I costi e i benefici di cottarelli

Qualche mese fa aveva scritto la prefazione al libro di Marco Ponti e Francesco Ramella, elogiando il loro approccio al tema infrastrutture basato sulla analisi costi-benefici. Oggi Carlo Cottarelli scrive invece una nota del suo Osservatorio, con Gianpaolo Galli, per contestare l’analisi costi-benefici fatta da Ponti e Ramella sul Tav Torino-Lione.

Cottarelli si aggiunge alla lunga lista dei critici ma neppure lui trova argomenti decisivi. L’ex commissario alla spending review parte dalla questione accise: più merci passano dai camion al treno, meno tasse incassa lo Stato sulla benzina (e meno pedaggi le concessionarie autostradali). Ponti e soci arrivano alla conclusione che il valore attuale dell’opera è negativo per 7 miliardi di euro. Cottarelli obietta che rimarrebbe negativo pure se si escludessero dal conto i pedaggi e le accise, e perfino se si azzerassero i costi dell’investimento: “Insomma, l’opera sarebbe uno spreco anche se ce la regalassero”. Questo dovrebbe provare l’assurdità dell’analisi di Ponti & C. Ma dimostra soltanto che in Italia il trasporto stradale è molto tassato e che se circolano meno camion c’è un grosso calo di gettito. Migliora l’ambiente, certo. Ma c’è un prezzo: se tutti gli italiani smettessero di fumare, si salverebbero molte vite, il servizio sanitario risparmierebbe parecchio in cure di tumori al polmone, ma siamo sicuri che il beneficio tradotto in termini economici compenserebbe il mancato gettito di 5,8 miliardi all’anno? Probabilmente no. Spetta quindi alla politica stabilire se certe cose vanno fatte in nome di interessi più alti – l’ambiente, la salute – o se invece deve prevalere la convenienza economica. Ma è sforzo inutile cercare di presentare come un affare ciò che al massimo è una battaglia di principio.

Poi, certo, calano i pedaggi delle autostrade, che in teoria sono uno dei bersagli del governo. Ma per come sono scritte le concessioni, in molti casi i concessionari sono spesso riusciti a far pagare allo Stato i cali di traffico.

Cottarelli e Galli poi si accodano all’ultima moda: è sbagliato valutare i costi e benefici dell’opera complessiva, bisogna misurare solo il lato italiano (se lo spreco è tutto francese va bene?). Segue una tabella che mostra come, dividendo per Paese sia i costi che i benefici, il risultato per l’Italia diventa positivo. Miracoli da accettare un po’ per fede, visto che il risultato non è molto argomentato. E comunque, usando le ipotesi sul traffico merci di Ponti e soci, il beneficio è di soli 104 milioni.

Ogni economista può farsi la sua analisi costi-benefici, poi spetta alla politica decidere, usando il corposo dossier di Ponti e soci o le sei pagine di Cottarelli e Galli.

Appalti Tav rinviati. Toninelli guadagna un mese di tempo

Niente bandi d’appalto per il tunnel in Val di Susa. Per ora. Il consiglio d’amministrazione di Telt, la società dei governi italiano e francese che dovrebbe realizzare la Torino-Lione, si è riunito ieri a Parigi, ha discusso dalle 11 alle 18, ma non ha lanciato le gare, come era invece previsto dall’ordine del giorno secondo cui sarebbero dovuti partire i bandi per i primi due lotti del tunnel di base, cioè l’intero tratto francese, pari ai tre quarti dell’opera: 45 chilometri dei 57,5 totali, per il valore di 2,3 miliardi di euro. Sarebbe stata la partenza ufficiale del Tav, che finora, in tanti anni, ha prodotto infinite discussioni, progetti, proteste, ritocchi, varianti e solo pochi chilometri di scavi geognostici. Invece il cda di Telt “ha deciso all’unanimità un breve rinvio sulla pubblicazione dei bandi di gara, mantenendo aperta la seduta per acquisire necessari approfondimenti tecnico-procedurali”: questa la formula con cui la società ha comunicato la sospensione.

