Il Parlamento compie 158 anni

 

L’Italia confida nella virtù dei parlamentari italiani

Debutto. Il 18 febbraio 1861 si riunisce il primo parlamento del Regno d’Italia, a Palazzo Carignano di Torino, la capitale. Non è la prima legislatura, bensì l’ottava, proseguimento naturale del Regno di Sardegna. Donne, poveri e analfabeti non hanno votato: per accedere alle urne vigono rigidi criteri di censo e istruzione. Il Re Vittorio Emanuele II esorta i parlamentari: “L’Italia confida nella virtù e nella sapienza vostra”.

 

Sabotaggio istituzionale, onorevoli in trincea

Ostruzionismo. Il 7 giugno 1899 il socialista Enrico Ferri parla per un’intera seduta parlamentare. Lo scopo? Sabotare le riforme autoritarie del governo Pelloux: censura, limiti rigidi alla libertà di stampa e d’associazione. Dopo i moti di Milano per l’aumento del prezzo del pane e gli spari sulla folla di Bava Beccaris, la destra prova la svolta conservatrice. La sinistra da battaglia in modo inedito: è nato l’ostruzionismo.

 

Il Duce striglia la Camera, la dittatura si avvicina

Discorso del Bivacco. Il 16 novembre 1922 Mussolini parla a Montecitorio, la prima volta, da Presidente del Consiglio. “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”, dice il Duce. Il socialista Giuseppe Emanuele Modigliani urla”Viva il Parlamento!” ed esplode la bagarre. Il giorno dopo il governo ottiene la fiducia grazie ai popolari, liberali e nazionalisti. Lo stato liberale è morto, ma ancora non lo sa.

 

Antifascisti in secessione dopo il delitto Matteotti

L’Aventino. Dopo la scomparsa del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, il 10 giugno 1924, l’opposizione abbandona l’Aula. Solo i comunisti restano a dare battaglia. Gli altri promettono di rientrare solo quando sarà fatta chiarezza. Ad agosto viene ritrovato il corpo. A gennaio 1926, Mussolini si assume la responsabile morale dell’omicidio Matteotti. Ma per gli antifascisti non c’è più posto in Parlamento.

 

Il fascismo uccide l’Aula, nasce lo Stato totalitario

Camera dei fasci. Il parlamento muore ufficialmente il 19 gennaio 1939. Mussolini lo ha sostituito con la Camera dei fasci per portare l’Italia in guerra l’anno dopo. Fino ad allora, l’Aula è sopravvissuta come il guscio vuoto dello stato liberale. Il primo presidente è Galeazzo Ciano, poi Dino Grandi. Sarà lui a detronizzare Mussolini, il 23 luglio 1943. Il 2 agosto, la Camera dei fasci viene sciolta. In attesa della Repubblica.

 

Costituzione antifascista, i partiti scrivono le regole

Costituente. Il 22 dicembre 1947 l’assemblea costituente approva la Carta fondamentale. L’Aula si era insediata col voto del 2 giugno 1946, il primo a suffragio universale, il battesimo delle donne alle urne. I politici antifascisti collaborano malgrado le divergenze. “Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione – dice Piero Calamandrei – andate nelle montagne dove caddero i partigiani”.

 

Il centrismo va in soffitta, i socialisti a Palazzo Chigi

Centrosinistra. Il 4 dicembre 1963 il Psi entra nell’esecutivo per la prima volta nella storia della Repubblica. Non c’è alternativa, l’alleanza centrista è logora. Il democristiano Aldo Moro è Presidente del Consiglio, suo vice è Pietro Nenni, segretario del Psi. Ma la Dc tira il freno alle riforme e il centrosinistra porterà a picco il Psi. Per formare un governo, 15 anni dopo, serviranno i comunisti.

 

Comunisti di governo, allarme ‘rosso’ in Italia

Rapimento moro. Il 16 marzo 1978, mentre Montecitorio vota la fiducia al IV governo Andreotti, Aldo Moro viene rapito dalle Br. Il Pci è al 34% e due anni prima l’esecutivo è nato solo grazie all’astensione comunista. L’Italia aderisce alla Nato, e si temono i ‘rossi’ al governo. Berlinguer sostiene un monocolore democristiano per fronteggiare il terrorismo: il compromesso storico tra cattolici e comunisti resta un sogno.

 

Craxi e la 2ª Repubblica: “Il sistema è colpevole”

Tangentopoli. Il 3 luglio 1992 Bettino Craxi non è neppure indagato, ma già arringa l’Aula contro i giudici di ‘Mani pulite’: ”Buona parte del finanziamento politico è illegale. Se questa materia deve essere considerata criminale, allora gran parte del sistema sarebbe criminale”. È il principio del ‘tutti colpevoli, nessun colpevole’. Il Parlamento ascolta ammutolito. Craxi finirà latitante ad Hammamet, in Tunisia.

 

Il Papa nel tempio laico, applausi per Wojtyla

Vista Papale. Il 14 novembre 2002 Papa Wojtyla pronuncia uno storico discorso, applauditissimo, al Parlamento italiano in seduta comune. È la prima volta di un Pontefice nel tempio dello Stato laico. I presidenti di Camera e Senato sono due cattolici: Pier Ferdinando Casini e Marcello Pera. Il premier è Silvio Berlusconi. Wojtyla indica i rischi del relativismo per la democrazia e si congeda dall’Aula: “Dio benedica l’Italia”.

