Cento passi in un’“Ora d’arte” insieme a Tiziano e Caravaggio

Quanto dura un’ora d’arte? A questa bella ma difficile domanda Tomaso Montanari ha provato a rispondere con rubriche settimanali sul Fatto Quotidiano e sul Venerdì di Repubblica, ora raccolte in volume da Einaudi. Non una storia, non un pamphlet, non una guida; piuttosto un viatico per spiriti liberi. Un libro d’ore, appunto.

Montanari, i lettori del Fatto lo sanno bene, non mette limiti alla propria pratica intellettuale; come la pittura per Caravaggio, anche per lo storico dell’arte “non conta quello che si dipinge, conta lo sguardo che ci si posa sopra”. Conta restare umani, e magari scoprirsi più umani. L’ora d’arte è la libera uscita dell’immaginazione, voltarsi indietro, la mente che torna a respirare. “È un posto dove non ci piove dentro”, come la fantasia secondo Italo Calvino, e come è il Pantheon secondo Montanari, dalla cui cupola, “ponte tra passato e presente”, parte una passeggiata lunga 100 passi e tanti incontri indimenticabili.

I più frequenti sono quelli di epoca barocca, a cui l’autore è legato da una lunga fedeltà di studi: Velazquez, Caravaggio, Crespi, Francesco Mochi; il trionfante, ortodosso Lorenzo Bernini e il suo doppio Francesco Borromini, il genio eretico per eccellenza. È, questa passeggiata di 100 passi tra dipinti, sculture e architetture, anche un discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani, delle loro ricchezze culturali e delle loro miserie politiche, nient’affatto diminuite dai tempi di Leopardi. Un discorso dove il centro non può non essere la Toscana, nella Toscana Firenze, e in Firenze il cocciuto Ponte di Santa Trinità, renitente a ogni aggressione.

Per il fiorentino Tomaso Montanari l’arte è godimento estetico ma anche impegno civile. Promessa di felicità, ma anche sorella di giustizia. “L’arte che vede tutto, con quel suo occhio magico: fuori, come dentro di noi”. Come accade nell’autoritratto dipinto da Nicolas Poussin per l’amico lontano Paul Fréart de Chantelou.

Può sigillare un’amicizia, l’arte, e può smascherare il potere, come accade nel cadaverico ritratto di Papa Paolo III in compagnia dei due nipoti, capolavoro di Tiziano. “Cinismo, familismo amorale, rapacità, ipocrisia, servile opportunismo: davvero un ritratto fatale di un potere (quello italiano, sempre indelebilmente curiale) destinato a perpetuarsi fino a noi uguale a se stesso”. Passato e presente si specchiano, nell’ora d’arte. Giuseppe e Maria durante la fuga in Egitto sono due richiedenti asilo; quello di Michele Marullo ritratto da Botticelli poco prima di morire annegato è il ritratto di un migrante.

E allora, quanto dura un’ora d’arte? Sta a noi deciderlo: da qui all’eternità.

Apollinaire in trincea: “Amo gli uomini per ciò che li divide”

“M. Guillaume Apollinaire è morto di ‘grippe’. Aveva 38 anni. Si era arruolato all’inizio della guerra, era stato ferito gravemente a Verdun e gli era stato trapanato il cranio. Dai primi giorni della sua convalescenza, si era ammirato con quale energia e quale ardore avesse ripreso il suo posto d’avanguardia nella giovane letteratura”. In una notizia a pagina due, lunedì 11 novembe 1918, Le Figaro dava conto della morte a 38 anni di Guillaume Apollinaire, avvenuta il giorno 9 a Parigi.

Giuseppe Ungaretti fu uno dei primi a vederlo morto, come raccontò nel 1961 alla Rai: “Vado a casa di Apollinaire, entro in camera e lui era disteso, coperto da un velo nero. Era morto. Stava lì con il quadro che gli aveva dato per le nozze Picasso di fronte al letto. Questo è il ricordo che conservo di Apollinaire più terribile”.

Il poeta era una delle vittime dell’epidemia di febbre spagnola, la “grippe”. Sino all’ultimo, con quell’“ardore” che gli riconosceva il giornale parigino, aveva lavorato e scritto. Tanto che, il primo di novembre, aveva pubblicato sulla rivista Mercure de France un intervento sulle liriche di Charles Maurras, dove esaltava la “divinità di Omero” e l’amore per la “divina poesia”. Un articolo-manifesto, e soprattutto un articolo come testamento letterario e spirituale.

