Latte, i pastori: “Fermeremo il voto”

Latte che scorre a fiumi, come a Olzai, dove decine di bidoni sono stati svuotati dentro il rio Bisine, o che piove dai cavalcavia come sulla statale per Nuoro, bloccata per ore insieme alle altre principali arterie dell’isola con decine di barriere stradali e auto costrette a transitare a passo d’uomo. La “guerra del latte” ormai dilaga in Sardegna, con scene identiche in ogni angolo dell’isola che rimbalzano nei social riscuotendo solidarietà e adesioni anche oltre Tirreno. Una protesta spontaneistica, portata avanti dai pastori che contestano il crollo del prezzo fissato dagli industriali che con appena 60 centesimi al litro non è in grado di garantire nemmeno i costi di produzione. E se entro mercoledì il tavolo interassessoriale convocato a Cagliari non troverà una soluzione per garantire un’adeguata remunerazione del latte, il coordinamento dei pastori è pronto ad alzare il tiro boicottando le prossime elezioni regionali del 24 febbraio. “Non entrerà nessuno a votare: non è che non andiamo a votare, non voterà nessuno, blocchiamo la democrazia, ognuno si assuma le proprie responsabilità”. Ma intanto si guarda ai prossimi appuntamenti istituzionali: oltre al tavolo di mercoledì si attende oggi l’arrivo in Sardegna del Premier Giuseppe Conte e nel fine settimana del ministro delle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio, che dal tavolo della Bit ha annunciato la volontà di aprire un dialogo per venire incontro alle giuste rivendicazioni dei produttori, spiegando di aver già convocato , indipendentemente dalla protesta, un’apposita riunione sull’argomento da parte dei tecnici del ministero.

“Chiediamo un accordo sul prezzo di almeno un’euro più iva per litro”, fanno sapere intanto via social gli allevatori in presidio permanente davanti allo stabilimento Pinna di Thiesi. “Serve un’intesa che duri nel tempo, soprattutto che sganci finalmente il prezzo del latte dal riferimento del pecorino romano. Non produciamo solo quello, abbiamo produzioni diversificate, con formaggi ad alto valore aggiunto che raggiungono prezzi molto superiori al romano. Il latte va pagato in base al tipo di prodotto messo in vendita, e non necessariamente in base a quello meno remunerativo. Noi non molliamo”, prosegue il messaggio via social “Non conferiremo il latte finché non saremo ascoltati”. Nel braccio di ferro portato avanti dai pastori la guardia rimane alta anche contro i tentativi di aggiramento del blocco da parte della filiera di trasformazione, con presidi agli accessi di tutti gli stabilimenti e nei porti per impedire lo sbarco di latte o carni ovicaprine provenienti dall’Est europeo. A Porto Torres ieri mattina si sono sfiorati momenti di tensione quando un centinaio di contestatori hanno fermato un mezzo che trasportava carni suine provenienti dalla Francia, gettando gran parte del carico a terra. La loro azione è stata interrotta dall’intervento dei carabinieri e degli uomini della polizia in assetto anti sommossa.

A Ortacesus, nel Sud Sardegna, cinque persone sono state segnalate all’autorità giudiziaria per danneggiamento e violenza privata in seguito alla manifestazione davanti alla locale azienda casearia, in cui avevano cercato di impedire l’accesso alle cisterne piene di latte, sversandone a terra undicimila litri.

Bankitalia, le accuse del M5S a Signorini (per colpire Visco)

Lo scontro tra il governo, sponda Cinque Stelle, e la Banca d’Italia è soltanto all’inizio. Giovedì il Consiglio dei ministri ha fermato il rinnovo del vice-direttore generale Luigi Federico Signorini ma il bersaglio grosso è Ignazio Visco, il governatore, confermato a ottobre 2017.