Nel corso del consiglio, il rappresentante della Commissione europea ha reso nota una comunicazione ufficiale di Inea (Innovation and Networks Executive Agency) che lancia una minaccia di tagliare i fondi: “Condizione per la conferma dell’intera contribuzione di 813 milioni di euro” è “la tempestiva pubblicazione dei bandi, mentre in caso contrario verrà applicata una riduzione di 300 milioni”.

Al termine della discussione, il consiglio ha incaricato il presidente francese di Telt e il direttore generale italiano, Mario Virano, “di informare i due governi dei termini della discussione odierna, delle scadenze definite da Inea e delle responsabilità conseguenti”.

A fermare – per ora – il lancio delle gare è stato il ministro italiano delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che ha dato indicazione ai rappresentanti italiani nel cda (cinque su dieci) di chiedere un breve “rinvio tecnico” in attesa di una decisione collegiale del governo italiano, in cui convivono una posizione favorevole al Tav (quella della Lega) e una finora contraria (quella dei Cinquestelle). La decisione dovrebbe arrivare in un paio di settimane, comunque entro il mese di marzo. La tensione attorno a questo cda di Telt era cresciuta nei giorni scorsi, dopo che il Fatto Quotidiano aveva rivelato, domenica scorsa, che il consiglio era pronto a dare il via libera agli appalti. L’Italia li aveva fermati nei mesi scorsi, in attesa dell’analisi costi-benefici sul Tav, ma poi – malgrado l’analisi sia stata una piena bocciatura dell’opera – il ministero delle Infrastrutture si era orientato a lasciare che Telt lanciasse le gare, contando sulla possibilità offerta dal codice francese degli appalti di poterle comunque fermare prima dell’assegnazione dei lavori. Una possibilità dubbia e incerta, secondo molti tecnici. L’avvio delle gare avrebbe messo il ministero italiano davanti al fatto compiuto e sancito, di fatto, il via libera al Tav. Per il Movimento 5 Stelle sarebbe stato un secondo motivo di lacerazioni e proteste interne, dopo quelle per aver salvato Matteo Salvini dal processo. Ora ci sono un paio di settimane in cui il governo dovrà dire definitivamente sì o no all’opera.

Intanto il ministero francese dei Trasporti ha smentito seccamente Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, che lunedì aveva trionfalmente annunciato l’intenzione dell’Unione europea di finanziare il 50 per cento di tutto il Tav, dimezzando (da 1,7 miliardi a 850 milioni) l’impegno dell’Italia per la tratta nazionale della Torino-Lione e riducendo del 10 per cento il costo del tunnel di base. “L’Ue ha confermato la disponibilità a finanziare al 50 per cento non solo il tunnel, ma anche le tratte nazionali di avvicinamento”, aveva dichiarato Chiamparino, citando come fonte un suo omologo d’Oltralpe, il vicepresidente della Regione Auvergne-Rhone-Alpes, Etienne Blanc. “È l’ulteriore conferma”, aveva concluso Chiamparino, “di quanto l’opera sia strategica e chiude l’inutile querelle sull’analisi costi-benefici”.

Subito i giornali italiani avevano data per buona la notizia, strillando (ieri) titoli entusiasti: “Tav, un miliardo in più dall’Europa” (Repubblica); “La Ue finanzia le tratte nazionali. Tav, così salta l’analisi costi-benefici” (Corriere della Sera); “Tav, pressing di Parigi: più fondi dall’Europa” (La Stampa). Non era vero niente: “Il ministero smentisce formalmente che ci sia qualsiasi decisione nuova della Commissione europea riguardante il finanziamento del progetto”, ha comunicato ieri Parigi, aggiungendo anche un invito a “non fare confusione” e mostrando “stupore per la presa di posizione isolata espressa dal Consiglio” della Regione francese.