Le collaborazioni di Apollinaire al Mercure de France, che ebbero inizio nel 1911 e trovarono spazio nella sua rubrica “La vie anecdotique”, sono state tradotte in italiano e ora pubblicate nel volume Aneddoti 1911-1918, curato da Angelo Mainardi ed edito da Robin nella collana Biblioteca del Vascello. “Senza essere un diario intimo”, osserva Mainardi nell’introduzione”, gli Aneddoti “ci danno attraverso spiragli un’immagine profonda del loro autore”; ed è “come se una finestra si aprisse obliquamente sull’officina del suo pensiero, in un periodo estremamente importante della sua esistenza di uomo e di artista”.

Sono gli anni delle uscite delle sue raccolte poetiche fondamentali, da Alcools a Calligrammes, e delle prose di Le Poète assassiné. E sono gli anni delle avanguardie storiche, dell’Apollinaire teorico del cubismo e lettore di Freud e del Marchese de Sade, della letteratura erotica e libertina, dei grandi amori come quello con la pittrice Marie Laurencin, poi della partecipazione da volontario alla Grande Guerra, in cui Guillaume fu ferito.

Tutto ciò ebbe consonanza puntuale nelle note e nelle cronache per il Mercure de France, in cui s’affollano i resoconti dei concerti “fragorosi” di Alberto Savinio e i commenti dei visitatori a una mostra di Juan Gris, i ricordi dell’amico Alfred Jarry e le leggende su Rousseau il Doganiere (il pittore Henri Rousseau, ndr), i giudizi sarcastici di Picasso su certi dipinti futuristi e le corrispondenze in prima persona dai fronti e dalle trincee della prima guerra mondiale.

Gli articoli per la rivista parigina avevano come assunto, come dichiarazione di poetica e di professione umanistica, quanto Apollinaire appuntò fin dall’inizio, il primo aprile del 1911, quando ancora non firmava con il nome, bensì con lo pseudonimo di “Montade”. Scrisse: “Amo gli uomini non per quello che li unisce, ma per quello che li divide, e dei cuori voglio soprattutto conoscere ciò che li tormenta”.

Sfilano, negli Aneddoti, Blaise Cendrars e Filippo Tommaso Marinetti, Matisse e Umberto Boccioni, Gerard de Nerval e Anatole France, la veggente Violette Deroy e Stendhal, i romanzi di Fantômas e Oscar Wilde, le gazzette del fronte e le storie di ufficiali e di soldati. E compare una curiosa nota sulla lotta contro la vaccinazione, del 1914, dove rammenta che un giovane autore, Auguste Achaume, portò “in giro a lungo a Parigi una commedia contro il vaccino, ma nessun teatro volle prenderla”.

L’ultimo scritto, otto giorni prima di morire, fu un congedo nel segno della bellezza che vincerà sempre: “La regalità della poesia non unisce questi due prosatori nello stesso partito realista? (…) E le loro divisioni sono poca cosa rispetto a ciò che li associa nello stesso amore per la divina poesia”.

“I raccomandati all’assalto di Montalbano. Camilleri? La lettera non l’ho spedita”

Da dietro la macchina da presa, Alberto Sironi non si sposta quasi mai: “In un viaggio aereo ho ascoltato il dialogo di una famiglia statunitense: imparavano l’italiano grazie alle puntate del Commissario Montalbano. Sapevano tutto. Entusiasti. E il loro obiettivo era visitare la Sicilia per ritrovare i luoghi delle riprese”. Ha rivelato loro il suo ruolo centrale nella fiction? “No, assolutamente, sono rimasto zitto e in ascolto, mi sembrava brutto dirgli: ‘Sapete, sono il regista della serie’. Non bisogna mai esagerare”.

Alberto Sironi è una di quelle persone diventate adulte con il coraggio di conservare intatti i propri sogni di ragazzo, quando parla mantiene sempre un tono lieve, spesso definisce i contorni delle frasi, gli dà colore, e con lui la sfera temporale non risente dei grigiori del tempo, nessuna malinconia, solo piacevole consapevolezza. Ieri come oggi. “Da sempre la mia passione è la regia, già da piccolo quando potevo andavo al cinema; però all’inizio ho studiato architettura al Politecnico di Milano, lo desiderava tanto mia madre, e per quattordici volte ho affrontato gli esami; poi ho ceduto alla passione e sono entrato al Piccolo diretto da Giorgio Strehler”.