Il Movimento Cinque Stelle ha un dossier per argomentare la linea su Signorini. Tutte le contestazioni al membro del direttorio di via Nazionale riguardano la linea tenuta da Bankitalia come istituzione, non atti specifici. Eppure Signorini si occupa direttamente di vigilanza bancaria dal 2008, con vari ruoli apicali. I Cinque Stelle avrebbero potuto contestare l’eventuale responsabilità di Signorini in vicende precise, invece il dossier raccoglie le sue prese di posizione in audizioni parlamentari, dove cioè espone la linea della Banca d’Italia, non le sue opinioni individuali.

A Signorini, per esempio, i Cinque Stelle contestano un’audizione in Senato del 24 ottobre 2012 in cui “si è espresso a favore delle proposte della Commissione europea sull’Unione bancaria, senza sollevare il minimo dubbio sul percorso che il Paese stava per intraprendere”. Poi c’è l’audizione alla Camera del 22 novembre 2012, sulla direttiva Brrd (quella che sposta su azionisti e obbligazionisti il conto dei fallimenti bancari), dove la colpa di Signorini è aver auspicato che venisse recepita “in tempi rapidi”. Questo auspicio per i Cinque Stelle è “un elemento di grave responsabilità oggettiva”. Ma forse non soggettiva, nel senso che se colpa c’è è di tutta la Banca d’Italia, a cominciare dal suo vertice, Visco.

Il dossier Cinque Stelle include anche una dichiarazione del 27 marzo 2014 di Signorini a favore del meccanismo di risoluzione unico europeo delle crisi bancarie (Srm) che il funzionario definisce “un pilastro di stabilità”. Per il M5S è grave perché si trattava di “una previsione naufragata contro i fatti negli anni successivi”. A fine del 2015, poi, all’indomani del decreto del governo Renzi che aveva avviato la risoluzione (fallimento) delle quattro banche Carichieti, PopEtruria, CariFerrara e Banca Marche, Signorini dichiarava (19 dicembre): “Il sistema bancario italiano è solido e ci sono pochissime Etruria”. E questa, per i Cinque Stelle è stata “una previsione ancora una volta smentita dai soldi dei risparmiatori italiani bruciati dalle numerose crisi bancarie che si sono poi susseguite”. Di risoluzioni vere e proprie, per la verità, non ce ne sono state altre – i casi delle due popolari venete hanno seguito un’altra procedura – ma la gestione di quelle quattro crisi del 2015 ha lasciato lunghi strascichi. Anche il governo Renzi ha sempre imputato alla Banca d’Italia, indicata come vera responsabile del decreto sulla risoluzione, la colpa di aver sottovalutato l’effetto valanga che la bassa valutazione dei crediti deteriorati fissata per legge avrebbe determinato.

L’ultimo capo di imputazione nel dossier M5S riguarda un altro auspicio sull’unione bancaria: che favorisca “l’aggregazione fra banche di diversi Paesi dell’area dell’euro”. Per i Cinque Stelle “questa posizione è il riflesso di una visione che pone gli interessi del nostro Paese in secondo piano rispetto a quelli della grande finanza internazionale”.

Signorini non paga quindi responsabilità individuali, ma il semplice fatto di essere il primo membro del vertice cui scade il mandato. A parte una breve tregua nei primi mesi del governo, i Cinque Stelle hanno ricominciato la loro pressione su Bankitalia per cambiare tutte le facce che contano. Il 10 maggio andrà in pensione il direttore generale Salvatore Rossi, applicando il “modello Signorini” il governo bloccherà anche la promozione quasi automatica del suo vice Fabio Panetta a direttore generale. E Panetta, uomo di collegamento tra Banca d’Italia e la Bce, ha fama di essere stimato dal presidente Bce Mario Draghi ed è il più accreditato come futuro governatore. Visco potrà resistere a un simile assedio? I Cinque Stelle preparano la trincea: sanno che il direttorio di Banca d’Italia può funzionare anche con un membro in meno e quindi, sembra di capire, vogliono bloccare il rinnovo del vice-direttore, non indicarne uno diverso da Signorini.