Al suo posto la lapide della prima seduta di Palazzo Madama

Palazzo Madama riaccoglie, ottant’anni dopo, il monumento che celebra la prima seduta dei senatori italiani del 28 novembre 1871. È una lapide marmorea con la scritta “Il Senato del Regno seguendo a Roma il Re Vittorio Emanuele II e la fortuna d’Italia pose qui la sua sede il XXVIII novembre MDCCCLXXI”. Durante il Fascismo, nel 1938, fu sostituita da un’opera celebrativa dell’impero. A salutare il suo ritorno nel Cortile d‘onore, il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati con alcuni senatori del Consiglio di presidenza e gli studenti dell’istituto superiore “Besta-Gloriosi” di Battipaglia. Scoprendola, Casellati ha dichiarato: “È una lastra di marmo che celebra la nascita delle istituzioni nazionali. Un inno alla libertà d’Italia”. Ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo dello scrittore ed ex consigliere culturale del Senato Aldo Sarullo, che ha ritrovato la lapide nei sotterranei di Palazzo Madama nel 2009, come ha raccontato su Il Fatto quotidiano con l’articolo “Senato, il mistero buffo della lapide dimenticata”. Sarullo dichiara: “Accogliendo il mio pezzo, Il Fatto è stato la molla che ha permesso di rimetterla dov’era”.

Il lettore vive secoli, non decenni, perché riconquista il passato

Schiacciati tra una memoria debole e il suo massimo eccesso nel labirinto di un’enciclopedia solo virtualmente massima, che cosa potremmo suggerire ai nostri figli che non sanno neanche che cosa accadde solo pochi decenni fa?
L’unica soluzione per arricchire la nostra memoria è leggere. Leggere non solo arricchisce la nostra memoria, ma ci allunga anche un po’ la vita.
Pensate ad un giorno o ad una settimana in cui avete vissuto molti, molti eventi, tutti emozionanti (indipendentemente che fossero gioiosi o stressanti). Ricorderete queste ore o giorni come ricchi di esperienze e avrete l’impressione di aver avuto una vita piena.

Al contrario, se avete passato ore o giorni nei quali non è accaduto nulla di rilevante, questi giorni privi di eventi significativi scompariranno dalla vostra memoria. Avrete l’impressione di non aver vissuto affatto durante quel periodo di tempo.

Penso che questa sia una delle ragioni per le quali gli uomini hanno speso molta energia per recuperare le cose del passato. Se, insieme ai nostri ricordi personali, conserviamo anche il ricordo del giorno in cui Giulio Cesare fu assassinato, o della battaglia di Waterloo, e persino del giorno immaginario in cui morirono Romeo e Giulietta, e se ricordiamo, come un ricordo personale, il viaggio su Hispaniola con Jim, il dottor Livesey, il capitano Smollett, Lord Trelawney e Long John Silver – alla fine della nostra esistenza dovremmo avere l’impressione di aver vissuto molto, non solo decenni, ma persino secoli.

Nel mio ultimo istante di vita ricorderò non solo ciò che è accaduto a me, ma anche l’estinzione dei dinosauri, la battaglia di Poitier, l’istante in cui Madame Curie ha scoperto il radio, e il momento magico in cui Dante vide la rosa mistica… tutti questi ricordi saranno parte della mia esistenza.

Come lettore ho vissuto una vita così lunga che non posso ricordare tutto in un singolo momento e spero che avrò abbastanza tempo per ricordarla a puntate.

In un mondo in cui si è tentati di dimenticare o ignorare troppo, la riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe essere tra i primi progetti per il nostro futuro.

(A tre anni dalla morte, ricordiamo Umberto Eco pubblicando la “lectio” Contro la perdita della memoria

che tenne a New York, alle Nazioni Unite, il 21 ottobre 2013).

“Basta, un po’ di decoro…”. Casellati cazzia i senatori

Così non va. Al Senato c’è una confusione neanche fosse il tinello di una casa disordinata. Cappotti sui divanetti, accesso indiscriminato al piano nobile, addirittura la caffetteria ormai aperta a tutti. E così la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha imposto la stretta per frenare l’andazzo ed evitare il clima da bivacco: bisogna fare selezione specie al primo piano, il cuore pulsante dell’Istituzione dove ognuno è chiamato a dare il meglio di sé. In aula, naturalmente, dove la presidente che sogna di diventare la prima donna capo dello Stato tiene tutti a bacchetta. Ma pure fuori dall’emiciclo, perché il decoro va soprattutto ripristinato in quell’area che copre la buvette, il largo salone antistante e la Sala Maccari dove la requisitoria di Cicerone contro Catilina è monito per tutti i senatori a imperitura memoria della sorte riservata ai nemici della Patria.

