L’effettodella mozione di maggioranza sul Tav votata alla Camera, interpretata da tutti come un addio all’opera, non è piaciuto a Matteo Salvini. E neanche le voci di uno scambio tra lo stop al tunnel in Val di Susa e il niet al processo per il caso Diciotti. E quindi, ieri, sempre dalla Sardegna – terra del cuore del ministro dell’Interno almeno fino a domenica – il “capitano” ha voluto rassicurare i fan dell’alta velocità: “Non c’è alcun blocco della Torino-Lione, c’è solo una revisione del progetto con l’obiettivo di portare a termine il progetto. Faccio e farò tutto il possibile perché l’opera si faccia: il progetto può essere rivisto e si possono risparmiare dei soldi, ma il treno inquina meno e costa meno delle auto”. Altrettanto diplomatico, ma di certo meno convinto dei benefici del treno, il collega delle Infrastrutture Danilo Toninelli: “Non c’è una sola opera bloccata in questo paese. C’è soltanto il Tav sospeso per capire se i tanti miliardi impegnati possono essere spesi meglio per tutti gli altri cantieri”. Silvio Berlusconi almeno, dalla Sardegna anche lui, è contento: “Oggi Salvini si è corretto e ha detto che il Tav si deve fare”.
“Ma le parole dem sulla giustizia sono sbagliate”
Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio, è da anni il braccio sinistro di Nicola Zingaretti. Un giornalista l’ha definito “l’uomo che dice ciò che Zingaretti non può dire”. Lui ovviamente respinge al mittente: “Il sodalizio tra me e Nicola ha retto questi anni proprio perché siamo diversi. Io non parlo a nome di Zingaretti, ha già i suoi portavoce. Non sono neanche iscritto al Pd”.
Ma voterà alle primarie.
Certo. L’elezione di Zingaretti è la precondizione per riaprire la partita a sinistra. Per trasformarla davvero in una “Piazza Grande” (come da titolo dell’iniziativa di domani a Roma, ospite d’onore Giuliano Pisapia, ndr). E perché le primarie siano un evento di popolo bisogna portare a votare almeno 1 milione e 200 mila persone. Così rinasce un campo democratico.
Le espressioni “Campo progressista” e “campo largo”, in questi anni non hanno portato bene…
(Ride) Ma io resto lì, ci sto lavorando da 10 anni… Non c’è alternativa: abbiamo bisogno di allargare e rinnovare la sinistra. Altrimenti accettiamo la deriva salviniana: razzista, nazionalista e maschilista.
Un campo largo. Quanto?
Faccio una proposta a chi è a sinistra del Pd: state dentro. Come fanno Sanders e Ocasio-Cortez nei democratici americani: convivono con figure come Hillary Clinton.
Porte aperte anche per De Magistris e compagni?
Credo sia un problema più loro che nostro. Se si va avanti così alle Europee ci saranno tre liste di sinistra radicale che forse butteranno via il 6%, nessuna ha la forza di superare lo sbarramento al 4.
Voi proponete invece una “lista dei democratici e progressisti europei”. Con chi?
Spero ci siano biografie e personalità diverse. Vorrei gente come Cacciari, Pisapia, Ilaria Cucchi e Mimmo Lucano.
La politica è frenetica. Carriere e cicli politici ormai si bruciano in 4 anni. Zingaretti non è un po’ “vecchio”?
Una proposta di governo non è solo un prodotto di marketing: la politica deve cambiare le vite delle persone. Con atti concreti. I discorsi sulla rottamazione hanno un po’ stufato. C’è bisogno di tutti: giovani, anziani, donne, uomini, bianchi e neri.
Renzi che fa? Resta, va via?
Il mio discorso inclusivo vale per tutti. La nostra sciagura è stata la frammentazione.
Ma la sua è una figura particolarmente invadente…
Insisto. Poi sarà Renzi a decidere cosa fare.
E Calenda? Zingaretti ha firmato il suo manifesto. Europeismo ultra moderato.
Noi siamo europeisti ma critici. Anche Calenda è una risorsa, nel quadro della sinistra plurale e composita di cui abbiamo parlato finora.
Che ne pensa delle parole di Renzi dopo l’arresto dei genitori?
Esprimo rispetto per il dramma che sta vivendo la famiglia, ma non credo che ci siano complotti. Dalle accuse ci si difende in maniera composta. Nel processo. Mai difendersi dal processo.
