“In 5 mesi prendiamo il Veneto” Sindaci e imprese in fila dai clan

Da Zimella e Lonigo a Eraclea. Dalla provincia di Verona e di Vicenza a quella di Venezia. Comuni piccoli e operosi, dove l’ordine è: farsi i fatti propri perché di “certe cose è meglio non parlare”. Su questa dorsale corre oggi l’assalto delle cosche al Veneto governato dalla Lega. Qui dove la paura chiama omertà e nessuno denuncia. I boss così navigano con il vento in poppa. Dalla camorra dei casalesi alla ‘ndrangheta, il Veneto non più solo terra di riciclaggio, ma vero mandamento mafioso. La società civile e le istituzioni fanno patti con i boss. Le ultime indagini della procura antimafia di Venezia mettono sul tavolo le prove di un assedio mai visto prima a queste latitudini. Luciano Donadio a Eraclea comanda da anni. Lui, secondo l’accusa, è il referente dei casalesi nel nord-est. Quattro giorni fa è stato arrestato con altre 49 persone. Accusa: associazione camorristica. Intercettato spiega: “Noi casalesi abbiamo cominciato a comandare dappertutto qua. Ci ho messo cinque mesi per fare il dominio assoluto”. Attorno a lui una holding criminale che si occupa di ogni cosa: dalle estorsioni ai sequestri di persona, dai voti dati ai politici ai rapporti con poliziotti ed ex carabinieri. Da lui va chiunque, anche i parenti di Totò Riina e gli ex della mala del Brenta. “Perché – ragiona Donadio – oggi per fare il mafioso devi essere un mafioso tecnico, devi essere un potente imprenditore”.

Ciò che impressiona è la sudditanza della popolazione veneta. Scrive la Procura: “Vi sono debitori che sono stati percossi, minacciati, sequestrati; molti poi sono stati privati dei loro beni, senza che abbiano avuto la forza di presentare denuncia o vincere quello stato di assoggettamento ingenerato dal sodalizio mafioso”. Di più: “Molti imprenditori (…) turbati dalla potenza criminale del sodalizio hanno cercato di ottenerne l’amicizia per ricorrere, in futuro, ai suoi servizi”. L’infiltrazione è “così profonda da generare un effetto intimidatorio diffuso di cui sono rimasti vittima persino le autorità locali”. Nella seconda inchiesta, quella sulla ‘ndrangheta, conclusa dieci giorni fa con sette arresti, il giudice parla di “estorsione ambientale”. Il capo è Domenico Multari, detto Gheddafi, legato alla cosche Grande Aracri di Cutro, residente a Zimella in una villa hollywoodiana. Tutti nella zona sanno chi è, tutti ne conoscono il potere criminale. “Multari – scrive il giudice – per accreditare la propria qualità di boss manifestava grande disponibilità nel risolvere i problemi di chi gli chiedeva aiuto”. Davanti alla sua porta i veneti facevano la fila: chi per recuperare dei polli, chi delle auto, chi addirittura per ritrovare la tesi di laurea della fidanzata. Multari Gheddafi il benefattore che si sostituisce allo Stato. Ma che quando c’è da fare il mafioso non si fa problemi. “Avvocato non hai capito un cazzo della vita perché tu stai uscendo con le tue gambe, non te lo ho squartate, cosa vuoi di più”. Antonio Puoti, “alter ego di Donadio”, così istruisce “ai valori mafiosi” il figlio di 5 anni impaurito per l’arrivo dei carabinieri: “Sono venuti sti cornuti e ti metti paura? Tu adesso scendi giù (…). Tu sai dov’è la pistola, babbo te lo dice per telefono, prendi la pistola e spara ai carabinieri, sono loro che devono avere paura, non tu di loro”. La “paura” è parola ricorrente in bocca ai cittadini.

Sono decine le ritorsioni. Donadio progettò un attentato a una cronista del Gazzettino rea di averlo collegato al milieu malavitoso di San Donà di Piave. Destinatario di un attentato anche il capo dei vigili di Eraclea, “colpevole” a dire del boss di aver fatto una contravvenzione al figlio. Poi ci sono i politici. L’attuale sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, è indagato per voto di scambio e ora il Comune rischia lo scioglimento per mafia. Di lui scrive la Procura: “Ha manifestato (…) una inquietante promiscuità con il capo del sodalizio mafioso”. Eletto nel 2016 con una lista civica incasserà dai casalesi, secondo l’accusa, 81 preferenze che risulteranno decisive. Tanto che un uomo del clan dice a Donadio: “Adesso è andato su il tuo sindaco, quando lo trovi digli: ‘Sindaco mio bello vienimi un attimo incontro’”. Nel 2007, Donadio, secondo il giudice, si mette in tasca un altro sindaco. E’ Graziano Teso, detto Boccion, attuale vice sindaco, anche lui indagato. Graziano Poles, imprenditore veneto legato ai casalesi, esprime bene il concetto su Teso: “Il sindaco è tornato nostro e non ce lo toglie nessuno”. Poles è il volto “pulito”. Lui gestisce le imprese. Il socio occulto però resta Donadio che in quanto ad affari non butta via nulla. Anche partite da miliardi di lire cambiate in euro, valuta contraffatta grazie a entrature in Vaticano. Ma anche tentate truffe al ministero dello Sviluppo economico e affari in laguna. Insomma, il vaso della Veneto connection è stato scoperchiato. La storia è però solo all’inizio.

