Lo Stato non paga, parenti delle vittime pignorano ministeri

Lo Stato non vuole pagare il risarcimento stabilito dalla Corte d’appello di Palermo e torna a prolungare la battaglia civile dei familiari delle 81 vittime della strage aerea di Ustica. Il 27 giugno ’80 il Dc9 Itavia, partito da Bologna per Palermo, si inabissò nel mar Tirreno. A bordo c’ era anche Carlo Parrinello, agricoltore. Sua moglie e le tre figlie hanno fatto notificare un atto di pignoramento nei confronti dei ministeri dei Trasporti e della Difesa. Sulla somma decisa dai giudici di 1.908.909 i ministeri hanno pagato solo 431.794 euro. Il credito oggetto di pignoramento è di 1.477.107 euro.

Parrinello, di Marsala (Tp), era un imprenditore agricolo. Aveva 44 anni quando morì e manteneva la famiglia. L’Avvocatura dello Stato sostiene che i familiari delle vittime percepiscono una indennità di circa 1600 euro al mese, quindi vanno defalcate dal risarcimento tutte le somme future che i familiari percepiranno fino al compimento di 75 anni. I legali dei familiari di Parrinello, gli avvocati Vanessa e Fabrizio Fallica, sostengono che la sentenza non parla assolutamente di questa detrazione futura e indica con precisione il risarcimento che lo Stato deve pagare.

Il Papa incontra i magistrati: “Siate sempre indipendenti”

Papa Francesco denuncia le “mille difficoltà” che si frappongono per i magistrati allo svolgimento del loro servizio, compresi i “vuoti legislativi” in campi come l’inizio e fine vita, la famiglia, gli immigrati. Ieri Bergoglio ha ricevuto l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) a 110 anni dalla fondazione. Il Pontefice ha rivolto ai rappresentanti dell’ordine giudiziario anche più di una raccomandazione, tra cui quella all’“indipendenza esterna” e alla non-politicizzazione, tenendo “lontani da voi i favoritismi e le correnti”.

Il Papa si è detto quindi “consapevole delle mille difficoltà che incontrate nel vostro quotidiano servizio, ostacolato nella sua efficacia dalla carenza di risorse per il mantenimento delle strutture e per l’assunzione del personale, e dalla crescente complessità delle situazioni giuridiche”. Ogni giorno, ha aggiunto, “dovete poi fare i conti, da un lato, con la sovrabbondanza delle leggi”; e, dall’altro, “con vuoti legislativi in alcune importanti questioni, tra le quali quelle relative all’inizio e alla fine della vita, al diritto familiare e alla complessa realtà degli immigrati”. “Criticità” che per il Papa “richiedono al magistrato un’assunzione di responsabilità che va oltre le sue normali mansioni”.

Ieri poi all’evento organizzato a Roma dall’Anm per i suoi 110 anni è intervenuto anche Piercamillo Davigo, consigliere togato del Csm: “La magistratura italiana è sopravvissuta ad attacchi violentissimi che non si sono verificati in alcun altro Paese. Questi attacchi ci hanno rafforzato e abbiamo sviluppato il senso della nostra indipendenza in maniera molto forte”. Parlando di Tangentopoli, Davigo ha osservato: “Credo che nel nostro Paese non ci sia stata altra vicenda giudiziaria con così tante prove, migliaia e migliaia di documenti”.

Casellati, peana ad Andreotti: la gobba “è un monumento”

Più che un intervento, un’ode a Giulio Andreotti, un peana: la presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, nel partecipare alla presentazione del libro di Massimo Franco, C’era una volta Andreotti, finisce per stupire perfino l’autore. Inanella elogi assoluti al democristiano sette volte presidente del Consiglio, senza neppure un accenno a particolari trascurabili quali i suoi rapporti con il bancarottiere Michele Sindona, la sua stretta vicinanza a personaggi coinvolti nei più gravi scandali della Repubblica, i suoi contatti con Cosa nostra, la sentenza che lo dichiara prescritto per il reato di associazione mafiosa, “commesso fino alla primavera del 1980”.

Perfino la sua schiena ricurva diventa motivo di elogio: per Casellati, “il piccolo cratere visibile all’altezza delle spalle sul suo scranno di senatore a vita”, impronta della schiena, è “un vero monumento della sua fisicità non fisica”.

