Il dossier fantasma in favore dell’opera: sui giornali numeri mai forniti al ministero

Nella guerra dei numeri sul Tav ci mancava solo il contro-dossier fantasma. Per giorni la grande stampa ha pubblicato i contenuti di un documento di critica all’analisi costi-benefici. Peccato che i dati citati non risultavano nel testo e siano numeri smentiti ieri dallo stesso autore del dossier dopo giorni di polemiche. Nessuno sa da dove vengano e la vicenda, surreale, illumina i modi assai disinvolti con cui la grande stampa sta trattando la vicenda della Torino-Lione.

Mercoledì scorso i giornali si sono riempiti del contenuto della nota inviata il giorno prima da Pierluigi Coppola al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5S). L’ingegnere napoletano – tra i tecnici chiamati dal ministero ai tempi di Graziano Delrio – non aveva firmato l’analisi costi-benefici affidata da Toninelli alla task force di esperti guidata da Marco Ponti che si è conclusa con una sonora bocciatura dell’opera (il risultato è negativo per almeno 7 miliardi). La notizia che uno dei 6 commissari non firmasse è bastata a far parlare di “commissione spaccata”. Problema: Coppola – ha spiegato il ministero – non ha mai lavorato al dossier, salvo contestarne il risultato con una nota di 6 pagine (l’analisi di Ponti e compagnia è di 79 pagine).

Le contestazioni più forti della nota – come riportavano i giornali – riguardavano tre aspetti dell’analisi di Ponti. Il primo è aver inserito tra i costi le mancate accise per lo Stato pagate dai mezzi le cui merci si trasferiranno sulla ferrovia. Il secondo è che tra i costi andrebbero considerati anche gli 1,7 miliardi che, in caso di stop all’opera, andrebbero spesi per ripristinare i luoghi dei cantieri e ammodernare la vecchia linea ferroviaria del Frejus. Il terzo è che l’analisi di Ponti & C. non considera solo i costi a carico dell’Italia, circa 5 miliardi, ma anche quelli di competenza di Francia e Unione europea (circa 12 miliardi). Una decisione considerata un “errore” marchiano. Secondo i quotidiani, eliminando questi aspetti, Coppola arrivava a ribaltare l’analisi, che così diventava “positiva”. Per il Corriere il beneficio era di 400 milioni, 300 per il Sole 24 Ore, addirittura 2,4 miliardi per Repubblica se si decidesse di non fare la tratta nazionale tra Avigliana e Orbassano. Il problema, però, è che – come ha rivelato il Fatto – nessuno di questi dati compare nella nota inviata da Coppola al ministero. Il testo, infatti, contesta alcune metodologie seguite da Ponti e colleghi senza però rifare i calcoli e fornire cifre precise. Il dossier peraltro non si spinge neanche a sostenere che si debbano prendere in considerazione solo i costi in capo all’Italia del Tav (i benefici, peraltro, si dimezzerebbero). E questo al netto del fatto che nella loro analisi, i tecnici guidati da Ponti considerano anche i costi per ripristinare i luoghi e ammodernare il Frejus e il risultato resta lo stesso negativo per 5,7 miliardi.

Da dove vengono allora i numeri diffusi dai giornali? Nessuno lo sa. Al ministero si sono accorti che sono inseriti in una tabella riassuntiva di una pagina che in quei giorni girava tra i giornali e che poi è circolata anche negli stessi uffici del dicastero di Porta Pia. “Cercheremo di accertare l’origine di questa polpetta avvelenata che ha generato, al di là delle legittime posizioni scientifiche e politiche, un grave inquinamento del dibattito sul Tav – ha spiegato il ministero sabato scorso – spingendo la grande stampa a strumentalizzare e a propalare una serie di fake news”. Secondo i giornali quei numeri arrivavano dalla nota inviata da Coppola a Toninelli. Ieri, però, il ministero ha spiegato che lo stesso Coppola “ha confermato di non essere l’autore della tabella circolata nei giorni scorsi sulla stampa recante numeri favorevoli al Tav e ha ribadito che non fa parte della documentazione che ci ha consegnato”. La smentita dell’interessato è arrivata quindi solo diversi giorni dopo. La guerra di numeri sul Tav si arricchisce anche di un dossier fantasma.

