Ridiscutere il progetto della linea Torino-Lione nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia. È l’impegno che la maggioranza chiede al governo con la mozione depositata alla Camera, firmata dai capigruppo M5s e Lega, Francesco D’Uva e Riccardo Molinari. Ma il documento ricalca quanto è previsto già dal contratto di governo. In pratica, la mozione della maggioranza gialloverde è una mossa per prendere tempo in attesa che il governo non prenderà una decisione. Tanto che nella mozione si fa anche riferimento all’analisi costi-benefici chiesta dal ministero dei Trasporti Toninelli e risultata negativa per 7 miliardi di euro. La mozione ha comunque scatenato le proteste del governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino: “Se si approverà, sarà come mettere una pietra tombale sulla Torino-Lione”. Ma il leghista Molinari ha spiegato che non si tratta di uno stop all’opera. “Le opposizioni gridano al lupo al lupo, ma in realtà la posizione della Lega resta sempre la stessa: richiamiamo il contratto di governo che ci impegna a valutare come realizzare quest’opera nel rispetto degli accordi internazionali”, dice il capogruppo del Carroccio.
“Il contratto funzionerà” “No, siamo infettati da B.”
Il virus ormai si è impadronito di me
Caro direttore Marco Travaglio, voglio farla finita. Politicamente, s’intende. Sono un elettore del M5S, sin dall’inizio. Sono affetto da una grave malattia, ho contratto il virus stellato ma il mio corpo lo sta rigettando con tutte le sue forze. Da qualche mese le mie condizioni sono peggiorate, passando attraverso tre fasi. Inizialmente mi sono detto, non sono d’accordo con le politiche economiche dei 5S, ma alle Europee li voterò ugualmente, per dare il mio contributo alla continuità del governo, che deve avere il tempo di dimostrare l’eventuale bontà delle sue idee. Poi, in preda alle febbri elettorali, ho deciso di non andare a votare; non c’è più un’offerta politica che mi rappresenti. Negli ultimi due giorni, sono entrato in agonia; per me non c’è più nulla da fare, cedo, farò l’unica cosa che non ho mai fatto nella mia vita. Voterò Berlusconi. Voglio decadere anch’io, sprofondare nella turpitudine. Alla malora le leggi, l’onestà, la rettitudine, il civismo, basta tutto. Uno spossato lettore.
Paolo P.
Sono per il No Tav e il Sì al processo Salvini
Gentile Direttore M. Travaglio, da affezionato acquirente e lettore del Fatto Quotidiano (da sempre vicino alle Forze Progressiste di Sinistra), desidero esprimere la mia grande preoccupazione da cittadino sulle vicende politiche degli ultimi giorni. Personalmente sono a favore del “no Tav” e del “sì a Salvini” (da far processare). Diversamente penso ci sarà il suicidio del Movimento 5 Stelle che in Italia rappresenta (o rappresentava?) l’unico schieramento politico da contrapporre al quasi sicuro successo della Destra.
Mario Giuditta
La lotta agli scafisti va fatta anche così
Da sempre accanito ammiratore e sostenitore di ogni tua considerazione politica. Abbonato al tuo giornale dai tempi dell’Antefatto, mia guida politica personale e del “mio” M5S, questa volta che ho votato per l’immunità a Salvini, non dovevi dirmi che non capisco e il mio giudizio è sbagliato.
Ho votato contro il processo a Salvini perché ritengo che la lotta del governo contro gli scafisti e terroristi deve avere regole di guerra mentre i giudici seguono codicilli e interpretazioni varie di codici di pace. Due mondi lontani. Tu conosci il mondo delle parole. Tutto è opinabile a chiacchiere. Sei un grande. Un tuo ammiratore.
Biagio Stante
Atto politico dei giudici, giusto dire di no
Contesto quanto ha scritto Travaglio. Il principio etico era: “Ci si deve difendere nel processo e non dal processo”. Il fine era quello di evitare che un parlamentare o un ministro rifiutassero un
processo in caso di reato, cioè se trasgrediscono una legge per un proprio vantaggio, per es. nel caso di B, se evadono le tasse per arricchirsi o si accordano con la mafia per fare illeciti, così da evitare il processo e farla franca. Questa è l’interpretazione letterale. L’interpretazione logica dice però che, se un’accusa è infondata e non esiste reato fatto a proprio vantaggio ma l’accusa è politica e attacca una scelta di governo, non si deve permettere alla Magistratura di creare intralci di tipo politico. E questo era l’atto in esame. (…) Il M5S non ha tradito nessun principio etico ma ha usato il buon senso. (…) Le accuse giudiziali vanno valutate nell’oggetto e nel contesto e qui tutto indicava non la difesa del diritto ma un tentativo indebito della magistratura di usare l’accusa come un atto politico teso a destabilizzare il governo.
