I renziani spaccano la mozione Martina per le poltrone

Per costruire le liste per l’Assemblea del Pd, dentro la mozione Maurizio Martina, la lite è stata massima ed è andata avanti fino alla scadenza, prevista per ieri sera alle 19. Prima di tutto, la mozione si è di fatto sdoppiata. Ci saranno due liste in appoggio all’ultimo segretario uscente: una che si chiama “Fianco a Fianco” e una dei renziani, organizzata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini, che avrà il nome di ciascuna regione, più la scritta “per Martina”. Dentro ci sono praticamente tutti i parlamentari.

Ma tra i lottiani e i martiniani originari (in primis Matteo Richetti), ma anche Graziano Delrio, il conflitto è andato avanti fino all’ultimo momento utile, con i primi determinati a prendersi tutto. Sono volate parole pesanti.

Per gli altri candidati, le cose sono andate più lisce: a sostegno di Nicola Zingaretti c’è un’unica lista in tutta Italia, Piazza Grande, in ogni collegio, che in alcuni territori viene affiancata da una lista civica. Tra i candidati, il presidente del Parco dei Nebrodi. Una sola lista anche quella consegnata senza troppo pathos dalla mozione di Roberto Giachetti e Anna Ascani.

La lista De Magistris rischia già di saltare

Il progetto di Luigi de Magistris per una lista della sinistra alle Europee rischia di saltare. E a fianco del progetto di “Dema” si prepara un’altra lista, su iniziativa dei Verdi e del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, che prenderà le mosse sabato a Roma con il convegno ecologista Onda verde civica.

De Magistris non ha ancora preso una decisione su come proseguire. Chi ci ha parlato lo ha visto deluso dalla piega che ha preso il tavolo unitario costruito dopo l’iniziativa dello scorso 15 dicembre. Lo scontro è nato dopo che Potere al Popolo, la formazione di estrema sinistra con Viola Carofalo e Giorgio Cremaschi portavoce, è entrata a far parte della discussione portando al tavolo comune proposte come la “rottura dei trattati europei” o la “solidarietà a Maduro in Venezuela”. Tanto è bastato a forze come Diem25, la ramificazione italiana del progetto internazionale di Yanis Varoufakis, per sfilarsi dal tavolo. Ma anche Sinistra Italiana, guidata da Nicola Fratoianni, valuta la propria uscita dopo le posizioni di PaP, soprattutto la presa di distanza dalla manifestazione sindacale del 9 febbraio e dalla segreteria Cgil Maurizio Landini in particolare.

A rendere ancora più tesi i rapporti l’attacco da parte di un esponente del coordinamento nazionale di PaP all’ipotesi di candidature come Sergio Cofferati o la parlamentare uscente di Possibile, Ely Schlein.

A lasciare per primo il tavolo è stato Lorenzo Marsili, rappresentante di Diem25, ostile ad “accrocchi lessicali per combinare posizioni diverse”. Diem25 scommette molto sul progetto di Green New Deal, rilanciato da Varoufakis e dalla sinistra socialista americana, da Bernie Sanders ad Alexandria Ocasio-Ortez. In questa prospettiva si è associata al progetto dell’Onda verde civica promosso dai Verdi.

Puntiamo alla “centralità ecologista” spiega Angelo Bonelli che ha mantenuto in piedi la sigla dei Verdi anche se oggi preferisce stare un passo indietro. L’appello che promuove l’iniziativa di sabato prossimo è firmato da una serie rilevante di personalità tra cui spicca il nome di Massimo Bray, ex dalemiano, poi ministro del governo Letta e comunque figura di spicco di una certa sinistra. Ma ci sono decine di attori, attrici, intellettuali che propongono l’ecologia come chiave. E c’è l’accordo tra i Verdi e Pizzarotti, accordo che dovrebbe essere esteso a +Europa di Benedetto Della Vedova anche se l’interlocutore privilegiato è Marco Cappato. Un incontro ci sarà nei prossimi giorni,

Questa iniziativa interessa anche Sinistra italiana che sente stretto ormai il tavolo apparecchiato da De Magistris e cerca un rapporto privilegiato con il Prc di Maurizio Acerbo che, a differenza di tutti gli altri, detiene un simbolo, Sinistra europea che eviterebbe la raccolta di 180 mila firme in due mesi. Impresa impossibile per chiunque.