La rabbia M5S in Piemonte: “Guai a prenderci in giro”

Più di un simpatizzante su Facebook azzarda: “Ci stanno prendendo per i fondelli”. La sensazione che a Roma qualcuno non stia seguendo una delle storiche battaglie del Movimento 5 Stelle, quella contro la linea Torino-Lione, è sempre più diffusa nel Movimento in Piemonte.

Il cda della società pubblica italofrancese Telt oggi dovrebbe dare il via ai bandi di gara per appalti da circa 2,3 miliardi di euro e per molti grillini questo gesto va in direzione contraria rispetto all’esito dell’analisi costi-benefici. Così da domenica, giorno in cui Il Fatto ne ha dato notizia, i telefoni di alcuni eletti locali sono bollenti per via di quei contatti insistenti col ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato da Danilo Toninelli. “Il via alle gare sembra dimostrare la volontà di proseguire e blindare l’opera – spiega Francesca Frediani, consigliere regionale del Piemonte eletta in Val di Susa -. È da domenica che inviamo messaggi. C’è stata una pressione concomitante da più parti. Ho avuto modo di parlare con una persona al ministero e mi ha spiegato che gli appalti non dovrebbero essere vincolanti, che possono essere reversibili, ma non ci conforta. Vorremmo dei passi concreti verso lo stop, soprattutto dopo l’analisi costi-benefici”.

“Vogliamo che le gare non partano”, ribadisce Giorgio Bertola, candidato M5s alla presidenza della Regione. Se invece dovessero cominciare le procedure “chiederemo a Toninelli di scrivere a Telt”. “Vogliamo un incontro con lui per avere un chiarimento – aggiunge Frediani – dobbiamo renderne conto ai territori. Per noi, per il mio territorio, il No al Tav è imprescindibile”.

Da Torino aumenta la pressione sul ministro. Valentina Sganga, capogruppo pentastellata al Consiglio comunale di Torino, domenica ha scritto un post polemico contro il “silenzio ufficiale che giunge da Roma”, fatto di “vaghe rassicurazioni”. Ieri ha tenuto i contatti con la Capitale per la maggioranza: “Abbiamo chiesto che venga rinviato il cda di Telt – dice – sarebbe inaccettabile se partissero i bandi. C’è stata un’analisi costi-benefici che ha bocciato l’opera. Andare avanti senza un’interlocuzione su quello studio sarebbe uno sgarbo nei confronti del governo”. Più duro Damiano Carretto che segue la questione insieme al collega Roberto Malanca: “Non sto capendo se c’è qualcuno che pensa di poter prendere in giro il popolo No Tav e il Movimento 5 Stelle torinese – scriveva ieri su Facebook il grillino più intransigente -. Non si azzardino a pubblicare quei bandi. Verrebbe considerato come un atto ostile verso un intero territorio”. Ad Avigliana, in bassa Val di Susa, c’è preoccupazione: “C’è un contratto da rispettare dopo un’analisi costi benefici del genere”, ribadisce Tatjana Callegari, consigliere M5s in questo paese amministrato da un lista civica No Tav.

Il cda di Telt di oggi può cambiare molte cose. Dopo la fine dell’incarico di Paolo Foietta come commissario al governo per la Torino-Lione, un altro posto potrebbe traballare: quello dell’architetto Mario Virano, direttore generale di Telt (e predecessore di Foietta). Lui e il consiglio di amministrazione “sembrano ignorare la chiara volontà politica del Movimento 5 Stelle di bloccare definitivamente il progetto del Tav – fa notare il gruppo consiliare M5s di Torino -. Pensiamo sia venuto il momento di dare segnali chiari sul Tav e il primo dev’essere la rimozione dal cda di Telt di Virano e degli attuali rappresentanti italiani nella società. La Torino-Lione non si farà e l’amministrazione dev’essere gestita da chi è d’accordo con questa posizione, non con chi lavora per farla anche se i dati tecnici e la maggioranza dicono che non è un’opera né utile, né sostenibile”.

La consigliera regionale Frediani è molto d’accordo sulle dimissioni di Virano: “Le chiedo da quando l’Antitrust lo ha dichiarato incompatibile per il suo precedente incarico di commissario del governo al Tav. Deve essere lui il primo a dimettersi”.