Cortei e lacrimogeni: passano i primi aiuti

È entrato ieri alle 17 ore italiane, mezzogiorno alla frontiera di Pacaraima tra Brasile e Venezuela, il primo camion di aiuti internazionali con cibo e medicinali. Proprio nel punto in cui venerdì i militari dell’esercito di Nicolás Maduro hanno sparato a un gruppo di indigenti Pemon uccidendone due e ferendone altre 14. A un mese esatto dall’autoproclamazione di Juan Guaidó presidente.

“Gli aiuti sono già in viaggio per essere distribuiti ai venezuelani”, aveva avvisato lui stesso in una conferenza stampa con il presidente colombiano Ivan Duque non appena arrivato sul ponte di Las Tienditas al confine con la Colombia. “È una iniziativa pacifica, ma di grande fermezza”, ha spiegato Guaidó sottolineando che “mentre noi stiamo preparando l’invio degli aiuti, altri cercano di bloccarli con la violenza”, alludendo alle forze dell’ordine che bloccano i confini. Come nel caso dei 4 camion fermati subito dopo il passaggio dalla in Colombia, dove le forze di sicurezza hanno sparato lacrimogeni ferendo almeno due persone. Il leader oppositore ha lanciato appelli alle Forze Armate perché “si mettano dalla parte giusta della Storia” e al “popolo chavista”, perché “manifesti in pace” promettendo “riconciliazione nazionale”. “Non è disertore chi sta al fianco del popolo, ma chi impedisce l’ingresso degli aiuti”, ha detto Guaidó in veste di Capo delle Forze Armate. “Dio benedica i venezuelani”, ha twittato il presidente Usa, Donald Trump. Ad abbandonare le armi e passare la frontiera colombiana chiusa su ordine del governo di Maduro sono stati 13 militari della Guardia Nazionale, uno dei quali sul ponte Simon Bolivar ha rivolto un appello ai compagni affinché facciano lo stesso, nonostante “la paura di finire in carcere come altri compagni per aver messo in dubbio il regime”. Il maggiore dell’esercito, Hugo Parra Martinez, invece, ha annunciato di disconoscere la presidenza di Maduro e di riconoscere come suo comandante in capo Guaidó. La tensione si è alzata nelle zone di frontiera. A Gran Sabana il sindaco ha minacciato con i capi tribù il contingente della Guardia nazionale do “non toccare i Pemon” per non “risveglierete il loro spirito guerriero”. Mentre altri lacrimogeni sono stati lanciati sul ponte di Ureña, nello Stato di Tachira per entrare in Colombia, come testimoniato anche dalla delegazione italiana dell’Ugl sul posto. Ma si è assistito anche a scene pacifiche con rappresentanti dell’opposizione e cittadini che hanno negoziato con gli agenti per il transito degli aiuti: “Siamo tutti fratelli dello stesso popolo”. Nel frattempo Nicolás Maduro, che ha accettato l’aiuto umanitario legale da parte dell’Ue – nonostante la minima partecipazione al contro-concerto di venerdì, contro quello in sostegno a Guaidó – non cede e chiama alla mobilitazione “difendere la nostra indipendenza, con coscienza e gioia. Non ci sarà guerra nella patria di Bolivar e Chávez”, ha scritto, incitando alla Rivoluzione se dovesse succedergli qualcosa. Nella Capitale hanno sfilato due cortei: quello pro-Maduro e quello pro-aiuti. Mentre al di là del ponte Bolivar in migliaia cercano di tornare a casa sotto i lacrimogeni.

“In Albania nessun caos, è l’opposizione che soffia sul fuoco”

Primo Ministro Edi Rama, cosa sta accadendo in Albania?

Non c’è nessun caos e non c’è nessuna rivolta del popolo. Non sono scesi in piazza né i gilet jaunes, né i sindacati, né gli studenti e neppure gli anarchici, ma l’opposizione parlamentare che qualche anno fa è stata mandata a casa dal popolo dopo aver distrutto l’economia e soffocato il Paese nella palude della corruzione e dell’impunità. Non solo è stata mandata via, ma dopo quattro anni ha preso una batosta elettorale ancora più grave. E allora eccoci qui: non vuole affrontarci nelle amministrative di giugno perchè l’aspetta un’altra chiara sconfitta.

