I posseduti

Il 18 febbraio 2019 è la classica data da segnare in nero sul calendario. Gli storici la ricorderanno come il giorno dell’ennesima resurrezione di B.. Nel giro di un’ora, fra le 21 e le 22, tutto il fronte politico s’è mosso all’unisono come se il Caimano fosse ancora vivo, così vivo che tutti, dagli alleati agli avversari più strenui, parlavano con la sua voce, posseduti da Lui. I 5Stelle salvavano un ministro da un processo per sequestro di persona, sottraendolo ai giudici con scuse berlusconiane, tipo il reato “politico” nell’“interesse dello Stato”, e mancava poco che lo dichiarassero ufficialmente nipote di Mubarak. Salvini (detto d’ora in poi Salvato) ringraziava Di Maio per “averci messo la faccia”, cioè per averla persa. Intanto Renzi apprendeva dell’arresto dei genitori e strillava al complotto a orologeria dei magistrati per eliminarlo per via giudiziaria (come se non ci avessero già pensato più volte gl’italiani per via elettorale) e impedirgli di “cambiare l’Italia”, senza neppure pagare il copyright al titolare di quelle parole d’ordine. Il quale, al secolo B. Silvio, gli manifestava la piena solidarietà, rammentandogli però che con la sua “riforma della giustizia” certe sconcezze – tipo l’arresto di due sospettati di più bancarotte fraudolente con 724 mila euro di fatture false o gonfiate – non accadrebbero più.

E così, nel breve volgere di 60 minuti, gli italiani si son visti passare davanti agli occhi tutto il film di questi 25 anni di Seconda Repubblica, velocizzato alla Ridolini. Cioè la storia di una classe dirigente delinquenziale e impunita che da un quarto di secolo tenta di sfuggire alla giustizia e quasi sempre ci riesce. Una Banda Larga che ha prodotto involontariamente anticorpi che poi inevitabilmente si guastavano, come tutto in Italia. Un gigantesco, mostruoso virus che secerneva il suo stesso vaccino, che però ben presto veniva a sua volta infettato e andava a male. Che cos’è in fondo il movimento 5Stelle, se non l’ennesimo o forse ultimo tentativo della gente perbene – dopo il Popolo dei Fax, i Girotondi, l’Italia dei Valori e altri fenomeni carsici sorti dal basso – di reagire all’illegalità dilagante e strafottente? Tutti, pure i grillini più sfegatati, ne conoscevano il dilettantismo e l’improvvisazione. Ma lo votavano lo stesso per non rivedere mai più certe facce e non arrendersi al cinismo della “politica sangue e merda” e del “cambiare non si può”. A pensarci bene, questo strano governo Salvimaio “ha un senso solo come espiazione”, come disse Montanelli del primo governo B.: quello era il contrappasso per gli errori e gli orrori della Prima Repubblica, questo lo è per quelli della Seconda.