A Roma, il 7 febbraio, la presidente del Senato è un fiume in piena: Andreotti ha dato un “contributo decisivo alla storia della nostra democrazia parlamentare”. “Grande esponente del cattolicesimo politico”, ha fatto diventare politica “la sua romana cattolicità”. Spiega Casellati: “La sua identità cattolica si rivela nella duplice accezione del realismo e dell’universalismo. Il realismo anzitutto inteso come apertura alla realtà nella totalità dei suoi fattori, declinato poi nell’azione politica concreta in pragmatismo e capacità di azione”.

C’è poi la “capacità tutta andreottiana di dare corpo al principio di sussidiarietà, espressione del diritto di libertà individuale e sociale, capacità che lo ha condotto a ricercare sempre un punto di equilibrio tra la valorizzazione dell’iniziativa privata, il ruolo di regolazione dello Stato e soprattutto il sostegno alle formazioni sociali”. Si riferisce forse a Comunione e liberazione?

Dove ha mostrato “la sua identità di cattolico romano” è stata nella “vocazione internazionale che ha caratterizzato sin dagli esordi la sua carriera parlamentare e di governo. L’originalità della sua politica estera, una eresia atlantista, demonizzata per via dei contatti con il leader libico Gheddafi, con la Palestina e i Paesi arabi. In realtà una politica estera sempre profondamente vicina ad Israele, ma in grado di esprimere la formidabile intuizione della necessità insopprimibile di un’apertura di dialogo verso l’Oriente e il Sud del pianeta”. Restano da spiegare i patti segreti con gli arabi, anche con gruppi terroristi, e che cosa abbia concesso loro in cambio del fatto che l’Italia fosse lasciata fuori da attentati.

La presidente del Senato ha elogi anche per “il profilo umano del personaggio Andreotti”: va “definitivamente superato lo stereotipo di un Andreotti distaccato, anaffettivo e incapace di emozioni; emerge invece una figura – come lo definiscono i figli – di un babbo distratto, affettuoso, ironico e terribilmente pigro” e “capace sempre di un affetto certamente controllato, ma intenso. Un affetto forte che rendeva calda e accogliente la vita familiare sempre pervasa da ironia e autoironia”.

Negli ultimi minuti del suo intervento, Casellati accenna con pudicizia alle “vicende a tutti note dei processi nei quali fu imputato e poi assolto”. Assolto, afferma senza dubbi. Che sia stato prescritto per un reato di mafia che i giudici affermano definitivamente “commesso” non sfiora la presidente del Senato, che se la cava così: “Il giudizio su queste vicende, oltre che definitivamente consacrato ormai da sentenze definitive, dovrà essere consegnato a uno sguardo di obiettività storica”. La Storia obiettiva, contro i giudici evidentemente non obiettivi. Ma Andreotti è sempre Andreotti: riesce a uscire con uno sberleffo anche da “vicende così dolorose dall’interno del vissuto e dell’esperienza di una persona e di una famiglia”. La prova: “l’episodio descritto in tono divertito e divertente dei cannoli siciliani divorati dal senatore nelle pause del processo di Palermo”. È stato sodale dei mafiosi almeno “fino alla primavera 1980”, dice la sentenza.

Ha certamente incontrato il capo dei capi di Cosa nostra Stefano Bontate. Ha anche certamente avuto un incontro con il suo successore, Totò Riina (ricercato da decenni), che ha rimbrottato per aver fatto uccidere il capo del suo partito in Sicilia, il dc Piersanti Mattarella. Ma con qualche cannolo passa la paura: per Elisabetta Alberti Casellati, Andreotti resta un esempio politico e umano, per “l’attenzione, la partecipazione, la dedizione, il rispetto che il senatore Andreotti ha sempre nutrito per la democrazia parlamentare e le sue istituzioni rappresentative”.