E che fanno invece i senatori, allergici al rigore dell’Arpinate e pure a quello della Casellati? Gli sciagurati lasciano borse e paltò in ogni dove. E se dovesse arrivare un ospite di riguardo, che penserebbe? Si sarà chiesta la seconda carica dello Stato mentre sogna i saloni immacolati del Quirinale dove si entra solo con inviti selezionatissimi. Certo, all’appuntamento col destino manca ancora un po’, ma intanto la presidente pensa a fare spogliatoio richiamando tutti a un corale moto di orgoglio per lo status senatoriale.

E così qualche giorno fa è partita una gragnuola di lettere inviate dai tre questori di Palazzo Madama che hanno invitato tutti a cambiare musica. “Ci rivolgiamo alla Tua sensibilità per rammentare che il guardaroba al piano terra è a disposizione dei senatori per le loro esigenze di custodia degli abiti. Dobbiamo però constatare la diffusa abitudine di lasciare, nel corso della seduta, soprabiti e cappotti sui divani delle Sale prossime all’aula. Auspichiamo con forza che venga posto termine a tale comportamento che appare poco decoroso e comporta un particolare incomodo, dal momento che spesso quei divani risultano non utilizzabili”.

Insomma, per farla breve d’ora in poi tutto quello che verrà trovato fuori posto verrà rimosso e se i senatori vorranno recuperare soprabiti e cappelli dovranno fare lo sforzo di scendere un piano per chiedere se tante volte siano stati portati al guardaroba dai commessi.

Ma non è tutto. Perché non sembra confacente “al prestigio e al decoro, segni distintivi del Senato della Repubblica”, neppure la “frequente violazione” delle norme che vietano l’accesso agli estranei nei giorni di attività parlamentare. “Tutto ciò – si legge ancora – provoca non poco disagio per quanti, tra tutti i senatori a pieno titolo, frequentano il salone Garibaldi, la Caffetteria e la Sala Maccari e gli altri ambienti del primo piano”. Soprattutto, par di capire, preme la questione dell’accesso indiscriminato alla Caffetteria dove gli ospiti non devono entrare “salvo occasionali deroghe”: vigileranno i soliti commessi. Sì, perché il bar e gli altri ambienti sono aperti solo ai parlamentari o a quanti lo sono stati, ai membri del governo (solo a quelli in carica), agli alti funzionari del Senato, ai giornalisti accreditati e pochi altri: tra i privilegiati di caffè e cappuccino al piano nobile pure il direttore e i consiglieri del Gabinetto della Casellati, il suo capo ufficio stampa e il segretario particolare.

Per gli altri c’è il bar-mensa al piano terra sempre che abbiano il tesserino di riconoscimento. Che d’ora in poi dovrà essere ben visibile. Per farsi riconoscere, sempre.

Wanda Nara, la Rai sospende Collovati per due settimane

Le parole contro le donne sono costate due settimane di sospensione a Fulvio Collovati, che non potrà partecipare a Quelli che il calcio fino al 9 marzo. La decisione è stata presa ieri da Viale Mazzini. “Quando sento una donna parlare di tattica mi si rivolta lo stomaco. Finché parlano di com’è andata una gara, va bene. Ma di tattica non capiscono come gli uomini”, aveva detto Collovati domenica scorsa a Quelli che il calcio. Il riferimento era al caso Wanda Nara, la moglie-manager di Mauro Icardi che, con le sue affermazioni settimanali, ha generato un corto circuito tra il campione, la squadra e la società. “Non volevo offendere nessuno”, ha affermato poi Collovati. Scuse che non sono bastate, visto che la Rai ha deciso per la sua sospensione. Nessun provvedimento da parte di Sky, invece, per Billy Costacurta che aveva detto: “Se mia moglie si fosse permessa di dire quelle cose l’avrei cacciata di casa”. “È una frase che non mi appartiene, ma era all’interno di una discussione più ampia che riguardava il ruolo di Wanda Nara come manager. Comunque me ne scuso”, ha precisato l’ex difensore del Milan, ieri in onda regolarmente su Sky.