Viviana Vivarelli
I sedicenti “uno” decidono per tutti
Caro Travaglio,
il titolo giusto delle tue riflessioni sul FQ di domenica sarebbe dovuto essere “omicidio perfetto” perché questo sarà l’esito delle azioni dei sedicenti “uno” che ormai operano quasi fossero “tutti”: la distruzione violenta del M5S. A questo si aggiunge la furbata (o vigliaccata) della finta consultazione via Rousseau che avrà un solo risultato certo: quello di far fuggire tutti coloro che, sebbene non attivisti della prima ora, ci avevano creduto e sperato. Questo indipendentemente dal risultato della consultazione.
Nel merito, aggiungo una riflessione/ricordo a memento per i cretini che fingono di credere alla “collegialità” dell’infame comportamento per la Diciotti: il 9 gennaio altra nave (Sea Watch), stesso contesto, Conte disse “li vado a prendere con l’aereo”; Salvini rispose “io non desisto”. Collegialmente. Cari saluti
Antonio La Gioia
M5S ne uscirà bene, l’obiettivo è il Tav
Gentile Marco, a mio avviso lei sbaglia, il movimento ne uscirà bene, il nodo vero è il Tav. La base 5 Stelle ha ben presente l’ignobile tiro al bersaglio cui sono stati sottoposti i sindaci 5Stelle e, oggi, si sta ripetendo lo stesso film con il governo, semplicemente gli elettori hanno voluto dimostrare che ora basta! Salvini non è simpatico ma state sicuri che hanno denunciato lui per colpire proprio i 5 Stelle. Gli elettori saranno stupidi e barbari ma proprio fessi fessi no anche perché sono già pronte, guarda un poco, le denunce sempre per Salvini e per Bonafede per la questione di Cesare Battisti. Questa gente questo sa fare e questo fa, visto che non possiede né un progetto né un’alternativa. È pur vero che la base 5 Stelle è stufa ma sa di chi? Degli eletti che per mero interesse personale si mettono di traverso continuamente, se costoro non venissero obbligati dal regolamento del movimento a versare parte dei loro lauti compensi sarebbero obbedienti e in riga. Leggevo la miserabile presa di posizione di una senatrice, neanche ne ricordo il nome, che criticava la piattaforma Rousseau perché e solo perché, alla fine della fiera, era costretta a finanziarla con 300 euro mensili! E tutti questi “dissidenti” vengono continuamente beatificati nei media e vengono fatti passare come la vera anima del movimento. È di questa gente che gli elettori sono stufi e disgustati, i grillini dovrebbero fare più attenzione a chi imbarcano nelle istituzioni, non solo è gente ignorante e incompetente, basta sentirli parlare e ti cadono le braccia, ma anche esosa e vile. Da ultimo ma non ultimo: Salvini non ha sequestrato nessuno, non doveva andare a processo. La saluto e le auguro buon lavoro.
Paolo Zucca
Quella con la Lega non è un’alleanza
Mi si consenta di non condividere il fondo del direttore Travaglio. Da pentastellato osservo che: la coerenza avrebbe significato la fine di questo governo che si tiene in vita grazie ad un contratto e non un’alleanza, appunto per coerenza. Il M5S è al governo del Paese e grazie a questo contratto dopo appena dieci anni di vita è riuscito e sta riuscendo a cambiarlo. Se dobbiamo essere fedeli alla coerenza e tenere in vita una di quelle poche regole che il Movimento si è dato, si corre il rischio di tornare nell’anonimato considerato che mai il Movimento stesso nel non fare alleanze potrebbe riuscire a raggiungere la maggioranza del 51% dell’elettorato. Allora sarebbe il caso di rivedere certe posizioni e guardare la realtà, il Movimento ha tutti contro e sarebbe un gioco da ragazzi mettersi insieme e uccidere quella speranza in cui ancora credono milioni di italiani.
Pasquale Mirante
La posizione del Fatto Quotidiano sulla decisione dei 5Stelle di salvare Salvini dal processo Diciotti sta suscitando un vivace dibattito fra i nostri lettori. Lo dimostrano le centinaia di lettere ed email che stiamo ricevendo sull’argomento. E non soltanto dagli elettori dei 5Stelle. Alcuni la pensano come noi, altri sono disorientati, altri ancora dissentono dalla nostra linea condividendo quella del M5S. Perciò, come spesso facciamo, pubblichiamo le lettere più interessanti di tutti gli orientamenti (alcune precedenti, altre successive al voto di lunedì). Siamo una grande e libera comunità, con buona pace di chi tenta da 10 anni di affibbiarci etichette e padroni. Ed è bello discutere insieme di questioni di principio come quella alla base del “caso Diciotti”: fino a che punto una scelta di governo può essere penalmente insindacabile? Noi abbiamo detto la nostra: l’accusa di sequestro di persona è molto debole e controversa (ha diviso persino la Procura e il Tribunale del Riesame di Catania); ma, non ricorrendo quell’“interesse pubblico preminente” o “costituzionalmente rilevante” previsto dalla legge costituzionale sui reati ministeriali, era bene che a stabilire la liceità o meno di quell’atto fosse il Tribunale, e non la maggioranza parlamentare allargata per l’occasione a FI. Ora a voi la parola.