Com’è arrivato a Strehler?

Grazie a un insegnante delle scuole medie: ci portava a vedere i suoi spettacoli, e io restavo affascinato da tanta bellezza, dalla magia sul palco. E quella magia evidentemente mi è rimasta dentro.

Perché non ha pensato di diventare attore?

Ignoro il motivo, ma ho sempre e solo pensato alla regia, a come mettere in scena, come costruire, come guidare il gruppo.

Strehler.

Meraviglioso. Tutti lo descrivono come un duro, in realtà era un vero maestro: sapeva anche le virgole di cos’è il teatro, si preparava di continuo, studiava sempre e permetteva a noi ragazzi di crescere accanto a lui; già allora, e parliamo dei primissimi anni Sessanta, ci spediva ovunque in Europa per visionare le produzioni straniere.

Il suo ruolo?

Eravamo in quattro o cinque, oltre a me anche Raffaele Maiello e Michael Grüber. Io l’ultimo del gruppo.

Insomma, non era intimorito da Strehler.

Era certamente una persona difficile, non dava confidenza, come dicevo prima, esisteva solo il lavoro; però di nascosto mi infilavo alle prove, magari seduto al buio delle ultime file o in balconata; una volta mi scoprì: “Chi c’è là sopra?”. Mi scusi, sono Sironi. “Ah, va bene. Ma devi stare in silenzio assoluto, altrimenti fuori!”. Grazie.

Ha mai provato a recitare?

Microscopici cammei come per l’omaggio a Raffaele Pennacchio.

Quando è morto.

In quel caso abbiamo chiesto ad Andrea Camilleri una piccola variazione rispetto al testo, lui ha accettato, e appaio nella scena del commissariato, quando gli diciamo addio davanti a quei cannoli siciliani che lui tanto amava. Non è proprio il mio mestiere…

Come mai?

La magia dell’attore è straordinaria e vanno protetti, rassicurati nelle loro fragilità; è necessario volergli bene, capire cosa c’è oltre l’apparenza, quando cercano di manifestarsi più estroversi e forti di quello che in realtà sono. Non ho queste attitudini, preferisco stargli accanto.

Li “guida”?

Fellini diceva: “Con gli attori il regista può fare poco”. Anche io la penso così, quindi il lavoro va svolto, bene, all’inizio, al momento della scelta.

Un esempio.

Quando ho preso Sergio Castellitto per la fiction dedicata a Coppi: l’ho visto per il provino e ho ritrovato la stessa malinconia di Fausto.

Ha conosciuto Coppi?

Sì, mio padre era suo tifoso e mi portava al Giro e ad altre corse.

Suo padre.

Gli devo tantissimo. Aveva un negozio da parrucchiere a Gallarate ed era un chiacchierone clamoroso: gran parte delle mie storie arrivano dai suoi racconti. Quando decisi di lasciare l’università fece finta di passare da Milano, guarda caso proprio da corso Magenta, lo incontrai, mi prese sotto braccio, e durante quella passeggiata mi mostrò tutti i negozi nei quali aveva lavorato.

Obiettivo?

Probabilmente rivendicare le nostre radici. Alla fine mi disse: “Provaci con il teatro, solo non aver mai paura”. Ed era il 1959. Mia mamma terrorizzata, desiderava una laurea: era il salto sociale.

A un certo punto arriva a Roma…

Solo dopo la chiusura col Piccolo: ero in cerca di lavoro e decido di trasferirmi, puntavo alla Rai, e proprio Raffaele Maiello mi presenta i dirigenti di Tv7 e ottengo la scrittura per tre soggetti.

Come si è trovato in un’altra città?

All’inizio non bene, anzi in difficoltà, non avevo capito quanto era ed è imperiale: per andare avanti è fondamentale conoscere le persone giuste, una volta appresa la lezione ho iniziato a ottenere qualcosa, come un paio di lavori tratti dai libri di Scerbanenco.

Lavori apprezzabili?

Ma no, due filmettini abbastanza fragili dal punto di vista della sceneggiatura: sono nato regista, non scrittore.

Emozionato sui primi set?