“Ha solo preso multe per eccesso di velocità”

Ecco cosa ha detto Matteo Renzi in difesa di suo padre in questi ultimi due anni.

 

Se mio padre secondo i magistrati ha commesso qualcosa mi auguro che si faccia il processo in tempi rapidi. E se è davvero colpevole deve essere condannato di più degli altri, per dare un segnale, con una pena doppia”

Otto e mezzo, 3 marzo 2017

 

Buttati come uno sciacallo sulle indagini, se vuoi, caro Beppe Grillo, ma non ti permettere di parlare della relazione umana tra me e mio padre. Oggi hai fatto una cosa squallida. Hai detto che io rottamo mio padre. Spero che un giorno ti possa vergognare per aver toccato un livello così basso

Facebook, 4 marzo 2017

 

Oggi è arrivata la prima decisione su una (lunga) serie di azioni civili intentate da mio padre nei confronti di Marco Travaglio e del Fatto Quotidiano. La prima di oggi vede la condanna del direttore Travaglio, di una sua giornalista e della società editoriale per 95.000 euro. Niente potrà ripagare l’enorme mole di fango buttata addosso alla mia famiglia, a mio padre, alla sua salute. Una campagna di odio senza precedenti. Ma qualcuno inizia a pagare almeno i danni

Facebook, 22 ottobre 2018

 

Mio padre ha scritto a QN dopo la richiesta di archiviazione per Consip e dopo la condanna a Travaglio e al Fatto. Invito chi ha insultato la mia famiglia a leggere questa lettera. Da parte mia posso solo dire: Ti voglio bene, babbo

Twitter, 30 ottobre 2018

 

Travaglio condannato due volte nel giro di un mese: dovrà pagare altri 50.000 euro. Sono ovviamente contento per mio padre… Ci hanno rovesciato un mare di fango addosso… ma la verità è più forte delle menzogne

Facebook, 18 novembre 2018

 

Chi di fango ferisce, di fango perisce (dopo la notizia di un operaio in nero nell’azienda del padre di Di Maio, ndr) … Il M5S ha ucciso la civiltà del confronto, insegnando a odiare. Ora non vanno ripagati con la stessa moneta ma almeno si scusino con mio padre

27 novembre 2018

 

Mio padre fino a 63 anni ha preso solo multe per eccesso di velocità, non poche peraltro. Dopodiché, improvvisamente, viene pedinato quattro anni come un camorrista. E che gli trovano? Dopo dieci indagini va a processo per una fattura da 20.000 euro. A differenza di altri genitori celebri, mio padre le fatture le faceva, le pagava, le incassava. Fanno così le persone oneste. Altri invece andavano nelle piazze a gridare onestà e poi lavoravano e pagavano in nero. Ogni riferimento alle aziende di Di Maio e Di Battista è puramente voluto

Sette – Corriere della Sera, 14 febbraio 2019

 

Se io non avessi fatto politica la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango. Se io non avessi cercato di cambiare questo Paese i miei oggi sarebbero tranquillamente in pensione… Se qualcuno pensa che si possa utilizzare la strategia giudiziaria per eliminare un avversario dalla competizione politica sappia che sta sbagliando persona

Facebook, 18 febbraio 2019

 

Chi ha letto le carte e ha un minimo di conoscenza giuridica sa che privare persone della libertà personale per una cosa come questa è abnorme

