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Numeri dei parlamentari: il Pd ha deciso di scomparire

È stata votata in questi giorni al Senato la proposta di modifica costituzionale per ridurre il numero complessivo dei parlamentari riducendoli dai più di 900 attuali a circa 600. Mi sarei aspettato che il gruppo del Pd, in coerenza con la sua proposta di riforma poi bocciata dal referendum, aderisse votando a favore, come hanno fatto peraltro e in modo furbo Forza Italia e Fratelli d’Italia (per non lasciare a Lega e 5 Stelle un ulteriore argomento di propaganda). Invece quelli del Pd si sono aggrappati ad argomenti pretestuosi e incongrui dimostrando ancora una volta che l’obiettivo della loro proposta costituzionale del 2016 non era la riduzione dei parlamentari ma fare del Senato una cassa di compensazione dei trombati o impresentabili a livello regionale che avrebbero avuto in quella ipotesi di Senato la possibilità di essere coperti dall’immunità e sarebbero stati eletti non dai cittadini ma direttamente dai capi partito.

Ognuno è libero di suicidarsi come crede, ma se quelli del Pd pensano di recuperare credito e voti in questo modo… ciao core.

Leonardo Gentile

 

Caro Delrio, l’alta velocità per i treni merci non serve

L’ex competente ministro Delrio il 6 febbraio, durante la trasmissione Otto e mezzo su La7 si cimenta nella strenua difesa del Tav, che sarebbe ora che tutti iniziassero a chiamare Tac (treno alta capacità). A difesa dell’opera dice che l’interscambio con la Francia è in aumento e “che le merci ci sono ma viaggiano in maniera sbagliata” (sui Tir). Peccato che, parlando di merci, dovrebbe dire a sostegno della sua tesi quante sono le tonnellate in più, invece il competente parla di 86 miliardi e 46 miliardi di export. Quindi tenga presente l’ex ministro che se fossero diamanti o lingotti d’oro basterebbero un furgone o al massimo un paio di Tir.

Inoltre Delrio dovrebbe guardare qualche filmato dove treni molto lunghi attraversano diversi stati Americani superando alte montagne (lo stesso accade in Canada, per non parlare dell’Alaska o della Cina) e si accorgerebbe che i suddetti treni trasportano migliaia di tonnellate di merci ma molto lentamente, perché, come la sciagura di Viareggio dovrebbe insegnare, sui treni merci viaggiano merci pericolose.

Come i saggi detti suggeriscono “chi va piano va sano e va lontano”: l’alta velocità per i treni merci non serve.

Ivan Garini

 

Classi pollaio, l’autogol di Mariastella Gelmini

Le classi pollaio hanno dieci anni! Sono riuscite a condizionare pesantemente lo sviluppo di molti alunni e studenti. Per esperienza sono penalizzati i migliori e gli studenti con più difficoltà. Le classi pollaio sono un’invenzione del duo Gelmini/Tremonti (2008-09). Il loro obiettivo è stato quello di alzare il numero degli alunni/studenti per classe per contenere i costi. Recentemente Mariastella Gelmini è riuscita in un capolavoro, esaltando gli aspetti qualificanti di una classe, proprio quelli che lei con Tremonti hanno compromesso con le classi pollaio. In quest’ultimo periodo l’on. Gelmini è impegnata nella “crociata” contro i telefonini a scuola. L’altro giorno ha dichiarato che il divieto degli smartphone favorisce la dimensione “relazionale della scuola, come laboratorio d’incontro, confronto e condivisione fra i ragazzi, come persone fisiche che vivono nella vita reale, e non solo in quella virtuale…”. Peccato che questa dimensione sia ridotta al lumicino nelle classi pollaio! Il massimo della contraddizione, però, l’on. Gelmini lo raggiunge quando presenta gli smartphone come strumenti che favoriscono il profilo di una classe, come semplice contenitore di persone. Ha dichiarato infatti: “In poche parole, la vita in classe deve essere un’esperienza materiale, umana, non una mera compresenza fisica”. Maria Stella Gelmini ha fatto centro! Nell’ultima parte della dichiarazione ha dato la migliore definizione della sua “creatura”.

Gianfranco Scialpi

 

I soldi non rendono felici: il Papa lo dica a chi non ce la fa

Il Pontefice ha richiamato i cristiani a tenere conto della parola di Dio. “Questi soldi scompaiono, sono niente. Chi costruisce su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la parola di Dio è fondamento di tutta la realtà”. Secondo me, è vera una parte. Successo e apparenza sono troppo poco per fondare una vita felice. I valori non sono ideali toccata e fuga. Però, chi non arriva a fine mese fatica a far sue le parole ricordate dal Papa. Chi non ha di che sfamarsi, le ha già sepolte. La vita è una dura prova.