Appalti Tav al via, Toninelli lascia decidere i costruttori

Febbrili (e surreali) scambi di comunicazioni, di richieste e di carte, tra Roma, Torino e Parigi. Il ministero delle Infrastrutture di Danilo Toninelli, dopo l’articolo del Fatto di domenica che annunciava il lancio delle gare d’appalto per il Tav Torino-Lione, infrange il riposo domenicale e chiede di corsa un parere legale sulla possibilità di bloccare i lavori anche dopo che siano state avviate le gare. Il Fatto aveva scritto che una riforma del codice degli appalti francese aveva abrogato l’articolo 98, che permetteva di stoppare gli appalti anche dopo l’assegnazione dei lavori. Curioso: l’abrogazione è avvenuta il 3 dicembre 2018, lo stesso giorno in cui i due ministri, Toninelli per l’Italia ed Elisabeth Borne per la Francia, firmavano insieme una lettera in cui chiedevano a Telt (la società che dovrebbe realizzare il Tav) di sospendere le gare fino alla pubblicazione dell’analisi costi-benefici chiesta dal governo italiano, ma si impegnavano comunque a fornire, “se necessario, un nuovo calendario che permetta il mantenimento dei finanziamenti europei previsti”.

È vero che – chiede il ministero di Toninelli – se martedì 19 febbraio (oggi, per chi legge) il consiglio d’amministrazione di Telt, convocato per le 11 a Parigi, vara le gare, le procedure non potranno più essere fermate? Il primo elemento surreale è che la domanda viene rivolta non a un esperto giuridico terzo, italiano o francese, ma a Telt, la società che vuole bandire al più presto le gare e realizzare l’opera. La “direzione giuridica” di Telt risponde più veloce della luce con una paginetta di parere legale: è vero – ammette – che “l’articolo 14 del decreto del 3 dicembre 2018, n. 1075, ha abrogato l’articolo 98 del decreto 360/2016”. Ma non importa, perché “tuttavia l’articolo figura ora nella medesima forma, nei riferimenti forniti qui di seguito”. E giù numeri e norme. Dunque, conclude Telt, “la legge rimane invariata e la Stazione appaltante può sempre dichiarare una procedura ‘senza seguito’. Il decreto 3 dicembre 2018 citato dal Fatto ha il solo scopo di ‘codificare’ (inserire in un unico testo tutte le disposizioni legislative e regolamentari relative a un dato oggetto)”. Non è cambiato nulla, dice Telt. Possiamo bandire subito le gare per i primi due lotti del tunnel di base, cioè l’intero tratto francese, i tre quarti dell’opera, 45 chilometri dei 57,5 totali, per il valore di 2,3 miliardi di euro. Poi, secondo il codice francese degli appalti a cui Telt deve obbedire, si può comunque non far partire i lavori, “per motivi di interesse generale” e del redivivo articolo 98, abrogato ma ancora pimpante nelle pieghe del codice degli appalti d’oltralpe. Intanto però l’articolo del Fatto di domenica ha allarmato il Movimento 5 Stelle, soprattutto a Torino e in Piemonte, come si racconta nell’articolo qui accanto. La stessa sindaca Chiara Appendino cerca di vederci chiaro, in queste strane gare che il ministero di Toninelli vorrebbe lasciar partire – nel silenzio generale rotto ahimé dal Fatto – riservandosi poi eventualmente di scrivere in calce agli appalti già assegnati le paroline “senza seguito”. Appendino chiede lumi ai professori della “Commissione tecnica Torino-Lione”, che in questi anni ha sempre fatto da contraltare critico ai dati di Telt e del suo direttore generale, Mario Virano. La Commissione ha risposto ieri alla sindaca con un documento di quattro pagine che cita la “Relazione tecnico-giuridica” dell’11 febbraio 2019 chiesta dal ministero delle Infrastrutture all’Avvocato dello Stato: “I motivi che farebbero venir meno i contratti nei confronti dei terzi, in caso di stop unilaterale, potrebbero non integrare il contenuto di un nuovo motivo di interesse generale (ai sensi del diritto francese) bensì un fatto illecito idoneo a dar luogo a pretese risarcitorie nei confronti del Promotore e, in via di rivalsa, nei confronti dello Stato italiano”.

