetti che nascondono redditi e capitali all’estero il cui trattamento, di conseguenza, si vuole diverso da quello riservato ai cittadini italiani. Si è passati dalla burocrazia delle discriminazioni al tentativo di introdurre la discriminazione per legge. Ripartiamo da qui, da questo nuovo fronte cui opporsi con fermezza, lucidità e senso di giustizia che traggono forza e sostegno in primis dalla Costituzione.

*Coordinamento Uguali Doveri, Lodi

Attaccare Giordano (anche sulla voce): roba da sinistri

Daniel Pennac ha creato, ormai decenni fa, la figura straordinaria del capro espiatorio di professione. Si chiamava Benjamin Malaussène e il suo lavoro era proprio quello di aver torto a prescindere. E dunque prendersi la colpa. Accadde anche in tivù. Santoro era un gigante nell’invitare le varie Santanchè affinché, agli occhi del suo pubblico (nonché dell’umana decenza), assurgessero a “coloro che sbagliano”. Vederli zimbellati da chiunque era rassicurante, appagante e financo divertente.

La tivù è ancora questa, solo che nel frattempo è cambiato tutto. In meglio o in peggio non saprei dirvi. Di sicuro parte della sinistra, oggi, pur di andar contro il governo attuale tornerebbe volentieri con Berlusconi. Mentre tanti ex elettori di sinistra, nonché ex spettatori di Santoro, odiano così tanto il renzusconismo da accettare Salvini. Un gran casino. Ed è qui che irrompe la figura di Mario Giordano. Uno dei più preparati tra i non antipatizzanti del Salvimaio. Sta molto in tivù perché sa parlare, i suoi libri vendono e conosce la materia. Come Belpietro, che non di rado è d’accordo con Travaglio o con me. E questo dice molto. Come molto dice che Sallusti sia spesso d’accordo con Giannini e Carofiglio talora sembri Mulè. Ahi.

Due settimane fa, Giordano era in collegamento a Cartabianca su RaiTre. In studio c’era Gino Strada. Si parlava di immigrazione. Ho grande stima di Strada. Eppure, con Giordano, è riuscito ad aver torto da solo. Mentre Giordano esponeva pacatamente il suo punto di vista, a me distante ma contenutisticamente e formalmente più che legittimo, Strada andava fuori giri. Alzava la voce. Addirittura lo bullizzava, sfottendolo per la voce come uno Sgarbi qualsiasi: “Ma chi è questo qua, sembra una friggitrice”, ripeteva schifatissimo. Colpi troppo bassi, come il Grillo che ha perculato un giornalista perché aveva la zeppola. Roba che può forse fare la satira, ma la politica (e Grillo ormai è politica) no. Bianca Berlinguer ha cercato di riportare la calma: laddove però Giordano non si scomponeva, Gino Strada portava a compimento il suo piccolo suicidio mediatico, plaudito pure sui social da chi è convinto che esser di sinistra significhi dire a chi non la pensa come loro che son tutti idioti e stronzi.

Una settimana dopo, Piazzapulita. Ancora Giordano in collegamento. In studio, il vicedirettore dell’Huffington Post Alessandro De Angelis è arrivato a sostenere che il voto (per me sbagliatissimo) dei 5 Stelle su Salvini e Diciotti “ha avvalorato la svolta xenofoba”. Un’esagerazione deliberata, perché Alessandro è bravo e ha sempre usato parole critiche anche su Renzi. Giordano ha provato a dire che la xenofobia non c’entrava una mazza. Lì De Angelis, con la stessa spocchia alla Strada dei “giusti” che parlan coi “reietti”, ha chiesto a Giordano di lasciarlo concludere: “Mi rendo conto che per te è difficile, perché sei molto sensibile a questo clima di intolleranza che c’è nel Paese”. Come a dire: “Giordano intollerante e xenofobo”. Altra cazzata. Giordano, giustamente, ha chiesto le scuse. Formigli, però, che già con Pansa era parso bello compiaciuto mentre quello straparlava di “governo terrorista” e altre provocazioni a casaccio, l’ha buttata ulteriormente in vacca: “Va be’, dai, diciamo che sei intollerante al glutine”. Battutone. E infatti Giordano se n’è andato.

