Draghismo a catinelle alla Camera. Il deputato Stefano Ceccanti e la sua associazione “Libertà Eguale” presentano il documento definitivo: “Il fattore Draghi e la politica italiana”. Un sondaggio (mille intervistati) con l’obiettivo di “scandagliare il sentimento dell’opinione pubblica nei confronti del premier”. I risultati sono immaginabili: è un gran sentimento. Gli italiani – dice il report – amano Draghi ancora più di quanto non lo amino i potenti. I numeri, elaborati dalla società Sociometrica di Antonio Preiti, parlano chiarissimo: il giudizio nei confronti del governo è positivo, ma quello nei confronti del presidente è addirittura entusiastico. “Abbiamo sottoposto una serie di aggettivi agli intervistati per descrivere Draghi – spiega Preiti – e viene fuori un giudizio eclatante. Insomma, di un’intensità positiva eclatante”. Non trattiene l’entusiasmo: “Il 32% dice che è ‘autorevole’ e ‘competente’. Un 26% lo giudica ‘freddo’, ma ognuno può interpretarlo come vuole questo aggettivo. Poi c’è ‘intelligente’ al 26%. Infine, molti ne apprezzano la ‘capacità di decisione’”. Nel complesso l’adorazione si misura attorno all’80%. “Come vedete nel report – gongola Preiti – non ci sono grandi differenze tra gli elettori dei partiti. Rispetto a Draghi c’è quasi unanimità, è un consenso omogeneo”. Poi la domanda delle domande: dove lo volete questo popò di Super Mario? Siccome purtroppo ce n’è uno solo, quasi tutti gli intervistati lo vedono ancora a Chigi: il 70% preferisce che resti premier, il 12% tifa per il trasloco al Quirinale. I restanti sono i pochi pazzi che non lo desiderano in nessuna carica pubblica.
Fin qui i numeri, poi inizia il dibattito: alla corte draghista si raccoglie la crème dell’autocelebrato “riformismo” nostrano, quel piccolo magma centrista che si spinge dalla destra del Pd fino alle colonne d’Ercole di Italia Viva (ieri, per inciso, si è aggiunto il nuovo partito dell’ex ministra grillina Elisabetta Trenta, si chiama NoI e ha un Qr code come simbolo).
Volano parole meravigliose: Draghi è “un metaleader”, ha una “leadership adattiva”, un “adaptive mindset”, “è la guida adatta per una strategia globale nella nuova competizione tra le nazioni” (ancora Preiti). Ma in fondo si guarda pure al futuro, quando Mario non ci sarà più: c’è una corposa eredità politica su cui mettere le mani. Per il dem Enrico Morando, “ci sono indicazioni chiare per il Pd e le forze riformiste: bisogna presentarsi agli elettori come i continutori del suo cammino”. Secondo Debora Serracchiani c’è un’oggettiva “assonanza tra quello che sta facendo il governo e le decisioni del Pd che l’hanno accompagnato”. Il renziano Luigi Marattin va sul metafisico: “Nei prossimi 12 mesi la politica italiana dovrà recuperare l’intento originario del governo Draghi”. Carlo Calenda invece è in versione Sibilla Cumana: non si capisce quasi nulla di cosa voglia dire. “Non bisogna pensare che da Draghi possa arrivare una cosa salvifica per i prossimi 30 anni dell’Italia – sostiene – ma un passaggio di fase sì, quello è già dentro il Paese”.
Marco Bentivogli, infine, ha gli occhi a cuoricino: “I numeri dicono chiaro che questo non è il governo dei migliori, ma il governo del Migliore”. Un bacio a Palmiro Togliatti.