Qual è la posizione sua e del governo rispetto ad una minoranza che si dimette compatta dal Parlamento?

Hanno fatto tutto per bloccare questa riforma che abbiamo intrapreso insieme alla Commissione europea e alla Missione americana della Giustizia, ma non hanno potuto fermarci. Ora è in corso una vera e propria rivoluzione del vecchio e corrotto sistema giudiziario, sotto il monitoraggio degli amici europei e americani. Una procura speciale anticorruzione per gli alti funzionari sta per partire, secondo il nuovo assetto costituzionale della giustizia che abbiamo approvato. Più di cinquanta magistrati e giudici corrotti, legati al malaffare di quel palazzo per anni, sono stati buttati fuori grazie al processo di Vetting. Altre centinaia sono in linea per essere scrutinati. Il tutto sotto gli occhi di una squadra imparziale di esperti internazionali. Figuriamoci se non ci sono dei moventi forti di certi ceti del vecchio potere per ribellarsi a questo governo.

Perché l’opposizione la accusa di corruzione?

Che cosa possono fare d’altro nella difficile situazione in cui si trovano? La gente non li segue e la paura della giustizia li persegue.

Come mai molti sindaci del partito socialista, il suo partito, hanno avuto problemi con la giustizia?

Questo non è vero. Noi governiamo quasi i tre quarti dell’Albania a livello comunale e c’è stato un solo sindaco che è stato mandato via in base alla nuova legge sui precedenti penali, una sorta di “Severino” albanese, ma molto più dura. Non mi è mai piaciuto parlare in lingua straniera dei miei avversari politici, ma quello che hanno fatto al Paese in quest’ultima settimana, esportando immagini di violenza sulle istituzioni, è imperdonabile .

Torniamo ai sindaci socialisti. Chi tra loro risulta essere ancora sotto inchiesta da parte della magistratura sarà ricandidato alle elezioni amministrative di giugno?

Oggi non c’è nessun nostro sindaco sotto inchiesta. Vede come le menzogne e le calunnie fanno il giro del mondo?

Quanto si sente responsabile del fatto che due suoi ex ministri dell’Interno siano indagati?

Il primo è stato accusato sulla base di intercettazioni tra due trafficanti sotto processo a Catania. Ma anche se quell’aggressione puzzava di bruciato, io ho chiesto la sua espulsione dal gruppo parlamentare e anche da tutti i ruoli al vertice del partito. Sul fratello del ministro, invece, pendeva in Italia una condanna di molto tempo prima, mai eseguita, perché lo Stato italiano non aveva chiesto l’estradizione.

Con il rimpasto di governo ha vinto lei o hanno vinto gli studenti ?

Io non ho mai voluto vincere sulla gente, ma ho sempre voluto e voglio fare del mio meglio per la gente e ascoltare la gente. Gli studenti lo sapevano ed è stato un momento di grande intensità, ma anche di una grande bellezza della nostra democrazia ancora giovane, fragile ed imperfetta.

Perché tanti albanesi, soprattutto giovani, vanno a lavorare in Germania?

Perché tanti italiani del sud, soprattutto giovani, vanno a lavorare al nord? E perchè tanti medici italiani vanno a esercitare in Germania e così via? La risposta è chiara: l’Albania non è l’Italia anche se poi gli italiani sono albanesi vestiti da Versace. Quando voi avevate la democrazia e lo sviluppo economico, noi eravamo la Nord Corea dell’Europa. In questi ultimi trent’anni abbiamo fatto passi da gigante in tante direzioni, anche se in altre abbiamo mandato in rovina risorse e bellezze. Ma figuriamoci se non abbiamo dei problemi e se non dobbiamo fare molto di più, con sacrifici e pazienza contro la povertà, la corruzione, la criminalità e altro ancora. Si chiama modernizzazione. E se la grande Italia riesce con difficoltà ad aspirare a uno stato di diritto e di efficacia alla tedesca, pensi un po’ come non sia facile per la piccola Albania.