Sbaglierò io, ma questo sistematico atteggiamento “de sinistra” secondo cui loro (noi?) sono “stocazzo” e tutti gli altri sterco, oltre a dar fastidio oltremodo, è la maniera migliore per far proliferare Salvini. Complimenti, compagni: continuate così.

I Sor Tentenna del Pd tra tofu e “pisapite”

Noi siamo seriamente preoccupati per la improvvisa ricaduta nei maggiori organi di stampa di un morbo che credevamo debellato, o perlomeno indebolito sotto il peso della sua stessa virulenza: la Sindrome di Pisapia.

Era l’estate del 2017 quando le nostre città subirono gli effetti devastanti di due concomitanti tormentoni: Despacito e Giuliano Pisapia. Ogni giorno che Dio mandava in terra, insieme alle note insopportabili della hit latinoamericana aleggiava nell’aria la pisapite nella sua forma più aggressiva, penetrata infidamente nei giornali e nei talk show con una velocità paragonabile solo a quella con cui poi ne è sparita; anche due, tre volte al giorno, veniva fuori un’intervista, un corsivo, un’agenzia, un dossier o un manifesto che riguardava Pisapia, con Renzi che “apriva” a Pisapia, Pisapia che “gelava” Renzi, Renzi che “chiudeva” a Pisapia, Pisapia che aspettava la “risposta di Renzi”, Renzi che vedeva “il 40% con Pisapia”, Pisapia che “abbracciava la Boschi” e quindi Renzi… Un disturbo ossessivo compulsivo di proporzioni epiche che risparmiò solo il nostro giornale perché ci mettemmo in isolamento e ci facevamo passare il cibo sotto le porte.

Appena domenica è filtrata la notizia che Zingaretti (autoproclamatosi “federatore” prima ancora di vincere le primarie del Pd, così come Pisapia si autoincoronò “mastice” prima di vincere alcunché) ha “lanciato” la candidatura di Pisapia come capolista alle europee, il delirio si è diffuso rapidamente in tutte le redazioni che ne furono contagiate e perciò si pensavano immuni. Il Corriere ha richiamato i suoi redattori dalla pausa del fine settimana per cubitare: “Zingaretti arruola Pisapia”, il quale Pisapia è da anni ormai notoriamente “una carta” e “una risorsa” della sinistra (devono esserci dei caratteri speciali nelle rotative che appena esce fuori “Pisapia” fanno subito scattare la combinazione “carta” e “risorsa”), la quale sinistra inspiegabilmente non se n’è mai accorta. Per Repubblica, particolarmente alacre nel periodico pompaggio d’aria di personaggi pseudo-candidati che nella società reale non esistono e non rappresentano nessuno (Calenda, Bonino, le madamine Sì Tav), Pisapia “torna in campo”, essendo egli, oltre che naturalmente “carta” e “risorsa”, anche “un biglietto da visita del nuovo corso” che Zingaretti darà al Pd. E così ricominciamo con la pisapite, questo misto di elitaria cecità e pensiero magico risorto cinicamente sulla scia del buon risultato dell’ex sindaco Zedda in Sardegna (il Pd è così: se alle amministrative perde, come sempre negli ultimi 5 anni, precisa che trattavasi di voto locale; quando non perde, il risultato locale diventa successo e strategia nazionale).

Pare ieri che l’illusione ottica che ingannò i media convinti che Pisapia fosse una specie di Obama italiano monopolizzava l’agenda della sinistra, diuturnamente occupata in faccende irrilevanti come il futuro posizionamento politico dell’ex sindaco di Milano e totalmente distratta sulle questioni essenziali, come le elezioni di un anno fa starebbero lì a dimostrare con una certa severità. Eppure, le espressioni che si rincorrono sui giornali (“listone unico”, “lista aperta”, “piazza grande”) sembrano echeggiare la vaghezza insopportabile di quelle che attanagliarono il Paese nell’estate di due anni fa (“campo progressista” su tutte), quel certo qual sentore di nulla da area C di Milano pieno di tutte quelle paroline d’ordine al tofu (“reti locali”, “officine delle idee”, “energie giovani”) totalmente estranee non solo alla sinistra ex comunista, figuriamoci, ma anche a qualsivoglia tentativo di avvicinarsi al cosiddetto popolo, se ancora questa parola ha un senso per coloro che pure gli chiedono il voto.