Marco Travaglio
“Non mi ricandido”, rinuncia un altro sindaco grillino
Il sindaco Cinque Stelle di Civitavecchia non si ricandida per un secondo mandato. Nel Movimento in crisi sul fronte amministrativo (come ammesso da Luigi Di Maio martedì sera da Floris, su La7), c’è un’altra defezione. Antonio Cozzolino non ha intenzione di ripresentarsi nel comune laziale conquistato nel 2014. La decisione del sindaco di Civitavecchia, fa sapere, è per motivi “puramente di carattere personale”. L’ha annunciato in un lungo post su Fb. “Non so se in futuro tornerò a svolgere un qualche ruolo diretto nella politica, ovviamente sotto la bandiera del Movimento 5 Stelle. Per ora sento che per me e per i miei cari sia questa la decisione più giusta e sono certo che quanti mi vogliono bene e nel corso del mandato mi hanno conosciuto e hanno apprezzato il mio impegno, capiranno. Spero di non aver deluso nessuno con questa mia scelta. Per i ringraziamenti ci sarà tempo”. Nessuna polemica nelle sue parole: “Rimango convinto che il Movimento 5 Stelle sia nell’attuale panorama politico l’unica forza in grado di dare una sterzata a questo paese, a tutti i livelli”.
Torino, 2 consigliere verso l’addio alla maggioranza
Una consigliera sarebbe pronta a lasciare il M5S del Comune di Torino e passare alla minoranza. Un’altra sarebbe in dubbio. Il voto contro l’autorizzazione a procedere al ministro Matteo Salvini ha acuito alcuni malumori interni alla maggioranza che sostiene la sindaca Chiara Appendino, nonostante quest’ultima si sia espressa a favore del processo. Maura Paoli, eletta vicina ai centri sociali, è pronta a lasciare. Incerta, ma sempre critica, la collega Daniela Albano. A loro e agli attivisti si è rivolta la capogruppo Valentina Sganga: “Se uscite dal M5S state dichiarando non solo la nostra sconfitta, ma state perdendo ogni possibilità di agire nel mondo reale”. Paoli le risponde in un post denunciando che l’alleanza con la Lega a Roma “non mi ha mai entusiasmato” anche perché “il prezzo a pagarlo ora sono i più deboli”. “Non ci si deve sempre riconoscere al cento per cento in quello che accade – ha dichiarato in serata la sindaca -, ma il Movimento è la nostra casa e spero che continui ad esserlo per tutti”. Se le due dissidenti lasciassero il M5s, la maggioranza conterebbe 22 consiglieri, solo uno in più del necessario, ma per Appendino “non è a rischio”.
La Procura di Catania chiede l’archiviazione anche per Conte, Di Maio e Toninelli
Così come era successo già per il ministro Matteo Salvini, la Procura di Catania chiede l’archiviazione anche per i suoi colleghi di governo Luigi Di Maio e Danilo Toninelli e per il premier Giuseppe Conte. È la risposta agli atti che erano stati inviati quattro giorni fa dalla Giunta per le immunità del Senato: sono le relazioni che Salvini aveva allegato alla sua memoria difensiva, a dimostrazione – nelle intenzioni del governo – che la decisione di trattenere i 177 migranti a bordo della nave Diciotti fosse stata di natura collegiale.
Il presidente della Giunta, Maurizio Gasparri, aveva dunque inviato a Catania le memorie dei membri dell’esecutivo, per rimetterle alla valutazione dei magistrati, che ieri hanno notificato a Palazzo Chigi la richiesta di archiviazione. Come noto, nel caso di Salvini, il tribunale dei ministri ha poi chiesto invece il rinvio a giudizio e di conseguenza l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro-senatore, respinta due giorni fa dalla Giunta. Se dovesse accadere lo stesso per Conte, Toninelli e Di Maio, sarà di nuovo il Senato a dover decidere nei primi due casi; mentre la parola passerà alla Camera nel caso del vicepremier 5 Stelle, che è deputato. La legge prevede che nei casi in cui il premier non sia parlamentare (come Conte) sia palazzo Madama a rispondere ai magistrati.