Enews, 19 febbraio 2019

Il Pd tramortito e ostaggio degli ultrà renzusconiani

Non importa se magari non c’è praticamente più niente con cui rilanciare, non importa se gli arresti domiciliari dei suoi genitori sono un’immagine raccapricciante: Matteo Renzi ancora una volta nella modalità “lascia o raddoppia”, sceglie di raddoppiare. Anche plasticamente: venerdì a Torino riprogramma la presentazione del suo libro, annullata lunedì sera, in un posto che sia grande il doppio. Una sorta di grande adunata, nel nome di un colpo di stato che i suoi non esitano ad evocare. Nel frattempo, il resto del Pd è tramortito, esitante, preoccupato. Tra 10 giorni ci sono le primarie, Nicola Zingaretti veleggia saldamente verso la vittoria. Ma nel suo quartier generale i dubbi sull’effetto del fango che arriva addosso a Renzi ci sono tutti: rischia di depotenziare ulteriormente i gazebo e l’idea di un partito nuovo che il Governatore del Lazio sta cercando di dare. I dem ancora una volta sono ostaggi dell’ex premier, che è un po’ dentro, ma già molto fuori, che oscura tutto e tutti.

Anche le reazioni stavolta sono prudenti, ma solidali. Difficile calibrarle. E così da molta parte del Pd non renziano arrivano comunque le attestazioni di vicinanza per l’ex segretario. Più di quanto sia accaduto in passato. A partire da quella dello stesso Zingaretti (“Fiducia nella giustizia e garantista sempre. Sono vicino umanamente a Matteo Renzi”), passando per Paolo Gentiloni e Carlo Calenda. Dario Franceschini lo chiama, Marco Minniti tace. Dall’altra parte del partito, si va direttamente all’attacco della magistratura. In una chat pubblicata dall’Huffington post si parte dal commento di Luciano Nobili (“Quel che sta succedendo a Matteo Renzi e alla sua famiglia è semplicemente indegno di un paese civile”) per raccontare le reazioni simili di molti degli ultrà. “Giustizia a orologeria”, “Una misura cautelare eccessiva”, sono le frasi che si sentono ripetere. Una sorta di berlusconizzazione nei confronti della magistratura. Silvio Berlusconi usa parole di affetto: “Devo telefonare a Matteo Renzi. Sono stati gli apprendisti stregoni della sinistra a liberare il mostro della magistratura politicizzata che oggi si rivolta anche contro di loro”.

In realtà, Renzi è costretto a tenersi a freno. Aveva annunciato una conferenza stampa in Senato per ieri, la annulla. Sono stati gli avvocati a consigliargli di non esagerare. Di leggere prima le carte. E così si limita a una e-news dove assicura: “Non riusciranno a farmi parlar male dei giudici. Chi vuole il mio fallo di reazione, non lo avrà”. Ci riuscirà? È Andrea Marcucci a invitare tutti alle iniziative di venerdì a Torino e a Genova: “Io credo che non basteranno due Palasport pieni per contenere tutti coloro che vorranno dire a Matteo che sono con lui”. In quello che appare come una sorta di delirio frenetico, si affaccia pure l’idea tra i fedelissimi di Renzi che l’arresto dei genitori sia qualcosa di talmente eccessivo da poter alla fine aiutare la loro causa. E in lui la tentazione – fosse pure solo psicologica – di accelerare sul partito previsto per dopo le Europee. Ai piani alti del Pd i timori aumentano. “Dobbiamo stare attenti, dobbiamo leggere bene le carte, prima di dare giudizi: il rischio è che se ci esponiamo troppo a favore di Matteo, rischiamo”, è il commento di chi tra i suoi cerca di mantenere una posizione laica. Lui intanto torna a parlare, la sera, in un post su Facebook. Stavolta, la butta sul governo e sul Pil. Fino alla prossima puntata.