Sinistra italiana spera dunque che il Prc si stacchi e che magari accetti, in nome della vecchia militanza comune, di andare a discutere con i Verdi una lista “rosso-verde”. Acerbo però, in un inedito ruolo centrale, dispensa prudenza: “L’approccio programmatico di De Magistris e delle forze che si riconoscono nella Sinistra europea è molto forte e penso che la convergenza sia possibile”. In realtà lo sarebbe se PaP dovesse tirarsi indietro o se De Magistris scegliesse di troncare i rapporti con un gruppo molto forte a Napoli. Ma lo farà? La palla è nelle sue mani, ma il rischio è che i giocatori non siano più in campo.

Il triste congresso del Pse: il Pd lo snobba, i sondaggi a picco

Con i 31 eurodeputati eletti nel 2014, grazie al 41% di Matteo Renzi, il Pd era il gruppo più consistente del gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. Ma al congresso che si celebra venerdì e sabato a Madrid sarà sostanzialmente assente. Non ci andranno i tre candidati alla segreteria, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti: sotto congresso, non è il caso. Gli italiani saranno rappresentati da Catiuscia Marini, presidente del gruppo socialista al comitato delle regioni dal 2015. Doveva esserci anche Piero Fassino, ma ha avuto un incidente. Lo Spitzenkandidat, Frans Timmermans, è stato due settimane fa alla Convenzione nazionale dem. Dove ha ribadito che il Pd è essenziale per il futuro del Socialismo europeo.

I segnali che potrebbero essere in realtà determinanti per affossarlo, però, vanno oltre l’assenza a Madrid. Basta leggere il Manifesto di Calenda: “All’indomani delle elezioni, la scelta degli eletti di aderire a gruppi parlamentari europei diversi rappresenterà l’anticipazione di una rifondazione delle grandi famiglie politiche europee”. Suona tanto come la premessa a un liberi tutti. D’altra parte, lo stesso Calenda potrebbe finire nell’Alde. E Sandro Gozi sta lavorando da mesi a un’alleanza tra renziani e macroniani.

Il secondo segnale riguarda i sondaggi: il Pd è dato al 17,3%, con 15 seggi, secondo la media delle intenzioni di voto prevista nell’indagine realizzata da Kantar Public (diffusa ieri dal Parlamento europeo). E in generale, sono pessime le previsioni per tutto il gruppo Socialista. Il Ppe rimarrebbe il più numeroso con 183 seggi, mentre i Socialisti calerebbero da 186 a 135. Calo sufficiente a non rendere possibile una maggioranza tra i due. In calo anche Ecr con 51 seggi e i Verdi con 45. In crescita invece i Liberali con 75 parlamentari, l’Efdd con 43 e pure i sovranisti dell’Enf con 59.

In questo contesto di depressione generale si svolge il congresso di Madrid. La città era stata decisa 4 mesi fa, quando Pedro Sanchez sembrava avere le carte in regola per essere uno dei frontman ideali per la campagna elettorale. Le location sono quanto mai suggestive: il Museo Reina Sofia venerdì e il Teatro Coliseum sabato. Il contesto è cambiato e la reunion dei Socialisti dovrà pure lanciare le elezioni spagnole del 28 aprile, dopo che Sanchez è caduto sulla legge di bilancio. Non solo: nella capitale spagnola negli stessi giorni ci sarà il congresso di Vox, il partito di estrema destra in crescita costante.

Nessun colpo di scena previsto a Madrid, ma solo la firma di un manifesto, per un’Europa “giusta, libera e sostenibile”.