 

 

Il Cancro tesse inganni al partner. Gemelli: pessimo umore in amore

ARIETE – Kenneth Slawenski svela, o così crede, La vera storia di un genio (Newton Compton), al secolo J. D. Salinger: “Dichiarò di aver preso decisioni consapevoli al fine di diventare più calmo e gentile, non solo con gli altri ma anche coi propri personaggi”. Allenati anche tu: in ufficio ti servono nervi saldi, non muscoli.

 

TORO – Ti scrive Matteo Ferrario (HarperCollins): “Rifiuto di provare odio, perché è un sentimento che non ti apparteneva”. Basta col rancore: non hai il fisico per reggerlo. E soprattutto, dopo la rabbia, Il silenzio che rimane è d’oro, e concilia il sonno.

 

GEMELLI – “Meglio che non si faccia vedere, R. non vuole vederla mai più in tutta la sua vita. Né vederla né sentirne parlare”. Nessuno crede alla tua Falsa calma, nemmeno María Sonia Cristoff (La nuova frontiera). E domani andrà anche peggio; poi, meglio.

 

CANCRO – Trevor Noah è Nato fuori legge (Ponte alle Grazie): “A me piaceva M., ma come qualsiasi altra, direi. Soprattutto mi andava l’idea di essere io a piacere a lei”. Ti stai comportando come lui: attenzione perché la partner restituirà vendetta per inganno.

 

LEONE – “Hanno creduto di trasformarsi a spese del Piccolo in rivoluzionari”: Paolo Grassi – a cura di Fabio Francione (Skira) – ce l’ha con certi registi, ma anche con quei familiari che stanno approfittando della tua generosità.

 

VERGINE – “Sa che qualunque cosa sia accaduta non lo riguarderà più e svanirà come sta svanendo il dolore”. Di chi è questo cuore, si chiede Mauro Covacich (La nave di Teseo): tuo, di certo, no. Le pene d’amore sono perdute, nel senso di terminate: evviva.

 

BILANCIA – In ufficio stai navigando Verso un sicuro approdo, ma rammenta sempre il consiglio di Wallace Stegner: “C. ammette soltanto il successo. Detesta le situazioni di stallo. Sentire che ti scaricano le rovinerà tutto”. C. è la tua capa: non deluderla questa volta.

 

SCORPIONE – Premesse per un matrimonio: “Se avere una vita anonima significa che nessuno ti entra in casa a pisciare, allora forse lei non aveva voglia di uscire dall’anonimato”. Sei ancora in tempo per scegliere la vita zitellesca, come l’Anonymous del Codice Kingfisher (Longanesi). Poi, però, non lamentarti.

 

SAGITTARIO – Giuseppe Mayda ricorda Norimberga. Processo al Terzo Reich (Odoya). Göring testimoniò sprezzante: “Non credo in nulla, ma se vado in chiesa io, che sono il più importante degli accusati, gli altri mi seguiranno”. Hai la responsabilità dei colleghi: evita di imbarcarli in un progetto folle, cui non credi nemmeno tu, se non per vanità.

 

CAPRICORNO – “Il problema è che non sono mai stato solo. Non sono mai solo, nemmeno insieme” a L’animale che mi porto dentro, spiega Francesco Piccolo (Einaudi). Anche il tuo animale non ti lascia mai solo, e menomale: le prossime serate si annunciano scoppiettanti.

 

ACQUARIO – Bruno Karsenti parla dell’Ebreo emancipato (Edb) e di antisemiti vari, tra cui “Grégoire il rivoluzionario, che è più forte di Grégoire il riformatore”. Il messaggio è criptico, ma le stelle ti invitano a maggior prudenza e umiltà in azienda.

 

PESCI – Sostiene La Mennulara di Simonetta Agnello Hornby (Feltrinelli): “Non mi vergogno affatto. E non ho niente da confessare. Io mi sento nel giusto”. Bella spocchia! La stessa che stai esibendo tu sul lavoro. Male.

La Ocasio-Cortez contro Amazon: la polpa e la buccia dell’arancia

Al mattino, col caffè, s’attarda il fantasma dell’amore. La lettura sul comodino non svapora col giorno. Ecco il libro/breviario di Franco Moretti – Un paese lontano, cinque lezioni sulla cultura americana, Saggi Einaudi (euro 19) – nelle cui pagine scorrono i frammenti di una distanza sempre più ravvicinata nella vita quotidiana diventata epica. Ci si mette di fronte alla giornata e la si studia. Si aggira lo spettro dell’assenza e a Willy Loman, il vecchio piazzista di Morte di un commesso viaggiatore – il capolavoro teatrale di Arthur Miller – non resta altro che sputare rancore: “Non puoi mangiare la polpa e poi buttare la buccia; un uomo non è un’arancia”. L’intimità disattesa di due anime è tutta in questa battuta. Una cosa così viene voglia di rinfacciarla a chiunque abbia fatto buccia di noi. O chissà le bucce che ciascuno s’è lasciato alle spalle…

La polpa, dunque, la buccia e l’arancia. Sono gli immediati addendi nell’apologo della condizione umana. E c’è solo un meccanismo capace di svelare gli ingranaggi. È il gegeneinander – il mettere l’uno contro l’altro – e si stabilisce nella forma compiuta del dialogo. Ed è il “faccia a faccia” del dirsi il tutto: l’elaborare di una trama straniante nel solco di ciò che già Hegel aveva trasfigurato nel dramma – Estetica è il campo arato che attende la semina della modernità – dove l’assenza di pathos, proprio nel caso di Morte di un commesso viaggiatore si oggettiva nella patetica eloquenza di un registratore, di una Chevrolet e di una fossa dove va a scivolare un cane morente.