Ora, Pisapia è certamente bravissima persona (che, di questi tempi, non è poco) ed è stato un buon sindaco di Milano; ma possibile che un partito che si definisce “la più grande forza politica riformista del Paese” non sappia proporre nessuna idea oltre al ciclico lancio retrattile della “carta” Pisapia? Che non abbia uno straccio di nuova leva capace di avanzare un progetto sensato per i cittadini, che dica come la pensa su lavoro, diritti, salari, giustizia sociale invece di sfornare giochi di parole tipo “prospettive del presente e speranze del futuro”? E i giornali, recidivi, possibile che vogliano ancora seriamente propinare la bella favola del “Papa straniero” sostenendo come nuova una figura che vanta una decennale esperienza in Parlamento e nessuna presa di posizione politica memorabile, a parte quelle per lo Ius soli e per il Sì al referendum di Renzi?

Sui giornali Pisapia è come quei coccodrilli del Nilo che si vedono a Superquark, che emergono minacciosi e poi si inabissano nel limo per giorni, mesi, forse anni; nel frattempo, a forza di proporre il nulla senza popolo, il popolo vota come gli pare.

Il Pd parli ai 5Stelle per isolare la Lega

Credo che l’elettorato 5Stelle – non so quanto rappresentato dalla minoranza che, certo in buona fede, pensa sia espressione di democrazia diretta (diretta da chi?) partecipare ai ludi delle piattaforme Rousseau – dovrebbe ormai porsi il quesito: l’alleanza con la Lega di Salvini può essere ancora considerata una inevitabile coalizione di governo (resa tale anche dai pop corn di renziana memoria), o si tratta del primo balbettante passo verso intese di carattere strategico?

Penso infatti che molte delle correnti di opinione pubblica che si sono rivolte ai 5Stelle non l’abbiano fatto solo per protestare contro i precedenti governi e i loro leader, in base alle viete retoriche nuovistiche e rottamatorie, ma perché davvero interessate, in modo diverso, ad aspetti importanti della propaganda pentastellata. La subalternità culturale del centrosinistra alle mode tardo-liberiste in materia di lavoro, occupazione e distribuzione del reddito, l’assenza o quasi di una sua proposta davvero riformatrice per una nuova governace dell’Unione europea, avevano portato a vedere nei 5Stelle una possibile risposta alla crisi del Paese forse più dei vaffanculo dei Grillo e dell’innocente incompetenza dei Di Maio. Ma ora? Non sarebbe il momento di chiedersi quali e quante di quelle esigenze potranno trovare soddisfazione all’interno di un accordo strategico con la Lega? Ed è ragionevole pensare che il protrarsi di un “contratto” che si svolge attraverso micro-compromessi, strappi e strappetti, possa funzionare nel senso auspicato dalla stragrande maggioranza dell’elettorato grillino?

A differenza dei 5Stelle, la Lega ha strategia, rapporti internazionali, radicamento territoriale, una classe politica fatta di sperimentati amministratori a tutti i livelli. La disparità è eclatante. C’è qualcosa che possano strategicamente condividere i 5Stelle con chi viene esaltato dalle destre europee più cupamente reazionarie, dagli ideologhi putiniani che vorrebbero restaurare la grande Russia zarista, dal Trump della Grande Muraglia? Illudersi che posizioni simili possano non riflettersi anche sulle priorità da perseguire a livello nazionale è puro infantilismo politico. Gli obiettivi pentastellati – ammesso, e concesso, esistano ancora per il movimento – risulteranno del tutto subordinati a quelli della forza “globalmente” più rappresentativa del governo (e ciò anche a prescindere dalla quantità dei voti!). Coloro che hanno votato 5Stelle ed erano a Genova coi no-global vent’anni fa, con Cofferati al Circo Massimo, che avevano fatto sventolare la bandiera della pace alle loro finestre negli anni della sciagurata guerra in Iraq voluta da Bush jr., trovano un qualche nesso tra il senso di quelle esperienze e ciò a cui vorrebbero portasse il “contratto” con la Lega? O le ritengono un puro errore? E ritengono, dunque, che avessero già ragione i leghisti di allora?