Scontri e arresti per la quinta candidatura di Bouteflika

L’Algeria chiede il rinnovamento e in migliaia venerdì pomeriggio hanno sfidato il divieto di manifestare nella capitale, respingendo con un “no” la quinta candidatura consecutiva alle prossime elezioni presidenziali – previste il 18 aprile – dell’attuale capo dello Stato Abdelaziz Bouteflika, ai vertici del Paese ininterrottamente dal 1999. La mobilitazione è nata dall’incitamento delle forze d’opposizione a manifestare contro il proposito del presidente annunciato il 13 febbraio. La Direzione della Sicurezza nazionale algerina ha confermato 41 arresti, di cui 38 solo ad Algeri, per disturbo dell’ordine pubblico, vandalismo, danneggiamento di beni, violenze e aggressioni alle autorità. Nel Paese che si è tenuto lontano dalle “primavere arabe” nel 2011, le folle sono scese per lo più pacificamente in strada ad Algeri, Orano, Sidi Bel Abbes, Sétif, Touggourt, Tiaret, Bordj Ménaïel. Anche molti giovani tra i manifestanti che gridavano lo slogan “Né Bouteflika, né Said”. Il secondo è il fratello del presidente ed è considerato come il suo potenziale successore. I dimostranti hanno anche intonato cori contro il primo ministro Ahmed Ouyahia: “Ouyahia scompari”. Solo nella capitale ci sono stati scontri con le forze dell’ordine che hanno risposto – secondo alcuni testimoni – con gas lacrimogeni e proiettili di gomma al lancio di pietre e al tentativo dei dimostranti di raggiungere il palazzo presidenziale. Ma la polizia non è intervenuta per disperdere gli assembramenti nel centro di Algeri, nonostante le manifestazioni siano ufficialmente vietate dal 2001. “La dignità degli algerini è stata violata dal tentativo del presidente di governare per altri cinque anni nonostante le sue cattive condizioni di salute”, ha dichiarato un dimostrante. Bouteflika infatti è stato colpito da un ictus nel 2013 che lo ha lasciato senza l’uso della parola e in sedia a rotelle.

Talpe russe addio, a Berlino ora le spie parlano siriano

In Germania le spie sono sempre venute dall’Est e le cose non sono cambiate. Solo che il baricentro si è spostato più a sud e ora gli agenti segreti arrivano soprattutto dal medio oriente. I principali attori dello spionaggio sul suolo tedesco oggi si chiamano Iran, Cina e Federazione Russa, riferisce l’ultimo rapporto dell’intelligence federale (BND) pubblicato a Berlino nel 2018. Solo di recente si è aggiunto un nuovo attore: la Siria. Sì, perché la Germania non è solo terra di spie in azione ma è anche un paese dove si nascondono agenti segreti in fuga. Come il caso di due ex funzionari di alto rango dei servizi del regime di Bashar al Assad arrestati a Berlino e in Renania Palatinato nell’ambito di un’operazione di polizia internazionale. I due sono accusati di torture in una prigione segreta di Damasco, nel cosiddetto dipartimento Al-Khatib. Si tratta di Anwar R., 56 anni, che guidava l’unità investigativa per la repressione dell’opposizione siriana e di Eyad A., 42 anni, incaricato di rastrellare dimostranti, oppositori e disertori e portarli in prigione, al ritmo anche di cento al giorno.

Mentre il primo è accusato di complicità in quattro casi di tortura, Eyad è imputato di aver preso parte in prima persona alle sevizie di almeno 2.000 prigionieri e di essere responsabile della morte di due persone. I due ex funzionari avrebbero operato a Damasco dallo scoppio delle proteste nella primavera del 2011 fino al settembre 2012, prima lasciare la Siria lo stesso anno. L’arresto potrebbe portare al primo processo al mondo contro dei funzionari di peso del regime di Assad, ha confermato al Fatto Anabel Barnejo, portavoce dell’ECCHR, un’organizzazione per i diritti umani con sede a Berlino. Anwar R. “è il più serio criminale arrestato finora” ha detto William Wiley. ex procuratore per i crimini di guerra e ora direttore del Center for International Justice and Accountability al New York Times. “È un segno che la Germania prende sul serio la battaglia contro l’impunità per le torture in Siria edè importante per tutte le persone coinvolte dal sistema di torture di Assad”, ha aggiunto anche il segretario generale dell’ECCHR. In Germania restano ricercati criminali di rango ancora più alto, come Jamil Hassan, ex direttore dell’agenzia di intelligence dell’aeronautica siriana, accusato di omicidio, tortura e violenza sessuale. È come cercare un ago in un pagliaio: in Germania la comunità conta 699.000 persone. Se i siriani sono gli ultimi arrivati, i servizi segreti iraniani sono dei nemici di vecchia data.

Un mese fa un interprete e traduttore dell’esercito con cittadinanza tedesco-afghana è stato arrestato nella sua casa a Bonn con l’accusa di essere al servizio dell’intelligence iraniana. Secondo il servizio segreto militare tedesco, Abdul Hamid S. avrebbe trafugato documenti e informazioni riservate presso il Comando di ricognizione strategica dove lavorava, per conto del servizi iraniani. Abdul Hamid non lavorava solo in un posto interessante, cioè in un’unità segreta dell’esercito, ma ricopriva anche una funzione chiave perché aveva il compito di ascoltare e trascrivere le conversazioni telefoniche e le trasmissioni radio dei talebani in Afghanistan. Gli inquirenti tedeschi stanno ancora cercando di capire se l’uomo abbia fornito agli iraniani informazioni sulla missione tedesca o sulle truppe di stanza sul territorio afghano. “Non possiamo aspettarci che l’Iran non ci spii”, ha commentato il diplomatico di lungo corso Wolfgang Ischinger, in un incontro con la stampa estera a Berlino. “L’Iran non è un futuro paese membro della Ue” ha proseguito il direttore della Conferenza di Monaco e “andrebbe coinvolto di più in un do ut des”, soprattutto in questa fase in cui l’accordo sul nucleare iraniano traballa.