Insomma: con o senza l’articolo 98, ci si incamminerebbe in un contenzioso senza fine. Dunque, secondo la Commissione tecnica, “un lancio delle procedure d’appalto in queste condizioni avvierebbe un processo che porterebbe, di fatto, irreversibilmente all’aggiudicazione e all’avvio dei lavori di scavo del tunnel di base, senza alcuna reale possibilità di retrocedere da tale decisione”. Conclusione: “L’avvio delle procedure d’appalto per i lavori di realizzazione della sezione transfrontaliera (tunnel di base) risulta estremamente imprudente e potenzialmente lesivo del bilancio dello Stato italiano. Si consiglia di dare precise indicazioni ai componenti di nomina italiana nel cda di Telt affinché si proceda a un rinvio inequivocabile di tali procedure”. Oggi alle 11, a Parigi, il momento della verità.

Matteo snobba M5S: “Domenica la sfida è tra noi e la sinistra”

“In Sardegna la sfida è tra noi e la sinistra”. In comizio a Sassari, Matteo Salvini snobba il Movimento Cinque Stelle, escludendolo dal pronostico sui vincitori delle elezioni di domenica: “In Sardegna la partita è fra la sinistra e la Lega. Bisogna scegliere fra il passato e il futuro”. Gli alleati grillini, non pervenuti. Il vicepremier evidentemente non ignora i sondaggi che circolano sull’isola, secondo i quali il favorito Christian Solinas (sostenuto dalla Lega e da tutto il centrodestra) sarebbe tallonato dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda (Pd e liste civiche). Mentre il ministro continua a girare la Sardegna per i suoi comizi, è tutt’altro che terminata la protesta dei pastori per il prezzo del latte. Sabato, dopo la mediazione del ministro dell’Agricolutura Gianmarco Centinaio, i pastori hanno siglato una sorta di tregua, in attesa di valutare se accettare o meno il pre-accordo da 72 centesimi al litro (rispetto agli attuali 60). La tensione resta alta: anche ieri alcuni pastori hanno preso d’assalto un’autocisterna a Sanluri, a 40 chilometri da Cagliari, costringendo l’autista ad aprire i rubinetti e sversare tutto il contenuto, migliaia di litri di latte, sulla strada.

Candidati e favoriti

È l’ultimo appuntamento elettorale prima delle Europee: domenica la Sardegna elegge il suo nuovo governatore e la giunta regionale. I candidati alla presidenza sono 7, i nomi nelle liste elettorali circa 1.400. La competizione però è tra tre schieramenti: il centrodestra, favorito, si raccoglie intorno a Christian Solinas, senatore del Partito sardo d’azione eletto con il supporto della Lega. A sostenerlo, oltre il Carroccio, c’è tutto il centrodestra insieme a una serie di liste civiche. Il centrosinistra schiera invece Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, sostenuto addirittura dalla bellezza di 9 liste, accanto al Partito democratico c’è una nutrita sfilza di civiche. Poi c’è il Movimento 5 Stelle che ha il compito – quasi impossibile – di provare a confermare lo straordinario risultato delle Politiche del 4 marzo. Il candidato alla presidenza dei grillini è Francesco Desogus

Massoni, riciclati, impresentabili: l’imbarazzante Lega di Sardegna

Che spettacolo la Lega di Salvini in Sardegna. Si vede di tutto: riciclati, rinviati a giudizio, massoni veri o presunti, espulsioni, chat di gruppo con calunnie e veleni, imbarazzanti telefonate private che diventano pubbliche. Intanto, come se non bastasse, la lista del Carroccio rischia di essere esclusa dalle elezioni di domenica. Ma procediamo con ordine. Mentre il Capitano gira l’isola tra selfie e bagni di folla, il partito che porta il suo nome sembra una truppa conflittuale e scalcagnata.

Il commissario della Lega in Sardegna è un lombardo di Erba, il deputato Eugenio Zoffili, ex capo della segreteria di Salvini a via Bellerio. Il vicecommissario si chiama Dario Giagoni. Di recente è stato rinviato a giudizio per appropriazione indebita, ma è l’uomo scelto dai vertici per organizzare le truppe leghiste sul campo. Sul campo, però, succede di tutto.

Due settimane fa un ex militante locale, Marco Michi, ha pubblicato su Facebook l’audio di una telefonata in cui Giagoni ridicolizza Zoffili e Guido De Martini (il primo deputato sardo nella storia del Carroccio). Giagoni sostiene che i due vadano separati, perché De Martini “sta facendo il lavaggio del cervello” a Zoffili: un’autentica “circonvenzione d’incapace”. Ma pure De Martini ha “il cervello delle stesse dimensioni di una gallina”.