Basta guardare il pasticcio di comunicazione del ministro del Tesoro Giovanni Tria per capire il clima. Ieri prima ha dichiarato che l’indipendenza della Banca d’Italia è “un fatto istituzionale” (qualunque cosa significhi), poi la sua portavoce ha precisato che “le sue parole quindi non sono contro nessuno”. Visco e i suoi non potranno contare sulla sponda di Tria per resistere.

giro

Nuovo outlet paradiso. “Ritornare alle chiusure domenicali è una follia del governo, bisogna invece promuovere la funzione sociale dei centri commerciali. Hanno un impatto positivo in termini di aggregazione, socializzazione, innovazione, correttezza fiscale, di riqualificazione urbana. Rappresentano per i giovani un punto di ritrovo sicuro, alternativo alla strada, per anziani e famiglie nuovi luoghi di incontro, grandi spazi dov’è piacevole trascorrere il tempo libero” (Michela Vittoria Brambilla, deputato FI, 5.2). Lei sta alla cassa.

Roba da matti. “Un milione e mezzo di lavoratori poveri non avrà il reddito di cittadinanza. Esclusi dalla misura nonostante il basso tenore di vita perchè superano di poco i requisiti richiesti” (Repubblica, 10.2). Incredibile: chi non ha i requisiti non prende il sussidio. Ma si può?

Grillywood. “Questo film su Cheney è una delusione… uno sketch grillino” (Il Foglio, 6.2). Diavolo di un Grillo, s’è infiltrato pure a Hollywood.

Conflitto d’interessi. “Davigo giudicherò Woodcock. Ma non è incompatibile? Si era dichiarato esterrefatto perchè il Csm non aveva difeso il pm” (Il Dubbio, 9.2). In effetti, avere delle idee è un grosso problema. Invece il vicepresidente del Csm David Ermini, ex deputato renziano che attaccava Woodcock perché osava indagare sul padre di Renzi, è compatibilissimo.

Il Fubini del quartierino. “Italia-Francia. Chi pagherà il conto del duello” (Federico Fubini, Corriere della sera, 9.2). Facci indovinare: sarà mica pronta un’altra procedura d’infrazione europea contro l’Italia?

Il titolo della settimana/1. “L’Italia che fa paura al mondo” (Francesco Manacorda, Repubblica, 7.2). Dev’essere il sequel di “Fantomas minaccia il mondo”.

Il titolo della settimana/2. “Tensione Italia-Francia. Caso Di Maio: Parigi ritira l’ambasciatore. Non accadeva dal 1940. Come in tempo di guerra” (il Giornale, 8.2). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “Quanto vale l’indipendenza di Visco” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 9.2). Zero.

Ma mi faccia il piacere

Benebravabis! “Brava Marianna Madia… chi altro nel Pd si fa carico di affrontare con senso di responsabilità la questione?” (Marianna Madia, deputata Pd, Twitter, 8.2). Siccome non glielo dice nessuno, se lo dice da sola.

Cambronne. “Macron rompa le relazioni diplomatiche. Merde alors! A questo paese che in soli sei mesi si è rivelato un paese di merda” (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 8.2). Rivelato in soli sei mesi? Noi l’avevamo capito già nel ‘94, quando un certo Ferrara diventò ministro.

Grillate. “L’autorizzazione a procedere contro Salvini sul caso Diciotti è un precedente molto pericoloso, perché metterebbe in dubbio la possibilità di chiunque, pure la mia, all’interno del governo, di potere agire nel mandato popolare, prima di parlamentare e poi di governo e, soprattutto, all’interno di un programma noto a tutti, che è quello scritto nel contratto di governo. Questo è un voto importante perché è un precedente storico. Non era mai accaduto che un ministro fosse messo sotto accusa, contro la pubblica accusa” (Giulia Grillo, M5S, ministro della Salute, 9.2). Di questo passo, qualcuno potrebbe financo pensare che la legge sia uguale per tutti.

Modestia a parte. “Calenda: milioni pronti a mobilitarsi sul mio manifesto europeista” (Corriere della sera, 10.2). Ma che dico milioni. Signore, mi voglio rovinare: miliardi!