La Lega potrà forse concedere qualcosa ai 5Stelle, ma è chiarissimo che la sua direzione di marcia è un’altra, del tutto incompatibile (se non a una condizione, su cui torneremo). Ed è altrettanto chiaro che non si tratta di due rette parallele che mai si incontrano. Così stando le cose, la linea della Lega esaurirà l’energia dell’altra. La lotta politica, a un certo punto, assume sempre una prospettiva irreversibile, a prescindere dalle intenzioni dei contendenti. Così avvenne in Italia anche negli anni 80. Così avverrà tra 5Stelle e Lega, se i primi non comprenderanno la deriva in cui corrono il rischio di collocarsi. Se non chiariranno quale idea hanno del sistema Paese, e di tale sistema nell’ambito dell’Unione, e la loro posizione all’interno degli equilibri politici della stessa Unione, è destino che, prima, la loro immagine venga oscurata da quella del “socio” di governo, e poi la loro funzione politica scompaia.

A un certo punto i fenomeni politici somigliano a quelli fisici: il corpo maggiore, più forte, più organizzato, più coerente nella sua impostazione, attrae nella propria orbita gravitazionale quelli più piccoli, le masse più confuse. Processi che avvengono in miliardi di anni per le stelle, ma magari in pochi mesi per i 5Stelle. Né credo che a chi ha riposto in loro la propria fiducia interessi qualcosa della cupiditas dominandi che trasuda dai sorridenti volti dei Conte e dei Di Maio. Il collante del potere non può qui funzionare come ha certamente funzionato nel centrodestra berlusconiano. E se ciò fosse, saremmo in presenza di una vera mutazione cultural-antropologica del movimento grillino.

Dall’altra parte, da parte di molti sedicenti dirigenti del Pd (da rottamare anche lui? Da rinnovare? Da chi? Come? Quando?) non si perde occasione per dichiarare che tra Lega e 5Stelle la differenza non c’è, o se c’è non si vede, o se si vede è indifferente. Il Dio continua ad accecare coloro che sembra aver deciso di perdere. Incredibile non si colga l’importanza, niente affatto soltanto tattica, di mettere in primo piano gli elementi storici e culturali di contrasto; incredibile non ci si misuri concretamente sui temi caratterizzanti i 5Stelle con proposte magari alternative alle loro, ma tese a rispondere ai medesimi problemi, mostrando con ciò di ritenerli altrettanto e più essenziali; incredibile non si rilanci ai 5Stelle la proposta di riavviare insieme il piano delle indispensabili riforme istituzionali, affossate dai diktat renziani, e ora del tutto superflue per il capo Salvini (se si esclude l’avallo ai quattrini chiesti dai suoi presidenti di Regione, sotto le mentite spoglie di una idea federalista). Incredibile, infine, non si avverta il drammatico pericolo che si corre a “lasciar andare” l’alleanza tra 5Stelle e Lega, nella speranzosa attesa che vadano a sbattere per meriti propri. A una condizione, si diceva, infatti, che questa alleanza potrebbe farsi strategica: che per rispondere a esigenze in sé sacrosante di occupazione e difesa dei ceti meno abbienti si pensi necessario subordinarle a istanze sovraniste, nazionalistiche, a obiettivi di sicurezza perseguiti in termini xenofobi, a una cultura dall’impronta esplicitamente autoritaria. Quando sociale e nazionale fanno così grumo, suona la campana del più profondo pericolo. Meditino i pentastellati, ma meditino ancora più quelli che li vogliono a tutti i costi alleati alla Lega.