L’audio è diventato pubblico, Giagoni sostiene che le sue parole siano state tagliate e montate ad arte. Ma c’è un problema: è recidivo. Sulle avvelenate chat leghiste infatti circola un’altra sua telefonata. Parla di una potenziale candidata che evidentemente non gli va a genio: “Lasciamola fare – dice – che si suicidi da sola… io le tronco le gambe… però… sonda il terreno… non è che con Giovanni c’è qualche intrigo sessuale?”.

“Giovanni” è Giovanni Nurra: ex numero 3 della Lega in Sardegna, responsabile di Sassari e dintorni. Giagone, a quanto pare, era interessato a scoprire “intrighi sessuali” tra lui e una collega.

Nurra alla fine è stato cacciato, ma per un’altra ragione: la scoperta della sua passata affiliazione a ben due logge massoniche. Non l’ha presa benissimo. Prima ha scritto una lunga lettera di accuse, paragonando Zoffili al coreano “Kim Jong Un”. Poi ha vuotato il sacco: “Io sono stato massone e non è un crimine – racconta al Fatto – ma nella Lega in Sardegna non ha idea di quanti massoni ci siano… alcuni sono anche in lista”. Segue elenco esaustivo con nomi, cognomi e professioni. L’ex dirigente nomina, tra gli altri, la candidata sassarese Maria Assunta Agiolas: “La sua iniziazione alla loggia dei Principi di Dan la feci io…”. Contattata al telefono, Argiolas smentisce con grazia: “Massone sarà lei e famiglia”.

Nelle stesse conversazioni whatsapp degli amabili colleghi leghisti, circola pure la fotografia di un altro candidato, Giorgio Todde, capolista nel collegio dell’Ogliastra, mentre indossa un grembiulino da apprendista massone. Magari è solo una carnevalata, ma insomma: il clima è questo nella Lega di Sardegna.

Tra i candidati peraltro non ci sono solo grembiulini. La nuova classe dirigente è stata edificata sull’accordo con il Partito sardo d’azione di Christian Solinas, senatore della Repubblica e candidato presidente (dovesse vincere, sarà già costretto alle dimissioni da Palazzo Madama), ma pure su un discreto numero di riciclati. Tra i tanti saltati in corsa sul Carroccio dei vincitori c’è Michele Pais: ex Alleanza Nazionale, Pdl e Forza Italia, prima del colpo di fulmine con Salvini. Oppure Pierluigi Saiu: ex coordinatore regionale dei giovani berlusconiani, convertito pure lui al verbo della destra populista. O ancora, Titino Sebastiano Cau, passato dai moderati dell’Udc ai “parisiani” di Energie per l’Italia, infine alla corte del Capitano.

Il pirotecnico Nurra – che dopo la cacciata dalla Lega è rimasto nella coalizione di Solinas e si candida con l’Unione democratica sarda dello storico Dc Mariolino Floris – non ha parole dolcissime per la qualità delle liste leghiste: “I curricula dei candidati sono spaventosi, si vede che volevano far eleggere dei burattini. Lo sa chi ha candidato Zoffili ad Oristano? Un suo ex compagno di classe, Luca Erba. Un lombardo, che viene in Sardegna a fare le vacanze in Costa Smeralda e ha preso la residenza qui per farsi candidare”.

L’ultimo paradosso è che la Lega domenica rischia pure l’esclusione. Sui candidati di Salvini (e quelli di altre quattro liste: Energie per l’Italia, Forza Italia, Sardegna civica e i “pizzarottiani” di Sardegna in Comune) pendono ricorsi in tutti i tribunali della Regione. Quello di Sassari ha fissato per oggi l’udienza che potrebbe squalificare i leghisti. Il Carroccio ha saltato la raccolta firme grazie all’ “adesione tecnica” di un “garante”: il consigliere del Partito sardo d’azione Paolo Luigi Dessì. In pratica è la stessa operazione compiuta a marzo da Bruno Tabacci per consentire a Emma Bonino di presentare +Europa alle Politiche. Il problema è che Dessì, dopo aver fatto da sponsor alla Lega, si è candidato con un’altra lista (quella del Psd’Az). E ora il nome di Salvini rischia di sparire dalle urne, almeno nel collegio di Sassari.