Tra i leader presenti, l’unica vera speranza per il socialismo è António Luís Santos da Costa, il premier di quel Portogallo che sta diventando in tutta Europa il modello da additare, dopo essere passato dalla crisi al rilancio. Ci sarà il premier svedese, Stefan Löfven, che era stato sfiduciato 4 mesi fa, dopo che le elezioni legislative avevano fatto registrare un sostanziale pareggio e che solo a gennaio è riuscito a chiudere un accordo con i verdi e a negoziare un appoggio del centro e dei liberali. Presente pure il premier maltese, Joseph Muscat, già amico di Renzi, ora in rotta con l’Italia dopo la richiesta a gennaio di accogliere la Sea Watch 3 e la Sea Eye. Presente il laburista Jeremy Corbyn, che non spicca solo per radicalità, ma è portatore di un’ulteriore incognita: il gruppo potrà contare sui suoi seggi (che sarebbero quanto mai preziosi) o ci sarà la Brexit?

Nel frattempo, Timmermans batte l’Europa. Accoglienza da ricordare quella a Budapest, la settimana scorsa: praticamente chiunque gli chiedeva se fosse finanziato da Soros o se avesse intenzione di portare gli immigrati nel Paese. Che succederà dopo le elezioni? Dietro l’angolo c’è un’alleanza con il Ppe? “Non ci sarà più la maggioranza classica, perché ci sarà una frammentazione dell’offerta politica, come è avvenuto nei paesi membri. Ma puntiamo a essere la forza centrale per l’alternativa progressista”, dice Giacomo Filibeck, vicesegretario del Pse.

Antitrust: “Il leghista Galli fa il viceministro, ma è incompatibile”

Il viceministro leghista allo Sviluppo, Dario Galli, si ritrova a essere incompatibile con la sua carica di governo. Così l’Antitrust, che è competente sulla materia, ha chiuso l’inchiesta aperta in ottobre: Galli, infatti, risulterebbe ancora componente del consiglio d’amministrazione della Ticino Plast e presidente del cda di Ticino Holding. La legge, ha ricordato ieri l’Authority nel suo bollettino settimanale, esclude infatti “per il titolare di carica di governo, la possibilità di ricoprire cariche ovvero esercitare compiti di gestione in società aventi fini di lucro”. Non è in discussione, scrive l’Antitrust, che le due società nel cui consiglio siede Galli “siano società aventi fini di lucro, né che il ruolo ricoperto da Galli integri gli estremi della titolarità di una carica societaria e, dal punto di vista sostanziale, sia qualificabile come esercizio di compiti di gestione”. A ottobre Galli – che nel frattempo è decaduto da sindaco di Tradate (Va) sanando un’altra causa di incompatibilità – aveva spiegato che la carica di presidente di Ticino Holding sarebbe cessata entro un paio di mesi, mentre per quella nel cda di Ticino Plast ci sarebbe voluto più tempo, “attesa la difficoltà di individuare altro soggetto cui conferire l’incarico”.

Rai, Foa blocca il nuovo contratto di Vespa

Anche in Rai si guarda con un certo interesse alle prossime elezioni europee. Perché se saranno confermati i sondaggi e si verificherà un ribaltamento nei rapporti di forza tra Lega e M5S, gli equilibri sono destinati a cambiare anche nella tv pubblica. E già qualche segnale inizia a vedersi, per esempio, dal protagonismo del presidente Marcello Foa rispetto al low profile dell’amministratore delegato Fabrizio Salini. Non si tratta solo di forma, ma di sostanza.