A livelli incredibili! In questo caso devo ringraziare Dante Spinotti (storico direttore della fotografia): riuscì a tranquillizzarmi, a offrirmi i primi parametri. Perché all’inizio sapevo pochissimo.

Debuttante vero.

Di più: digiuno.

Soluzione?

Bluffavo, fingevo sicurezza, lasciavo credere di conoscere il mestiere: il cinema è anche questo.

Torniamo alle difficoltà iniziali per imporsi.

In quel periodo scrivevo storie, vagavo per gli uffici con i fogliettini in mano, cercavo appuntamenti, studiavo le frasi a effetto per affascinare gli interlocutori.

E niente.

Esatto, niente. In questo mestiere è necessaria la pazienza, saper aspettare, incontrare le persone giuste e nel momento ottimale. Le variabili sono tante.

Un quadro astrale.

Incroci imprevedibili: per la fiction su Coppi inizialmente avevamo contattato Daniel Day-Lewis.

Addirittura.

Persona straordinaria, la sua struttura mentale, il livello artistico li percepisci anche dal nulla.

Solo, che…

Per “Coppi” pretendeva soltanto attori di lingua inglese, anzi attori nati nella stessa regione per non dover ascoltare inflessioni differenti. Impossibile. Alla fine sentenziai con il produttore: “Se accettiamo, poi in Italia ci ammazzano!”.

Come è arrivato a Montalbano?

Dopo “Coppi” sono rimasto fermo due anni, e senza capirne il motivo, poi nel 1997 vado a Palermo per girare Una sola debole voce e durante uno dei sopralluoghi entro in libreria, vedo la copertina del libro di Camilleri, La forma dell’acqua, lo acquisto, leggo, e ne capisco le potenzialità. A quel punto decido di convincere la fortuna ad aiutarmi.

Male non fa.

In una delle scene del film piazzo il libro edito da Sellerio in mano a un ragazzo.

Ha funzionato.

Non lo so, certo poco dopo è arrivata la telefonata; e non è la prima volta: ne Il commissario Corso ho chiamato Fausto, il figlio del protagonista, ed ecco il lavoro su Coppi.

“Corso”, altro successo…

Diego Abatantuono avrebbe preferito Il commissario Rivera in onore del suo mito milanista, invece sono interista e ho mantenuto Corso.

Scaramantico?

Su qualcosa, tipo il sale, oppure non indosso il viola, specialmente sul set, però non credo alla maledizione del gatto nero.

Montalbano all’inizio.

Ci lasciarono lavorare in totale tranquillità, in Rai erano convinti fosse un prodotto di nicchia, nessuno ipotizzava un successo del genere, quindi liberi di operare e di scegliere.

Anche rispetto agli attori.

Sì, nessuna della classiche raccomandazioni del caso, non ci puntavano un granché, poi quando la fiction è diventata importante, le telefonate interessate sono iniziate ad arrivare di continuo.

Un classico.

In questi casi la salvezza sono i provini, e da quel passaggio non sottraggo nessuno: se non funzioni, sono cacchi tuoi, anche a costo di scontri duri.

Capitati, quindi.

Flaiano è stato uno dei primi, se non il primo a teorizzare l’attitudine a salire sul carro dei vincitori (improvvisamente un piccolo sorriso). Che soddisfazioni…

In particolare?

Penso ai complimenti ricevuti da Spinotti, o quello di Rosi: “Bravo, Montalbano è realizzato benissimo”. È importante sapere che il tuo mestiere funziona, e l’amplificatore è la consapevolezza di aver trovato un linguaggio capace di varcare i confini della Sicilia prima, dell’Italia poi.

Trasmesso nel mondo.

Tra anni fa vado a Expo insieme ad Angelo Russo (Catarella nella fiction), siamo stati fermati da una famiglia di Haiti: non solo lo hanno riconosciuto, ma sapevano il suo vero nome.

Sul set alza mai la voce?

Può capitare, ogni tanto il colpo di frusta è necessario: il mio direttore della fotografia (e scoppia a ridere) dedicherebbe ai primi piani anche sette ore, e non è possibile; inoltre sui set italiani tutti parlano, mentre è fondamentale il silenzio… quando urlo e mia moglie è presente, poi mi rimprovera.

La bacchetta.

Proprio non vuole.

Vent’anni di Montalbano, oramai siete una famiglia.