Proprio mentre i 5Stelle toccano il punto più basso, ci pensa Renzi a coprirne le pudenda. E a ricordare a tutti perché il Pd è passato in quattro anni dal 40,8 al 18,7% e il M5S in cinque anni da zero al 32,6%. Senza questo centrodestra e questo centrosinistra, i 5Stelle non sarebbero neppure nati. Se un anno fa divennero il primo partito, fu certo merito di chi aveva fondato il movimento (Grillo e Casaleggio padre) e di chi l’aveva trasformato in forza di governo (Di Maio e la sua squadra). Ma soprattutto di chi l’aveva reso necessario e urgente: i vecchi partiti. Che non perdono occasione di dare il peggio di sé anche quando lo dà il M5S. Ma questo, per quanti sforzi faccia, non riesce mai a eguagliare il peggio degli altri. E risulta, alla fine, il meno peggio. Lo spettacolo dei 5Stelle che votano l’impunità a Salvini come e con FI, mentre il prode Giarrusso mima le manette e dà dei giustizialisti ai pidini che gridano “onestà onestà!”, è devastante. Ma viene subito oscurato e annullato dalla raffica di insulti anti-giudici di capi e capetti Pd che, posseduti dal demone di B., scambiano il partito per la famiglia Renzi. Piero Fassino, ora schierato con Zingaretti, è pronto per imbracciare il mitra e salire sulle montagne: “Nessuna ragione investigativa giustifica quel che sta accadendo ai genitori di Renzi. Si fa strame dello Stato di diritto e di fondamentali regole della convivenza civile. Chi vuole vivere in un paese democratico e giusto non può accettarlo, né assistere inerte” (visti i precedenti del noto portafortuna, non vorremmo essere nei panni dei Renzis). Ivan Scalfarotto ha già lo zaino in spalla: “Con questa autentica schifezza (i giudici di Firenze, ndr) sono riusciti a farmi schierare a priori, a farmi diventare partigiano. È una cosa talmente grave che va ben al di là della vicenda personale di Matteo e dei suoi. Qui c’è in ballo lo Stato di diritto e la libertà di tutti”. Seguono i bene-bravo-bis dei soliti dichiaratori a pappagallo, tipo Orfini, Bruno Bossio, Nobili, Morani, Paita, Pezzopane, Nobili, Portas, Fiano, Prestipino e Serracchiani (“in missione a Bruxelles”, ma presente in spirito e pronta alla pugna). Mentre i 5Stelle si precludono per un bel po’ la possibilità di commentare le imprese dei Renzis, rendendo pan per focaccia a Matteo e Maria Elena che maramaldeggiavano su papà Di Maio e papà Di Battista, il Pd si autoimbavaglia sulla loro svolta impunitaria pro Salvini, impegnato com’è a difendere non un ministro indagato per una scelta di governo, ma due privati cittadini fermati dai gendarmi per evitare che continuassero a costruire società fittizie, intestarle a prestanome, svuotarle e poi farle fallire (grazie anche alla soglia di impunità alzata da 50 a 250 mila euro per l’evasione Iva dal premuroso figlio premier). Frattanto Renzi berlusconeggia: “I domiciliari per i miei genitori sono abnormi” (e ha ragione: due persone normali, con quelle accuse, sarebbero in galera). E B., commosso alle lacrime, annuncia che vuole “chiamare Matteo”, nel senso di Renzi, forse per adottarlo come nuovo padre momentaneamente a piede libero. Anche stavolta ha vinto Lui. E continuerà a vincere, anche da morto.

Abuso d’ufficio, rinviata a giudizio giunta Falcomatà (Pd)

Il sindaco Il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà (Partito Democratico) è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e falso. Lo ha deciso il gup Giovanna Sergi accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e del pm Walter Ignazitto. In tribunale, il 18 aprile, compariranno, per gli stessi reati, gli assessori Giovanni Muraca, Giuseppe Marino e Saverio Anghelone, gli ex assessori Patrizia Nardi e Agata Quattrone, l’ex dirigente del Comune Maria Luisa Spanò e la segretaria generale dell’Ente Giovanna Acquaviva. L’ex assessore ai Lavori pubblici Angela Marcianò ha scelto il rito abbreviato.

L’inchiesta è nata dopo una delibera del Comune che assegnava temporaneamente la gestione dell’ex albergo Miramare all’imprenditore Paolo Zagarella. Intento poi non realizzato. “In dibattimento – ha detto il sindaco Giuseppe Falcomatà – avremo modo di verificare quanto di buono e di legittimo abbiamo prodotto. Siamo tranquilli e continuiamo a lavorare concentrandoci sulle cose più importanti per la città”.

La difesa di Woodcock “Vannoni mentì per coprire Lotti”

Il processo disciplinare a carico di Henry John Woodcock e Celeste Carrano, i pm di Napoli che hanno dato il via all’inchiesta Consip, è quasi al traguardo. Il 4 marzo la sentenza del Csm, l’udienza di ieri è stata dedicata alle difese. Le arringhe dell’ex procuratore di Torino Maddalena, difensore di Woodcock, e del procuratore di La Spezia Patrono, difensore di Carrano, hanno puntato sull’assoluta inattendibilità di Filippo Vannoni. L’ex consigliere di Palazzo Chigi, ai tempi di Matteo Renzi, ha accusato, davanti ai magistrati di Roma, che hanno ereditato l’inchiesta Consip, di aver subito pressioni dai due pm napoletani perché accusasse di rivelazione di segreto d’ufficio gli amici dell’ex premier, tra cui l’allora ministro dello Sport Luca Lotti. “C’è un reato di calunnia grosso come una casa – ha detto Maddalena – nei confronti di Woodcock e Carrano e della polizia giudiziaria, e se questo non è stato riscontrato è perché le sue dichiarazioni sono state ritenute talmente inidonee e talmente risibili“ dalla procura di Roma dal non doverlo contestare. Poi, l’affondo sul perché Vannoni si sarebbe inventato angherie: “È costretto ad accusare i pm per salvare Lotti”.