Quello di Renzi è un linguaggio berlusconiano.
È un linguaggio sbagliato.
E il rapporto con i 5Stelle?
Al momento mi pare improbabile qualsiasi ragionamento su di loro. Ora sono al governo e stanno legittimando la sua deriva razzista. Ma nei 5Stelle c’è anche un voto di sinistra incazzata che dobbiamo provare a recuperare.
Il file audio di Richetti che manda “a cagare” Martina è un bell’aiuto…
Richetti si lamenta della presenza di Lotti e De Luca, ma credo che quando ha scelto Martina conoscesse già il perimetro di quell’operazione politica. Mettiamola così. Giachetti ha un’identità chiara, quella dell’orgoglio renziano. Martina invece faccio fatica a capire cosa sia…
Renzi vero leader del Pd, nel nome dei genitori
“C’è qualcosa di grande tra di noi, che non potrai cambiare mai, nemmeno se lo vuoi”. Nella scelta della colonna sonora, la canzone dei Lunapop, l’ennesima riedizione di Renzi alla riscossa sceglie di mettere l’accento sulla grande storia d’amore tra l’ex premier e la “gente”.
Scelta quanto mai generica per un Renzi che torna a presentare il libro dopo i domiciliari ai genitori. Location: il Lingotto di Torino. La sala conta 580 posti, di persone ce n’è qualche decina in più. Sono “quelli che restano” (copyright De Gregori, cit. Renzi) per i quali l’ex segretario mette in scena il prossimo show in giro per l’Italia. A omaggiarlo, ben 2 candidati su 3 alle primarie: Roberto Giachetti, accolto da un’ovazione e Maurizio Martina, accompagnato da Lorenzo Guerini, che dopo l’audio di Matteo Richetti che sostanzialmente si tira fuori, diventa la pedina di Luca Lotti. Il Pd minoritario ridiventa renziano.
L’ex premier inizia sotto tono, palesemente sotto botta. Poi, però, sceglie le parole e gli affondi: “Sono orgoglioso e fiero di essere il figlio di Tiziano Renzi e di Laura Bovoli”. Usa addirittura il “noi”: “Noi ci difendiamo nei processi, non abbiamo l’immunità, non siamo come quelli che si difendono dai processi”. Riferimento a Matteo Salvini, con una sorta di amnesia: non è esattamente una scelta un processo per i suoi genitori, è il corso inevitabile della giustizia. L’unico passaggio sopra le righe sulla magistratura è quando afferma: “Aspettiamo le sentenze, ma si giudica ciò che accade”. La sala applaude. “Noi non siamo vendicativi”. “Perché tu sei un signore”, gli urlano. A un certo punto sul palco arriva un banchetto. Con una serie di documenti. “Proprio perché credo nella giustizia, ho deciso di presentare una serie di querele. La prima che firmo è per Marco Travaglio che ha messo la mia faccia sulla carta igienica”. Ma l’elenco è lungo: c’è quella per Piero Pelù (“Mi ha definito il boy scout di Licio Gelli”) e Costanza Miriano, l’autrice di Sposati e sii sottomessa (“Ha detto che io ho fatto morire i bambini in mare”). Una provocazione quella di usare platealmente la magistratura contro chi lo critica o lo denigra.
Quello di Torino è un comizio come Renzi forse ne ha fatti a migliaia. E però è alla ricerca di Un’altra strada.
Raccontano dietro le quinte che nella ridotta del Senato girano due sondaggi, secondo i quali un nuovo spazio politico di centro sarebbe all’8-9%. Uno di questi dice però che lo spazio c’è se non c’è Renzi. L’altro è più possibilista, ma non ottimista. Ecco spiegata la tela di Maria Elena Boschi, ieri in prima fila con Francesco Bonifazi e il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino (che però se ne va a metà). Lei sta cercando di convincere Matteo che non deve uscire dal Pd, che deve eroderlo da dentro. Complici, evidentemente, Martina e Giachetti. “Il Pd ha bisogno di Renzi, delle sue idee e del suo coraggio nel fare opposizione a questo governo”, dice nel retropalco a chiunque glielo chieda. Un’idea si sta facendo strada tra fedelissimi e non: che – complice anche il quasi certo fallimento dei gazebo – il Pd non sia che un contenitore vuoto. “Il Pd già non esiste più, va solo eliminato del tutto. A quel punto ci sarà uno schieramento di centrosinistra, che si oppone a Salvini, visto che i 5stelle sono finiti”, ragionava ieri un big. Parole che riecheggiano nelle affermazioni di Renzi: “M5S può arrivare terzo alle Europee”. E nelle valutazioni di Guerini: “I partiti serviranno sempre, bisogna vedere come si reinventano”.