Secondo il rapporto dell’intelligence tedesca “il compito centrale dei servizi segreti iraniani è combattere i movimenti di opposizione” rifugiati in Germania, ma come si è visto non è l’unico obiettivo. Il ponte delle spie che divideva Berlino Ovest dalla DDR – il Glienicker Bruecke – è ormai soltanto una bellissima struttura sul lago nei pressi di Postdam. Ma la Germania, anche a 40 anni dalla riunificazione, continua ad essere una cerniera strategica tra Oriente e Occidente.

L’autonomia, Zoppas, l’acqua, Gramsci e F&L: un fritto misto

Chi, come noi, ha buoni rapporti con la nostalgia prova sempre piacere nel vedere che certe cose non cambiano. Una fra le più pervicaci è quella che – da Gramsci in poi – va sotto il nome di “cretinismo economico”: studiando gli scritti di Einaudi, scrisse nei Quaderni, “apparirebbe che i capitalisti non hanno mai compreso i loro veri interessi e si sono sempre comportati anti-economicamente”. A dargli ragione ancora una volta, ieri su La Stampa, c’era Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto, secondo cui l’autonomia regionale serva a una sola cosa: “La razionalizzazione della spesa è il vero obiettivo di questa riforma federale”. Ridurre lo Stato alle dimensioni di un condominio serve, ovviamente, ad “abbassare le tasse” (la flat tax veneta?) e a rilanciare la crescita grazie agli spiriti animali del capitalismo liberati dall’oppressione dello Stato-ladro. Certo, uno potrebbe ricordare che all’Italia in questi anni è mancato proprio l’apporto della domanda pubblica, che in recessione quella domanda è ancor più fondamentale, ma non si può dimenticare che Zoppas fa i suoi bei profitti con le acque minerali (San Benedetto) pagando 1 euro di concessione allo Stato ogni 220 di ricavi (dati Mef 2015). In generale, invece, il cretinismo dei capitalisti ci pare in buona compagnia: che dire di un progetto politico che, mentre indebolisce lo Stato centrale, pretende di schierarlo con qualche efficacia in una battaglia campale in Europa? Siamo ormai- ci perdonino Fruttero&Lucentini – alla prevalenza del cretinismo.

Sua Serenità Renzi querela in diretta giornalisti e chef

Venerdì sera l’Illustrissimo politico e scrittore di vaglia Matteo Renzi ha presentato il Suo nuovo libro, di cui abbiamo già umilmente scritto e che non smetteremo mai di lodare, al Lingotto di Torino. Colà – e mai occasione fu più propizia, visto che Cultura e Diritto affondano la loro comune radice nella sofferenza inflitta ai giusti – Sua Serenità ha inaugurato un nuovo filone del genere promozionale editoriale con una trovata che ha del mirabile. Macché dibattito, macché domande dal pubblico: invece del rinfresco, la denuncia penale; al posto del firma-copie, il firma-querele.

Giornalisti, cantanti, chef: nessuno tra i ceffi che hanno osato offendere monsignore resterà impunito. Esposti alla pubblica gogna, i malfattori saranno assicurati alla giustizia, come del resto il popolo chiede da tempo. Dovevate vederlo, l’uomo che portò “il sogno” dentro le istituzioni e perciò fu inviso ai “rosiconi” d’ogni sorta, rivolgersi al proprio avvocato, ivi convocato e prestatosi con estrema professionalità all’illustrazione della lista nera, e domandargli senza enfasi, ma con la schietta spontaneità che Gli è propria: “Quanto gli chiediamo a questo, un centone?”, che dovrebbero essere, sia detto senza offesa, 100mila euro.

La “rivoluzione culturale” che Renzi promette nel libro riparte da qui. Da questo esercizio di understatement e rigore, da questa leggerezza diremmo calviniana che sposa la nota autoironia di cui Egli è capace. In quanto argine ai populisti (ovviamente, niente a che vedere tra il chiarissimo atto di trasparenza di Renzi e la penosa performance di Salvini che apre l’avviso di garanzia in diretta Facebook), Egli non solo ha fatto nomi e cognomi di chi gli rema contro, ma con l’aplomb che gli è proprio ha anche invitato i sostenitori a un’opera di Santa Delazione mediante denuncia, anche anonima, da far pervenire ad apposita casella mail.