Le chiacchiere, giustappunto, che sono proprie del nulla da offrire reciproco dei dialoganti. Un duello verbale con uno dei due, il venditore, fatto cosa tra le cose nel gioco della quotidianità. Per tutti coloro che sono come Willy Loman è ben più che un canone morale, è un destino. Ciò che era lui, infatti – un singolo salesman – oggi è solo un clic nello smartphone, un sorriso stilizzato nello scatolone, il famoso logo di Amazon. La cronaca, col caffè della prima colazione, riferisce dello scontro di Alexandria Ocasio-Cortez – la neodeputata dei democratici eletta nel distretto di Bronx e Queens – contro Amazon che se ne va via da New York e siccome la critica non è ornamento ma perfino presagio, tutto torna. Ogni archetipo trova il proprio sviluppo nel dramma e anche chi poco o nulla sa di letteratura non può che scorgere la fossa dove se ne va a scivolare Amazon. Ma giusto per un round.

A tutti coloro che sono come Willy Loman, infatti, la contemporaneità sviluppa una diagnosi: “Si deve fare attenzione”. Più che un comparare i ruoli, incorre la specifica “forza plasmante” in cerca di oggettivazione. “I nomi – scrive Moretti – danno davvero forma ai nostri rapporti col mondo, perché definiscono il valore delle cose”.

Amazon è oggi il quanto di più simile a “coloro che sono come Willy Loman”. Nella specificità dell’esistenza borghese, infatti, quel sorriso stampato sullo scatolone – il logo su cui Alexandria Ocasio-Cortez ha ingaggiato il gegeneinander – è l’arancia di polpa e buccia.

È la forma da cui promana la forza materiale – il successo – che da tabulato, diagramma, ricevuta e consumo costruisce ogni giorno l’autorappresentazione borghese in tutto il mondo. Ci si mette di fronte allo scatolone di Amazon e lo si studia. Questo fa la letteratura, e questo – con la lezione di Moretti – costruisce la giornata.

Facce di casta

 

Bocciati

La barbarie senza avviso. Nonostante il tempo passi, è più forte di lui: Matteo Renzi non riesce a resistere alla tentazione della lotta nel fango della demagogia, e ogniqualvolta se ne presenti l’occasione, ci mostra come a livello dialettico ai populisti non abbia nulla da invidiare. L’ultimo spunto è arrivato in occasione del suo nuovo libro ‘Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani’, in cui l’ex Uomo Nuovo della sinistra riformatrice, l’europeista illuminato, l’amico di Obama, pur di non rinunciare a cavalcare dialetticamente un altro luogo comune della propaganda contemporanea, si è appropriato di una partitura notoriamente estranea al suo repertorio, quella del popolo contro l’elite, arrivando ad assegnare a se stesso il ruolo del ‘barbaro’: “Beh, Conte è l’establishment. Dice che è l’ avvocato del popolo: ma quando mai! Ero io l’estraneo, il barbaro, l’anti-establishment. Lui è l’establishment. Non a caso diventa professore, messo in cattedra da Alpa, sul cui concorso i dubbi sono enormi … Conte è l’arci-italiano classico. Sta nei salotti romani, nel sistema della giustizia amministrativa, negli studi che difendono l’Aiscat e i finanzieri che scalano le banche… Io ero il barbaro, che non usciva mai, non frequentava i salotti, stava chiuso a Palazzo Chigi a lavorare fino a mezzanotte. Poi ne facevo troppe, probabilmente. Ne avessi fatte di meno forse sarebbe stato meglio». Insomma, per citare il suo slogan di riferimento, il futuro prima o poi torna. Però s’è cambiato: stavolta si è vestito da barbaro.

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Incontinenza di governo. Esistono tanti tipi d’incontinenza, e non si può che compatire coloro che ne sono afflitti. Il povero Claudio Borghi, purtroppo, soffre di incontinenza verbale, e per quanto provi strenuamente a controllarsi, qualche perdita parlata proprio non riesce a trattenerla: “Penso che questa opportunità sia l’ultima. Se a seguito di queste elezioni ci saranno i soliti ‘mandarini’ guidati dalla Germania a dirigere le politiche economiche, sociali e migratorie, a uso e consumo della Germania e a nostro danno, io dirò di uscire dall’Europa”. Non ci resta che farci assorbenti.

