Un fuorionda e la festa è stata rovinata. Un pugno di dichiarazioni, in cui il fabbro francese con il gilet giallo ha evocato “la guerra civile” e “i paramilitari”, e il capo politico ha dovuto cambiare piani e scalare la marcia, con Parigi e con Macron. Una tegola per Luigi Di Maio, che ieri a Roma voleva “solo” presentare e celebrare quattro possibili alleati a Bruxelles del M5S, i rappresentanti di partiti finlandesi, polacchi, croati e greci. Ma a guastare tutto è stato il convitato di pietra Christophe Chalencon, che giovedì a Piazza Pulita ha evocato l’insurrezione armata in Francia, discettando di pallottole e gruppi armati pronti alla battaglia.
E allora, di venerdì mattina, Di Maio sale sul palchetto di una sala nel centro di Roma e prende subito le distanze: “Non abbiamo intenzione di dialogare con quell’anima dei Gilet gialli che parla di guerra civile e lotta armata”. Insomma, porta chiusa a Chalencon, che il vicepremier aveva incontrato in Francia assieme ad Alessandro Di Battista, una decina di giorni fa. “E forse ci voleva più prudenza” motteggia ad Agorà Emilio Carelli. “Non avevamo tutta questa conoscenza del singolo personaggio” dirà poi alle telecamere il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano.
Però è andata così, e al vicepremier tocca dire addio a un avversario di Macron. E mostrarsi colomba: “Sono contento che l’ambasciatore francese stia tornando in Italia, gli chiederò un incontro. Intanto gli do il bentornato”. Bentornato a Christian Masset, che Parigi aveva richiamato in patria per protesta, e che ieri ha incontrato al Quirinale Sergio Mattarella, recandogli l’invito in Francia di Macron: accettato dal capo dello Stato. E il cerchio si chiude. Con Di Maio che converge sulla linea della pace, quella del Colle e di Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio a 5Stelle che ascolta sempre e innanzitutto Mattarella. Anche Conte settimane fa era stato protagonista di un fuorionda, sempre su Piazzapulita, in cui sorrideva con la Merkel di Di Maio e Salvini. Ma i virgolettati inconsapevoli di Chalenchon sono una rogna peggiore, di quelle che fanno cambiare rotta. E la ministra agli Affari europei di Parigi, Nathalie Loiseau, twitta di soddisfazione: “Sana condanna del comportamento di Chalencon da parte di Di Maio, dobbiamo ritrovare la relazione di amicizia e rispetto reciproco”. Mentre il fabbro è aulico: “Dico a Di Maio di continuare la sua politica, perché è la politica della ragione. Forse avremo l’occasione di rivederci”. Nell’attesa, il vicepremier giura che con i Gilet gialli “c’è un’interlocuzione che continua”, ma chi “presenterà quella lista dovrà credere nella democrazia”. Ad ascoltarlo, un folto gruppo di cronisti e telecamere, a cui è vietato porre domande. Così nessuno può chiedere a Di Maio quanto si sia pentito della trasferta in Francia. “Ma si può ancora tenere aperto il filo con Ingrid Levavasseur” dicono dal Movimento. Ossia con la 31enne infermiera che ha appena lasciato la lista Ric, l’unica finora scaturita dalla galassia dei Gilet. “Ma ciò non significa che rinuncio a presentarne un’altra per le Europee” ha detto Levavasseur. E il M5S, che doveva incontrarla assieme a Chalencon (lei non si presentò all’ultimo minuto), è in attesa. Quasi obbligata, perché per formare un gruppo autonomo nel parlamento di Bruxelles servono delegazioni di almeno sette Paesi diversi. E attualmente gli alleati sono quattro, con uno, il partito greco Agricoltura e Allevamento che ad occhio non avrà i numeri per entrare, mentre i finlandesi di Liike Nyt l’ingresso se lo dovranno sudare. Quindi “di altri alleati ne dobbiamo trovare sicuramente più di due” ammette una fonte di peso. Anche se c’è ottimismo, perché gli emissari del M5S hanno già avuto “diversi incontri preliminari” con potenziali alleati.
Però ora c’è da aggiustare la linea. Perché Macron non potrà diventare un amico, ovvio, ma il Movimento non potrà più morderlo come prima. Così bisogna pensare (anche) ad altro. Per esempio, ad attaccare i sovranisti. Per questo in una nota due giorni fa l’europarlamentare Laura Ferrara ricordava come “gli europarlamentari dell’ungherese Orban e del polacco Kaczynski” assieme ai Popolari volessero tagliare i fondi europei ai Paesi dell’Europa del Sud, Italia inclusa. “E quelli sono gli amici di Matteo Salvini” ricordano i 5Stelle, che citano il tweet di ieri del leghista Claudio Borghi: “Se non riusciamo a cambiare l’Europa, secondo me dovremmo uscirne”. Salvini ha subito tamponato (“Nessuna intenzione di lasciare l’Ue”). Ma il M5S l’ha presa come una provocazione. L’ennesima.