Seduti per terra, davanti al palco, un gruppo di ragazzi ragionava: “Io vorrei fuori dal Pd quelli che volevano il governo con i Cinquestelle”, il primo. E un altro: “Un governo Pd-FI sarebbe stato il male minore”. Un progetto fuori tempo massimo. Ma Renzi, che instancabile firma copie, a fare il leader non ci ha ancora rinunciato.
Li chiamavano Centrodestra, erano il bar di Guerre Stellari
Il “Celeste” Roberto Formigoni è solo l’ultimo nel corposo esercito di condannati schierati dallo squadrone del centrodestra, che ha a lungo dominato la politica italiana. Nelle sue varie declinazioni – Polo del buongoverno, Casa delle Libertà, Popolo delle libertà, Pdl – Berlusconi e i suoi hanno fatto furore più nelle aule dei tribunali che in quelle parlamentari. I volti che vi mostriamo in questa pagina sono una piccola parte dei protagonisti di questa storia. Abbiamo stilato un elenco che conta quasi 40 politici condannati, e probabilmente il numero è in difetto.
Leggiamoli così, tutti di un fiato, proprio come una lunghissima squadra di calcio. I fondatori: Berlusconi e Bossi (Gianfranco Fini invece è “solo” a processo per la storiaccia della casa di Montecarlo). Poi ex ministri e parlamentari: Previti, Dell’Utri, Cosentino, Matacena, Verdini, Brancher, Papa, Grillo (Luigi), Frigerio, Borghezio, Vito, Matteoli, Catone, Speciale, Belsito, Sirchia, Salini, Sgarbi, Romani, Laboccetta, Minzolini, Farina, Brigandì, Sciascia, Angelucci e Galati. Infine gli ex governatori: Formigoni, ovviamente, poi Cota, Cuffaro, Lombardo, Scopelliti, Pili, Maroni, Galan e Iorio
Umberto Bossi
Oltre a vari processi per vilipendio c’è la storia dei soldi della Lega: lo scandalo dei rimborsi
gli è valso una condanna di 2 anni e 3 mesi
Cesare Previti
Condannato a 6 anni per corruzione in atti giudiziari nel processo IMI-SIR e a
1 anno e mezzo per il Lodo Mondadori
Aldo Brancher
Il ministro-lampo (17 giorni) è stato condannato a 2 anni per ricettazione nell’ambito dell’inchiesta Antonveneta
Giancarlo Galan
Coinvolto nello scandalo Mose, dopo 78 giorni di carcere, ha patteggiato
2 anni e 10 mesi e restituito 2,5 milioni
Gianfranco Fini
Il numero 2 è l’unico dell’elenco a non essere mai stato condannato. Ma è a processo per riciclaggio per la famosa casa di Montecarlo
Marcello Dell’Utri
Il braccio destro di B. è stato condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa
Paolo Romani
L’ex ministro delle Comunicazioni
è stato condannato in via definitiva
a 1 anno e 4 mesi per peculato
Roberto Cota
Le celeberrime “mutande verdi” della “Rimborsopoli” piemontese gli sono costate un anno e 7 mesi per peculato
Silvio Berlusconi
Il fondatore: il suo curriculum giudiziario, come noto, è sterminato. La prima condanna definitiva è arrivata nel 2016 per frode fiscale
Nicola Cosentino
Nick ‘o mericano è stato condannato in 4 processi. Il principale: 9 anni per appoggio “esterno” alla camorra
Antonio Angelucci
L’editore di Libero è stato condannato a 1 anno e 4 mesi per falso e tentata truffa su contributi pubblici non dovuti
Salvatore Cuffaro
Condannato a 7 anni per favoreggia-mento verso esponenti di Cosa Nostra.