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Promossi

E’ STATO SERENO Ad un Matteo Renzi che, ostentando la virtù della coerenza, ha ribadito ancora una volta come non sia necessaria autocritica alcuna per riprendere il percorso, “Io penso che ci si penta in chiesa e non in politica. A differenza dei comunisti, penso che se uno si deve pentire si pente davanti a un confessore. Il pentimento è una categoria, bellissima peraltro, della Chiesa cattolica. Non della politica”, ha replicato con un tweet tanto ironico quanto impietoso Enrico Letta: “Il vero titolo del libro di Renzi? #Nonhoimparato ….ops! #sischerza”. Aggiungendo al titolo del proprio libro ‘Ho imparato’ una semplice negazione e attribuendolo sarcasticamente all’ex Presidente del Consiglio, l’ex ex Presidente del Consiglio marca la distanza siderale tra due potenziali ripartenze. Evidentemente la serenità fa un gran bene.

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La settimana incom

 

Bocciati

Beato Ultimo. Fabrizio Corona ha scritto a Ultimo, il cantautore romano arrivato secondo a Sanremo. Protagonista delle polemiche con i giornalisti: “Mi mangio le mani perché per primo ho conosciuto un talento così ‘cazzuto’ che mi ha dedicato una canzone, ma al quale non ho dato la giusta importanza”.
Nel 2015 Ultimo aveva scritto una canzone dedicata a Corona (che era in carcere). “Sono Fabrizio e vi scrivo da dentro/Da una gabbia di vuoto e cemento”. Gli avrebbe scritto anche se fosse arrivato Ultimo?

Quanta bella giovinezza. Eleonora Giorgi, 65 anni, ha annunciato di essersi sottoposta a un lifting. In realtà lo aveva detto dopo la partecipazione al Grande Fratello Vip. L’attrice è entusiasta: “Un intervento così utile che le Asl dovrebbero passarlo a chi è depresso”. Con tutti i tagli fatti alla sanità, ci manca il lifting della mutua.

A Sanremo ritardato. Non c’è pace per il festival. Ennesima polemica a scoppio ritardato a causa di uno sketch di Virginia Raffaele in cui imitava un disco nel grammofono. A un certo punto si sente che la conduttrice pronuncia la parola Satana per cinque volte. Don Aldo Bonaiuto, responsabile del servizio nazionale anti-sette si è detto “allibito” dalla performance della Raffaele. Insomma, uno scivolone sconcertante” che “sembra non tenere conto della sensibilità di tante persone”.
Anche il ministro Salvini che non si fa mai mancare nulla si è espresso sui social: “Capisco e condivido le preoccupazioni espresse da don Buonaiuto. Non sottovalutiamo il problema delle sette sataniche, con tutti i problemi connessi”.

 

Promossi

Salvo è. Con 11 milioni di telespettatori e il 44,9% di share (!) il nuovo episodio del commissario Montalbano su Rai1 ha sbancato l’Auditel superando anche se di poco – gli ascolti della prima serata del Festival di Sanremo. Con questi risultati l’ultimo Montalbano si piazza al terzo posto degli episodi più visti di sempre come spettatori.

I paranzini a Berlino. Roberto Saviano ha accompagnato La paranza dei bambini, il film italiano di Claudio Giovannesi tratto dal suo romanzo in concorso a Berlino. Un film, girato a Napoli nel Rione Sanità che ha decisamente conquistato un’edizione definita “noiosa” dalla critica.

 

Non classificati

La finestra sul cortile. Guarda fuori dalla finestra il tramonto nel giorno dedicato agli innamorati. Sotto un messaggio rivolto alle sue follower donne: “San Valentino è una festa da abolire”. Chi è? L’onnipresente ministro dell’Interno Matteo Salvini – “Un abbraccio a tutte voi amiche, che fate vivere, sognare e crescere questa pagina e l’Italia. San Valentino? Avete ragioni voi, probabilmente sarebbe una ‘festa’ da abolire…vi voglio bene”. Avrà mica bisogno d’affetto?

L’ultimo 8 mila, la sfida da scalatori d’altri tempi

“Montiamo la tenda, riempiamo il sacco con la neve e, appena cala il sole, scappiamo dentro al riparo. Anche stavolta spilucchiamo appena qualche patatina e un pezzo di formaggio. Ci sforziamo di bere, quello sì. Quassù è quasi più importante bere che mangiare, per fluidificare il sangue che l’alta quota rende denso come melassa”. Nives Meroi e il marito Romano Benet ventitré anni dopo la loro prima impresa sportiva, dopo essere riusciti a sconfiggere insieme una grave malattia, hanno “chiuso la loro collana”: hanno completato tutti i 14 ottomila al mondo, insieme, scegliendo come sempre un alpinismo d’altri tempi, il più leggero possibile, senza l’uso di ossigeno supplementare né portatori d’alta quota, diventando così la prima coppia in assoluto a portare al termine con successo questa impresa.

Ne “Il volo del corvo timido. L’Annapurna e una scalata d’altri tempi” edito da Rizzoli, i due sportivi raccontano l’ascesa verso la cima alla quale in passato avevano dovuto rinunciare: il primo ottomila ad essere conquistato nel 1950 da una spedizione francese, ma anche la vetta che ad oggi conta un gran numero di morti nel tentativo di scalarla.

L’attesa, la lunga attesa ripagata con il raggiungimento della propria meta dell’anima prima ancora che la cima di quel gigante bianco. Come nella sceneggiatura di un film, l’autrice immortala e descrive tutto nei particolari: “È importante memorizzare la sequenza mentre sali: passaggi, difficoltà, punti di riferimento; perché per scendere dovrai tirare fuori i ricordi e scardinarne l’ordine, ribaltare lo scenario e, all’ingiù, grazie anche all’istinto e un po’ d’intuito, ritrovare i passi della salita”.