Il leghista Sciretti: “Qui ci vuole un po’ di Diaz”

“Ditemi voi se tutto questo è accettabile. Nessuna pietà, nessuna, per queste persone. Le forze dell’ordine sono troppo limitate nei loro poteri. Ci vuole un pò di Scuola Diaz”. Il capogruppo della Lega alla Circoscrizione 6 di Torino, Alessandro Ciro Sciretti, “Giovane padano” quasi trentenne, ha commentato così gli scontri di ieri al corteo degli anarchici nel capoluogo piemontese. L’ex podista, come scrive nella sua biografia, si è avvicinato alla politica nel 2007 “spinto dai consigli di amici e parenti”, quando comincia ad occuparsi del Movimento Studentesco e Universitario Padano. Nel 2010 è stato eletto membro dell’Ufficio di presidenza della Consulta Regionale dei Giovani del Piemonte. Aveva 12 durante il G8 di Genova, che si svolse da giovedì 19 luglio sino a domenica 22 luglio 2001. Nel corso dei quattro giorni si susseguirono violenti scontri culminati con la morte del giovane Carlo Giuliani in piazza Alimonda, cui fece seguito la violentissima irruzione della polizia nella scuola Diaz e i tristemente famosi giorni delle torture di Bolzaneto ai danni degli arrestati.

Gli antagonisti in pista contro il Viminale

La guerriglia anarchica di Torino ieri. Tre giorni fa lo sgombero dell’asilo occupato di via Alessandria. Un luogo decisivo per le lotte anti-sistema. Non a caso l’operazione della polizia è arrivata dopo che il giudice di Torino ha dato l’ok all’arresto di sei persone. Secondo fonti dell’intelligence l’asilo, negli anni, è stata la camera segreta da cui sono partiti attentati contro il sistema dell’immigrazione. Battaglia nota, che passa sotto il nome di I Cieli bruciano. Obiettivo: prima i Cie, poi i Cpr e oggi di nuovo le politiche del governo in tema di immigrazione con la volontà dichiarata di riaprire i Cpr. Chi è stato indagato è accusato di aver colpito tutte quelle aziende che lavorano nell’indotto. Pacchi bomba destinati anche alle Poste, e in particolare alla compagnia aerea (Mistral) che riporta le persone espulse nei loro paesi. Insomma, lo sgombero dell’Asilo ha dato fuoco alle polveri di un movimento anarchico che da mesi si sta ricompattando. Calamita nota: la politica del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Solo pochi giorni fa a Milano nel quartiere del Ticinese è comparsa questa scritta: “Non sparare a salve, spara a Salvini”. I fermati di ieri sono 12, uno di loro è spagnolo. Oltre 150 gli identificati. A Torino c’erano anarchici arrivati da Germania, Spagna, Francia, Serbia. Presenti anche dal nord Italia, da Trento e Rovereto, da Bologna e da Milano. E che la guerriglia di ieri rappresenti un dato politico importante lo dimostra il volantino anarchico girato giorni fa e che già annunciava la manifestazione di ieri. Si legge: “(…) Con l’accusa di associazione sovversiva per via della partecipazione alle lotte contro i Cie e i Cpr o per essere stati catturati nelle ore di scontri che hanno seguito lo sgombero. La lotta, l’autogestione, le occupazioni e la solidarietà sono sotto attacco, in pieno clima securitario salviniano, col pieno supporto dei Cinque stelle sindaca in primis. Rivendichiamoci 24 anni di occupazione, rivendichiamoci la lotta contro le infami gabbie dei Cpr, rivendichiamoci la lotta contro il decreto Salvini”. Il tema è dichiarato. Al centro della lotta anche le politiche per la casa e le nuove accelerazioni governative per gli sgomberi. È successo a Torino con l’Asilo. È capitato a Milano. Obiettivo Villa Vegan, altro simbolo anarchico occupato da circa vent’anni. Anche in quel frangente gli anarchici milanesi hanno avuto l’aiuto di buona parte dell’area antagonista del nord Italia. Risultato: sgombero rinviato. Sempre a Milano il tema dell’occupazione delle case è stato rilanciato dall’arresto di 9 autonomi accusati di aver messo in piedi un’associazione a delinquere “non a scopo di lucro ma per una giustizia sociale”. Tutti sono stati mandati a processo. Solidarietà è arrivata dal centro sociale torinese Askatasuna. L’onda anarchica oggi è una concreta allerta. Alfredo Cospito, condannato per l’attentato all’ex ad di Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi, in una lettera al giornale anarchico Vetriolo ha parlato di un ritorno “alla lotta armata”. Non solo, gli attentati rivendicati online raggiungono la frequenza di uno al mese. L’ultimo è quello della Fai (Federazione anarchica informale) che risale al 24 dicembre. Obiettivo: l’Istituto italiano di tecnologia a Genova. Dalla Liguria al Piemonte ieri. Con Milano in allerta per la riapertura del Cpr di via Corelli.