Per girare passiamo insieme circa quattro mesi l’anno e da tempo siamo amici pure delle persone del luogo.

Vi ringraziano.

È reciproco, mi fa solo piacere che grazie a Montalbano abbiamo liberato dalle macchine delle meravigliose piazze barocche, e per fortuna poi ci hanno copiato tutti, il sindaco di Ragusa Ibla in testa; non solo: la Fornace Penna, una fabbrica di mattoni abbandonata a Sampieri, e più volte usata per le riprese, rischiava di scomparire sotto una speculazione edilizia…

Invece?

Il sindaco ha piazzato un cartello: “Luogo di interesse cinematografico”. Per ora è salva.

Le polemiche sui migranti.

Il tema non è una novità per Montalbano: ce ne siamo già occupati in uno dei primi episodi, e non ci si è persi in tutto questo vociare.

Il suo primo incontro con Camilleri.

Ricordo quando siamo andati a parlare del volto del protagonista, e al nome di Luca Zingaretti rimase leggermente perplesso: “Montalbano lo immaginavo più vecchio, panciuto e con i capelli ricci, alla Germi in Un maledetto imbroglio”. È andata bene…

La scelta?

Sì, ma in questo caso mi riferivo all’età dei protagonisti: ringiovanirli ci ha permesso di arrivare fino a oggi.

Si stupisce sempre del successo?

È incredibile, anche perché gli ultimi film sono più scuri e malinconici dei primi, dove abbiamo affrontato il tema della solitudine degli anziani; eppure il pubblico è innamorato e aspetta.

Anche le repliche…

Altra chiave del successo: non sono film immediati, specialmente all’inizio, quando lo spettatore doveva entrare nella storia, nel linguaggio e legarsi ai personaggi; trasmetterli più volte ha permesso alle persone di assorbire la novità.

Camilleri per lei.

Sono in imbarazzo.

Cosa è successo?

Recentemente, in una puntata da Fabio Fazio, ha inviato una lettera nella quale ci ha ringraziato. Capito? Lui dice grazie a noi! È un atteggiamento che non ho mai riscontrato in nessuno scrittore…

E la imbarazza?

Il problema è che vorrei rispondere per iscritto e ci provo da giorni, ma non riesco a trovare le parole giuste per spiegargli cosa penso di lui: ogni volta mi sembra troppo poco, non esaustivo rispetto alla sua grandezza umana e professionale. (Guarda l’orologio).

È tardi?

No, mi scusi, è che devo andare ad Assisi da mia moglie: sono impegnato nella scrittura della sceneggiatura per i prossimi episodi…

Twitter: @A_Ferrucci

Insulti a Travaglio, Sallusti condannato a risarcire

La storia risale al 2012: in un editoriale del 28 novembre il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti aveva definito il direttore del Fatto, Marco Travaglio, un “cretino col botto” nonché “gazzettiere amico delle Procure”. Travaglio lo ha querelato e l’altro ieri il Tribunale penale di Sassari ha condannato per diffamazione Sallusti. Secondo il Tribunale va risarcito il danno con 18 mila euro e altri 6 mila euro di riparazione pecuniaria ex art 12, oltre ad una multa di 700 euro per il direttore del Giornale, che sarà obbligato a pubblicare un estratto della sentenza. Inoltre il Tribunale lo ha condannato a pagare 5.600 euro di spese legali. Come da legge, le motivazioni della sentenza verranno rese pubbliche in 60 giorni.

Continua la protesta del latte, almeno 17 pastori indagati per i blocchi ai tir sulle strade