Grillo al processo contro il primo dissidente: “Io e Gianroberto? Mai fatto nulla per soldi”
“Con Di Maio bisogna avere un po’ di pazienza”. Dalle risposte ai cronisti che gli chiedevano qualche commento sulle ultime mosse del Movimento 5 Stelle fino alle parole pronunciate in aula davanti ai giudici del Tribunale di Roma. Ieri Beppe Grillo non è passato inosservato mentre entrava nella ventesima aula del palazzo di giustizia di piazzale Clodio. Erano da poco trascorse le tre del pomeriggio quando, seduto nel banco riservato ai testimoni, il garante del Movimento ha risposto a chi sosteneva che il suo blog fosse “una macchina di soldi e potere”. “Il fatto che giravano milioni di euro è una palla messa in giro da questi individui qua che hanno infangato persone perbene che ora non ci sono più. Non circolavano soldi, era solo un blog per fare controinformazione”, ha detto in aula.
Reduce da uno spettacolo al Teatro Brancaccio la sera prima, Grillo era stato citato dall’avvocato Francesco Maisano, difensore di Giovanni Favia, l’ex consigliere regionale M5S dell’Emilia Romagna che nel 2012 era stato espulso dopo un fuorionda in cui criticava la mancanza di democrazia interna al Movimento.
Favia, condannato ieri a una pena pecuniaria di 500 euro, nel 2014 era stato accusato di diffamazione da Gianroberto Casaleggio a causa di un editoriale scritto su Il Tempo: puntava il dito contro la scarsa trasparenza dei rapporti tra la Casaleggio Associati e il blog di Beppe Grillo.
Una tesi sposata anche da Massimo Artini, ex deputato 5Stelle: “La situazione non è mai stata trasparente”. “Il Non Statuto indica come sede del movimento il sito di Beppe Grillo – ha testimoniato in aula Artini –. E quella piattaforma era gestita dalla Casaleggio Associati”, ha detto spiegando che i banner pubblicitari gestiti da Google sul blog avrebbero generato un flusso finanziario tra “i 3 e i 10 milioni di euro”: “Sono calcoli ottenuti basandomi su ciò che mi disse Grillo”, che a dire dell’ex deputato avrebbe parlato di 20 milioni di pagine cliccate.
Grillo però, in aula, ha ribattuto alle accuse: “Bisogna fare un po’ di storia – ha detto – Il blog nasce per fare controinformazione e si finanziava con le cassette dei miei spettacoli e dei libri. Poi abbiamo inserito anche la pubblicità ma con dei limiti. Era gestita da Google. Serviva per sostenerci. Gestire un server che era diventato il terzo o il quarto al mondo, con gli addetti e la sicurezza, aveva un costo (…) Non ho visto i numeri, il mio rapporto con Casaleggio era di amicizia, onestà e trasparenza (…) Ci eravamo messi assieme per migliorare questo Paese e non per guadagnare soldi”.
Una spiegazione che ha convinto il giudice: Favia è stato condannato. Uscendo, Grillo ha risposto alle domande dei cronisti: “Secondo me con Di Maio bisogna avere un po’ di pazienza, ha 32 anni e ha ministeri impegnativi. Io sono la figura del garante, quella del padre ma ormai le scelte politiche le vedono loro”. Ancora: “Dobbiamo noi influenzare Salvini sui nostri temi, che forse abbiamo un po’ tralasciato, che sono l’ambiente, l’ecologia, la mobilità”, ha detto allontanandosi dal Tribunale. Poi, in serata, ha precisato che la frase su Di Maio “era un complimento”.
“Corro alle Europee, basta Livorno. M5S è in crisi di crescita”
Non mi ricandido. Non sarò più sindaco di Livorno.
Filippo Nogarin, lei era una delle bandiere M5S nelle città. Che succede?
Correrò per le Europee.
Lascia il lavoro a metà?
No. In cinque anni abbiamo ottenuto risultati eccezionali. Abbiamo cambiato il modello amministrativo della città. Adesso è giusto portare questa esperienza dove si può incidere di più, in Europa. Bisogna combattere l’austerity.
Federico Pizzarotti è stato cacciato; Virginia Raggi sta affrontando grandi difficoltà; Chiara Appendino è sotto pressione. E lei lascia… Il M5S dei sindaci è in crisi?
No. Il Movimento a Livorno è solido, abbiamo messo su un gruppo forte. Vedrete che i ragazzi saranno in grado di continuare e saranno premiati.
Chi sarà il suo successore?
Il mio auspicio è che sia la persona che mi è stata vicina in questi anni: la vicesindaco Stella Sorgente. Ma saranno gli attivisti a decidere.
Però la decisione di lasciare Livorno suona come una sorpresa…
È stata una scelta ponderata. E lunedì scade il termine per presentare la candidatura alle primarie del Movimento.
Cosa hanno detto da Roma quando l’hanno saputo?
Non ho ancora sentito nessuno.