È sul tavolo del presidente (nominato in quota Lega), infatti, che sta il dossier più scottante: quello del nuovo piano informazione che, come il piano industriale, dovrà essere presentato entro il prossimo 7 marzo. L’argomento a Viale Mazzini è avvolto dal mistero: molti non ne sanno nulla e i pochi che sanno mantengono la consegna al silenzio. Da quello che trapela, però, è Foa a essere impegnato sulla pratica. Tanto che, secondo alcuni, è lui (e non Salini) il vero punto di riferimento del mondo giornalistico. Non che l’ad non se ne stia occupando: entrambi hanno studiato a fondo sia il vecchio piano di Luigi Gubitosi sia quello (mai nato) di Carlo Verdelli. Ma se l’ad sta seguendo di più la parte del piano industriale, a dare le carte sull’informazione sarà Foa. Un piccolo indizio in tal senso è il blocco del rinnovo del contratto di Porta a Porta per la prossima stagione, input arrivato proprio dal presidente. Nel quadro di una razionalizzazione delle risorse e del taglio ai compensi più pesanti, come spiegato pure in commissione di Vigilanza, anche con Vespa ci si vuole sedere intorno a un tavolo e ridiscutere tutto: dallo stipendio al conduttore (ora 1 milione e 200 mila) al numero di puntate settimanali (adesso sono tre). Se sarà difficile portare Vespa sotto il tetto dei 240 mila euro (quello per i giornalisti), un ulteriore taglio alla sua busta paga è nell’aria.

Come in un derby infinito, se Foa batte un colpo, Salini ne batte un altro. E così ecco lo stop a Maria Giovanna Maglie per la conduzione della striscia serale post Tg1, che ora si vorrebbe affidare a un altro nome (è circolato ed è già stato scartato quello di Mario Giordano). Se però il risultato alle Europee dovesse confermare i sondaggi, il potere di Foa dentro Viale Mazzini è destinato ad aumentare. A scapito, naturalmente, dell’ad. E qualcuno, tra Saxa Rubra e Viale Mazzini, evoca addirittura un remake di ciò che accadde con Maggioni e Campo Dall’Orto, con la presidente che via via acquistò sempre più potere rispetto al direttore generale. Il quale alla fine, dopo essere stato mollato pure da Matteo Renzi, fu costretto ad andarsene.

Questa settimana, intanto, occhi puntati su Carlo Freccero, il cui esordio in commissione di Vigilanza, giovedì, promette scintille. Il direttore di Rai2 ci arriverà avendo sul groppone i mediocri risultati dei nuovi programmi d’informazione appena partiti: Povera Patria (3% venerdì scorso) e Popolo sovrano (2,7%). Per tentare di sollevare lo share, per quest’ultimo programma si stanno studiando dei correttivi. Una novità dovrebbe essere l’arrivo di Luca Telese come commentatore fisso, ad affiancare Luca Sortino, Eva Giovannini e Daniele Piervincenzi.

La preghiera per Formigoni porta la guerra nel santuario

“Io sono un cristiano e sono un amante della verità. Io non schedo i fedeli, confesso anche le prostitute. Io non ho bisogno di mostrarmi come seguace di papa Francesco, io sono un seguace di papa Francesco. Io non posso, però, permettere che la preghiera diventi uno strumento politico per Roberto Formigoni”, è furente Don Cesare Nisoli, pro rettore del santuario Santa Maria del Fonte di Caravaggio, nel Bergamasco. Cos’è accaduto nel luogo in cui il 26 maggio 1432, il mese mariano per eccellenza, la Madonna apparve a Giannetta de’ Vacchi, una contadina moglie di un alcolizzato?

L’ex governatore lombardo, condannato in appello a sette anni e mezzo per corruzione, deve affrontare l’udienza dell’ultimo giudizio (terreno), fissata per giovedì in Cassazione. Allora il comitato amici di Formigoni, formato soprattutto da esponenti di Comunione e Liberazione, ha trascorso un pomeriggio di preghiera al Santuario, sabato 16 febbraio. Un momento di afflizione e speranza collettiva per supplicare, chissà, un intervento divino sul cammino di Formigoni.

Il giorno prima, il venerdì a otto minuti dalle tredici, come rammenta lo stesso Don Nisoli, il pro rettore riceve una lettera dall’avvocato Giuseppe Zola, già vicesindaco di Milano. Zola chiede di affidare la celebrazione, assieme al prete del Santuario, anche a monsignor Luigi Negri, vescovo emerito di Ferrara. Negri è un ciellino, un conservatore, un fiero oppositore del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Don Nisoli rifiuta l’incarico a Negri e informa Zola che c’è la turnazione per chi dice messa. Quel sabato non tocca neppure al pro rettore, impegnato nel rosario dopo l’eucarestia.