Il giallo di quei volantini Esselunga finiti al macero

I volantini invece di finire ai clienti potenziali delle grandi catene finivano al macero. Però le cooperative incaricate della distribuzione fatturavano i loro servizi alla società di famiglia dei Renzi, Eventi6, come se fossero realmente distribuiti. Sul business del macero dei volantini della Esselunga Report di Rai3 a maggio scorso aveva concentrato la sua attenzione. E il sistema di cooperative vicino a Tiziano Renzi era entrato in fibrillazione. La ragione delle preoccupazioni è stata spiegata da alcuni dipendenti delle cooperative agli investigatori. Paolo Magherini il 31 maggio del 2018 ha raccontato alla Finanza come funzionava “lo smaltimento dei volantini in esubero ovvero non consegnati. So che rilevanti quantità di questi volantini venivano portati al macero. La quantità stampata di questi volantini – ha spiegato Magherini – era di certo superiore a quella che era necessaria ad essere consegnata”. La ragione di questa stampa in eccesso? “Ci lucrano. Ci sono camionisti conniventi che consegnano i volantini nuovi appena stampati al macero. Questo non dovrebbe avvenire in quanto i volantini sono di proprietà dei committenti (Esselunga, Coop, Conad) che li paga”. Magherini sospetta che alla fine ci sia qualcuno che chiuda un occhio: “Anche quando si chiede qualche informazione agli stessi referenti dei supermercati, credo conniventi, dicono che è tutto regolare”.

Magherini è stato assunto a tempo indeterminato dalla Marmodiv. Sulla titolarità della società lui, spiega alla Finanza, non ha mai avuto dubbi: “La cooperativa era govemata da dei prestanomi. Il primo di questi era Angelo Gallo, con la figlia Jessica e con la Lucia Silvestri, sua compagna (le due socie fondatrici, annotano gli investigatori, Ndr) (…) preciso che parlo di prestanomi perché tutti, nel settore, sanno che la cooperativa è riconducibile alla famiglia Renzi, in particolare a Tiziano e alla moglie. Poi c’era anche Andrea Conticini ….. che guidava Eventi 6”. Il cognato di Matteo Renzi, marito di Matilde Renzi, in realtà non è socio né amministratore della società ma di fatto si occupa dell’attività commerciale della società.

Secondo Magherini, era Tiziano Renzi in persona ad occuparsi dei volantini: “Ricordo che negli anni passati era lo stesso Tiziano Renzi che veniva lui personalmente con i mezzi di trasporto a prelevare i volantini in esubero. Successivamente di questa cosa si occupava Carlo Ravasio, uno della cooperativa. Questa era una cosa risaputa, nota a molte persone che come me lavorano nel settore. So che Tiziano aveva approntato una sorta di deposito per i volantini da macerare a Rignano”. Secondo Magherini “su questa gestione occulta sono tutti d’ accordo compresi i responsabili marketing di Esselunga ed altri supermercati. Ad esempio per coprire tutta Firenze e Scandicci ci vogliono 230 mila-240mila volantini mentre ne vengono forniti più di un milione”. Ma dove finiscono i volantini fantasma? “La città che sento spesso nominare dove i volantini vanno al macero – spiega Magherini – è Mantova”.

I pm hanno cercato riscontri e il Gip Angela Fantechi nell’ordinanza scrive: “Le indagini svolte consentono di affermare che gli amministratori della Cooperativa, ovviamente con il consenso degli amministratori della Eventi6 (considerate che entrambe sono riferibili a Bovoli Laura e Renzi Tiziano), hanno sistematicamente destinate, fin dall’origine, al macero una parte del materiale pubblicitario affidatole per la distribuzione”.