Gira voce che nei giorni scorsi dovesse vedere Di Maio, ma che il leader abbia annullato l’appuntamento dopo la sua presa di posizione a favore del processo a Salvini…
L’appuntamento è saltato perché Di Maio aveva impegni di governo, il resto sono chiacchiere.
Quando ha incontrato l’ultima volta Di Maio per parlargli della candidatura?
A novembre.
Ma si vota già il 27 maggio…
Abbiamo tutti e due molti impegni istituzionali. Nessuna polemica.
Lei, Appendino e Raggi sul Fatto vi eravate espressi contro ‘l’immunità’ a Salvini: una frattura tra governo e territorio?
Io ho detto un’altra cosa: ho ricordato che come sindaco ho sempre dovuto rispondere delle mie azioni anche davanti ai giudici. E non fuggo i procedimenti penali, come quello sull’alluvione del 2017.
È giusto che Salvini invece eviti i magistrati?
Il ministro aveva ampi margini di successo nel processo. Ma rispetto il voto della piattaforma: una volta presa la decisione, noi dobbiamo restare compatti. Questa vicenda non spaccherà il Movimento.
Non dirà che nel Movimento va tutto bene…
Abbiamo avuto un problema di eccessiva crescita. Ci troviamo di fronte a un enorme bisogno di nuove figure di governo e di amministrazione. Il disagio nasce dai tempi troppo rapidi della nostra affermazione. Di Maio stesso ha suggerito una soluzione: spostarsi di nuovo verso territori ed enti locali. Dove abbiamo dato ottime prove. Ricordiamoci che tante conquiste dei Cinque Stelle sono nate nelle città: noi a Livorno abbiamo avviato il reddito di cittadinanza.
Le dispiace lasciare la sua città?
Oggi quando ho letto i messaggi dei consiglieri comunali ho pianto. Sono stati anni duri. Ho sentito la città dentro di me. E lasciare mi è costato molto. Chiedere una riconferma che credo sarebbe arrivata era la strada più facile.
Il giorno più doloroso?
L’alluvione. Sentirmi tutto quel dolore sulle spalle, vedere la gente che soffriva, i morti.
Lei è stato indagato e non ha mai nascosto la sua sofferenza…
Voglio che sia chiara una cosa: se fosse prevista una forma di immunità, io rinuncerei.
Cosa vorrebbe fare in Europa?
Come sindaco mi sono occupato di porti e trasporti. È un patrimonio molto utile per dare un volto diverso all’Europa.
C’è chi ipotizza che Movimento e Lega potrebbero unirsi anche a Bruxelles. Lei sarebbe d’accordo?
Mi sembra fantascienza. A parte la lotta all’austerità, siamo diversi su tutto. La Lega è sovranista e noi no. La Lega è per il regionalismo, noi vogliamo dare più peso alle istituzioni locali. Abbiamo visioni completamente diverse per l’Europa.
I Cinque Stelle nazionali sosterranno la sua candidatura?
Porto una grande esperienza e, spero, credibilità. Comunque mi sottopongo al voto degli iscritti.
E se non ce la facesse?
Sono pronto a tornare al mio lavoro.
Rabbia e dubbi su Rousseau. Ecco la fronda dei “talebani”
Se c’è un effetto collaterale, nella terapia con cui il Movimento Cinque Stelle ha deciso di curare l’affaire Salvini, è forse quello meno desiderato da Luigi Di Maio: dare un peso alla minoranza che è sempre stata liquidata con sufficienza e che adesso invece è carica di quel 41 per cento che ha votato contro la risposta automatica a cui il quesito di Rousseau tendeva la mano.
Sin dall’inizio, appena il ministro dell’Interno aveva chiesto via Corriere di essere salvato dal processo, i vertici del Movimento si erano messi a calcolare le possibili conseguenze dello scudo. E il risultato, si dicevano sicuri, dava “danni contenuti”, nonostante per il Sì – in nome dei valori 5 Stelle – si fosse espresso un pezzo da novanta come Nicola Morra.
Ecco, sulla piattaforma non è andata esattamente così. E pazienza se ai piani alti sono convinti che non ci saranno ripercussioni sul piano parlamentare. I fronti aperti sono tanti, a cominciare dalla legittima difesa e dalle autonomie. E chi non è d’accordo con i filo-governativi, adesso, può alzare la testa e fare appello a quasi un attivista su due, “fedele” come lui alla linea delle origini grilline.
È quello che sta già succedendo. Sono tutti al primo mandato. E per dare loro il benvenuto, nell’assemblea di lunedì sera, Paola Taverna ha parafrasato il celebre adagio del Marchese del Grillo: “In quale azienda uno assunto da 6 mesi pretende di avere la stessa voce in capitolo di uno che sta lì da anni?”.