Sotto indagine per aver bloccate le strade della Sardegna: sarebbero almeno 17, secondo le ultime agenzie, i pastori finiti nel mirino della Procura di Nuoro dopo le proteste delle ultime settimane contro il prezzo del latte di pecora . I reati contestati agli allevatori sono violenza privata, danneggiamento, deturpamento della cosa altrui, mancato preavviso per la manifestazione e blocco stradale. In cinque casi si valuta anche il sequestro di persona Nei loro picchetti, in particolare sulla statale 129, nei bivi per Oniferi e Orotelli, e sulla statale 131 al bivio di Ottana e al bivio di Lula, gli allevatori anche a volto coperto avrebbero fermato i tir-frigo e obbligato gli autisti a versare il latte che stavano trasportando nelle autocisterne. Questo alla vigilia delle elezioni regionali di oggi che hanno visto il ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini, percorrere l’isola in lungo e in largo nell’ultima settimana per sostenere il candidato della coalizione di centrodestra Christian Solinas. La trattativa tra produttori e industriali è stata stoppata e riprenderà martedì 26 febbraio, nell’incontro a Sassari a cui prenderanno parte due rappresentanti degli industriali, due delle cooperative, due delle associazioni dei pastori e due delle associazioni agricole. Nonostante si siano tenuti già tre tavoli di filiera, uno a Roma nella sede del ministero dell’Interno e due a Cagliari, la bozza della pre-intesa non è stata ancora chiusa perché le posizioni sono ancora distanti: i pastori chiedono che ogni litro di latte venga pagato 80 centesimi, gli industriali non si spingono ad andare oltre quota 72. Fino ad oggi, per la protesta sul prezzo sono stati versati sulle strade circa tre milioni di litri di latte. Anche i dati dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare (Ismea) confermano che ci vogliono 70 centesimi per produrre un litro di latte, mentre il guadagno è di 56 centesimi. Nel tentativo di sbloccare l’intesa anche il governo si è mosso stanziando 44 milioni di euro, di cui 14 dal Viminale per ritirare le forme di formaggio pecorino rimaste in giacenza.

Maltempo al Centro-Sud: cadono muri e alberi, 4 morti. Una nave si arena in Puglia

Quattro morti nel Lazio. L’ultimo per colpa di una tragica fatalità che ha fatto precipitare il padre proprio da una tettoia proprio sopra il figlio 14 enne, schiacciato e ucciso. È successo a Capena, in provincia di Roma, dove l’uomo stava facendo dei lavori sul tetto ed è stato sbilanciato dal vento. L’ondata di maltempo che si è abbattuta su tutto il Centro-Sud Italia, con neve e forte vento, fa danni e vittime. I morti sono tutti nel Lazio, ad Alvito, vicino a Frosinone, il crollo di un muro in una rimessa agricola ha ucciso due pensionati di 70 anni; un’altra è morta a Guidonia per la caduta di un albero. Le previsioni per i prossimi giorni non sono migliori e infatti la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha ordinato per oggi la chiusura di tutti i parchi, mentre la protezione Civile ha esteso l’allerta meteo per 36 ore. Feriti anche in Campania, in Abruzzo scuole chiuse lunedì. Problemi persino in mare: a Ischia due navi si sono scontrate. A Bari un mercantile turco, portato fuori rotta dalla corrente, si è incredibilmente arenato a pochi metri dalla spiaggia cittadina: i 15 passeggeri stanno bene ma il maltempo ha impedito le operazioni di recupero, che proseguiranno oggi.

Campi di calcetto al Colosseo. Ma negli scavi affiorano le vestigia delle Terme di Tito

Sognavate di fare una partita di calcetto oppure di basket immersi nel verde, di pattinare nel centro di Roma? Presto sarà possibile: dei nuovi campi sorgeranno nel Parco del Colle Oppio. Affacciati sul Colosseo, con vista sui resti delle Terme di Traiano e di Tito.

Si tratta di un progetto per la realizzazione di playground in tutti i Municipi della Capitale che il Coni aveva proposto nel 2016, quando ancora c’era in ballo la candidatura alle Olimpiadi 2024. Ok della conferenza dei servizi, lavori fatti direttamente dal Comitato. “Abbiamo voluto realizzare qui questo impianto perché pensiamo rappresenti un passo importante per la rivalorizzazione complessiva del sito, mantenendo la sua vocazione sportiva”, spiegava Emiliano Monteverde, assessore municipale alle Politiche sociali e dello Sport. Già, perchè il nuovo complesso andrà ad occupare l’area nella quale già sorge da decenni un campetto di calcio e riutilizzerà sia l’area rollerblade esistente che un vecchio campo da basket. Nessuna aggiunta. Ma in compenso un maggiore ingombro, anche visivo. Basti pensare che è previsto che i due campi di calcio a cinque abbiano lungo il perimetro “una rete sostenuta da pali di alluminio alti 5 metri”. Necessari per impedire che i palloni possano raggiungere chi transita lungo viale di Colle Oppio.