Nel circo del business delle spedizioni iper tecnologiche loro due, “nostalgici fuori moda” accompagnano il lettore nell’essenzialità di una quotidianità in cui tutto sembra un’impresa: “Seduti a gambe incrociate nell’abside della tenda quando invece avresti solo voglia di stenderti, stare attenti che il pentolino non si rovesci, riempirlo di neve man mano che si scioglie; magari al chiuso, per non fare entrare la bufera, col vapore condensato dal freddo che ricade a fiocchi come nevicasse. Quando riusciamo a bere due litri a testa, io e Romano siamo soddisfatti del lavoro”. La lenta e graduale salita, l’attraversamento dei vari campi base hanno la cadenza della vita: le sorprese, le delusioni, le aspettative, la gioia ma anche la paura. “Per questo ora non chiedo nulla all’Annapurna. Non la imploro, non pretendo che ci lasci salire in cima. La prego soltanto che abbia cura di noi e ci lasci tornare giù sani e salvi”. Nel mezzo tutta la narrazione degli incontri di inaspettati compagni di viaggio, di imprevisti, di tutti i dubbi e le proprie presunte certezze: come nella vita Nives e Romano hanno camminato e faticato riponendo fiducia negli altri “a dimostrazione che in natura non esiste forza più formidabile dell’alleanza tra persone, della solidarietà e della collaborazione. Un atto di ribellione all’individualismo del nostro tempo cinico. Quasi un’utopia che prende forma”.

Altro che Leopardi: lotta contro i genitori per “non essere mai nati”

La prossima volta che prendete il vostro album di foto di nascita, provate a guardarlo con altri occhi. Altro che gratitudine verso i vostri genitori. Il giorno in cui siete nati avete subìto da loro, autori di una scelta immorale, il più grande degli oltraggi: una vita fatta certamente di dolore e destinata a finire.

A sostenerlo non è uno stravagante personaggio, ma il direttore del Dipartimento di Filosofia di Città del Capo, David Benatar: sia in un’intervista alla rivista Pangea sia, soprattutto, nel suo ultimo libro, tradotto in Italia da poco e dal titolo eloquente: Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo (Carbonio editore). Per la verità il ragionamento di Benatar, che sarà a Milano per il Book Pride il 17 marzo, è di una logica stringente: chi non viene al mondo non può sentire mancanze. Viceversa, chi viene al mondo soffre di gravissimi mali – oltre al terrore della morte, dolori di ogni tipo – che non l’avrebbero colpito se, appunto, non fosse nato.

E non vale l’argomento che della vita si può godere, perché, dice il filosofo, nessuno si rattrista perché non possono godersi la vita persone mai nate, tipo gli abitanti di Marte. Per sfatare quello che lui chiama il pollyannismo, cioè la tendenza delle persone ad essere erroneamente ottimiste sulle proprie esistenze, Benatar elenca i milioni di persone “uccise, torturate, accoltellate, bruciate, affamate, congelate, morte di fatica, seppellite vive, annegate, bombardate” nel corso della storia, a cui aggiunge lo sterminio delle malattie, più gli incidenti stradali e i suicidi.

Fin qui, non c’è granché da eccepire. Ma le conseguenze del ragionamento sono estreme: poiché l’unico modo per garantire che una persona futura non soffra sia assicurarsi che non diventi mai una persona reale, il primo dovere morale è non mettere al mondo figli. Ecco perché i genitori, “persone che vorrebbero accrescere il loro valore prendendo degli ostaggi”, non vanno mai favoriti, anzi. E il sesso è accettabile unicamente se non è riproduttivo, tanto che Benatar vedrebbe con favore una sorta di sterilizzazione “dolce” con sostanze contraccettive nell’acqua o mediante diffusione aerea. L’aborto, invece, non solo è moralmente accettabile ma spetta a chi vi rinuncia giustificare la sua scelta.

Il ragionamento del filosofo finisce con una difesa di una rapida estinzione programmata dell’umanità, anche se, ammette, gli ultimi esseri umani se la vedranno malino, tra morti non seppelliti e anziani abbandonati. Ma allora perché non suicidarsi subito? Qui Benatar mettere le mani avanti: il suicidio non è obbligatorio, perché “la morte a volte può essere un male per la persona che muore”. Va detto che gli antinatalisti, da Giobbe e Cioran, esistono dalla notte dei tempi.

Ma mentre il celebre verso di Leopardi – “Perché reggere in vita/chi poi di quella consolar convenga”- provoca struggimento ed emozioni, dopo aver letto Meglio non essere mai nati ci si sente talmente inariditi che viene piuttosto voglia di mettere al mondo subito un paio di figli per scaldarsi il cuore. Per quanto poi cerchi di distinguere tra dovere legale e dovere morale (di non procreare e abortire), si capisce che il filosofo freme per la coercizione, con buona pace della libertà individuale. In fin dei conti, poi, la prova del nove si può fare chiedendo proprio a loro, i bambini, cosa ne pensino. Io l’ho fatto e un ragazzino di otto anni mi ha risposto così: “Scusa, ma se non fossi vivo, non potrei mai giocare a calcio”. Serve altro?