Il temerario. “Questa è la copertina del mio nuovo libro, uscirà il prossimo 14 febbraio. Vi piace? Sono felice di tornare a abbracciare tanti di voi nelle presentazioni” (Matteo Renzi, senatore Pd, Twitter, 5.1). Le vittime delle truffe bancarie: “Non vediamo l’ora”.

L’opposizione. “Ieri Di Maio ha minacciato di tagliare lo stipendio all’opposizione” (Luca Bottura a proposito dell’annuncio di “una sforbiciata agli stipendi di Vespa e Fazio”, Repubblica, 4.2). Passi Fazio all’opposizione, ma Vespa? Roba da querela.

La sinistra. “I vescovi sono di sinistra. Appoggiano l’ex ministro Calenda” (Libero, 4.2). Roba da querela (se esistesse una sinistra).

Colpa di Virginia. “Come il Venezuela. Vivere a Roma e farsi ferire senza un perché. Il quartiere ‘bene’ dove è stato colpito il nuotatore, di notte pare terra di nessuno. Che delusione la Raggi: a lei nemmeno una scusa” (Renato Farina, Libero, 6.2). Che gli abbia sparato lei?

Nuovo outlet paradiso. “Ritornare alle chiusure domenicali è una follia del governo, bisogna invece promuovere la funzione sociale dei centri commerciali. Hanno un impatto positivo in termini di aggregazione, socializzazione, innovazione, correttezza fiscale, di riqualificazione urbana. Rappresentano per i giovani un punto di ritrovo sicuro, alternativo alla strada, per anziani e famiglie nuovi luoghi di incontro, grandi spazi dov’è piacevole trascorrere il tempo libero” (Michela Vittoria Brambilla, deputato FI, 5.2). Lei sta alla cassa.

Roba da matti. “Un milione e mezzo di lavoratori poveri non avrà il reddito di cittadinanza. Esclusi dalla misura nonostante il basso tenore di vita perchè superano di poco i requisiti richiesti” (Repubblica, 10.2). Incredibile: chi non ha i requisiti non prende il sussidio. Ma si può?

Grillywood. “Questo film su Cheney è una delusione… uno sketch grillino” (Il Foglio, 6.2). Diavolo di un Grillo, s’è infiltrato pure a Hollywood.

Conflitto d’interessi. “Davigo giudicherò Woodcock. Ma non è incompatibile? Si era dichiarato esterrefatto perchè il Csm non aveva difeso il pm” (Il Dubbio, 9.2). In effetti, avere delle idee è un grosso problema. Invece il vicepresidente del Csm David Ermini, ex deputato renziano che attaccava Woodcock perché osava indagare sul padre di Renzi, è compatibilissimo.

Il Fubini del quartierino. “Italia-Francia. Chi pagherà il conto del duello” (Federico Fubini, Corriere della sera, 9.2). Facci indovinare: sarà mica pronta un’altra procedura d’infrazione europea contro l’Italia?

Il titolo della settimana/1. “L’Italia che fa paura al mondo” (Francesco Manacorda, Repubblica, 7.2). Dev’essere il sequel di “Fantomas minaccia il mondo”.

Il titolo della settimana/2. “Tensione Italia-Francia. Caso Di Maio: Parigi ritira l’ambasciatore. Non accadeva dal 1940. Come in tempo di guerra” (il Giornale, 8.2). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “Quanto vale l’indipendenza di Visco” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 9.2). Zero.