Via libera anche dai direttori del Parco archeologico del Colosseo e della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ad una condizione: “Considerata la natura dei luoghi e la loro evidente valenza archeologica e paesaggistica, tutte le attività devono essere sorvegliate da un professionista archeologo esterno”. E così, quando a inizio febbraio è stato aperto il cantiere, quasi subito negli scavi è spuntata una porzione di un’antica struttura muraria, che potrebbe appartenere proprio alle Terme di Tito. Sorprendersi del rinvenimento sembra quanto meno fuori luogo. Sperare in un ripensamento da parte dei nuovi vertici del parco archeologico del Colosseo e Sovrintendenza capitolina, legittimo. Va bene lo sport, ma non sopra le Terme di Tito.

Morandi, l’accusa: “C’è amianto, demolizione pericolosa”

“Amianto nel ponte. Nei progetti del Morandi è indicato che nella struttura è presente amianto. Ma è ancora poco rispetto a quello contenuto nelle case che saranno demolite”. Parola di Gabriele Camomilla, che per conto di Autostrade per anni – fino al 2000 – si è occupato della manutenzione del ponte sul Polcevera, l’ingegnere che lo conosce come le proprie tasche e che nel 1994 realizzò la ristrutturazione del pilone 11.

Il prossimo 2 marzo il pilone 8 del Morandi sarà abbattuto. Crollerà con l’esplosivo. Così tra gli abitanti della Valpolcevera c’è qualcuno che ha paura. E ha presentato un esposto in Procura: “Abbiamo più volte formulato ad Asl, Arpal e al Sindaco (in veste di commissario dei lavori), la richiesta di informazioni precise sui criteri di bonifica, sulle installazioni di stazioni di rilevamento di monitoraggio ambientale, e di poter visionare i protocolli di tutela ambientale, senza ricevere esaustive risposte in merito”, scrive Enrico D’Agostino – presidente del comitato “Liberi Cittadini di Certosa” – nel documento depositato in Procura pochi giorni fa.

Il timore, come spiega D’Agostino, è chiaro: “Il 2 marzo con la prima esplosione crollerà una struttura alta decine di metri. E nell’aria di una valle dove vivono decine di migliaia di persone rischiano di diffondersi amianto e polveri sottili. Un pericolo che produrrebbe i suoi terribili effetti tra molti anni”. L’esposto del comitato contiene altri passaggi allarmanti: “I vigili del fuoco, alla fine di agosto, hanno consegnato ad Arpal tubazioni in eternit ritrovate nelle macerie”.

Ma il punto, ancora più del ponte, sono le case degli sfollati che saranno presto demolite e “che – prosegue l’esposto – essendo state realizzate prima della legge del 1992 contengono amianto”. D’Agostino è amareggiato: “Dopo che abbiamo segnalato i nostri timori siamo stati derisi anche da alcuni giornali, come se fosse una manovra di propaganda politica”. Eppure a segnalare il rischio sono anche esperti come l’ingegnere Enzo Siviero, che per decenni ha insegnato proprio la costruzione di ponti all’università di Venezia: “Esiste un pericolo concreto, soprattutto per le case da demolire, realizzate più di sessant’anni fa. Sappiamo tutti che negli Anni Cinquanta in Italia le tubazioni delle abitazioni erano realizzate in amianto e inserite nelle murature. Per demolirle ci vuole una cura particolare e soprattutto tanti soldi. Ho esposto il rischio in diverse lettere alle autorità. Senza ricevere alcuna risposta”.

Luciano Grasso, che si occupa di ambiente e sanità per conto della struttura commissariale, replica: “Abbiamo realizzato un osservatorio sull’ambiente. Ci sono attenzione e trasparenza massime”. Ma l’amianto? “Stiamo aspettando i dati del monitoraggio sull’amianto disperso nell’aria”. E intanto demolite la pila 8 con l’esplosivo? “Nei detriti del ponte crollato non abbiamo trovato amianto”. Tra i vigili del fuoco c’è chi sostiene di averne rinvenuto e mostra foto (il sindacato Usb): “A noi non risulta”. E nelle case? “Negli edifici realizzati in quegli anni è ragionevole ipotizzare la presenza di amianto. Aspettiamo ancora dati certi. Ma prima di essere demolite saranno tutte bonificate”.