Ha scontato quasi 5 anni in carcere
Denis Verdini
Impossibile riassumere i suoi guai: l’ultima condanna, a 4 anni e 4 mesi,
è legata al crac del Credito Fiorentino
Amedeo Matacena
Tra i vari procedimenti, può vantare
la condanna a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa
Raffaele Lombardo
È stato assolto in appello dall’accusa
di concorso esterno, ma condannato
a 2 anni per voto di scambio
Francesco Belsito
Insieme a Bossi, l’ex tesoriere della Lega è il protagonista delle inchieste
sulla gestione dei soldi del Carroccio
Luigi Grillo
Arrestato in un’inchiesta legata alle ASL milanesi, all’Expo 2015 e Sogin, ha patteggiato 2 anni e 8 mesi
Giuseppe Scopelliti
Dopo 10 mesi di carcere, ha ottenuto
il beneficio del lavoro esterno. È stato condannato a 4 anni e 7 mesi per falso
Legittima difesa dell’altra vita
Che sia uno a cui piace spararla grossa, è cosa nota. Figuriamoci quando dall’altra parte è convinto che nessuno possa rispondere. Così, l’altro giorno durante un comizio per il candidato sindaco a Bari, si è messo a fare battute con l’attuale segretario provinciale della Lega, Enrico Balducci. Che, prima di fare politica col Carroccio, gestiva un distributore di benzina in cui avvenne un tentativo di rapina: fu Balducci nel 2010 a sparare il colpo che uccise il 23enne Giacomo Buonamico. L’omicidio gli è costato una condanna definitiva a 3 anni e 8 mesi di reclusione, ma adesso sta sul palco con il ministro a gongolare: “Il rapinatore nella prossima vita deve cambiare mestiere”, dice Salvini, “in questa legge è previsto per i parenti del povero rapinatore rimborso zero”, insiste parlando della legittima difesa all’esame del Parlamento, “sono affaracci tuoi se decidi di fare il rapinatore ti assumi i rischi del tuo vigliacco mestiere”. Ai genitori di Giacomo, i toni non sono piaciuti. E hanno deciso di querelare il ministro: “Giacomo è tristemente e ingiustamente incolpato di avere commesso una rapina in concorso con un’altra persona” e “non si è mai potuto difendere dalle infamanti accuse. Unica certezza: non era pregiudicato, non aveva precedenti penali e non è mai stato condannato per il reato di rapina”.
L’Agcom richiama Rai e Sky: “Troppo spazio al governo”
L’autorità garante per le Comunicazioni (Agcom) ha rivolto un richiamo alla Rai: la gestione dell’emittente televisiva è ritenuta troppo parziale. Poco spazio al contraddittorio e troppo alle opinioni del governo: questo si traduce in un danno al telespettatore e, più in generale, al pluralismo nell’informazione. Ma la Rai non è l’unica a venire ripresa. Anche SkyTg24, infatti, nel mese di gennaio 2019 non è riuscita a gestire in maniera equilibrata i tempi concessi nei suoi notiziari ai vari soggetti politici e istituzionali. L’Agcom si era già rivolta alle emittenti televisive a dicembre, sottolineando “l’inedita sovra-rappresentazione della voce del governo e, in particolare, dei due vicepremier” e la contemporanea “sistematica sotto-rappresentazione” delle opposizioni. Quella raccomandazione è rimasta inascoltata, sostiene oggi l’Authority. Per Michele Anzaldi, deputato del Pd e segretario della Vigilanza Rai, “l’Agcom decreta ufficialmente la faziosità di questa Rai”. Il riferimento è anche a Tg2 Post, che ha diffuso sondaggi sulle regionali sarde dopo il termine di legge. Se continua così, Alessia Morani (deputata del Pd) ha dichiarato su Twitter l’intenzione di procedere per via giudiziaria.
Tanta stima, lacrime e vergogna: la carica di tweet per il Celeste
L’arresto di Formigoni dimostra che in Italia la giustizia è una questione ancora aperta. Non conosco le carte processuali ma sono umanamente dispiaciuto. Formigoni è stato il miglior governatore in assoluto di tutte le regioni.
Silvio Berlusconi
Per anni mi sono scontrato con Roberto Formigoni ma vederlo finire in carcere ora che non esiste più alcuna sua pericolosità sociale, non mi dà nessuna soddisfazione. Semmai disagio. Mi auguro si applichino le pene alternative previste dalla legge per tutti i cittadini. Chi mi accusa di indulgenza nei confronti di Formigoni ha appreso le sue malefatte dalle mie trasmissioni, in cui mi scontravo con lui quando era un potente. Chi augura con troppa facilità al prossimo suo di finire in carcere, dovrebbe trascorrervi prima una notte per prova.