Il Gip sulle dichiarazioni relative al fatto che “Tiziano Renzi in alcune occasioni si era anche occupato personalmente di ritirare i volantini pubblicitari da inviare al macero” scrive: “Le dichiarazioni suddette sono state riscontrate da una significativa attività investigativa”. In particolare c’è stata “un’attività di pedinamento eseguita in data 12 luglio 2018 dalla Guardia di Finanza”. La GdF ha seguito da Firenze un camion che caricava alle 9 di mattina “32 bancali di materiale pubblicitario non commercializzabile, che i militari vedevano essere costituito da volantini pubblicitari della catena di Supermercati Esselunga relativi a vendite promozionali relative all’arco temporale decorrente dal 12 luglio 2018 al 29 agosto 2018”. Destinazione? “L’Eco Cart Srl San Giorgio di Mantova”. Qui “le saracinesche del magazzino venivano prontamente chiuse impedendo ai militari di osservare cosa accadesse all’interno”. Però Mario Giuseppe Precuzzi, titolare della Ecocart, ha riferito che “la Marmodiv consegna gratuitamente i volantini da destinare al macero alia Eco Cart”. Anche Silvia Gabrielleschi, altra dipendente della Marmodiv ha confermato: “Le quantità dei volantini che le committenti danno a Eventi 6 e che poi vengono consegnati alla Marmodiv per la distribuzione sono sempre in quantità superiore a quella effettivamente distribuita”.

Matteo parla come B: “Punito perché sono sceso in politica”

Incredulo, addolorato, fuori di sé dalla rabbia. Per Matteo Renzi, la notizia che i suoi genitori sono agli arresti domiciliari è “un fulmine a ciel sereno”, una “notizia inaspettata”, “un’esagerazione”. Lo vive e lo racconta come un tentativo (secondo lui l’ennesimo) di farlo fuori per via giudiziaria. D’altra parte, è fresco di stampa il suo ultimo libro, Un’altra strada, nel quale l’inchiesta Consip è raccontata come un tentativo di fermarlo, iniziato quando ancora sembrava che avrebbe vinto il referendum. Da notare che l’ordine di custodia cautelare è del 13 febbraio, il libro è uscito il 14. E proprio per presentarlo era a Torino e per stamattina aveva una fitta agenda radio e tv. Tutto annullato. Ha preso la macchina e si è messo in viaggio. Alla volta di Firenze, anche se i genitori non può vederli. Ci è voluto giusto il tempo di assorbire la notizia per scrivere un post Facebook. “Sono costretto ad annullare la presentazione del libro a Torino per una grave vicenda personale. Da circa un’ora mio padre e mia madre sono ai domiciliari. Ho molta fiducia nella giustizia italiana e penso che tutti i cittadini siano uguali davanti alla Legge. Dunque sono impaziente di assistere al processo. Perché chi ha letto le carte mi garantisce di non aver mai visto un provvedimento così assurdo e sproporzionato”, esordisce. Il riferimento è all’avvocato dei genitori, Federico Bagattini. “Arriveranno le sentenze e vedremo se questi due cittadini settantenni, incensurati, sono davvero i pericolosi criminali che meritano – oggi, casualmente proprio oggi – questo provvedimento”, scrive. Il riferimento è al voto sulla piattaforma Rousseau che, tra polemiche, rinvii e sospetti, ieri sera detta la linea al Movimento 5 Stelle: no al processo a Salvini. “Se io non avessi fatto politica, la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango. Se io non avessi cercato di cambiare questo Paese i miei oggi sarebbero tranquillamente in pensione. Dunque mi sento responsabile per il dolore dei miei genitori, dei miei fratelli, dei miei figli e dei miei nipoti. I dieci nipoti sanno però chi sono i loro nonni. Sanno che possono fidarsi di loro”. La linea è quella tenuta nei confronti di Tiziano per tutto il processo Consip. Poi, il rilancio: “Voglio che sia chiaro a tutti che io non mollo di un solo centimetro. La politica non è un vezzo personale, ma un dovere morale. Se qualcuno pensa che si possa utilizzare la strategia giudiziaria per eliminare un avversario dalla competizione politica sappia che sta sbagliando persona. Io continuerò a combattere per questo Paese”. Da pochi giorni Renzi aveva iniziato il suo (ennesimo) tour in vista di un nuovo partito, sempre all’orizzonte. Con i commenti dei fedelissimi nemmeno troppo impliciti: “Mentre il Pd cerca il suo leader, ce n’è già uno e si chiama Renzi”. Ieri, non ha parlato praticamente con nessuno. Uno scambio di idee con Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato per indire una conferenza stampa per oggi pomeriggio a Palazzo Madama. Praticamente per prima è arrivata la solidarietà di Silvio Berlusconi: “Una cosa dolorosa che non sarebbe accaduta se la sinistra avesse accettato di realizzare la nostra riforma della giustizia, che prevede la custodia cautelare solo per chi è colpevole di un reato di sangue”. Una sorta di abbraccio della morte, che davvero suggerisce, un’assimilazione tra la figura di Renzi e quella di Berlusconi. Luigi Di Maio in assemblea con M5s chiede ai suoi di evitare commenti. Ieri sera, particolarmente scivolosi. E poi, la solidarietà del Pd. Stavolta in blocco. Per capire come ha intenzione di reagire Renzi, appuntamento oggi in Senato.