Pedofilia, card. Marx: “Tanti dossier sugli abusi fatti sparire”

Al terzo giorno del vertice di lotta alla pedofilia nella Chiesa, arriva il mea culpa di Papa Francesco. “Abbiamo ascoltato le voci di vittime sopravvissute a crimini che minori e giovani hanno sofferto”, ha detto Bergoglio, chiarendo che per il futuro si dovrà trovare il coraggio di esaminare a fondo le coscienze, di guardare sinceramente alle situazioni nei diversi paesi, alle azioni singole. Intanto, nel giorno dedicato alla trasparenza, il cardinale Reinhard Marx, coordinatore del Consiglio per l’Economia della Santa Sede, fa scoppiare il caso dei dossier scomparsi dalle diocesi. L’arcivescovo di Monaco denuncia una connessione strettissima tra abuso sessuale e abuso di potere nell’amministrazione della Chiesa. I plichi che avrebbero potuto documentare i crimini e fare i nomi sono stati stracciati o, peggio, non hanno mai visto la luce. Le procedure per perseguire i reati sono state disattese, cancellate. E così i diritti degli abusati “calpestati e lasciati all’arbitrio dei singoli”. Secondo quanto rivelato da L’Espresso da quando Bergoglio è diventato Papa a marzo del 2013 fino al 31 dicembre del 2018 in Vaticano sono arrivate circa 2.200 nuove denunce da tutto il mondo. Una media di 1,2 nuovi casi al giorno.

No Vax, la guerra dei big della Rete: anche Facebook vaglierà i contenuti

Youtube (e quindi la casa madre Google) non è la sola a prendere posizione sui no vax, vietando la pubblicità sui video che supportino le teorie antivacciniste (e quindi di fatto impedendone la monetizzazione): anche Facebook ha dato il via alla sua battaglia, tanto che in alcuni gruppi di no vax sul social network già si parla di “censura” e della necessità di trovare il modo per aggirare il problema.

“Tutto ciò che minaccia la salute e la sicurezza della nostra comunità è una priorità assoluta per noi”, spiega il social network in una nota. “Lavoriamo attivamente su più fronti per impedire che contenuti falsi e fuorvianti vengano diffusi su Facebook”.

L’azienda di Zuckerberg spiega che “i contenuti anti vax sono idonei per il fact-checking” e che sta lavorando sul modo migliore di stimolarlo e realizzarlo in modo efficace. Intanto, però, il fenomeno va identificato e contrastato il più possibile. I contenuti che Facebook definisce “anti vax” non sono condivisi e diffusi più di tanto sul feed degli utenti, ovvero su quella serie di notizie e di post che gli utenti vedono quando si collegano al social network, quanto soprattutto nei gruppi e attraverso la funzione di ricerca. Per questo Facebook sta cercando e sperimentando nuove misure. Gli strumenti, in questo caso, sono infatti abbastanza diversi da quelli messi in campo dalla piattaforma di Google: si punta prima di tutto a ridurre o rimuovere dagli elementi “consigliati” agli utenti tutti i contenuti o i gruppi affini alle posizioni antivacciniste.

L’obiettivo è quindi – invece di cancellarli – dargli meno rilevanza e fare in modo che non siano immediatamente rintracciabili. “Sul lungo termine – spiegano – stiamo lavorando per rimuovere i contenuti che riguardano la salute, e che potrebbero essere dannosi, dalle raccomandazioni agli utenti e per ridurre la loro distribuzione nei motori di ricerca e news feed, oltre a dare priorità a contenuti di qualità più elevata e più autorevoli”. Lo stesso schema proposto già in passato per la lotta alle fake news (che con l’antivaccinismo ha una continuità intrinseca) e che aveva già presentato diversi profili di criticità, anche considerando gli automatismi innescati dagli algoritmi che moderano la piattaforma. Delicatezza di cui il social è consapevole.

“Non tutti i gruppi anti vax sono uguali”, conclude la nota: alcuni sono gruppi di stili di vita che parlano di medicina olistica o alternativa, altri sono più simili a gruppi di discussione in cui le persone esprimono opinioni, e così via”. Certo, ci sono quelli nati per diffondere informazioni false ma “come con gran parte dei contenuti di cui ci occupiamo nell’area grigia dell’integrità, trovare l’equilibrio tra la libera espressione di un’opinione e garantire la sicurezza della comunità è una sfida. Abbiamo più lavoro da fare, ma siamo pienamente impegnati a farlo”.