Gad Lerner
Formigoni è stato condannato. Tralascio qualunque commento su come sia stato costruito il processo. Una cosa però è inaccettabile dal punto di vista della civiltà giuridica: l’applicazione retroattiva della legge “spazzacorrotti”! Usino le norme vigenti allora.
Guido Crosetto
La condanna dell’amico Roberto Formigoni dà un’immagine di persona che non corrisponde al bravissimo amministratore pubblico che tutti abbiamo conosciuto e che ha trasformato la Lombardia nel modello di buon governo di cui milioni di cittadini oggi ancora ne godono i frutti. Resta incomprensibile come sia possibile condannare un politico che ha fatto delibere, oggetto della corruzione, inappuntabili e corrette. La mia amicizia, stima e gratitudine per Roberto Formigoni resta immutata.
Maurizio Lupi
Sono amareggiato e dispiaciuto per Formigoni che per 18 anni ha contribuito a sviluppare un incontestabile serie di importanti primati in Lombardia. Non limitiamoci a giudicarlo solo per questa sentenza.
Attilio Fontana
Da ieri sera prego per Formigoni. Disprezzo chi sta esultando perché va in carcere, grazie a una legge ignobile, un uomo di 71 anni (non socialmente pericoloso). Grazie a Formigoni per come ha saputo rendere la mia regione prima in Italia e tra le prime in Europa.
Antonio Palmieri (FI)
A memoria d’archivio Formigoni è l’unico politico (a parte Cuffaro) finito in galera. Forse perché è il più onesto.
Vittorio Feltri
Non saprei giudicare se la sentenza è giusta o meno. Ovviamente la solidarietà umana senz’altro c’è. Quella è indiscussa. Credo che il giudizio politico su Formigoni sia complesso in un periodo così lungo, certamente, se avesse gli arresti domiciliari, non sono tra quelli che griderebbero allo scandalo.
Beppe Sala
Sono nato e morirò garantista, sulla mia persona hanno fatto e detto di tutto e sono uscito a testa alta, ma questo è un colpo che disorienta un Paese che avrebbe bisogno di certezze politiche. È stato un grande protagonista di una stagione politica, sono addolorato nel leggere le accuse per cui è stato condannato in maniera definitiva. Mi dispiace l’idea che vada in carcere e mentre spero che le sue colpe possano essere ridimensionate, sono dispiaciuto per una vicenda che mortifica l’autorità del Paese.
Emilio Fede
L’atteggiamento della magistratura è noto. Resta comunque l’azione del governo in Lombardia condotta da Formigoni che ha raccolto tanti giudizi positivi.
Maurizio Gasparri
Lo andrò a trovare presto. Rispetto la decisione dei giudici, mi duole che fino a un mese fa la pena sarebbe stata espiata secondo un rito più umano, che avrebbe previsto misure alternative.
Renato Schifani
Formigoni è stato un grande presidente della Regione Lombardia, un grande presidente. Mi dispiace dal punto di vista umano. È stato un grande presidente e ha guidato una regione all’avanguardia, soprattutto nel campo della sanità. È un grande dolore vedere che una persona come lui finisce in carcere.
Carlo Giovanardi
Dispiace profondamente la vicenda umana di Formigoni. Non può essere dimenticato l’impegno dell’ex governatore e i risultati oggettivi ottenuti a favore di famiglie e imprese durante il suo mandato. Un mandato durante il quale la Lombardia è diventata una delle regioni più avanzate ed efficienti d’Europa.
Carlo Sangalli (presidente Confcommercio Milano)
Formigoni in carcere? Dispiaciuta e addolorata. Non conosco le carte ma conosco la passione e l’impegno con cui si è dedicato alla Lombardia. Mi spiace saperlo in carcere, mi spiace per la persona e per quello che di buono ha fatto.
Mariastella Gelmini
Vergogna che 5Stelle festeggi lo spazzacorrotti e la galera per una persona di 71 anni. Formigoni non avrà diritto a domiciliari e a pene alternative? Ha fatto molto per Lombardia ma ora viene trattato alla stregua di un mafioso.