Siccome il tempo è tiranno e il Nostro schivo come un lord inglese, tra le “dozzine” di delinquenti che hanno ardito offenderLo solo uno – il direttore del Fatto Marco Travaglio – ha avuto la fortuna di vedersi firmare una querela in tempo reale, nel delirio orgiastico del pubblico. Avendo osato l’inosabile, mostrandosi in collegamento con, alle spalle, sullo scaffale delle vergogne, un rotolo di carta igienica con sopra stampato l’augusto volto, Travaglio s’è meritato il pollice verso davanti a 600 spettatori plaudenti. Ora speriamo che questo affronto trovi dei giudici capaci di capirne la gravità, e che anzi vengano disposte perquisizioni nelle redazioni in cerca di altri oggetti cosiddetti “goliardici” capaci di urtare la sensibilità del Nostro (nel caso, siamo disposti ad aprire le nostre case, le nostre cantine, le camerette dei nostri bimbi, e segnaleremo i muri delle nostre città, su cui potrebbe annidarsi il male in forma di mottetto o pasquinata o spiritosaggine fecale).

Auspichiamo con le parole di un giornalista che mai ha urtato Sua Tranquillità, Mario Lavia, che Donno Renzi faccia “come Togliatti dopo l’attentato” e inviti i suoi a non perdere la testa (nel sobrio paragone, gli sparatori sarebbero i pm e il gip che ha disposto i domiciliari degli insigni genitori, in combutta con i giornali e la Casaleggio Associati). Ma nel frattempo l’esemplare rappresaglia, che auspichiamo proseguirà per tutte le tappe del tour, servirà a far sì che mai più un giornalista o anche un semplice cittadino si permetta di ironizzare su Sua Eccelsitudine – e sicuramente non lo farà se è povero o non ha genitori facoltosi e intraprendenti capaci di pagarne gli errori; motivo per cui Lo ringraziamo, Lo benediciamo e Lo salutiamo, con la nostra faccia sotto i Suoi piedi.

Gli imperativi di Gesù: “Amate i vostri nemici, fate del bene, pregate”

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”. (Luca 6,27-38).

Nella lettura continua del discorso della pianura, in parallelo col discorso della montagna dell’evangelista Matteo, Luca evidenzia il fine kèrygmatico e l’urgente novità dell’insegnamento di Gesù maestro. Guai all’assuefazione, guai se il comando “amate i vostri nemici” non ci scandalizza più! Affermava Benedetto XVI che l’amore del nemico “costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana, non basata su strategie di potere economico, politico, mediatico, non su risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla Misericordia divina. Così evangelicamente cambia il mondo senza far rumore! È l’eroismo dei piccoli, di quanti credendo nell’amore di Gesù Cristo lo praticano e diffondono anche a prezzo della loro vita”. Non possiamo assestarci su cammini comodi, con comportamenti scontati, in moralistiche opinioni ripetitive, del sì ma non troppo!

Per cambiare davvero le cose, Gesù ci incalza con quattro imperativi: Amate i vostri nemici, fate del bene, benedite, pregate. Si tratta di verbi positivi, concreti, generosi, aperti a nuove e impensabili relazioni. Sorprendentemente parte dall’eliminazione del nostro nemico! Prendendo l’iniziativa d’amarlo, facendo il passo per primi verso di lui, perdonandogli, riallacciando la relazione col dargli la fiducia del ricominciare. Via ogni dominio e competitività! Per amare chi mi è nemico, per fare sempre del bene, per dire bene di Dio e del prossimo, è necessario pregare, cioè attingere dalla gratuità di Dio-Dono la forza dello Spirito Santo per amare tutti in modo libero, operativo, gratuito, nonostante tutto.

Gesù ci chiede il magis: di più rispetto ai nostri sentimenti umani. Il suo Amore forte e bruciante educa evangelicamente la nostra volontà alla decisione ferma e costante di uscire dal nostro egoismo: dare a chi ci chiede, non pretendere indietro ciò che ci viene tolto. Non si tratta di accettare l’ingiustizia o di esserne indifferenti, ma di rifiutare acquiescenza, violenza, prevaricazione, vendetta: E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fatelo a loro.

Eppure, il Signore Gesù si spinge molto oltre questa “regola d’oro” che ci ha appena proposta: Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Ci indica la via e spalanca la porta dell’umana perfezione: è l’amore da Lui stesso incarnato, donato in una gratuità smisurata, attinto dalla Misericordia che è la sua vita per sempre offerta ai miseri, a noi.

 

Le parole rubare alla democrazia

Sicurezza è una parola truccata. Infatti i politici adesso la usano come garanzia per i cittadini, facendo credere che, ora che comandano loro, hanno steso una rete che cattura i malfattori all’istante, se necessario li tiene a lungo in mare (il gelo e un mare in tempesta con onde di dieci metri non sono una gran punizione per chi sta andando a minacciare i cittadini, o come aggressore o come terrorista), se necessario ti autorizza a sparare in casa al primo segno di pericolo, e se muore qualcuno vuol dire che stava nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.