Abruzzo, le destre battono Legnini. Batosta dei 5 Stelle

È un trionfo del centrodestra: il candidato di Fratelli d’Italia Marco Marsilio sfiora la metà dei voti (48,9%). Alle sue spalle, distanziati, gli sfidanti: secondo Giovanni Legnini del centrosinistra (28,7%), terza Sara Marcozzi dei Cinque Stelle (21,2%). L’affluenza, non ancora definitiva, è al 52,7%, in calo di 9 punti rispetto al 2014. Sono solo le prime proiezioni: mentre il giornale va in stampa lo spoglio delle elezioni regionali è appena iniziato. Ma a meno di ribaltoni clamorosi la notte abruzzese porta un segnale chiaro, quasi brutale: vince Matteo Salvini, perde Luigi Di Maio. E arrivano conferme. La prima: la Lega e il suo leader sono saldamente al centro della scena, ancora più di ieri. La seconda: il Movimento Cinque Stelle paga questi mesi di governo in cui, almeno a livello mediatico, è sembrato lo sparring partner del suo alleato, oltre alla storica incapacità di essere competitivo nelle elezioni regionali. La terza: il centrodestra a livello locale è una formula politica collaudata e quasi sempre vincente.

Insomma, la strategia del doppio tavolo di Matteo Salvini funziona ancora alla grande: governa l’Italia con i 5 Stelle (che a inizio legislatura avevano quasi il doppio dei voti e dei parlamentari della Lega) e sta prosciugando il loro consenso. Governa con Berlusconi e Meloni nei territori, e pure l’ex Cavaliere è diventato una portata del banchetto leghista. L’Abruzzo sarà con ogni probabilità la settima Regione d’Italia ad avere una giunta di centrodestra – la nona se si contano le Province autonome di Treno e Bolzano – dopo Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Molise e Sicilia. La prossima sfida, tra due settimane, è in Sardegna.

L’affermazione di Marsilio è un colpaccio di Fratelli d’Italia (che incassano il loro primo governatore) ma soprattutto un trionfo della Lega, che 5 anni fa in Abruzzo non si era nemmeno presentata e ora nel voto di lista, nella prima proiezione vola al 27,3%. Diventerà una pistola fumante, per Salvini, da mettere sul tavolo di qualsiasi trattativa politica.

Per i Cinque Stelle è delusione pura: secondo le proiezioni Marcozzi non solo straperde da Marsilio, ma finisce lontana anche da Legnini. L’ex vicepresidente del Csm ha condotto una campagna elettorale solitaria – nessuno dei big del Pd si è affannato a sostenerlo, e infatti il partito si ferma al 7,8% – ma ha dimostrato di essere un candidato solido.

Per Luigi Di Maio e i suoi invece si profila una sconfitta rovinosa e una percentuale davvero troppo bassa nel primo vero test dalla nascita del governo. Si aspettavano di restare almeno attorno al 30%, in una Regione dove nelle Politiche era stato sfiorato il 40. Secondo la prima analisi dei flussi del consorzio Opinio solo il 66% degli elettori del 4 marzo avrebbe confermato il voto ai 5Stelle (il 19% si sarebbe spostato su Marsilio, il 15 su Legnini). Anche se può essere fuorviante confrontare le Regionali con il voto nazionale, la batosta è innegabile. Grande almeno quanto la soddisfazione del sempre più ingombrante alleato di governo. Per Marcozzi è la seconda sconfitta consecutiva: anche nel 2014 arrivò terza con il 21,4%. Ma di nuovo: al di là del significato locale, l’ombra dell’Abruzzo è destinata ad allungarsi su Palazzo Chigi e sul rapporto tra i due vicepremier gialloverdi.

Che Salvini ci tenesse molto si era capito nelle scorse settimane – il capo della Lega si è concesso ben 7 trasferte in terra abruzzese per la campagna elettorale – e anche nelle ultime 24 ore. Quelle del silenzio elettorale. Proprio il ministro dell’Interno, colui che avrebbe la responsabilità del corretto svolgimento delle operazioni, ha infranto la regola che impone di interrompere la propaganda nella giornata del voto. Salvini ha violato il silenzio elettorale ben tre volte. Prima alle 6 e 29 di mattina su Twitter: “Oggi in Abruzzo, dalle 7 alle 23, vota Lega”, poi qualche ora dopo sempre sulla stessa piattaforma, chiedendo di mettere “una croce sul simbolo della Lega” e più tardi anche su Instagram: “Chi non va a votare ha già perso, libertà è partecipazione”.