Stefano Parisi
“La legge non è retroattiva” Spazzacorrotti nel mirino
L’umore: “Buono”. Roberto Formigoni “è sereno”. Lo garantisce il suo avvocato, Mario Brusa, che lo segue da tanto tempo. È entrato nel carcere di Bollate, alle porte di Milano, alle 10 di ieri, 22 febbraio 2019, a bordo di una Bmw grigia. Ha varcato i cancelli, è sceso dall’auto nel cortile interno, si è diretto a piedi verso l’ufficio matricola, dove ha declinato le sue generalità. Poi ha consegnato i suoi effetti personali, che saranno custoditi nell’apposito ufficio, si è sottoposto alla visita medica generale e ha incontrato gli educatori e lo psicologo del carcere per il primo colloquio.
Un’ora prima, i carabinieri della sezione catturandi avevano suonato alla porta della sua abitazione milanese, per consegnargli l’ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale e firmato dal sostituto procuratore generale Antonio Lamanna.
Formigoni non c’era. Si è subito dopo costituito a Bollate, mentre i suoi avvocati presentavano alla Procura generale della Repubblica di Milano una richiesta di sospensione dell’ordine di carcerazione. Con due argomentazioni. La prima sostiene che l’arresto non va eseguito perché il decreto Spazzacorrotti ha un effetto sostanziale e non solo procedurale, dunque – spiega l’avvocato Brusa – non può essere applicato a reati commessi prima della sua entrata in vigore.
La seconda dice che l’obbligo di far entrare in carcere anche persone che hanno più di 70 anni d’età – come previsto dalla Spazzacorrotti – potrebbe avere profili d’incostituzionalità, perché per la Carta costituzionale la pena deve avere effetti rieducativi, ma dopo quell’età la cella è solo punitiva.
Sì, l’ingresso in carcere di Formigoni, condannato in via definitiva a 5 anni e 10 mesi, è il primo effetto clamoroso del decreto voluto dai Cinquestelle contro la corruzione: niente pene alternative, niente arresti domiciliari, niente affidamento ai servizi sociali a chi è condannato, con una pena sopra i 2 anni, per reati che hanno a che fare con la corruzione; e, per gli stessi reati, obbligo di entrare in cella anche per chi ha già compiuto i 70 anni d’età.
La Procura generale ha già espresso la sua intenzione di dare un parere negativo alla richiesta dei difensori e ha passato la loro istanza alla Corte d’appello, perché ritiene che quello degli avvocati di Formigoni sia un “incidente di esecuzione”, che ha bisogno di una decisione di merito e non solo di procedura. Sarà dunque un collegio di giudici a sentenziare: la quarta sezione penale della Corte d’appello milanese.
Se riterrà la Spazzacorrotti valida anche per Formigoni, le porte del carcere resteranno chiuse. Perché quel decreto ha inserito la corruzione tra i reati “ostativi” (come quelli di mafia, quelli associativi, gli omicidi, i reati sessuali gravi eccetera): “ostativi” a ottenere pene alternative. Così non può più scattare neppure il cosiddetto “comma Previti”, che permise al senatore Cesare Previti, amico e avvocato di Silvio Berlusconi, condannato per corruzione in atti giudiziari, di uscire di cella e ottenere comunque gli arresti domiciliari, benché con una pena superiore a 3 anni: in forza del fatto che aveva più di 70 anni d’età.
In cella, maturano comunque gli sconti di pena: 45 giorni ogni 6 mesi. Quindi dopo aver scontato 1 anno e 6 mesi, la sua pena residua sarà scesa sotto i 4 anni, dunque potrà chiedere di uscire dal carcere e terminare l’espiazione in affidamento ai servizi sociali. Affidamento non automatico, però, per effetto della Spazzacorrotti: dovrà dimostrare la sua piena collaborazione con la giustizia.
Rivendica il merito Roberta Lombardi, ex deputata Cinquestelle e oggi capogruppo M5S nel Consiglio regionale del Lazio: “Formigoni va in carcere per corruzione”, scrive via Twitter, “per aver alimentato un vero e proprio business sulla salute dei cittadini usata come merce di scambio per il proprio consenso politico. Ecco i primi effetti della legge M5S Spazzacorrotti. Ecco il governo del cambiamento che ci piace”.