Sicurezza è il nome della legge sull’immigrazione. Non c’è nulla, nella legge con quel nome, che riguardi la sicurezza. Si tratta di molte proibizioni a carico degli immigrati africani, come la perdita della casa, della scuola, delle cure mediche, il divieto di stare per le strade, nei treni, nelle case, nelle sale d’aspetto delle stazioni e degli ospedali. In certe città i sindaci aggiungono, di proprio, il digiuno dei bambini immigrati nelle scuole (Lodi), la cacciata da ogni luogo in cui sono giudicati un pericolo per il “decoro urbano”, la rimozione delle panchine, il divieto di sedersi (Pisa), il divieto di avere acqua (bottigliette o bicchieri, Ventimiglia). Oppure i sindaci vengono arrestati e mandati via (sia pure senza reati e senza imputazioni) se accolgono immigrati e offrono case disabitate in villaggi da far rivivere (Riace). Nessun danno o pericolo, questa legge per la folla infuriata di Tor Bellamonaca (Roma, 22 maggio) che impedisce in massa (bambini inclusi) alla polizia (solo due agenti, gli altri sono nei porti chiusi) di arrestare spacciatori e criminali armati. Chissà quale giacca dei suoi poliziotti abbandonati alla folla indossava quel giorno il ministro degli Interni.

Popolo è una parola truccata. Non vuol dire nazione o etnia. Non vuol dire “noi” nel senso di fare insieme cose difficili ma utili per tutti. Popolo vuol dire una massa che vuole cose che non sa (né loro né noi) nelle mani di pochissime persone che parlano in nome del popolo con affermazioni, negazioni e sospensioni dello stessa parola (o valore), prima esaltata e poi abbandonata.

Fate attenzione a quando “il popolo” diventano “i popoli”. Vuol dire: si stanno formando alleanze fra Paesi chiusi. Dunque contro qualcuno (altri popoli, ma pericolosi e da fermare subito). In questo linguaggio truccato, i popoli sono sempre grandiosi (i tuoi) e minacciosi (gli altri) e non ti puoi distrarre un momento. Populismo non vuol dire governo di popoli, ma scelta accurata di incompetenti e sottoculture per eliminare le élite (chiunque abbia un diploma) e il politicamente corretto (chiunque non sia francamente razzista).

In questo mondo pericoloso e triste, chiudere è la parola giusta, che è anche una promessa di governare: porti chiusi, confini chiusi, mari chiusi. Tutte queste parole sono truccate e tutte le relative affermazioni false. Piena libertà per le merci, salvo la stupidità dei dazi, piena libertà per i commerci, per i viaggi costosi o pagati, e prigionia (dicono che il luogo più adatto per tempi lunghi sia la Libia) per i poveri. “Crescita” è una parola che chiede traduzione. Si riferisce al potere, non al benessere e dunque, con questo significato, la promessa può non essere fondata, ma è ragionevole.

Ma la parola che più di tutte è truccata, falsata e offensiva è la parola “italiani” quando ti dicono che “gli italiani ci hanno chiesto”, “noi rispondiamo agli italiani”, “ noi lo abbiamo fatto (per esempio privare della libertà e di ogni conforto i sequestrati della nave Diciotti) per gli italiani”.

Commettere un reato (nella opinione del Tribunale dei Ministri) e attribuirlo alla richiesta degli italiani è un doppio falso. Lo è perché i voti ottenuti alle urne dal “partito della Diciotti” era il 17 per cento. Lo è perché, nonostante la piattaforma Casaleggio che assolve il sequestro di persona, dimostra (nel piccolo campione dei votanti Cinque stelle) che il 40 per cento dichiara di condannare il sequestro dei naufraghi e la punizione loro inflitta. Nel cuore della maggioranza di governo non è poco. Ogni volta che sentite invocare “gli italiani” come mandanti di una delle imbarazzanti o vergognose iniziative dei due semi-governi o del curatore, ricordate che questa gente mente.