Pacchetto “calcio” ingannevole, a Sky multa da 7 milioni

L’Antitrust ha multato Sky Italia per complessivi 7 milioni di euro. L’Autorità ha rilevato che Sky non ha fornito informazioni chiare e immediate sul contenuto del pacchetto “Calcio” per la stagione 2018/19, lasciando intendere ai potenziali nuovi clienti che tale pacchetto fosse comprensivo di tutte le partite del campionato di A come nel triennio precedente, mentre le partite disponibili in realtà erano 7 su 10. L’Autorità ha accertato che Sky ha attuato una pratica aggressiva in quanto ha esercitato “un indebito condizionamento nei confronti dei clienti abbonati al pacchetto Sky Calcio”, i quali, a fronte di una rilevante ridefinizione dei suoi contenuti (riduzione del 30% delle partite di A e cancellazione del torneo di B) non sono stati posti nella condizione di poter scegliere liberamente sul mantenimento o meno del pacchetto. Gli abbonati sono stati costretti a scegliere tra due possibilità, entrambe svantaggiose: la prosecuzione degli addebiti (in misura invariata, nonostante il contenuto ridotto del pacchetto rispetto a quello originariamente scelto) oppure il recesso dal contratto a titolo oneroso, con il pagamento di penali e/o la perdita di sconti e promozioni connessi alle offerte.

Star social e procuratore

Nata a Buenos Aires, Wanda Nara, 32 anni, moglie dell’attaccante interista Mauro Icardi (più giovane di lei di 6 anni) è procuratore sportivo, ballerina, modella e showgirl, e gestisce la società World Marketing Football che cura l’immagine del marito. Star di Instagram – con 4,7 milioni di follower – ha anche una linea di moda. Vive con i suoi cinque figli (tre avuti dal precedente marito, l’attaccante dell’Udinese Maxi Lopez) in un attico di 400 metri quadri con vista San Siro. Commentatrice sportiva alla trasmissione tv Tiki Taka, domenica scorsa in lacrime ha parlato della fascia di capitano tolta a Icardi: “È stato come tagliargli una gamba”, e ha aggiunto di aver “chiesto una mano a Moratti. La nostra idea non è lasciare l’Inter – ha puntualizzato – e soprattutto quello che dico io non è quello che pensa Mauro”.

Viva Wanda Nara, una di noi: lezioni di femminismo stile wag

E lo fa – qui risiede la sua grandezza – incarnando il ruolo della prima vera anti-wag della storia, senza rinunciare alla divisa classica della wag (Wives And Girlfriend). Wanda discute contratti, passaggi eventuali e rinnovi, con le sue extension, le sue ciglia finte, i suoi vestiti strizzati, le sue scollature. Lo fa continuando a regalare selfie, perizomi e ammiccamenti dalla sua pagina instagram. Se ne frega di conquistare credibilità e rispetto a colpi di tinte castane e tailleur aziendali in un mondo in cui la donna, al massimo, può dire la sua su Ronaldo smutandato nei manifesti Yamamay.

È una delle figure più rivoluzionarie nel mondo femminile dell’ultimo secolo. Altro che Asia Argento. Wanda si prende tutto, non rinunciando a nulla. Non sparisce dalle cronache e dal gossip, non si nasconde, non obbedisce alle regole scolpite sul pallone secondo le quali la donna del calciatore deve fare un passo indietro e andare a fare la spesa con la borsa Chanel o prendersi pure uno schiaffo se ha un anelito di libertà (vedere alla voce “moglie di Insigne”). Lei nel calcio decide di comandare con quel piglio cazzuto che destabilizza tutti, perché se i capricci li fa Mendes è normale, ma se li fa una bionda argentina con la quinta di reggiseno i maschi restano destabilizzati che neanche un bambino di 10 anni quando scopre che il fratellino non l’ha portato la cicogna.

È così godurioso assistere ai suoi bracci di ferro con Marotta, vederla puntare i piedi perché il marito non guadagna abbastanza o scatenare le ire dei compagni di squadra del marito, dei tifosi che imprecano contro di lei mentre leggono la Gazzetta e dopo cinque minuti le mettono un like su Instagram. Il tutto mentre la si accusa di manipolare Icardi, perché lui è giovane, innamorato, sobillato. E invece non è solo Wanda ad avere più personalità del calciatore medio, ma pure Icardi. Fuori dal campo, è evidente, Icardi è così risolto da non ritenere castrante il ruolo decisionale della moglie, è così centrato e sicuro da non temere per la sua virilità, è così cazzuto da fregarsene dei commenti sessisti e dei colleghi che ridacchiano perché loro hanno la moglie a casa che li fa stare tranquilli. Tristemente illuminante in tal senso, il commento di Costacurta alla battuta di Wanda sul fatto di preferire 5 palle buone per il marito dai compagni di squadra, che il rinnovo. Forse sfugge, al buon Costacurta, che in casa Icardi/Nara, se c’è qualche problema, è più facile che Icardi si ritrovi il borsone da calcio con due mutande e il dentifricio sullo zerbino, che il contrario.