Rincara la dose il sottosegretario Stefano Buffagni: “Questo governo ha dichiarato guerra alla corruzione. Guerra a un cancro che prosciuga l’Italia da decenni, perpetrato da una politica corrotta, da clientele, amici di amici, appalti e favori. Da oggi in Italia c’è un governo che usa il pugno duro, durissimo”.
Lunghissimo l’elenco dei politici che esprimono solidarietà al Celeste, con affermazioni che vanno dal “condannato senza prove” (Fabrizio Cicchitto, P2) al “non si condanna una storia” (diventato il claim postato sui social network dagli amici di Formigoni).
“Il carcere è duro per tutti”, commenta il cappellano di Bollate, don Fabio Fossati, “ma per chi arriva da un certo mondo il primo giorno è durissimo. Però l’ho visto tranquillo. Avremo modo di conoscerci”.
Tutti fumo niente arresto
A leggere le dolenti e lacrimanti dichiarazioni di politici e intellettuali di destra, centro e sinistra per l’arresto di Roberto Formigoni, condannato definitivamente dalla Cassazione a 5 anni e 10 mesi, cui farà seguito il consueto pellegrinaggio di vedove e orfani inconsolabili nella cella del nuovo Silvio Pellico, una domanda sorge spontanea. Ma che deve fare un politico italiano, per 18 anni governatore della Lombardia, per guadagnarsi un minimo di riprovazione sociale, se non bastano nemmeno 6,6 milioni di tangenti (su un totale di 80) sotto forma di ville in Costa Smeralda, yacht in Costa Azzurra, vacanze ai Caraibi e in Sardegna, banchetti a base di champagne in ristoranti stellati, benefit vari e finanziamenti elettorali illeciti rubati al sistema sanitario nazionale, cioè sulla pelle dei malati? L’altroieri il Pg della Cassazione, chiedendo la conferma della condanna d’appello a 7 mesi e mezzo (poi un po’ ridotta per la solita prescrizione), ricordava “l’imponente baratto corruttivo… tenuto conto del suo ruolo e con riferimento all’entità e alla mole della corruzione, che fanno ritenere difficile ipotizzare una vicenda di pari gravità”.
Siccome una sentenza irrevocabile, non il teorema della solita Procura di Milano, ha accertato che tra il 2001 e il 2011, dalle casse della Fondazione Maugeri e del San Raffaele (cliniche private convenzionate e foraggiate dalla Regione, con l’aggiunta di favori indebiti per 200 milioni di denaro pubblico), sono usciti rispettivamente 70 milioni e 8-9 milioni, poi transitati su conti di società estere “schermate” e finiti nelle tasche dell’imprenditore Pierangelo Daccò, dell’ex assessore Antonio Simone, di Formigoni e di suoi prestanome, tutti ciellini di provata fede, la classe dirigente di un Paese serio si congratulerebbe con i magistrati per aver neutralizzato e assicurato alla giustizia un pericoloso focolaio d’infezione che per quattro lustri ha depredato la sanità pubblica di una delle regioni più prospere d’Italia. Invece chi candidò questo bell’esemplare di nababbo a spese nostre col voto di povertà, chi lo sostenne (da FI ai centristi Udc alla Lega), chi finse di fargli l’opposizione (il Pd) e chi lo votò si vergognerebbe come un ladro. E tutti ringrazierebbero i 5Stelle per due meriti indiscutibili, acquisiti prima della cura Salvini: aver costretto i partiti a dare una mezza ripulita alle liste del 4 marzo 2018, cancellando almeno i più impresentabili fra gli impresentabili (senza i famigerati “grillini”, FI avrebbe ricandidato Formigoni per la sesta volta); e aver approvato la Spazzacorrotti che equipara la corruzione ai reati di mafia.