Torino, la protesta degli anarchici diventa guerriglia

La risposta allo sgombero del centro sociale torinese L’Asilo, a Torino, era attesa ed è arrivata.

Una fitta nebbia avvolge corso San Maurizio, buona parte del quartiere Vanchiglia, fino in Corso Regina. L’aria è irrespirabile. Il fumo dei lacrimogeni entra nei locali della movida dove la gente si barrica spaventata e impaurita. Chi è per strada scappa con le mani sul viso, le sciarpe fin sugli occhi per coprirsi, scansando pali divelti, cassonetti incendiati e il tappeto di cocci e pietre che ricoprono strade e marciapiedi. Bombe carta e sirene squarciano la tranquillità del sabato sabaudo.

Il bilancio dei violenti scontri tra gli 800 anarchici e forze dell’ordine parla di 4 feriti, di cui uno in codice rosso, 12 manifestanti fermati, e un bus di linea assaltato. “Non ho mai visto niente di simile – ha raccontato l’autista – sono saliti incappucciati sfasciando tutto. Tremo ancora adesso”. Un gruppo di manifestanti è salito a bordo, spaccando i vetri e lanciando i lacrimogeni raccolti per strada all’interno del mezzo, mettendo in fuga i due passeggeri e il conducente.

“Galera per questi infami! Ridotti quasi a zero gli sbarchi, adesso si chiudono i centri sociali frequentati da criminali”, tuona il ministro dell’Interno Matteo Salvini, ma lo sgombero del centro sociale di via Alessandria per il momento è solo riuscito a far salire la tensione in città. Già giovedì sera infatti un corteo di circa 300 persone si era scontrato per le vie del quartiere Aurora proprio per protestare contro l’operazione della Questura di Torino. Lo stesso questore Francesco Messina affermava in conferenza stampa di non temere la risposta degli anarchici: “Non temiamo nulla, mai avuto timore, siamo addestrati e capaci di affrontare l’ordine pubblico”.

Eppure, nonostante l’ingente schieramento di mezzi e uomini tra polizia e carabinieri, gli 800 incappucciati provenienti da tutta Italia e dalla Francia, sono riusciti a tenere in scacco la città. Anzi ad essere in difficoltà per lunghi tratti sono sembrate proprio le forze dell’ordine pressate dall’incessante lancio di sassi e bombe carta (fonti di polizia sottolineano di aver comunque impedito una nuova occupazione dell’Asilo, obiettivo degli antagonisti). Anche tra i negozianti di corso Regina si è scatenato il panico quando il corteo ha incendiato i bidoni dell’immondizia, usandoli come barricate: “Ho dovuto chiudermi dentro con i clienti, erano tutti terrorizzati. C’erano anche dei bambini all’interno del locale”, racconta il gestore di un bar.

La condanna di quanto avvenuto è arrivata anche dal governatore Sergio Chiamparino e da Chiara Appendino: “Quanto sta accadendo in queste ore non può essere confuso in alcun modo con l’esercizio della democrazia”, ha twittato la sindaca. Proprio nel mirino dei manifestanti è finita anche l’amministrazione pentastellata, accusata di riqualificare i quartieri periferici a discapito degli spazi sociali. Un’accusa diretta ad Appendino che nei giorni scorsi aveva espresso piena soddisfazione per lo sgombero dello spazio occupato, ringraziando la Questura e gli agenti, sottolineando che l’operazione era stata lungamente attesa da tutta la città.

“L’Asilo non si tocca, ce lo riprenderemo”, si legge sui muri dopo il passaggio del corteo. E se la promessa di scontri è stata pienamente mantenuta c’è da aspettarsi che i gruppi anarchici cittadini non lasceranno passare molto tempo prima di trovare nuovi spazi da occupare. Con buona pace del ministro Salvini e della sindaca Appendino.