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Il sistema di voto alle Europee mi sembra poco democratico

La legge elettorale che disciplina le elezioni europee contiene, a mio avviso, un grande vulnus alla democrazia per due ragioni: la prima, perchè prevede un altissimo numero di firme da raccogliere (150.000) per la presentazione di liste che non abbiano parlamentari europei in carica o rappresentanza almeno in uno dei due rami del Parlamento nazionale; e la seconda perchè la soglia di sbarramento per accedere alla ripartizione dei seggi è fissata al 4%, ed è quindi più alta di quella per le elezioni politiche. In Italia, un piccolo partito che voglia presentare il proprio simbolo alle consultazioni europee deve mobilitare fino all’ultimo militante per poter conquistare la fiducia di 150mila sottoscrittori in tutta la penisola (suddivisa in 5 sottoscrizioni) e, sprovvisto di un’adeguata macchina organizzativa, può essere costretto a rinunciare. L’articolo 12 della legge 18/1979 sancisce di fatto una disparità tra forze già rappresentate, a livello nazionale ed europeo, esonerate dalla raccoltà di sottoscrizioni, ed altre che aspirano ad ottenere una rappresentanza. È certamente giusto che vi sia un filtro per la presentazione delle liste alle Europee, ma tale filtro dev’essere ragionevolmente commisurato a quello di ogni altro tipo di consultazione elettorale. Come si ricorderà, lo scorso anno Emma Bonino dichiarò che per +Europa non avrebbe avuto il tempo disponibile per raccogliere le sottoscrizioni necessarie alle partecipazioni alle politiche (e ne occorrevano molte, ma molte di meno rispetto alle Europee) e fu “salvata” da Tabacci, deputato in carica, che generosamente le offrì la ciambella di salvataggio del proprio simbolo. Per quanto riguarda lo sbarramento, se è vero che esso è previsto in alcuni Paesi (Francia, Romania ed altri) è altrettanto vero che in Germania e Spagna non esiste. In Italia la soglia fu introdotta nel 2009 su impulso del Pd veltroniano “a vocazione maggioritaria” e da allora, pur essendo profondamente mutato il quadro politico nazionale ed europeo, non è stata più rivista. È auspicabile che il Parlamento modifichi al più presto la legge e che elimini del tutto o abbassi sensibilmente lo sbarramento.

Antonio Frattasi

 

Limite di due mandati: regola giusta nel momento sbagliato

Il limite di due legislature è una regola sacrosanta ma oggi credo non sia più praticabile, almeno fino a quando il movimento non sarà in grado di selezionare una classe dirigente decente. Sarebbe opportuno sospenderla in attesa di tempi migliori, diversamente ci si troverà sempre ad avere a che fare con dilettanti allo sbaraglio. Il che, mi pare, possa pure bastare. Abbiamo votato 5 stelle perchè portino a casa dei risultati decenti non perchè si strappino le vesti per tenere puri e virginali gli occhioni della fatina azzurra dell’ideologia, senza per questo volerli veder derogare da quelli che erano i loro obiettivi concreti. Se questo significa non cedere ad attacchi pretestuosi da parte dell’avversario politico, ben vengano le deroghe a regole troppo avanzate rispetto ai tempi in cui viviamo. Riguardo ai “dissidenti”, se si trovano a disagio perchè non se ne vanno? Prima di essere eletti tutto andava bene. Oggi molti di loro sono a fine corsa e cercano di spaccare il movimento asserviti e stimolati da colui che “ga gli schéi”. Passassero in FI. Purtroppo per loro non sono più i tempi d’oro di Razzi e Scilipoti: oggi B. ha i suoi guai con gli elettori, i posti in poltrona sono pochi. Penso che il meglio, tra loro, lo abbia ottenuto Pizzarotti. Credo che in questa gente, oltre all’avidità che sta al primo posto, si sia sviluppato un concetto deformato di sé stessi. Probabilmente sono quei bei palazzi, che hanno il potere su chi è intellettualmente carente, a deformare la realtà e la percezione di sé e delle cose.

Paola Zucca

 

Il salva-Salvini conferma: la legge non è uguale per tutti

Dopo due pareri discordanti con Travaglio (il primo su Minniti, l’altro riguardante la proposta di Salvini sul servizio militare), mi trovo d’accordo invece sulla sua considerazione circa l’esito della votazione in rete riguardo le sorti giudiziare del “Capitano”. Bobbio diceva che “i valori non si fondano ma si assumono”. In base a questo, mi iscrissi al Movimento 5 stelle, e seppur anziano ne divenni un attivista, per far miei quei princìpi che il M5s portava avanti, tra cui quello che asserisce che “tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge”. Valore fondante della democrazia, perchè fa sì che la politica assuma quel significato etico che la fa sorgere a “morale”. L’esito della votazione mi dice invece che c’è sempre un primus inter pares. Non essendo in sintonia con questo modo di pensare, ho tolto la mia iscrizione al Movimento. Spero che il Fatto continui su questa linea di fermezza.

Vincenzo Valtriani

 

Da sempre con il Movimento perché credo in quei valori

Sono un “talebano” io che ho sempre votato Movimento 5 Stelle fin dalla sua nascita. Credo ancora oggi agli ideali del primo M5s, quegli ideali che mi avevano fatto sperare che in Italia qualcosa potesse cambiare. Credo nella giustizia, perché tutti siamo uguali di fronte alla legge. Spero in una politica migliore, una politica al servizio del cittadino, fatta di trasparenza ed onestà.

Mario Farinelli