Numerose e inevitabili le proteste (tra cui quelle del favorito per la segreteria del Pd, Nicola Zingaretti: “L’arroganza e l’incapacità al potere. Iniziamo a mandarli a casa”). Salvini – per usare un linguaggio a lui familiare – se ne frega. Della forma non si cura, la sostanza dice che le elezioni abruzzesi saranno l’ennesimo gradino di un’ascesa impressionante.

Vietato fare multe nella via del sindaco

“Per fare cassa ci mandano a dare multe sulle alture di Genova, di notte, quando ci sono solo coppiette e cinghiali. Ma poi, quando andiamo nella via dove abita il sindaco e c’è il negozio di sua moglie, lui esce di casa e dopo dieci minuti arriva l’ordine della centrale di sospendere le contravvenzioni per divieto di sosta”. La racconta così Claudio Musicò del Dicapp, sindacato dei vigili urbani di Genova.

Parliamo di Marco Bucci, popolarissimo primo cittadino di Genova. Il ‘sindaco yankee’, come lo chiama qualcuno per la sua abitudine di infarcire ogni frase con parole americane. Il ‘sindaco sceriffo’, per i modi ruvidi che ai genovesi diventati leghisti piacciono.

Bene. Sabato mattina in via Alessi, nel quartiere borghese di Carignano, piombano i vigili. E sfoderano i taccuini. Ci sono decine di auto in divieto di sosta: si deve fare la pulizia della strada e nessuno ha tolto l’auto. Così partono le contravvenzioni: cinquanta. Un’ecatombe. Proprio in quel momento, zac, Bucci esce di casa. Ma il sindaco non si limita a guardare. Lasciamo, però, che sia lui stesso a raccontare: “È un discorso idiota”, esordisce. Poi abbassa i toni: “Non voglio dire che lei stia dicendo una cosa idiota”. Bene, allora continuiamo: “Ho visto che i vigili stavano facendo decine di multe”. Il motivo? “Era il primo giorno con il nuovo regolamento per la pulizia della strada. Invece di avvertire i cittadini con i cartelli a terra, più visibili, ne avevano messi alcuni fissi. Evidentemente nessuno li ha notati. Qualcosa non aveva funzionato, non si può sanzionare la gente se la novità è stata comunicata male”. Però ne avevano parlato i giornali; in via Alessi in tutte le cassette delle lettere erano stati infilati dei volantini. Non basta? “Io non li ho visti, nessuno sembra averli visti”. E qui Bucci fa l’americano: “Negli Stati Uniti dove ho abitato quando si cambiano le regole il primo giorno si fa un warning”. Prego? “Un avvertimento. Invece del pink ticket (la multa, ndr), la prima volta si mette un yellow ticket, un avviso”. Ma lei sabato che cosa ha fatto? “Sono andato dal vigile che faceva le multe e gli ho chiesto di chiamarmi il comandante. Ma siccome non aveva il numero ci ho pensato io”. Ha parlato con il comandante dei vigili? “Sì. Gli ho detto che quel sistema non funzionava”. Ha chiesto di smettere di dare le multe? “No. Anzi, chi ha preso la contravvenzione dovrà pagarla”. Comunque sia dopo pochi minuti ai due vigili arriva una comunicazione della centrale operativa: “Sospendete l’attività, ordine del comandante”. Risultato: metà delle auto si prendono la multa e metà no. E qui scoppia il caso: “Chiederemo ai consiglieri comunali – annuncia Musicò – di presentare un’interrogazione: chi ha dato l’ordine, il Sindaco o il Comandante?”.

Ma la questione resta. Sindaco Bucci, le sembra opportuno intervenire mentre i vigili danno le multe nella via dove lei abita e sua moglie ha una pasticceria davanti alla quale sostano i clienti? “Chi insinua che avrei agito per motivi personali merita una querela. Il sospetto non è lecito”. Ma la domanda sì. “Né io, né i miei familiari abbiamo preso una multa. Figuratevi se ho agito per questo… io per fare il sindaco ho rinunciato a un megastipendio da manager. Questa storia è idiota”.