Fatture false, i genitori di Renzi ai domiciliari

Tiziano Renzi e Laura Bovoli, i genitori dell’ex premier Matteo Renzi, ieri sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni. La bomba nella casa di Rignano sull’Arno è scoppiata all’ora di cena. Ma al di là dell’indagine della Procura di Firenze, Il Fatto può rivelare un dettaglio inedito: secondo una testimonianza il padre dell’ex premier potrebbe aver addirittura fatto cancellare alcuni dati da un pc per il timore delle indagini.

Ma procediamo con ordine. Al centro dell’inchiesta fiorentina che ieri ha portato agli arresti dei coniugi Renzi c’è il fallimento di tre cooperative (le due fallite “Delivery Service”, costituita nel 2015 e “Europe Service”, e la “Marmodiv”), tutte in rapporti con la società di famiglia, la “Eventi 6”. Secondo i pm l’obiettivo era risparmiare sugli oneri previdenziali: “le cooperative – scrive il gip – (…) sono state costituite essenzialmente per consentire alla s.r.l. ‘Chil Post’/‘Eventi6’ (…) di avere a disposizione lavoratori dipendenti senza dover sopportare i costi relativi all’adempimento di oneri previdenziali ed erariali, tutti spostati in capo alle cooperative stesse”.

Secondo le accuse si tratta di un escamotage che si è ripetuto più volte. “II modus operandi adottato da Renzi Tiziano e Bovoli Laura – è scritto nelle 96 pagine di ordinanza – (…) è consistito nel costituire e nell’avvalersi delle cooperative ‘Delivery Service’, ‘Europe Service’ e ‘Marmodiv’, poi destinandole all’abbandono non appena esse raggiungevano uno stato di difficoltà economica”.

Si tratta di fatti “non sono occasionali” che “si inseriscono in un unico programma criminoso in corso da molto tempo, realizzato in modo professionale con il coinvolgimento di numerosi soggetti”.

L’inchiesta infatti conta una decina di indagati. E tra questi, Mariano Massone, ritenuto amministratore di fatto della “Delivery Service” e anche questi finiti ai domiciliari, e Roberto Bargilli, detto “Billi”, nel cda della stessa società, noto per essere l’autista delle primarie del 2012 di Matteo Renzi.

Così la storia – secondo le accuse – si è ripetuta più volte. Per la “Europe Service”, “é stato accertato l’omesso versamento sistematico degli oneri previdenziali e tributari soltanto con riferimento al periodo successive all’abbandono della cooperativa da parte di Renzi Tiziano e Bovoli Laura in favore di Massone Mariano. Certo è che la fallimentare fine della Cooperativa era ben prevedibile al momento del suo abbandono”. Come pure per la “Delivery Service”: “Renzi Tiziano, Bovoli Laura e Massone Mariano hanno ritenuto, fin da poco dopo la costituzione della cooperativa, di omettere sistematicamente il versamento di oneri previdenziali e imposte”.