Ecco, quelli assunti da sei mesi, non l’hanno presa bene. E hanno cominciato a fare squadra. Doriana Sarli, già critica sul decreto Sicurezza, le replica via Facebook: “Io non sono talebana, forse mi definirei più coerente con dei principi che mi sembrano alla base del nostro progetto politico. Ora in parlamento siamo minoranza fuori non credo. Ma è ovvio che una riflessione va fatta. Sia personale che politica”. Gilda Sportiello, campana anche lei, parla di “un Movimento profondamente spaccato” e trova “mortificante” che “difendere una posizione in coerenza con quanto abbiamo sempre difeso sia un atto di dissidenza, o peggio ancora motivo per non essere più in diritto di far parte di questo movimento”.
Si riferisce ai numerosi rimandi alle espulsioni che ieri, dall’assemblea, hanno fatto capolino sui giornali. E che ancora una volta vanno a toccare i parlamentari più vicini a Roberto Fico. Ma stavolta parla anche chi di solito era rimasto nell’ombra. “Non mi sono mai sottratta dal dire la mia opinione in privato, ma spesso mi sono censurata da dirla in pubblico – scrive la deputata Elisa Siragusa -. Tuttavia, arrivano momenti, in cui senti di dover dire anche la tua. La democrazia non è la dittatura della maggioranza. E ora mi chiedo, quel 41% di iscritti che ha votato NO (quindi si a procedere) ha diritto ad avere dei portavoce che sostengano la loro voce? Oppure sono anche loro dei talebani?”. Guia Termini, anche lei parlamentare di nuovo corso, aveva fatto campagna per il No elencando una serie di ragioni: “Bisogna essere imparziali, non si può cambiare linea solo perché il Governo è il nostro. Negare l’autorizzazione a procedere non fa parte della storia del Movimento. Noi non abbiamo mai negato alla giustizia un ministro o un parlamentare, quindi andiamo in linea”. Termini ha anche ripubblicato il video per il No di Riccardo Ricciardi, il deputato che poi al Fatto ha chiesto di essere “ascoltato e non etichettato come dissidente”, lo stesso che il giorno prima aveva sostenuto dalle nostre colonne la collega Gloria Vizzini, annunciando di essere pronta ad uscire dall’aula se il testo della legittima difesa non terrà conto dei dubbi degli onorevoli grillini.
Dal Senato si fa sentire Virginia La Mura: “Il 41% dei votanti ha rispettato i principi e i valori originari del M5S, quando tutti compatti gridavamo contro qualsiasi privilegio dell’odiata casta”. E mette in dubbio anche la trasparenza del voto: “Un 41% che vale tanto, perché questo risultato è stato raggiunto nonostante alcune anomalie nel sistema di votazione come il cambiamento di orario per le votazioni e la mancata verifica del voto tramite sms, cosa fino a ieri mai avvenuta”. Col 41 per cento si erano già schierati Veronica Giannone e Luigi Gallo, a cui si sono aggiunti Santi Cappellanie Conny Giordano. Ma anche i senatori Matteo Mantero e Gianmarco Corbetta: entrambi comunque sono pronti a votare secondo la linea prevalsa tra gli attivisti al prossimo appuntamento al Senato. Sarà difficile per Di Maio liberarsene facilmente.
Chiamate l’esorcista
Questi 5Stelle, per dirla alla francese, hanno più culo che anima. Da qualche giorno molti elettori, militanti, iscritti e persino parlamentari sdegnati per il voto salva-Salvini cominciavano a guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa o qualcuno che rappresenti i valori dell’uguaglianza e della legalità. E, visto che la destra di Salvini&B. vi è antropologicamente allergica, lo cercavano nel centro-sinistra. Poi hanno rivisto il Pd e, inorriditi, stanno precipitosamente rientrando all’ovile. Il Pd è alla vigilia delle primarie che dovrebbero dargli un nuovo segretario, un nuovo gruppo dirigente e una nuova linea politica. Dunque i tre candidati in lizza – Zingaretti, Martina e Giachetti – dovrebbero scontrarsi sulle idee, possibilmente nuove e diverse, per offrire agli iscritti qualche buon motivo per votarli. Invece nulla di tutto questo. In questi giorni il Pd si divide solo fra chi insulta i giudici di Firenze che hanno osato arrestare i genitori di Renzi per due bancarotte fraudolente e mezza, 65 false fatture e 1 milione di euro sottratto al fisco, e si ergono a Tribunale del Riesame Aggiunto per giudicare un arresto chiesto dai pm e disposto dal Gip; e chi tace, cioè acconsente. Giachetti attacca i giudici (“Se non fossero i genitori di Renzi, sarebbero liberi. La pensavo come Berlusconi già vent’anni fa per riformare la giustizia contro lo strapotere dei pm”), con i suoi supporter renziani che gridano sobriamente al “colpo di Stato”. Martina invece critica i giudici (“Ho dei dubbi sulla dinamica e la tempistica degli arresti”), con tutti i suoi fan diversamente renziani. Al contrario, Fassino trova che sia “a rischio lo Stato di diritto e non si può restare inerti”, intanto nella dodicesima reincarnazione appoggia Zingaretti. Il quale, diciamolo, non lo meritava.