La Cassazione: “Il Dl Sicurezza non può essere retroattivo”

Prima sconfitta giurisprudenziale per il Decreto Sicurezza voluto da Matteo Salvini. In attesa del treno che porterà alla Consulta i punti più contestati del testo, ci ha pensato la Cassazione a mettere un primo paletto: il decreto non può avere effetti retroattivi. In sostanza, le richieste di asilo e le domande di protezione internazionale arrivate entro il 5 ottobre scorso – data di entrata in vigore delle norme – vanno giudicate (e molte devono ancora esserlo) sulla base della legge vigente al momento della presentazione, quella vecchia. La Corte ha affrontato il decreto del leader leghista per la prima volta e lo ha fatto esaminando il ricorso di un cittadino della Guinea cui il tribunale di Napoli aveva detto no alla domanda di protezione internazionale o umanitaria sulla base della nuova legge più restrittiva: questo non si può fare. La Corte ha comunque respinto il ricorso del cittadino africano, che dunque non ha diritto alla protezione umanitaria anche con la vecchia legge. Ovviamente Matteo Salvini non ha potuto non commentare: “Non cambia nulla: sono orgoglioso del decreto, sta risolvendo un sacco di problemi”.

Sei anni di voti grillini a favore dei processi

“Immunità e insindacabilità sono strumenti che non useremo mai”. Il concetto appare oggi beffardo, eppure c’è stato un tempo in cui il M5S ne ha fatto un credo inviolabile. E in effetti i numeri parlano chiaro. Se si guarda a tutte le richieste di autorizzazione arrivate in questi anni in Parlamento, i 5 Stelle hanno espresso voto favorevole al normale corso della giustizia in più di trenta circostanze, scegliendo di bloccare i processi soltanto in un paio casi specifici (per frasi diffamatorie coincidenti con espressioni usate in Aula).

Celebre, il 20 luglio del 2016, l’ampia maggioranza con cui il Senato aveva impedito l’utilizzo delle intercettazioni tra Silvio Berlusconi e le olgettine, coi 5 Stelle che accusavano il Pd di aver “fatto risorgere il Patto del Nazareno”. Ma la lista dei voti grillini contro gli scudi parlamentari è lunga: Gabriele Albertini, accusato di aver calunniato il pm Alfredo Robledo; Roberto Calderoli, salvato nonostante avesse definito “un orango” Cecile Kyenge; Denis Verdini e Marcello Dell’Utri, per cui si chiedeva l’utilizzo di intercettazioni; Maurizio Gasparri, graziato da sinistra e destra dal sospetto di diffamazione nei confronti di Roberto Saviano.

Tutti episodi che facevano sbottare Di Maio: “Se dovessi modificare la Costituzione, toglierei l’immunità” (25 novembre 2016). Coerenza mantenuta nei casi di Francantonio Genovese (ex Pd e poi FI), arrestato per associazione a delinquere e riciclaggio nel 2014 (poi scarcerato) e Giancarlo Galan (FI), accusato di corruzione, ma anche per Antonio Azzolini (Ncd), salvato dai domiciliari in Senato il 29 luglio 2015. Più recenti, poi, le decisioni su Domenico De Siano (FI), accusato di corruzione e graziato in Aula (marzo 2016) e su Antonio Caridi, centrista per cui il Senato ha concesso il via libera all’arresto nell’agosto 2016, fino al caso di un mese fa della leghista Cinzia Bonfrisco, impegnata a difendersi dal sospetto di associazione a delinquere e corruzione e protetta dal Senato in barba ai 5 Stelle.

Non solo: il M5S si è trovato spesso ad autorizzare processi anche per i suoi parlamentari. Il 4 febbraio 2014 Di Maio elogiava il collega Massimo De Rosa: “Ha appena rinunciato all’immunità parlamentare. Noi del Movimento facciamo così”. La prassi sembrava consolidata, tanto che Mario Michele Giarrusso, oggi presidente della Giunta per le elezioni in Senato, si era visto votare l’autorizzazione a procedere anche dai suoi compagni di partito (21 luglio 2016).

Per non parlare di Beppe Grillo, garante spedito a processo: “Ho firmato nove richieste di autorizzazione a procedere – scriveva il 9 ottobre 2018 il ministro Bonafede – e tra le persone per cui ho firmato, per presunte offese al capo dello Stato, ci sono anche il padre fondatore del Movimento Beppe Grillo, il mio collega e amico Carlo Sibilia, il padre del mio amico fraterno Alessandro Di Battista e il ministro dell’Interno Matteo Salvini”. Poi, dev’essere cambiato qualcosa.