Cioè la rende “ostativa” ai benefici penitenziari, pene alternative e altre scappatoie. E ci risparmia per il futuro il consueto spettacolo del potente di turno che “sconta” la pena ai domiciliari o ai servizi sociali senza un giorno di galera. Invece siamo un popolo che, non avendo conosciuto la Riforma protestante, non sa cosa sia l’etica della responsabilità. Infatti, all’ennesimo arresto di “uno del giro”, il coro delle prefiche ha ripreso a lacrimare, passando senza soluzione di continuità da casa Renzi alla cella di Forchettoni. Il messaggio classista di queste lamentazioni è che i “signori” non si arrestano mai, neppure quando ce la mettono tutta per finire in galera nel Paese che li respinge sulla soglia, e alla fine ci riescono. In fondo, la nostra infima “classe dirigente” rimpiange quei tempi e quei figuri. E anche nella presunta sinistra fioccano le riabilitazioni di B. purché ci (anzi li) salvi dal “populismo”. Cominciarono Scalfari e De Benedetti (“Meglio B. di Di Maio”), proseguì Renzi (“Chiediamo scusa a B.”), poi arrivò lo scrittore Veronesi (“Firmerei col sangue per il ritorno di B.”). E ora Augias, su Repubblica, per poter sostenere restando serio che “questo governo è il peggiore della storia repubblicana”, deve scrivere che i governi B. furono acqua fresca: “B. badava ai suoi affari e a scansare la galera” con qualche “legge su misura”, che sarà mai, “ma non ha danneggiato struttura ed equilibri dello Stato come rischiano di fare questi”.
In effetti B. si limitò a consegnare la democrazia e le istituzioni a un’associazione per delinquere che ha rapinato l’Italia, in miliardi e in diritti, per un quarto di secolo. Basta ricordare la lista dei condannati, imputati e indagati di quello che chiamiamo spiritosamente “centrodestra”. Due dei tre leader fondatori, B. e Bossi, sono pregiudicati passati dai servizi sociali. L’altro, Fini, è imputato per riciclaggio. I creatori di FI, Dell’Utri e Previti, sono pregiudicati l’uno per mafia e l’altro per corruzione giudiziaria. Il leader della Campania, Cosentino, ha già totalizzato 25 anni di carcere per camorra. Quello della Calabria, Matacena, è latitante a Dubai. E prima di Formigoni erano stati indagati, o arrestati, o condannati in vari gradi di giudizio o prescritti i governatori di centrodestra di quasi tutte le Regioni: Cota (Piemonte), Biasotti (Liguria), Maroni (Lombardia), Galan (Veneto), Polverini (Lazio), Pace (Abruzzo), Iorio (Molise), Fitto (Puglia), Scopelliti (Calabria), Drago, Cuffaro e Lombardo (Sicilia), Cappellacci (Sardegna). En plein. Per non parlare dei membri di Parlamenti e governi: Verdini, Scajola, Brancher, Papa, Luigi Grillo, Frigerio, Alfredo Vito, Matteoli, Sirchia, Romani, Angelucci, Sgarbi, Belsito, Sciascia, Minzolini, Farina per citare solo i migliori. Un esercito di perseguitati politici, un battaglione di vittime della malagiustizia. Prima c’erano quelli che “un avviso di garanzia non è una condanna” e “aspettiamo la sentenza definitiva”. Ora piangono anche dopo le condanne in Cassazione. Formigoni non è ancora entrato in galera e già lo vogliono fuori. Con tutta la fatica che ha fatto per meritarsela.
I destini incrociati delle donne che lottano
Sulle tavole a fumetti di Donne senza paura, 150 anni di lotte per l’emancipazione femminile s’incrociano i destini di chi ha sbriciolato il patriarcato. Come Rosa Luxemburg o la poetessa greca Saffo. Il libro è solo uno degli ultimi a seguire la scia, e a cavalcare il successo, di Storie della buonanotte per bambine ribelli, uscito ormai due anni fa. Mentre il 26 febbraio è in arrivo Io sono una Bambina Ribelle – Il quaderno delle mie rivoluzioni (Mondadori).
Una delle “nuove” ribelli raccontate da Marta Breen e Jenny Jordhal è, ad esempio, la schiava americana Harriet Tubman: fuggì dalla piantagione ma tornò indietro per liberare i compagni. Tubman poi aderì alla prima associazione statunitense per il diritto di voto alle donne, fondata nel 1869 da Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony.
Le autrici suggeriscono un principio: chi lotta per la libertà, se vuole vincere, deve unire lo forze. Lo capì un’altra schiava di colore, Sojourner Truth: “Se gli uomini neri ottengono i diritti, ma le donne nere no, finirà che gli uomini saranno padroni delle donne”, disse a una platea femminista. Fu così che la battaglia contro la schiavitù sposò quella per la parità di genere. Una storia ancora aperta. A Malala, premio Nobel per la pace nel 2014, i Talebani hanno sparato a un occhio per le critiche su un blog. L’ultimo capitolo del libro s’intitola: “Chi di voi è Malala?”.