Zola rassicura Don Nisoli che Roberto, il “Celeste”, non sarà presente, verrà omaggiato e sostenuto in assenza, perché gli amici si riuniscono dinanzi all’altare e può bastare. Nel Bergamasco si diffonde la notizia del raduno dei formigoniani, così Don Nisoli firma un comunicato per smentire pure quelli che insinuano una donazione al Santuario per l’evento e per non mescolare Santa Maria del Fonte e le traversie giudiziarie di Formigoni: “Non si vuole criticare né discutere l’intenzione, che è nel cuore di qualche fedele. Si ricorda, però, che la messa è e resta l’atto con il quale la comunità cristiana rende grazie a Dio di tutti i suoi benefici rinnovando l’offerta di Cristo sulla croce. Non si può correre il rischio che venga trasformata in occasione per un gesto di solidarietà umana”. La Nuova Bussola Quotidiana, un giornale online di cattolici distanti da papa Francesco, bacchetta Don Nisoli con un articolo del direttore Riccardo Cascioli e un titolo inequivocabile: “A Caravaggio vietato pregare per Formigoni”. Il pro rettore s’infuria, replica a Cascioli: “Quante falsità, perché? Il gruppo di ciellini, circa un centinaio, non è che li ho contati, ha partecipato alla messa e poi si è fermato per il rosario. Io non ho chiuso le porte, non lo farei mai. Le porte della Chiesa sono aperte. A tutti”.

Cascioli punzecchia Don Nisoli e cita un incontro al Santuario con attivisti Lgbt. “Che c’entra? Quelli erano omosessuali impegnati in un percorso di fede con un prete. Vi ripeto: io non commento le condotte di Formigoni, ma non potevo schierare il Santuario a pochi giorni da una sentenza. La preghiera si fa sinceramente. Non è necessario far sapere che si prega e per chi si prega”. Questa bizzarra diatriba ha i connotati giusti per proseguire all’infinito, ma il significato va oltre Formigoni, oltre l’avvocato Zola, oltre il pro rettore. Caravaggio svela una Chiesa divisa, lacerata, nervosa, un parlamento cattolico con maggioranza e opposizione, chi è tradizionalista, chi progressista, chi denuncia la deriva del lassismo, chi rivendica la misericordia di Francesco. Troppa confusione. Anche solo per pregare.

Tlc, Sirti annuncia 833 esuberi in tutta Italia: “Colpa del 5G”

Un mercato in contrazione, dove gli unici investimenti consistenti sono sulle reti in fibra, che però non sono sufficienti a sostenere l’intero settore. Con queste motivazioni Sirti, colosso italiano delle reti, ha annunciato la riorganizzazione della divisione di infrastrutture per le tlc e l’avvio di una procedura di licenziamento collettivo che prevede 833 esuberi su 3692 addetti, circa il 23% del totale. Immediata la reazione dei sindacati, che chiedono la sospensione della procedura e l’intervento del governo. Sirti, che ha gli uffici principali a Milano ma sedi praticamente in tutta Italia, ha tra i principali committenti naturali gli operatori telefonici che però, malgrado i piani per la fibra e per il 5G di cui ha bisogno il Paese, non assicurano più a società come Sirti un ammontare di investimenti sufficiente. La reazione di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm non si è fatta attendere: “Nel respingere al mittente un piano di ristrutturazione e riorganizzazione che scarica drammaticamente sui lavoratori di Sirti le conseguenze di un mercato delle tlc senza governo, con scelte aziendali miopi e sbagliate”. In tutte le sedi Sielte sono state proclamate 4 ore di sciopero con assemblee sindacali.