Nata la prima loggia WhatsApp. Ed è subito processo massonico

Anche la massoneria diventa social. È nata quella che potremmo definire la prima loggia Whatsapp. Ed è subito battaglia legale, con accuse, controaccuse e un processo, anzi due. Tutto questo dentro il Grande Oriente d’Italia (Goi), la più numerosa delle comunioni massoniche italiane, che domenica prossima, 3 marzo, andrà a votare per eleggere il Gran Maestro, anzi per riconfermare al vertice l’attuale guida, Stefano Bisi, e il suo gruppo.

La polemica cova da mesi. Ad aprire ufficialmente il caso è stato il Grande Oratore del Goi, Claudio Bonvecchio, che ha presentato nel novembre 2018 una “tavola d’accusa” (l’atto d’incolpazione massonica) nei confronti di Antonio Fava, Maestro Venerabile della loggia Espero 763 di Roma. A rincarare le accuse ci ha poi pensato il “Tribunale circoscrizionale del Lazio”, cioè i giudici di primo grado del Goi, che hanno rimandato la decisione (l’espulsione?) all’udienza del 5 marzo. Proprio due giorni dopo le elezioni massoniche in cui i quasi 30 mila fratelli del Goi voteranno il Gran Maestro (candidato unico Stefano Bisi) e il Gran Maestro Aggiunto (tra gli aspiranti, Claudio Bonvecchio).

Di che cosa è accusato il “fratello” Fava? Di aver aperto nel maggio 2017 un gruppo Whatsapp chiamato “SVoltaire”, mettendo una esse davanti al nome del filosofo illuminista. Al gruppo hanno via via aderito molti Maestri Venerabili, cioè capi di logge di tutta Italia: 150 secondo Fava, molti di più secondo Bonvecchio, che accusa Fava “di avere affiliato 245 fratelli”. Un’affiliazione social: il gruppo si sarebbe così trasformato in una sorta di superloggia irregolare, una P2 Whatsapp.

C’è stata una spia, dentro il gruppo, che ha consegnato ai “superiori” tutto il materiale di SVoltaire. Così sono partite le accuse. “Nella sua attività”, scrive l’accusatore del Goi, “il Fratello Fava ha svolto una vera e propria attività di organizzatore e di moderatore, andando a selezionare un numero molto consistente di Fratelli da ogni parte della penisola”. Ha “indotto altri Fratelli alla partecipazione a un gruppo autodeterminatosi come organo autonomo non previsto dalle Costituzioni del Goi”. Ha “espresso valutazioni, giudizi, considerazioni e inviti”, “con modalità non consone al perseguimento degli interessi e dell’oggetto sociale del Goi, perseguendo una condotta anti-associativa e potenzialmente disgregante”. Ha divulgato “dati sensibili al di fuori della normativa prevista dal Goi”. Ha realizzato una “conclamata violazione del patto di riservatezza cui il libero muratore deve integrale rispetto”: perché ha reso nota, attraverso wa, “l’identità dei fratelli” che deve restare riservata, come pure “tutti gli argomenti che, tradizionalmente, sono affidati in via esclusiva alla camera di mezzo”, cioè ai lavori di loggia a cui possono partecipare solo i Maestri Venerabili.

Fava replica spiegando che la sua era semplicemente una chat, che il gruppo Whatsapp SVoltaire era soltanto un luogo virtuale in cui alcuni fratelli potevano scambiare informazioni e discutere tra di loro, senza violare alcuna regola massonica. Semmai a violare le norme del codice, quello penale, secondo Fava è proprio il suo accusatore, che allega alla sua “tavola d’accusa” un documento “di ben 558 pagine che riproduce per intero il contenuto delle conversazioni” del gruppo, dall’11 maggio 2017 fino al 23 giugno 2018. Con tutti “i dati sensibili dei Fratelli che, nel tempo, vi hanno preso parte”. Per questo Fava ha presentato denuncia presso il Tribunale di Roma per illecita diffusione di dati personali. “Non penso che i panni sporchi si debbano lavare in famiglia, dentro un tribunale massonico”, scrive Fava. “Mi auguro che il Grande Oratore, che sarà anche il prossimo Gran Maestro aggiunto del Goi, abbia almeno il coraggio di comparire in giudizio”: davanti ai giudici “profani” del Tribunale di Roma.