L’attività non si fermata neanche in tempi più recenti. Infatti il gip ha deciso di emettere la misura cautelare perchè – proprio mentre la Procura indagava – era in corso “la fase dell’abbandono della Marmodiv”. “È del tutto verosimile – scrive il gip – che, ove non si intervenga con l’adozione delle richieste misure cautelari, essi proseguiranno nell’utilizzo di tale modus operandi criminogeno, coinvolgendo altre cooperative”.

Tra i dipendenti sentiti come persone informate dei fatti dai pm c’è Silvia Gabrielleschi, la quale ha parlato “delle sovrapposizioni di soggetti che operavano per ‘Marmodiv’ e per la ‘Eventi6’ confermando la ipotesi che le due strutture societarie venissero utilizzate in modo unitario”. La Gabrielleschi è la stessa citata in una denuncia depositata il 26 ottobre 2018 da Alessandro Maiorano, che più volte ai pm ha denunciato, senza risultato, l’ex premier.

Alla Finanza di Prato, Maiorano ha spiegato che la Gabrielleschi gli disse che “prima della perquisizione avvenuta a ottobre 2017 presso la ‘Marmodiv’, Tiziano Renzi sapeva già dell’arrivo dei finanzieri e si premunì contattando un tecnico informatico suo amico al fine di formattare i computer, contenenti le fatture per operazioni ed assegni collegati alle suddette fatture, riportanti firme false”. Non sappiamo se il resoconto della Gabrielleschi a Maiorano corrisponda al vero, di certo c’è che oggi la Gabrielleschi è una delle testimoni chiavi di un’inchiesta che ha portato i genitori di Matteo Renzi ai domiciliari.

Giletti-Salvini e l’adorazione del conduttore del popolo

Alla seconda stagione di Non è l’arena, Massimo Giletti è in trance agonistica, i sondaggi sono dalla sua parte, è lui il conduttore del popolo. Inizio stile Celentano dei tempi d’oro. Massimo versa del latte in silenzio, poi parte un sermone in difesa dei pastori sardi “e del politico che ci ha messo la faccia”. Già che ci siamo, facciamogliela mettere anche qua. Appare in collegamento, ma sarebbe meglio dire sorge, il volto di Matteo Salvini in cinemascope HD. Barba di due giorni, ruvida maglietta da transumante appena giunto dalla mungitura: il monoscopio fatica a contenere il ministro prestato alla pastorizia. Alle sue spalle, un ridente porticciolo ermeticamente chiuso (forse ha il lucchetto in tasca). In un angolino, aiutandosi con la lente d’ingrandimento, si scorge un Giletti lillipuziano. “Ho passato San Valentino in Sardegna, e ci resterò tutta la settimana”. È il primo scoop di una serie ininterrotta, 50 minuti senza il disturbo di uno spot. Pastori, migranti, Tav, reddito di cittadinanza: Salvini parla, Giletti ascolta come in estasi, si illumina, freme, ringrazia. “Questo è il crocifisso di nonna Delfina. Me lo ha regalato un’elettrice, mi dà una grande energia”. Ce n’è anche per Fabio Fazio, “uno che intasca milioni dagli italiani per far fare dei comizi ai politici… Lei, Giletti, non dica niente, faccia solo sì con la testa”. Giletti fa sì con la testa. “Un bacione, Massimo” “Un abbraccio”. Questo non è un comizio: come diceva Dean Martin, That’s Amore.