Di Battista attacca Re Giorgio, Mattarella invece lo ringrazia

Secondo Alessandro Di Battista, l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è comportato in modo “vile” nel 2011, in occasione della guerra in Libia. Il frontman dei Cinque Stelle ne ha parlato durante la trasmissione Mezz’ora in più su Rai Tre. “La Francia chieda scusa – ha detto Di Battista – per l’intervento scellerato in Libia nel 2011 che ha provocato esodo dei migranti e migliaia di morti. Napolitano si è piegato in modo vile. Berlusconi ancora di più perché era contrario”. Di Battista ha inoltre difeso la scelta di incontrare, con Luigi Di Maio, una gruppo di Gilet gialli: “Allora Macron non avrebbe dovuto incontrare Renzi e firmare con lui manifesti contro il populismo”. Poche ore dopo l’intervista del Cinque Stelle, Sergio Mattarella ha diramato una nota per comunicare la sua vicinanza a Napolitano, ringraziandolo – ieri era il Giorno del ricordo – per aver mantenuto viva la memoria delle foibe: “Il Presidente della Repubblica ha telefonato al Presidente emerito Napolitano – si legge – che ha tanto fatto per restituire alla memoria nazionale quei tragici eventi. Ha voluto esprimere grande apprezzamento per la sua presidenza, verso cui va la doverosa riconoscenza degli Italiani”.

Da Patty al Volo, tutto il peggio dell’edizione n. 69

Cosa (non) resterà di questo Sanremo 2019? Renga che dice che ci sono meno donne al Festival perché “gli uomini hanno le voci più belle”. Bravo Francesco: è noto infatti che Jovanotti mangi in testa a Amy Winehouse e Biagio Antonacci ad Aretha Franklin. Se non altro poi ha chiesto scusa, dicendo che non si è spiegato bene. Renga è lo stesso che anni fa disse che era penalizzato sulla scena musicale perché quasi tutti gli artisti sono di sinistra (e lui no). Ed è anche lo stesso che, sin dai tempi dei Timoria, era alternativo quanto una braciola scotta nel catering di Gigi Il Merda. Qualcuno gli faccia notare che, se anche stavolta l’unica cosa che resterà della sua partecipazione saranno le belle giacche del suo stilista (plaudite da Enzo Miccio), non è colpa di nessuno.

E ancora. La renzianissima Anna Foglietta, che al Dopofestival ha portato quella sua simpatia contagiosa a metà tra una Meli impegnata e una Morani in incognito. La gran parte dei mestissimi sketch, copiati allegramente (lo ha scoperto Selvaggia Lucarelli) da Dean Martin, il Late Show e la Smemoranda di Nardella.

Quindi Achille Lauro, “con la sua intonazione da antifurto di Multipla con la batteria scarica” (cit. dalla pagina Facebook “Musicademmerda”): accusato da Staffelli di essere un cattivo maestro (chissà cosa avrebbe detto a Lou Reed quando cantò Heroin), lo ha messo all’angolo con agio, esibendo una strafottenza linguistica che in trent’anni di sinistra italiana non si è mai vista.

Daniele Silvestri, che si rende conto di aver portato una canzone troppo più bella delle altre e allora – per non far sfigurare i colleghi – chiede venerdì a Rancore (?) e Manuel Agnelli di devastarla con virulenza.

Ornella Vanoni, che sembra per anarchia la figlia di Irama e la nipote del Volo. Patty Pravo, encomiabile nel suo tributo al Fortunadrago de La storia infinita. E poi Claudio Bisio, che definisce Ligabue “l’imperatore del rock”: come chiamare Renzi “il Rocco Siffredi del bolscevismo”. Daje sempre.

“Quella di Renga è una stupidaggine. Ha sentito Arisa?”