Travolti da un’onda, ritrovati due dei tre corpi scomparsi

Due sono morti, il terzo è ancora disperso. Sono stati trovati ieri i corpi di due dei tre ragazzi risucchiati in mare insieme alla loro auto. La tragedia è avvenuta domenica in provincia di Catania. Margherita Quattrocchi (21 anni), Enrico Cordella (22 anni) e Lorenzo D’Agata (27 anni) si trovavano nella loro Fiat Panda verde a guardare le onde dopo aver preso un caffè, quando un’onda li ha travolti e trascinati in acqua. Chi ha assistito alla scena ha immediatamente chiamato le forze dell’ordine, ma non c’è stato nulla da fare. Solamente ieri è stato possibile rintracciare due dei tre cadaveri: il primo è stato avvistato da un elicottero del Nucleo aereo della Guardia costiera, nei pressi di Santa Maria delle Grazie, e identificato come quello di Lorenzo D’Agata. Successivamente i sommozzatori dei Vigili del fuoco hanno recuperato il corpo di Margherita Quattrocchi e l’automobile, sprofondata nei fondali all’imboccatura del porticciolo. Rimane disperso Enrico Cordella: i pompieri hanno messo in sicurezza la zona e ispezionato il tratto di mare circostante, ma l’arrivo del buio e le cattive condizioni meteorologiche hanno fermato le ricerche. Le operazioni proseguiranno oggi.

“Appalto truccato” al Policlinico: primario agli arresti domiciliari. In cambio viaggi in Usa e a Dubai

“La gara l’ho fatta io, la dirigo io. Tutto è diretto da me”. Giuseppe Morgia, primario di Urologia nell’ospedale Policlinico – Vittorio Emanuele di Catania, ha le idee chiare quando parla ai rappresentanti delle aziende farmaceutiche sui bandi della sanità pubblica.

Sono 17 gli indagati dalla Procura di Catania, accusati di turbata libertà degli incanti, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, istigazione alla corruzione, concussione e riciclaggio. Il medico, finito ai domiciliari, sarebbe il “regista” della “partnership bilaterale” con le ditte, alle quali avrebbe “confezionato su misura” le gare e modificato il “capitolato tecnico”. In cambio avrebbe percepito vantaggi economici, grazie agli “accrediti” in uno speciale “fondo” presso un’agenzia di viaggi etnea, da utilizzare per vacanze di piacere. Tra questi un evento a Dubai, un soggiorno con convegno a Barcellona, e l’imminente congresso mondiale di urologia di Boston a maggio. Somme che dalle prime perquisizioni della Guardia di Finanza si aggirano tra i 6 mila e 15 mila euro annui. Morgia avrebbe anche “punito” chi non lo avrebbe favorito, “incrementando o bloccando” le prescrizioni dei farmaci.

L’intervento delle Fiamme gialle ha permesso di bloccare la gara per i “dispositivi medici di urologia” indirizzata alle strutture ospedaliere della Sicilia Orientale, che comprende i nosocomi di Catania, Ragusa, Siracusa, Messina ed Enna. Un bando da oltre 55 milioni di euro, suddiviso in 209 lotti, che sarebbe stato creato ad hoc dai “componenti della commissione tecnica” formata dall’equipe di Morgia, di cui fanno parte il medico Sebastiano Cimino, ex consigliere comunale di Catania con il centrodestra, i dirigenti urologi Tommaso Massimo Castello (sospeso per 12 mesi dal servizio), Pasquale La Rosa e Francesco Curto. Gli altri indagati sono agenti o rappresentanti farmaceutici.