Benalla parla di Macron: “il patròn ci appoggia”

La nostra inchiesta, che portiamo avanti da agosto, ci permette di affermare che: l’ex collaboratore di Emmanuel Macron, Alexandre Benalla, e l’ex responsabile della sicurezza del partito La République en Marche, Vincent Crase, entrambi indagati per le violenze del primo maggio, si sono incontrati il 26 luglio scorso, a Parigi, violando il controllo giudiziaro che vietava loro ogni tipo contatto. Diversamente da quanto ha dichiarato sotto giuramento davanti alla commissione d’inchiesta senatoriale, Benalla, mentre era ancora all’Eliseo, ha svolto un ruolo attivo nella stipula di un contratto per la fornitura di servizi di sicurezza con un oligarca russo, vicino a Vladimir Putin e sospettato di legami con la mafia locale.

Benalla, che ha rivendicato il sostegno personale del capo dello Stato, sms alla mano, ha continuato ad aver dei legami importanti con l’Eliseo per diversi mesi dopo la sua iscrizione al registro degli indagati.

Impunità all’ombra dell’Eliseo

Parigi, 26 luglio 2018, primo pomeriggio. La scena si svolge quattro giorni dopo che Benalla è stato ufficialmente indagato per “violenze volontarie” a margine del corteo del primo maggio. Quel giorno Benalla incontra in tutta discrezione Vincent Crase, anche lui sotto inchiesta. Di fatto, i due non potrebbero avere contatti in ragione del controllo giudiziario che accompagna le rispettive iscrizioni nel registro degli indagati. Ma Benalla non sembra curarsi della cosa: continua a partecipare a eventi mondani, esibisce fieramente i suoi scambi con Macron e i suoi passaporti diplomatici, frequenta ambienti legati al mondo degli affari e alla politica, ma così attira anche l’attenzione discreta dei Servizi segreti. L’incontro viene dunque registrato e Mediapart ha potuto vedere la registrazione. Benalla sembra prendere con spiazzante leggerezza i fatti di cui è accusato, certo del sostegno del capo dello Stato. Lo testimonia uno scambio con Vincent Crase: – Benalla, di buon umore: “È una cosa da pazzi, ieri sera il patròn (è così che viene chiamato Emmanuel Macron, ndr) mi ha inviato un sms e mi ha detto: te li mangi tutti in un solo boccone. Sei più forte di loro, è per questo motivo che ti avevo voluto accanto a me. Sono con Isma (Ismaël Emelien, consigliere speciale del presidente, ndr) ecc. ecc., stiamo aspettando Le Monde, ecc. ecc.”

– Crase: “Quindi il patron ci appoggia?”

– Benalla: “Fa molto più che appoggiarci (…), è come impazzito (…). Mi ha proprio detto: te li mangi tutti in un solo boccone. Sei più forte di loro. È una cosa pazzesca!”.

(Su Mediapart si può ascoltare l’audio). Contattato da Mediapart, l’Eliseo ha smentito l’esistenza di questo sms.

All’epoca, il sostegno della presidenza a Benalla era pubblicamente noto. Due giorni prima dell’incontro segreto tra lui e Crase, il presidente della Repubblica aveva tenuto un discorso infervorato alla Maison de l’Amérique Latine, a Parigi, durante il quale, invece di criticare il suo collaboratore, aveva messo in discussione il lavoro della stampa, del Parlamento e dei giudici. E, prima di terminare il suo intervento, aveva pronunciato una frase diventata celebre: “Venissero a prendersela con me!”. Il 26 luglio, Benalla non sembra affatto preoccupato della bufera che con la sua condotta ha scatenato ai vertici dello Stato e nell’opinione pubblica. Anzi, se ne vanta con Crase.

– Benalla: “Tutta questa storia, si direbbe un film, no?”

– Crase: “Boh, un incubo piuttosto. Un film dell’orrore”.

-Benalla: “È una bella esperienza (…). Non ci sono molte persone che a 26 anni provocano due commissioni d’inchiesta parlamentare e bloccano il funzionamento del Parlamento…”.

– Crase: “E ti fa ridere?”

Intanto, a sentirlo parlare, Benalla appare sereno. La sua serenità è giustificata: tutto l’Eliseo è dalla sua parte, sostiene. Crase gli chiede allora chi lo appoggia concretamente. E l’ex consigliere di Macron risponde, senza esitazioni: “Il presidente, Madame (Brigitte Macron, ndr), Ismaël (Emelien, ndr), che mi consiglia sui media, e compagnia varia”.

Ismaël Emelien non ha risposto ai nostri tentativi di contatto. L’Eliseo ha smentito con Mediapart che il consigliere abbia potuto gestire la comunicazione di Benalla.

Ma Ismaël Emelien non è il solo contatto importante di Benalla all’Eliseo. La nostra inchiesta rivela che il turbolento consigliere di Macron ha continuato a frequentare, anche diverso tempo dopo l’inizio dei suoi guai con la giustizia, un certo Ludovic Chaker, responsabile di missione presso il capo di stato maggiore speciale del presidente della Repubblica. Un ex militare del 44/o reggimento di fanteria che ama definirsi vicino ai servizi segreti.

