I tre arresti eseguiti ieri al termine dell’inchiesta del pm di Napoli Giancarlo Novelli e del Nucleo tributario della Finanza partenopea, agli ordini del colonnello Domenico Napolitano, mettono il timbro a un dato: il concorso per agenti di polizia penitenziaria che si svolse dal 20 al 22 aprile 2016 alla Fiera di Roma fu un delirio di imbrogli, tra marchingegni high tech ed espedienti all’antica.
Fu annullato per le gigantesche irregolarità verificatesi, e ripetuto nel luglio 2017 presso la scuola di Formazione della penitenziaria.
I commissari d’esame requisirono 7 telefonini, 37 candidati furono sorpresi con cover di cellulari, magliette, braccialetti, adesivi e penne raffiguranti, con numeri o simboli, le presunte sequenze delle risposte esatte ai quiz di cultura generale.
Si è poi scoperto che 69 candidati riuscirono a comunicare telefonicamente – tramite auricolari e cellulari nascosti – con gli esponenti di un’organizzazione ben strutturata che dall’esterno suggeriva la casella giusta da sbarrare. L’organizzazione era la stessa dei concorsi truccati per entrare nell’esercito (alcuni dei componenti sono stati arrestati il 1 ottobre scorso) e si faceva pagare bene. Dai 20 mila euro in su a candidato. I promotori del sodalizio, venuti in possesso dei questionari e delle risposte esatte, acquistavano i telefonini ‘base’ a pacchetti di decine, tutti uguali, e poi li rivendevano ai candidati pochi giorni prima del concorso.
Le risposte per vincere sarebbero passate da lì, da quei Nokia 130. Erano dual sim: una scheda per la connessione video, l’altra per la connessione audio. Schede attivate pochi giorni prima da teste di legno.
La microcamera nascosta trasmetteva l’immagine del questionario, il suggeritore la guardava e dettava le risposte. A questo punto vi chiederete: per quale ragione, essendo già in possesso dei questionari “comprati” a monte da un consulente della Intersistemi spa, società fornitrice del ministero di Giustizia, l’organizzazione non si limitava a passare dei semplici foglietti con le risposte, da nascondere in tasca?
Essenzialmente per un motivo: un foglietto – oltre a essere facilmente rintracciabile sul banco, con conseguente espulsione del candidato – poteva essere fotocopiato e rivenduto o regalato ad altri in pochi minuti. Bisognava salvaguardare il valore economico delle informazioni, evitare che si spargessero a macchia d’olio.
Come era avvenuto per il mitico “algoritmo” del concorso per l’Esercito. La formula magica, buona per quella prova. Ma non per questa. E comunque esemplare è un sms tra due indagati, dieci giorni prima del concorso: “Io ho tantissime persone… però non so come fare, se glieli diamo quelli potrebbero venderseli… è un cazzo di problema”. Già. Un altro “c…” di problema poteva sopraggiungere in caso di guasti o cadute di segnale, a dispetto delle prove fatte con ampio anticipo.
Le carte riferiscono di un sopralluogo nei pressi della Fiera del giugno 2015, c’è una intercettazione in cui si esulta per la buona qualità del segnale Facetime e si ragiona su come far uscire l’obiettivo della microcamera dai bottoni del polsino.
E così, per essere sicuri, all’high tech si abbinava la cover con gli adesivi delle risposte o le magliette con i simboli matematici. Tutto a caro prezzo. Carissimo. E i clienti non mancavano, sono stati notificati 160 avvisi a concorrenti del concorso e intermediari di vario tipo. Ci sono intercettazioni in cui si accenna a pagamenti di trenta, trentacinquemila mila euro a testa.
Nei cellulari degli indagati sono state ritrovati eloquenti selfie con fasci di banconote in mano, e macchinoni esibiti come trofei. Truccare i concorsi è un business redditizio.