Noi donne, a Wanda Nara, dovremmo intitolare una di quelle rassegne letterarie in cui si leggono cose di Simone de Beauvoir, di Sibilla Aleramo e di tutte quelle donne simbolo della lotta al patriarcato. Perché combattere il patriarcato nel mondo del calcio è combattere il razzismo infilandosi nel Ku Klux Klan, o Boko Haram in Nigeria, o l’analfabetismo a Uomini e donne. Basta leggere gli striscioni che le dedicano allo stadio i tifosi con la sindrome dell’evirato, perché c’è una donna e pure figa a decidere quanto deve guadagnare il loro attaccante più forte. Basti pensare a quanto ci si sia scoperti garantisti con Ronaldo in fatto di denunce di stupro: il maschio alfa, la macchina perfetta che smuove interessi milionari, è intoccabile, e poi chi sarà mai questa sciacquetta bugiarda che si permette di accusarlo. Basti pensare a Fulvio Collovati che pochi giorni fa in tv zittisce Sara Peluso, moglie del calciatore Federico Peluso, dicendole: “Le donne non capiscono di tattica, al massimo possono dire come è stata una partita”, come se la tattica calcistica fosse materia di accesso agli stage della Nasa. Basti pensare alla moglie di Collovati che difende pure il marito e twitta “Quando presentavo le trasmissioni di calcio non ho mai avuto la pretesa di spiegare il 4 4 2. La visione del mondo unisex non mi appartiene”. Basti pensare, infine, all’inviato de Le iene che aspetta il calciatore diciannovenne Nicolò Zaniolo e la madre Francesca Costa sotto casa. Da tempo la stampa, attraverso articoli deliranti, si occupa di questa madre definita “sexy”, “wag”, “milf”, nonostante la signora sia normalmente carina e normalmente esposta su instagram, con foto che per gli standard attuali definirei da educanda. Siccome però la signora è la mamma di un calciatore e lo accompagna agli allenamenti o dove serve, l’inviato è autorizzato a trattarla come l’ultimo dei più beceri ultrà e, davanti al figlio, la tempesta di domande allusive su posizioni, preliminari, misure e idiozie varie, che innervosiscono il diciannovenne Zaniolo. Quest’ultimo, al confronto con l’ironia da caserma dell’inviato, finisce per sembrare un saggio cinese.

Insomma, dobbiamo essere grate a Wanda Nara perché conserva la pelle dura di chi comanda e la pelle liscia di chi si piace, nell’ambiente più sessista della galassia. “Chi vuoi che ti si prenda, con tre figli”, le disse nel 2013 Maxi Lopez, quando divorziarono. Non avrebbe mai potuto immaginare, il bifolco, che Wanda si sarebbe presa tutto. Perché forse qualcuno può togliere la fascia a Icardi, ma a Wanda Nara, la fascia da capitano, non la leva nessuno.

Impiegati del Comune scaricavano video porno dai pc: indagati

La connessione Internet del Comune di Venaria funzionava male. La colpa, sospettano gli investigatori, è di due dipendenti che sfruttavano i pc per scaricare e guardare filmati porno e pedopornografici. Così un impiegato è finito agli arresti domiciliari e un collega è stato sospeso per sei mesi dal lavoro. I due, insieme alla moglie del primo, sono indagati a vario titolo di peculato e truffa aggravata e per i due uomini c’è anche l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico. Le indagini della polizia municipale di Venaria, guidata dal comandante Luca Vivalda e coordinata dalla procura di Torino, sono sorte dai problemi alla rete notati da alcuni agenti nel maggio scorso. Una ditta informatica ha rilevato che la rete era stranamente sovrautilizzata da due computer. Lì gli investigatori hanno trovato il filmati hard proibiti. “Immagini così violente che mi hanno fatto stare male”, commenta Vivalda. Secondo il sindaco Roberto Falcone, “quest’indagine tutela tutti i dipendenti che, a differenza di questi tre, si impegnano ogni giorno per il bene della città”.