Da Zimella e Lonigo a Eraclea. Dalla provincia di Verona e di Vicenza a quella di Venezia. Comuni piccoli e operosi, dove l’ordine è: farsi i fatti propri perché di “certe cose è meglio non parlare”. Su questa dorsale corre oggi l’assalto delle cosche al Veneto governato dalla Lega. Qui dove la paura chiama omertà e nessuno denuncia. I boss così navigano con il vento in poppa. Dalla camorra dei casalesi alla ‘ndrangheta, il Veneto non più solo terra di riciclaggio, ma vero mandamento mafioso. La società civile e le istituzioni fanno patti con i boss. Le ultime indagini della procura antimafia di Venezia mettono sul tavolo le prove di un assedio mai visto prima a queste latitudini. Luciano Donadio a Eraclea comanda da anni. Lui, secondo l’accusa, è il referente dei casalesi nel nord-est. Quattro giorni fa è stato arrestato con altre 49 persone. Accusa: associazione camorristica. Intercettato spiega: “Noi casalesi abbiamo cominciato a comandare dappertutto qua. Ci ho messo cinque mesi per fare il dominio assoluto”. Attorno a lui una holding criminale che si occupa di ogni cosa: dalle estorsioni ai sequestri di persona, dai voti dati ai politici ai rapporti con poliziotti ed ex carabinieri. Da lui va chiunque, anche i parenti di Totò Riina e gli ex della mala del Brenta. “Perché – ragiona Donadio – oggi per fare il mafioso devi essere un mafioso tecnico, devi essere un potente imprenditore”.
Ciò che impressiona è la sudditanza della popolazione veneta. Scrive la Procura: “Vi sono debitori che sono stati percossi, minacciati, sequestrati; molti poi sono stati privati dei loro beni, senza che abbiano avuto la forza di presentare denuncia o vincere quello stato di assoggettamento ingenerato dal sodalizio mafioso”. Di più: “Molti imprenditori (…) turbati dalla potenza criminale del sodalizio hanno cercato di ottenerne l’amicizia per ricorrere, in futuro, ai suoi servizi”. L’infiltrazione è “così profonda da generare un effetto intimidatorio diffuso di cui sono rimasti vittima persino le autorità locali”. Nella seconda inchiesta, quella sulla ‘ndrangheta, conclusa dieci giorni fa con sette arresti, il giudice parla di “estorsione ambientale”. Il capo è Domenico Multari, detto Gheddafi, legato alla cosche Grande Aracri di Cutro, residente a Zimella in una villa hollywoodiana. Tutti nella zona sanno chi è, tutti ne conoscono il potere criminale. “Multari – scrive il giudice – per accreditare la propria qualità di boss manifestava grande disponibilità nel risolvere i problemi di chi gli chiedeva aiuto”. Davanti alla sua porta i veneti facevano la fila: chi per recuperare dei polli, chi delle auto, chi addirittura per ritrovare la tesi di laurea della fidanzata. Multari Gheddafi il benefattore che si sostituisce allo Stato. Ma che quando c’è da fare il mafioso non si fa problemi. “Avvocato non hai capito un cazzo della vita perché tu stai uscendo con le tue gambe, non te lo ho squartate, cosa vuoi di più”. Antonio Puoti, “alter ego di Donadio”, così istruisce “ai valori mafiosi” il figlio di 5 anni impaurito per l’arrivo dei carabinieri: “Sono venuti sti cornuti e ti metti paura? Tu adesso scendi giù (…). Tu sai dov’è la pistola, babbo te lo dice per telefono, prendi la pistola e spara ai carabinieri, sono loro che devono avere paura, non tu di loro”. La “paura” è parola ricorrente in bocca ai cittadini.
Sono decine le ritorsioni. Donadio progettò un attentato a una cronista del Gazzettino rea di averlo collegato al milieu malavitoso di San Donà di Piave. Destinatario di un attentato anche il capo dei vigili di Eraclea, “colpevole” a dire del boss di aver fatto una contravvenzione al figlio. Poi ci sono i politici. L’attuale sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, è indagato per voto di scambio e ora il Comune rischia lo scioglimento per mafia. Di lui scrive la Procura: “Ha manifestato (…) una inquietante promiscuità con il capo del sodalizio mafioso”. Eletto nel 2016 con una lista civica incasserà dai casalesi, secondo l’accusa, 81 preferenze che risulteranno decisive. Tanto che un uomo del clan dice a Donadio: “Adesso è andato su il tuo sindaco, quando lo trovi digli: ‘Sindaco mio bello vienimi un attimo incontro’”. Nel 2007, Donadio, secondo il giudice, si mette in tasca un altro sindaco. E’ Graziano Teso, detto Boccion, attuale vice sindaco, anche lui indagato. Graziano Poles, imprenditore veneto legato ai casalesi, esprime bene il concetto su Teso: “Il sindaco è tornato nostro e non ce lo toglie nessuno”. Poles è il volto “pulito”. Lui gestisce le imprese. Il socio occulto però resta Donadio che in quanto ad affari non butta via nulla. Anche partite da miliardi di lire cambiate in euro, valuta contraffatta grazie a entrature in Vaticano. Ma anche tentate truffe al ministero dello Sviluppo economico e affari in laguna. Insomma, il vaso della Veneto connection è stato scoperchiato. La storia è però solo all’inizio.