Sette arresti e 11 chili di droga in tre mesi

Il bilancio della seconda tornata di controlli anti-spaccio nell’ambito dell’operazione “Scuole sicure” portata avanti dallo sforzo congiunto delle forze di Polizia con gli agenti di polizia locale in tre mesi, dal primo novembre dello scorso anno al 31 gennaio 2018, è di sette arresti e oltre 11 chili di droga sequestrati. Sempre a gennaio è aumentato il numero di istituti scolastici monitorati, che salgono da 249 a 275. L’operazione ha coinvolto 15 comuni individuati dal ministero dell’Interno in tutta Italia: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Padova, Roma, Torino, Trieste, Venezia e Verona. In questi tre mesi la Polizia locale ha effettuato 2.618 controlli impiegando 2.344 unità. Le autorità hanno rilevato 343 illeciti, arrestato tre persone e sequestrato più di un chilo di droghe leggere. Per quanto riguarda le forze di Polizia, le 4.547 unità impiegate hanno effettuato 2.218 controlli arrestando quattro persone e sequestrando oltre dieci chili di droghe leggere e 213 grammi di droghe pesanti.

“Non c’è alcuna differenza con la periferia di Milano”

“Da dirigente scolastica so che l’impegno dei docenti e dei dirigenti per far funzionare le scuole è enorme in tutta Italia. Ci sono scuole di frontiera e di periferia in cui gli studenti non hanno le stesse opportunità. Purtroppo il fattore socio-economico delle famiglie incide sia a Nord che a Sud”: Elena Centemero è stata la responsabile della scuola per Forza Italia fino alla scorsa legislatura, oggi dirige l’stituto Comprensivo di Villasanta, Monza-Brianza (due scuole infanzia, due primarie e una media) e l’Istituto Superiore Vanoni. Sono 2500 studenti.

Centemero, di cosa hanno bisogno allora le scuole?

In questo anno di lavoro sul campo ho apprezzato il lavoro di maestri e insegnanti. Ho visto avviare doposcuola per i ragazzi più a rischio, organizzare attività di studio con ragazzi delle classi più grandi, attivare corsi di italiano per gli stranieri insieme al territorio, coinvolgere gli studenti in progetti come “la serra a scuola”. Nella mia scuola stiamo creando un fondo per i libri di testo per i più bisognosi. In generale, abbiamo bisogno di più investimenti nell’edilizia scolastica e più risorse per contrastare la povertà educativa e la dispersione scolastica. Serve più tempo pieno per aiutare ragazzi a superare le difficoltà e far sì che stiano a scuola con i loro insegnanti piuttosto che da soli o in giro.

Che intende per povertà educativa?

La mancanza di mezzi per comprare libri, l’abbonamento dell’autobus, la mensa. È in questo che mi aspetto un impegno concreto. E la povertà educativa c’è anche nelle periferie di Milano. Ci sono studi che evidenziano come l’indice di stato socio-economico dei genitori determini il futuro e il successo formativo. È questo che va rotto. Al Nord la discriminazione è tra scuole del centro e scuole di periferia

Bussetti ha precisato di non essere contro il Sud…

Il ministro conosce la realtà scolastica: sa che non c’è differenza tra i ragazzi e le scuole del Nord e del Sud perché i bisogni formativi, l’impegno delle maestre e degli insegnanti e dei dirigenti è tanto e sono loro che ogni giorno si confrontano con le difficoltà. Mi auguro che il governo si occupi anche della povertà educativa e non solo del reddito di cittadinanza.

“Pregiudizi imbarazzanti su chi si impegna il triplo”

“Ame e a molti miei colleghi e docenti non sono piaciute le parole del ministro in visita ad Afragola, uno dei territori più devastati dalla criminalità e dal malgoverno: sono parole dette con superficialità”. Virginia Villani è una deputata del M5s ma anche dirigente scolastico, gli ultimi anni a Sarno, in Campania.

Villani, cosa succede al Sud?

La comunità scolastica opera in una realtà difficile e deprivata e non si possono ignorare i sacrifici che vengono fatti quotidianamente. Un ministro dell’Istruzione non può permettersi di bacchettare le comunità scolastiche del Sud con una anacronistica e illegittima divisione fra le scuole italiane. Da buon padre di famiglia, rappresentante dello Stato, dovrebbe garantire assenza di pregiudizi e una buona dose di supporto concreto a chi negli anni è stato ignorato, sfruttato e derubato nell’indifferenza delle istituzioni.