Movimento 5Stalle

Siccome qualcuno aveva evocato il primo referendum processuale della storia, quello indetto da Ponzio Pilato fra Gesù e Barabba, possiamo tranquillamente dire che qui mancava Gesù. Ma ha rivinto Barabba. E non perché Matteo Salvini sia un bandito, anche se è (anzi ormai era) indagato per sequestro di persona aggravato di 177 migranti appena salvati dal naufragio. Ma perché, quando si chiede al “popolo” di pronunciarsi non su questioni di principio, ma su casi penali dei quali non sa nulla, la risposta che arriva di solito è sbagliata. E quella data ieri dalla maggioranza degli iscritti 5Stelle non è solo sbagliatissima: è suicida. La stessa, peraltro, che auspicavano i vertici, terrorizzati dalla reazione di Salvini, cioè dalle ripercussioni sul governo e dunque sulle proprie poltrone. Chi aveva sperato che gli iscritti dessero una lezione agli eletti, anzi ai “dipendenti” come li chiamava un tempo Grillo, facendoli rinsavire e rammentando loro i valori fondativi della legalità, dell’uguaglianza, della lotta ai privilegi di Casta, è rimasto deluso. Per salvare Salvini, i 5Stelle dannano se stessi. Nemmeno le parole sagge e oneste dei tre sindaci di punta – Appendino, Nogarin e Raggi – raccolte ieri dal Fatto sono servite a restituire la memoria alla maggioranza della “base”.

È bastato meno di un anno di governo perché il virus del berlusconismo infettasse un po’ tutto il mondo 5Stelle. E l’impietoso referto del contagio è facilmente rintracciabile nelle dichiarazioni dei senatori che già da giorni volevano a tutti i costi salvare Salvini e nei commenti sul Blog delle Stelle dei loro degni iscritti che li hanno seguiti anziché fermarli sulla strada dell’impunità. Dicono più o meno tutti la stessa cosa: siccome ora governiamo noi e la Lega, decidiamo noi chi va processato e chi no, alla faccia dei giudici politicizzati che vorrebbero giudicare le nostre scelte unanimi per rovesciare il governo. Questo, in fondo, era il messaggio in bottiglia mal nascosto nella decisione di affidare agli iscritti una scelta che avrebbero dovuto assumere, senza esitazione alcuna, il capo politico Di Maio e il suo staff. Una scelta naturale, quasi scontata, quella dell’autorizzazione a procedere, che era stata annunciata fin da subito, quando arrivò in Parlamento la richiesta del Tribunale dei ministri su Salvini: “Vuole il processo? Lo avrà”. Ma poi era stata prontamente ribaltata, peraltro senza mai essere ufficializzata, quando Salvini aveva cambiato idea intimando con un fischio ai partner di salvarlo dal processo. Riuscendo nell’impresa di spaccarli a metà.

Ergo, a decidere la linea del primo partito d’Italia, sono i capricci dell’alleato-rivale. Che ha imposto ai 5Stelle un voltafaccia pronunciato a mezza bocca, senza nessuno che se ne assumesse la paternità e la responsabilità. Un atto non dovuto, gratuito (il governo non sarebbe certo caduto sulla Diciotti) di sottomissione a Salvini: lo stesso che prende i 5Stelle a pesci in faccia sul Tav, le trivelle e prossimamente sull’acqua pubblica, straccia spudoratamente il Contratto di governo e poi pretende l’asservimento totale degli alleati senza restituire nemmeno un pizzico di lealtà. Così le storiche parole d’ordine di Beppe Grillo e la lezione di Gianroberto Casaleggio – “Ogni volta che deroghi a una regola, praticamente la cancelli” – sono finite nel dimenticatoio, con la scusa che “questa volta è diversa”, “non è come con gli altri governi”, “non ci sono di mezzo le tangenti”. Ma “solo” un sequestro di persona, che sarà mai. E tanti saluti a quei fresconi dei sindaci Raggi, Appendino e Nogarin, più volte indagati o imputati non certo per storie di vil denaro, ma per atti compiuti nell’esercizio delle funzioni di governo, che mai hanno detto una parola contro i magistrati e si sono sempre difesi nei, non dai processi.
Certo, qualcuno avrebbe votato diversamente se il caso Diciotti fosse stato presentato sul blog in maniera corretta e veritiera, e non nel modo menzognero e truffaldino studiato apposta per subornare gli iscritti (il No per il Sì al processo, e viceversa; il quesito cambiato in corsa ieri mattina per blindare ancora meglio il Sì all’impunità; il sequestro di persona spacciato per un banale “ritardo nello sbarco”; l’invocazione del salvacondotto per “l’interesse dello Stato”, del tutto sconosciuto alla norma costituzionale, che consente il no al processo solo in caso di “interesse pubblico preminente” o “costituzionalmente rilevante”). Ma la perfetta identità di vedute fra la maggioranza degli eletti e il quasi 60% degli iscritti votanti è un dato di fatto da prendere in considerazione per quello che è: i vertici hanno ormai la base che si meritano, e viceversa. Però, da ieri, il M5S non è più il movimento fondato dieci anni fa da Grillo, Casaleggio e decine di migliaia di militanti. È qualcosa di radicalmente diverso, che ancora non conosciamo appieno e di cui dunque non possiamo immaginare il destino. Ma che non promette nulla di buono, se la maggioranza emersa ieri dal blog resterà tale, scoraggiando e allontanando la pur cospicua minoranza di pentastellati rimasti coerenti e fedeli ai valori originari. Qui non è questione di presunte svolte a destra o a sinistra. E non è in ballo l’eterno giochino tra ortodossi e dissidenti, o fra dimaiani, fichiani e dibattistiani. Ma qualcosa di ben più profondo. Se il M5S perde la stella polare della legge uguale per tutti, gratta gratta gli resta ben poco, perché quello era il fondamento di tutte le altre battaglie, l’ubi consistam della sua diversità, anzi della sua alterità rispetto ai vecchi partiti. I quali non mancheranno di rinfacciarglielo a ogni occasione: “Visto? Ora siete come noi. Benvenuti nel club”. Dalle stelle alle stalle.