Ma, invece di zittire i pidini posseduti da B. e difendere i magistrati aggrediti, come fanno solitari Orlando e Verini, anche per poter rivendicare un minimo di coerenza sul voto anti-Salvini nel caso Diciotti, Zingaretti tace: né con gli arrestati né con i giudici, come pure Gentiloni, Minniti, Franceschini &C. Calenda, che appoggia Calenda, dà “piena solidarietà a Renzi”. Poi c’è Renzi, il caso umano, che parla come B.. Delira di giustizia “a orologeria” e “provvedimento abnorme” (in effetti uno normale, con quelle accuse, sarebbe in galera e non a casa sua a insultare i giudici su Facebook, come fa impunemente il babbo in un paese dove un sacco di detenuti a domicilio finiscono in cella anche se comunicano sui social con un solo like). Intima a tutti “basta processi sul web” (a parte quelli che scatenano lui e i suoi fan contro i giudici).
Si congratula col Gip “per il capolavoro mediatico dell’arresto di due settantenni alle 7 di sera (orario notoriamente sconveniente per gli arresti, ndr) e per l’oscuramento del voto dei 5Stelle” su Salvini (e se i giudici avessero scelto proprio lunedì sera, visto che la richiesta dei pm pendeva dal 28 ottobre, per oscurare col voto M5S l’arresto dei suoi?). Spiega che “se non avessi fatto politica tutto questo non sarebbe successo” (cioè i suoi sono ai domiciliari perché sono i suoi, non per quello che han fatto). E invita i magistrati a non fare “i vigliacchi mettendo in mezzo la mia famiglia” e a “prendersela con me” (c’è forse qualcosa che non sappiamo di lui e che vuole confessare?). Ce n’è abbastanza, per i malpancisti e i dissidenti 5Stelle, per farsi due conti e dire: ma dove andiamo? E soprattutto: con chi? Restiamo nel Movimento e battiamoci per restituirlo ai valori originari e riportarlo nei binari tracciati dalla legge Spazzacorrotti. Magari partendo da una campagna per attuare un punto inevaso del Contratto di governo: le manette agli evasori, cioè una riforma che finalmente alzi le pene per i reati fiscali e abbassi o azzeri le soglie di impunità (quelle innalzate a dismisura da Renzi mentre le società dei genitori, secondo l’accusa, sottraevano al fisco centinaia di migliaia di euro).
Ma poniamo il caso che qualche ex elettore del Pd che aveva votato M5S fosse ancora tentato di tornare indietro. Ieri il noto sfollagente Matteo Orfini s’è incaricato di respingerlo sull’uscio. La sua intervista-corpo a corpo con Alessandro De Angelis sull’Huffington Post è il reperto di un’epoca e il referto di un medico legale. Intanto, leggendola, si scopre una notizia sensazionale: Orfini, con tutti i fiaschi che ha collezionato, è ancora “presidente del Pd”. Come diceva Totò, il talento va premiato. Il noto giureconsulto spiega che “il provvedimento giudiziario verso la famiglia Renzi è assolutamente sproporzionato rispetto ai fatti”, il che uccide “la democrazia liberale” perché hanno arrestato i genitori di Renzi accusati di creare società, intestarle a prestanome, svuotarle e chiuderle da una decina d’anni e chissà per quanti altri se non li avessero fermati. E questo perché – illustra il nuovo Carnelutti – “c’è un utilizzo sproporzionato di una misura che viene non a caso applicata in questa occasione ma non in centinaia di provvedimenti analoghi. E questo lo rende grave”. Cioè: gli risulta che, per bancarotta fraudolenta (reato punito fino a 22 anni di carcere perfino in Italia, per non parlare delle vere “democrazie liberali” che ti ficcano dentro e buttano la chiave), non si arresti mai nessuno se non è parente di Renzi. Ergo “questo arresto è allucinante in uno Stato di diritto”. Ma, beninteso, “io difendo la magistratura, anche da se stessa”. È quello che ha sempre detto anche B.: lui, bontà sua, non ce l’ha con tutti i magistrati, ma si limita ad avercela con quelli che indagano su di lui, gli amici e i parenti suoi; tutti gli altri gli piacciono un sacco. Ora noi non abbiamo consigli per il processualpenalista Orfini. Ma una curiosità sì: ha mai provato con un esorcista?