Autostrade, avviata riforma sul nuovo sistema delle tariffe

Arrivauna rivoluzione per le tariffe autostradali. L’autorità per i Trasporti ha avviato una consultazione pubblica di 40 giorni che porterà a una nuova definizione dei sistemi tariffari, anche per le concessioni autostradali in corso. Il sistema prevede anche riduzioni tariffarie per eventuali extra ricavi dovuti a un traffico maggiore del previsto e un meccanismo di penalità/premi per la qualità dei servizi offerti che avrà effetto diretto sulle tariffe applicate agli utenti. La delibera, dopo le polemiche recenti, consente all’Autorità, in base a quanto previsto dal decreto Genova di modificare non solo le tariffe al momento del rinnovo, ma anche quelle delle concessioni in essere. L’effetto concreto è quello di “misurare con maggiore attenzione investimenti e servizi, con un impatto di moderazione delle tariffe ora applicate”. I principi generali, infatti, prevedono non solo l’utilizzo del price cap, ma anche la determinazione di un indicatore di produttività che valuti con cadenza quinquennale i diversi aspetti. Il nuovo sistema tariffari di pedaggio, che consente adeguamenti annuali, punta tra l’altro ad assicurare l’equilibrio economico finanziario per le componenti tariffarie relative agli oneri di concessione.

Affitti brevi, bocciato il ricorso di Airbnb contro la cedolare secca: dovrà riscuoterla

Dopo una lunga battaglia, il Tar del Lazio ha bocciato il ricorso presentato da Airbnb contro la cedolare secca per le locazioni brevi. La piattaforma per le locazioni online, che solo in Italia conta oltre 214mila case e l’anno scorso ha fatto registrare 3,7 milioni di arrivi, finora si è rifiutata di riscuotere l’imposta e comunicare all’Agenzia delle Entrate i nomi dei locatari e i relativi redditi. La norma, introdotta nel 2017 dal governo Gentiloni, prevede infatti che le piattaforme come Airbnb e Booking trattengano direttamente dagli utenti il 21% di tasse dai compensi destinati agli host (i proprietari delle strutture) da versare direttamente all’Agenzia delle Entrate. Per la piattaforma telematica questi adempimenti da vero e proprio sostituto d’imposta non spetterebbero a loro. Mentre per i giudici amministrativi non c’è nessuna “disparità di trattamento” o “discriminazione” nei confronti di Airbnb e né una limitazione alla libertà di concorrenza. “Siamo delusi dal pronunciamento del Tar del Lazio e intendiamo fare ricorso presso il Consiglio di Stato”, ha annunciato Airbnb che giudica la sentenza come “una pronuncia che punisce chi non usa il contante”. Intanto il rifiuto di Airbnb di riscuotere la cedolare ha avuto come primo effetto il flop delle tasse del gettito previsto. Secondo lo Stato degli 83 milioni di gettito attesi già nel 2017 nella casse pubbliche ne sono entrati soltanto 19 (oltre 60 milioni in meno) e nel 2018 – di cui mancano i dati ufficiali – potrebbe essere andata ancora peggio visto che il gettito atteso è di 139 milioni.

Il dilemma del ministero

“Se fanno partire gli appalti ce ne andiamo”. Le chat interne e i confronti con Roma assumono toni duri, a tratti feroci. Consiglieri comunali, regionali, attivisti, pezzi interi del M5s, specialmente in Valle di Susa, si dicono pronti ad abbandonare in massa il Movimento se il ministro Toninelli lascerà partire gli appalti, mettendosi nella condizione di dover poi accettare il fatto compiuto. Anche il nuovo codice francese degli appalti prevede la possibilità di non iniziare i lavori, pure dopo aver concluso le gare, rassicurano dal ministero delle Infrastrutture. Non è vero, ribattono gli esperti del Politecnico di Torino, si aprirebbe per l’Italia un contenzioso pericoloso e costosissimo. Dal ministero, nella giornata di ieri è stata lasciata filtrare la possibilità che sarebbe stato cambiato l’ordine del giorno del cda di Telt, previsto per oggi alle 11 a Parigi, togliendo dalla discussione il lancio delle gare. Qualcuno ha ipotizzato che la riunione sarebbe potuta addirittura saltare. Oggi sapremo la verità. E si vedrà se scenderà la temperatura dentro il Movimento.