Chaker, in una conversazione telefonica, ha riconosciuto di aver rivisto Benalla, “a diverse riprese, per il tempo di un caffè”, dopo il suo allontanamento dall’Eliseo. “Per assicurarmi che stava bene e per parlare della vicenda in modo informale”, precisa Chaker. Lo ha inoltre incrociato in occasione di una cena, il 13 novembre scorso, in un ristorante del quartiere Arts-et-Métiers, a Parigi. Quella sera, intorno alla mezzanotte, le persone riunite intorno al tavolo, una decina, hanno visto arrivare all’improvviso e in modo inaspettato l’ex consigliere di Macron insieme all’uomo d’affari franco-israeliano Philippe Hababou Solomon. Benalla si è prima fermato a salutare Chaker e Nicolas Bays, un ex deputato socialista che ha sostenuto Macron durante la campagna elettorale. Bays conferma: “È passato perché io e Chaker gli abbiamo inviato un selfie. Ogni tanto lo chiamavamo per sapere come sta. In fondo era stato allontanato da poco dall’Eliseo per la sua bravata in place de la Contrescarpe. Alexandre mi ha detto: ‘Nicolas, vedrai, mi riscatterò, gliela farò vedere a tutti quanti, metterò su una lista per le europee, parlerò di sicurezza, immigrazione’. Gli ho detto che era un’idea incosciente, che non poteva fare una cosa del genere al patron”.

Chaker sostiene inveceche l’irruzione di Benalla nel ristorante lo aveva “infastidito”. La cosa, afferma, “non era stata premeditata”. E aggiunge: “Si trattava di una cena relativa all’arte e alla cultura, in cui io accompagnavo mia moglie, ero lì a titolo privato. Quando Benalla è piombato nel ristorante, gli altri hanno trovato la cosa piuttosto curiosa, ma faceva comunque un po’ strano. È rimasto solo il tempo di bere qualcosa”. Dopo questo episodio, Chaker assicura di aver “rivisto Benalla una sola volta”.

Panico sul contratto russo

Come ha rivelato Mediapart a dicembre, l’oligarca russo Iskander Makhmudov ha firmato un contratto per la fornitura di servizi di sicurezza con Mars, la società di Crase, quando quest’ultimo era ancora responsabile della sicurezza del partito En Marche!, e Benalla era all’Eliseo. Il contratto prevedeva la protezione dei beni immobiliari dell’uomo d’affari in Francia e della sua famiglia a Monaco.

Vicino a Vladimir Putin, alla testa di un impero industriale, Iskander Makhmudov è anche sospettato da diversi magistrati di legami con uno dei più spietati gruppi criminali moscoviti. Benalla conosceva la dubbia reputazione dell’oligarca e sapeva anche che la giustizia francese si sta interessando a lui. Un consigliere dell’Eliseo che approfitta del suo status per fare affari con un miliardario vicino a Putin, come minimo, solleva delle domande. A quel tempo, inoltre, Benalla era tenuto alla riservatezza assoluta dato il suo lavoro all’Eliseo.

Diversi elementi ci confermano che Benalla è direttamente implicato nella stipula e nella costruzione finanziaria di questo contratto. Pur avendo affermato, a dicembre, di non aver avuto “nessun legame con Makhmudov”, l’ex collaboratore del capo dello Stato ha incontrato a più riprese il rappresentante dell’oligarca in Francia, l’uomo d’affari Jean-Louis Haguenauer. Quest’ultimo ci ha confermato che Benalla aveva indicato che sarebbe stato Crase a mettere in pratica il contratto. Haguenauer e Benalla si sono rivisti. Lo attesta una foto scattata a fine agosto 2018 nel castello dell’uomo d’affari Vincent Miclet, nel Périgord.

In realtà, le discussioni sul contratto erano iniziate già prima, sin dall’inverno 2017, ma si sono accelerate a giugno, in presenza di Benalla, che in quel momento lavorava ancora all’Eliseo. Le trattative con i responsabili di Velours – la società di servizi per la sicurezza che ha dato il contratto in subappalto a Mars, nonché ex datore di lavoro di Benalla – si erano tenute a due passi dall’Eliseo, al Café Damas, tana di Benalla, nel quartiere più sorvegliato di Parigi. Benalla, Crase, Makhmudov e i dirigenti di Velours, che abbiamo tentato più volte di contattare, non hanno dato seguito alle nostre richieste.

“Io tra Soldi, Salvini e Ultimo Poi gay o etero è lo stesso”

Mahmood non se lo immaginava proprio di vincere il Festival di Sanremo. “Mi sembrava già un miracolo essere là. Era proprio una cosa impensabile. Non l’ho immaginato neanche quando mi hanno detto che ero tra i primi tre. Gli altri due, Ultimo e il Volo, nel backstage sono subito entrati nel mood podio. Se ne stavano zitti, tesissimi, convinti forse di giocarsela tra loro. Io no: parlavo, scherzavo, cantavo. Era già una festa a prescindere finire tra i primi tre”. E quando hanno detto che la canzone vincente era proprio la sua? “Mi si è azzerato tutto”.

Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood, gioco di parole tra il cognome e l’espressione inglese “My mood”. Nato nel 1992 a Milano da padre egiziano, che lo ha abbandonato a sei anni, e madre sarda. Venerdì uscirà il suo primo disco, “Gioventù bruciata”. Su Spotify, Soldi ha già superato i 12 milioni di ascolti. Record mondiale (sì, mondiale).