Addio a re Karl: stilista, bibliofilo e icona del lusso
Se non lo conoscessimo, se non avessimo mai sentito parlare di lui, basterebbe osservare la firma di Karl Lagerfeld per rimanere inebriati dal mondo tutto che promette. E non occorre essere edotti in grafologia per scorgere nella direzione dal basso verso l’alto della bella scrittura liberty, nel “K” ritornato del nome, nella “L” del cognome allungata come una donna di Modigliani e nell’ultima “d” con uno sbuffo finale verso l’infinito, la summa di tutto ciò che era e in cui credeva: legare il futuro al passato. O per utilizzare una citazione da Goethe che lo stilista amava ripetere a sé e agli altri: “Creare un avvenire migliore con gli elementi elargiti dal passato”.
Mentre la moda europea di inizio ’900 è imprigionata nei salotti con la moquette dell’alta borghesia dove signore con tacchi bassi e cappellini modesti osservano camminare alcune modelle della domenica, nel 1954 a Parigi – dove si era trasferito due anni prima –, al concorso del Segretariato Internazionale della Lana, Karl vince il premio per il miglior cappotto: è giallo, destrutturato, con ampie maniche e uno scollo a V sulla schiena. Si specchia nel giovane uomo da poco ventenne che sfoggia una cravatta color melanzana di Pierre Cardin il bambino che amava stupire: nella campagna tedesca in cui cresce, indossa regolarmente grandi fiocchi per andare a scuola e, invece della divisa, il costume tradizionale tirolese abbinato ai capelli lunghi. Il piccolo Karl odia essere bambino come tutti gli altri, vorrebbe essere grande, libero di decidere della propria vita. Essere diverso è il suo obiettivo, o meglio, la sua esigenza. Meglio ancora, il suo racconto.
Il genio che riverbera nelle sue confezioni e nelle sue fotografie rimarrà, è chiaro, ma quanto sappiamo di Karl uomo? Mettendo da parte quanto è sotto gli occhi di tutti, e cioè il lavoro per la maison Chanel (“la mia versione francese”, sostiene) e per Fendi (“la mia versione italiana”), quanto conosciamo Karl (“l’altro me”, così lo definisce)? Se per dovere di cronaca va almeno rammemorata la riqualificazione del marchio Chanel grazie a gonne corte, spalline larghe, gioielli vistosissimi che si fondono con i materiali di Mademoiselle Coco come pure l’avveniristico utilizzo della pelliccia nelle collezioni di Fendi, tenendo sempre a mente la pregiata arte manifatturiera, spostiamoci su Karl, per il quale vale una sola parola: mistero. Già a partire dalla sua data di nascita, che oscilla con fantasia e ironia tra il 1933 e il 1938.
E il racconto di sé, lo fa Karl stesso. Oggi Sky Arte ripropone il docu-film Karl Lagerfeld – Un re solo. Siamo a Versailles, luogo eletto del XVII secolo, l’epoca in cui lo stilista avrebbe voluto vivere. Dietro i suoi grandi occhiali neri e nel suo stile impeccabile (a una giornalista che gli ha chiesto perché il suo look fosse immutabile, Lagerfeld risponde “non è immutabile, è impeccabile”) procede mosso da questo incipit: “Io amo il mistero, la realtà è monotona”.
Si è detto spesso abbia romanzato la sua autobiografia (lo si dice sempre dei più grandi), che l’abbia ingolosita per mitizzarla. Ma che importa. Nel documentario firmato dal duo francese Thierry Demaizière e Alban Teurlai è emozionante la sfuggevolezza con cui si ritrae e quasi si nasconde dall’obiettivo della telecamera. Bibliofilo eruditissimo (passa da Ovidio a Louis de Rouvroy de Saint-Simon) e appassionato di danze latinoamericane (una delle prime cose che impara a Parigi è il cha-cha), Lagerfeld racconta sotto la pioggia che alla prima sfilata, all’Hotel Esplanade di Amburgo nel 1949, lo porta la madre, Elisabeth. “Biondissima e magrissima”, lo stilista la ricorda così, ma anche “eccentrica”. Un giorno gli chiuse quasi sulle dita il pianoforte, sbattendogli in faccia che non aveva nessun talento e gli consigliò di disegnare, almeno non avrebbe fatto rumore. Quel giorno, inizia la sua carriera. Ma ritorna anche l’amicizia con Yves Saint-Laurent “simpatico e divertente”, la gentilezza del padre che indossava orribili completi grigio chiaro, i mesi passati chiuso nei cinema francesi per imparare la lingua e il suo primo ricordo: i fiori nel giardino della sua infanzia. “Ma che fiori sono, Monsieur Lagerfeld?” viene da chiedergli, ma sorride, sussurra “mistero” e si allontana sotto la pioggia di Versailles.