L’impegno del personale però ci vuole davvero…

Un dirigente scolastico del Sud occupa almeno una metà del suo tempo a risolvere problemi con le amministrazioni locali, troppo spesso inadempienti. Mancano strutture, servizi, risposte ai bisogni della collettività. Scuole spesso fatiscenti, edifici senza certificazioni, mancanza assoluta di asili nido e di tempo pieno. Proprio pochi giorni fa mi hanno chiesto sostegno per una scuola del napoletano che da decenni era in uno stabile abusivo senza il rispetto delle minime misure di sicurezza. Ecco, questi sono i problemi più urgenti da affrontare.

Le differenze quindi ci sono?

Al Sud manca lo Stato, che dovrebbe impegnarsi di più per rimuovere gli ostacoli, per evitare disuguaglianze. Il personale scolastico si impegna per farlo ogni giorno. Uno studente di Napoli, però, accumula in differenza ore di lezione circa un anno e mezzo di scuola in meno del suo coetaneo di Milano mentre un docente o un dirigente del Sud per raggiungere livelli di eccellenza deve impiegare il triplo di energie e sacrifici. È avvilente lo sforzo da fare per avere garantito il minimo indispensabile. E bisogna tener conto anche di un altro fattore.

Quale?

La maggior parte delle scuole del Nord raggiunge ottimi risultati grazie ai docenti del Sud che con dignità e responsabilità lasciano i propri affetti per poter lavorare. Inutile girarci intorno: siamo noi del governo ad avere un debito con le scuole del Sud

Scuola, gaffe contro il Sud. E il Nord chiede l’autonomia

La dichiarazione non può essere ignorata, tanto che il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, deve poi pubblicare una precisazione nel pomeriggio che suona più o meno così: non volevo dire che al sud i docenti sono scansafatiche, ma che da soli i soldi non bastano, da nessuna parte, e soldi ce ne sono già abbastanza e sono stati stanziati anche per il Sud, quindi bisogna usarli bene e sono solo polemiche vuote. Una precisazione d’ufficio, poi avallata anche da Salvini. Non farla avrebbe significato ammettere di essere un ministro dell’Istruzione che pensa che al Sud si lavori poco e che le scuole siano di secondo livello e una zavorra per il Pese. Intanto, però, quel suo “Impegno, lavoro, sacrificio” ripetuto per due volte come risposta al giornalista di Nano Tv che, in provincia di Napoli, gli chiedeva se fossero previsti misure e fondi per ridurre il gap con le scuole del nord insieme a quel “ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte, questo ci vuole” aveva fatto infuriare tutti, ma proprio tutti, per tre motivi.

Uno: erano parole pronunciate da un ministro scelto dalla Lega. Due: erano state pronunciate da un ministro dell’Istruzione che dovrebbe comprendere e spiegare la complessità del tema e del suo ruolo. Tre: arrivano in un momento in cui le regioni del Nord si stanno muovendo verso l’autonomia differenziata (in prima fila Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) che include anche il tentativo di portare il controllo dell’istruzione a livello locale, con annessa ipotesi di gestione localistica del personale, dei suoi stipendi e delle sue graduatorie. Insomma, una uscita infelice, che ha generato richieste di dimissioni da parte delle opposizioni, condanne dalle associazioni di insegnanti, studenti e presidi, scontento dei sindacati, e la presa di distanza dei Cinque Stelle che hanno rilanciato il tema dell’abolizione delle “classi pollaio”, uno dei punti fermi che il Movimento ha sulla scuola con un ddl della deputata Lucia Azzolina in discussione in commissione Cultura (dove ci si interroga sulla necessità di analizzare lo sviluppo demografico futuro, l’impatto sulle finanze pubbliche e lo stato dell’edilizia scolastica). “Vogliamo credere che il ministro nell’auspicare maggior impegno da parte del Sud sottintendesse quanto siano stati finora straordinari proprio l’impegno, il lavoro e il sacrificio di tutti gli operatori della filiera scolastica e universitaria del meridione”, hanno detto i sottosegretari pentastellati all’Istruzione Salvatore Giuliano e Lorenzo Fioramonti. In serata è intervenuto anche il vicepremier Luigi Di Maio. “Se un ministro dice una fesseria sulla scuola, chiede scusa. Punto. Caro Marco, siamo noi al governo che evidentemente dobbiamo impegnarci sempre di più”. Pure perché ormai la lezione è chiara: i governi si reggono, e finiscono, anche sulla scuola.