E pensare che nel 2012, a X Factor, la eliminarono subito.

Non mi fece piacere, ma non ho mai pensato di smettere. Ero nella squadra di Simona Ventura. Avevo 20 anni, ero appena uscito dal liceo e già allora pensavo che, quando perdi o fallisci, la colpa è solo tua perché non sei riuscito a farti capire. Perdere mi provoca solo rabbia e voglia di lavorare ancora di più.

Si è reinventato barista.

Prendevo l’auto alle 4 e mezzo di mattina e facevo cappuccini fino alle 12 e 30. Poi staccavo e studiavo pianoforte. Così per due anni e mezzo.

Nel 2016 va per la prima volta a Sanremo.

Quarto tra le Nuove Proposte. Fui l’unico giovane in gara che, poi, non uscì con un disco tutto suo. Ero sotto contratto con la Universal. Anni complicati. Mi dissero che intuivano un potenziale, ma che ancora le mie canzoni non funzionavano. Così mi fecero scrivere per altri.

Fabri Fibra, Gué Pequeno, Marco Mengoni.

Fabri mi ha dato tanto. È uno degli artisti più umani, umili e disponibili che io conosca. Guè scrisse un tweet su di me dopo l’uscita di Pesos nel 2017. Disse che ero una bomba: mi parve impensabile che un artista affermato come lui parlasse di me. Per Marco (Mengoni) ho scritto tre brani. È molto simpatico.

La sua vittoria è diventata un caso politico.

Non mi ha fatto piacere, ma l’ho vissuta poco. Le critiche costruttive mi fanno bene: devo ancora dimostrare tutto. Se però mi critichi per le origini di mio padre, allora è sbagliato tutto in partenza.

C’è chi pensa che lei sia stato scelto come vincitore per dare un segnale di sinistra in un momento di razzismo imperante.

Discorsi senza senso. Sono nato a Milano e sono italiano al 100%. Non sono un simbolo di niente e queste letture sono un buco nell’acqua. Se la mia vittoria aiuterà le famiglie miste ne sarò felice, ma la mia generazione è abituata all’integrazione. Alle elementari, alle medie e al liceo ho sempre fatto parte di classi miste. Queste cose esistono già: per noi è la normalità, per alcuni giornalisti e politici forse no.

Tipo Salvini?

Credo abbia provato a telefonarmi il giorno dopo la vittoria, ma ho perso la chiamata perché è stata una giornata delirante. Poi ho letto una sua intervista in cui diceva che mi aveva mandato un sms. Ho controllato: aveva ragione. Erano così tanti che neanche l’avevo visto. Glielo leggo?

Prego.

“Ciao, qui Matteo Salvini. Al di là dei gusti musicali (io preferisco altro), goditi il tuo successo!”. Gli ho risposto ringraziandolo.

È vero che alle Comunali a Milano ha appoggiato Parisi?

Più o meno. Mi sono fidato dell’amico di mio cugino e ho condiviso il post di un candidato vicino a Parisi. Ho sbagliato, perché avrei dovuto informarmi di più e capire bene cosa vuole e non vuole il centrodestra. Invece mi fidai e non lo feci.

La cosa buffa è che la sinistra l’ha eletta a simbolo, ma il testo di Soldi non è esattamente un inno all’integrazione. Come non lo è la storia di un padre egiziano che abbandona il figlio italiano.

Soldi ha un testo molto chiaro che non dà giudizi: racconta una storia e basta. Mio padre ogni tanto lo sento, è successo anche dopo la vittoria a Sanremo. Col tempo qualche spigolo si smussa e ci si chiarisce. O ci si prova.


Soldi
ha superato i 12 milioni di ascolti su Spotify.

Una cifra impensabile, per uno come me che fino a ieri sognava di arrivare al massimo a 100mila. Invece adesso c’è una parte di me che dà quasi per scontato di arrivare a 20 milioni.

Restare coi piedi per terra sarà dura.

Al futuro chiedo solo una cosa: mantenere la stessa voglia ed energia di adesso.

Stanno nascendo cover di Soldi in tutto il mondo.

La mia preferita è quella ucraina. Una versione assurda e meravigliosa.

Ultimo ha rosicato parecchio per il secondo posto.

Non credo sia rosicamento. Durante la settimana di Sanremo hai troppa ansia, il clima è tremendo e straboccare dal vaso è un attimo. A lui è successo: magari pensava davvero quel che ha detto e magari invece non lo ridirebbe. Lo sa solo lui.

È vero che non parla arabo ma sa benissimo il sardo oroseino?

Verissimo. Di arabo so qualche mezza parola sentita nella mia infanzia. In casa invece parlo sardo. Mia madre lo è. D’estate vado sempre a Orosei: il mare più bello del mondo.

Con la fama arriva il gossip. Dicono che lei sia gay e che dovrebbe fare coming out.

Non mi pongo il problema. L’idea stessa del coming out è un passo indietro, perché presuppone il bisogno di dividerci tra etero e omosessuali. È come per l’integrazione: queste cose, per la mia generazione, esistono già. Se vado a letto con un uomo o una donna non frega niente a nessuno.