“È una stronzata rara, ahahah!”. La voce di Mara Maionchi non sarà delle più melodiose, ma la sua risata è una sentenza. Lo sventurato Francesco Renga, invece di andare a dormire dopo la quarta serata sanremese, ha concionato al Dopofestival sulla supremazia canora tra i sessi. A chi gli chiedeva un parere sulla scarsa presenza femminile nella competizione, aveva risposto: “È una questione fisica, di vocalità. La voce maschile è più armoniosa, le voci femminili belle, aggraziate, sono di meno. Non è un caso che ci siano molti più cantanti maschi, non è una questione di… sesso, è che la voce maschile, all’orecchio umano, ha una gradevolezza diversa. Le voci femminili hanno delle frequenze diverse, quindi all’udito vengono apprezzate solo quando sono veramente molto speciali”. Il gelo aveva avvolto lo studio. Baglioni aveva invitato subito chiunque a dissociarsi, con il gaffeur che ieri è stato costretto a diffondere una nota di scuse.

Mara, Renga ha spiegato di essersi incartato con un concetto tecnico. Ammette di aver sbagliato, non vuole essere strumentalizzato…

È una barzelletta quella sulla voce femminile. Si è soffermato ad ascoltare Arisa, che lì all’Ariston ha fatto sfoggio di potenza e precisione? Ha sentito che ugola? E la grinta della Berté, che ha dato smalto a un pezzo non indimenticabile?.

E Patty Pravo?

Stiamo diventando tutti molti vecchi. Ci fosse stata la Zanicchi, forse…

Per Renga non ci sono tutte queste dee in giro…

Se parliamo di Festival, ricordiamoci che al centro della gara c’è la canzone. Magari non ce n’erano così tante già pronte in questo periodo da affidare a interpreti femminili. I brani adatti non nascono a comando.

Renga aveva tirato in ballo una ricerca scientifica.

È come decidere se sia meglio Aretha o Ray Charles. È una tesi indifendibile.

Che avrebbe detto Gianna Nannini, una delle sue grandi scoperte?

Da brava toscana l’avrebbe preso per il culo a vita. Ma come gli è venuta fuori una cosa del genere? Era stanco? Non si può essere così tranchant. E ha rischiato di giocarsi una bella fetta del suo pubblico, per giunta.

Chi le è piaciuto?

Nigiotti, e non perché l’abbia seguito io a XFactor. Ha cantato con grande impeto. Ultimo è già molto bravo alla sua età, e ho apprezzato i Negrita con Ruggeri. Niente male anche gli Zen Circus.

È attenta ai giovani e agli indipendenti.

Nel mio programma per Sky, Mara impara, ho davvero capito tante cose sulla nuova generazione di artisti. Calcutta, Salmo, Cosmo. Io ho una certa età, ma non posso fossilizzarmi sulla mia epoca. Ci sono nuovi De Gregori, in giro. Il mio amico Achille Lauro mi ha aiutato a decifrare gli scenari contemporanei. Noi vecchi dobbiamo essere umili: sa in quanti dicevano che Battisti cantava male?

C’è un esposto di una band che aveva chiesto l’esclusione di Lauro per una linea di chitarra in “Rolls Royce”.

Achille è un ragazzo molto preparato, non uno sprovveduto. Trovo difficile che si fosse esposto in modo incauto. Mi è anche piaciuta la sua performance con Morgan, che resta il miglior giudice di sempre di XFactor.

E lei, Mara? Ha commentato Sanremo per RTL102.5, si è spesa a “Italia’s Got Talent”, ma tutti la rivorrebbero a “XFactor”.

Non ho deciso, ma non ho detto un no definitivo. Il problema è che faccio una fatica fisica e psicologica a sentirmi responsabile del futuro dei ragazzi. Basta un consiglio sbagliato e l’occasione della vita può sfumare. Al tempo stesso, sono stata orgogliosa di vedere Anastasio all’Ariston e del lavoro che sta facendo Licitra con la vedova di Pavarotti. Insomma, vedremo.