La ministra Stefani: “Se l’intesa è firmata, non si può cambiare”

Più passano i giorni più il nodo del contendere diventa chiaro: la Lega vuole che le intese sull’autonomia differenziata per Emilia Romagna, Lombardia e Veneto avvengano il più possibile in segreto e solo attraverso il confronto tra il governo nazionale e quelli regionali. Il dibattito in Parlamento, pericoloso, va soffocato. La ministra per gli Affari regionali Erika Stefani, ad esempio, ieri – ribadito che “l’autonomia è nel contratto” – lo ha detto quasi in chiaro: “Ho ascoltato perché è giusto sentire anche opinioni diverse, ma se un’intesa è firmata anche dal presidente del Consiglio, com’è possibile fare un emendamento e imporre a una delle contraenti la modifica del contratto?”. Il collega di governo Riccardo Fraccaro al Fatto aveva rivelato che l’idea era far lavorare le Camere sui testi prima delle firme definitive. La Lega, però, ha fretta: “L’autonomia è un tema centrale per il governo, più del caso Diciotti”, dice Giancarlo Giorgetti, “faceva parte del programma di governo e deve essere fatta bene. C’è una discussione in corso e abbiamo fiducia perché è quello su cui hanno votato i cittadini delle due Regioni” (al sottosegretario, evidentemente, interessano solo i capoluoghi “verdi” di Lombardia e Veneto).

Di Maio insiste: “Ora un’organizzazione centrale dei 5 Stelle”

Lo aveva scrittonel suo primo post su Facebook dopo i giorni di silenzio seguiti alla sconfitta elettorale in Abruzzo. E il vicepremier Luigi Di Maio lo ha ribadito anche ieri sera in apertura dell’assemblea dei parlamentari del Movimento 5 Stelle proprio parlando della scoppola presa dalla grillina Sara Marcozzi alle Regionali di domenica scorsa (e forse presagendo quella di domenica prossima in Sardegna, dove “il nostro Desotus farà il risultato nelle sue possibilità”): “Non basta presentare una lista, abbiamo bisogno di un tessuto di amministratori sui territori. Di un’organizzazione verticale sui temi”, ha spiegato il capo politico grillino, per poi mettere il tema direttamente sul tavolo: “Il tema che vorrei porre nei prossimi mesi è un’organizzazione centrale del Movimento, con una struttura verticale sui temi”. Una sorta di bestemmia per il movimento nato attorno al non Statuto, per cui l’organizzazione di un ceto dirigente politico era una bestemmia: ora resta un ultimo ostacolo su questa strada, il divieto di andare oltre il secondo mandato elettivo che metterebbe fuori gioco in primo luogo Di Maio.