Si può parlare all’infinito, quando si ha fame e i soldi scarseggiano, quando si devono pagare scadenze e i soldi non ci sono, ogni bella e anche vera parola contro i soldi sfuma fino a non essere né più bella né più vera.

Fabio Sicari

 

I NOSTRI ERRORI

Per una confusione forse già senile, e pur abitando a poche centinaia di metri di distanza, nel mio articolo di ieri ho scritto che il Museo Egizio di Torino si trova in via Accademia Albertina e non al suo abituale indirizzo di via Accademia delle Scienze. Me ne scuso con i lettori (e anche con la presidente e con i visitatori del museo).

e.bof.

La faccia nera è razzista? Allora pure le orecchie di Dumbo

Il “New York Times” arriva ad accusare di razzismo una scena del celebre film Mary Poppins. Non il remake uscito di recente, ma la pellicola originale della Disney. Ora, va bene tutto, ma come si fa ad accusare di razzismo un capolavoro del cinema che ha fatto sognare grandi e piccini!

Gabriele Salini

 

Caro Gabriele, il “New York Times” per penna dell’accademico ed editorialista Daniel Pollack-Pelzner ha ragione: Mary Poppins è un film razzista. Sporcarsi il volto di carbone, lungi dall’essere un innocuo espediente comico made in the UK, è invero “blackface minstrelsy” statunitense, intenzionale caricatura razzista: già contenuta nel libro di P.L. Travers, l’infelice immagine viene alla ribalta nel film del 1964 con la tata Julie Andrews e non scompare nel recente sequel Mary Poppins Returns.

Non è supercazzola politically correct, quella del puntuto Dan, bensì mera e necessaria constatazione: non si scherza con la fuliggine, né si dileggiano “gli ottentotti”. Ora non resta che chiedere al “New York Times” di sanzionare – e auspicabilmente rettificare – gli altri abomini culturali di cui siamo circondati, magari partendo da Adamo ed Eva: prendendo del frutto proibito con le nefaste conseguenze che sappiamo, non gettano forse cattiva luce sui fruttariani? E l’improvvido Mosè che, aprendo le acque senza chiedere preventivo consenso a pesci e dugonghi, causa danni irreversibili all’ecosistema del Mar Rosso? Gilgamesh ed Enkidu, che cementano la propria amicizia nel maschilismo tossico dello scontro fisico?

Vogliamo forse dimenticare Abramo, che infine preferisce immolare un ariete anziché il figlio, macchiandosi del più bieco specismo? E con lo spreco idrico del Dio di Noè, come la mettiamo? Sciagurati noi, perché solo all’apparenza Pollack-Pelzner si volge al passato: in realtà, ha scritto quel pezzo perché – confessione via Twitter – un dirigente della Disney potesse ripensare al “Dumbo” di prossima uscita, espungendo gli elementi razzisti del caso. Che poi quegli elefantiaci padiglioni auricolari non sono di per sé un insulto a tutti i portatori umani di orecchie a sventola?

Federico Pontiggia

I centri per l’impiego

 

Ferrara.  34 mila richieste arrivate nel 2018

Under 30 in coda fin dal mattino Il mercato è fermo per la crisi del settore manifatturiero

Ci sono molti giovani, facce per lo più di persone under 30, nella coda che si è formata fino alle scale. Uno di loro, mescolato nella fila, ha al guinzaglio il suo cane che mansueto aspetta, come il suo padrone, di vedere che cosa mai riserverà di nuovo la giornata. Tanti invece, forse troppi vista l’età che dimostrano, sono le persone in coda che hanno superato da qualche anno gli ‘anta’. Lunedì mattina, via Fossato di Mortara 78: al Centro per l’impiego di Ferrara la coda di persone in cerca di un nuovo futuro occupazionale è già importante. “Qui non troviamo posti di lavoro ma offriamo solo nuove opportunità”, precisa con enfasi chi guida l’ufficio, la dirigente regionale Barbara Celati.

E le opportunità per un nuovo impiego, in questi ultimi anni, l’ufficio le ha dovute insegnare soprattutto a donne che sono state falciate dalla crisi del manifatturiero contoterzista nel settore del tessile e a uomini che escono dal periodo più buio che l’edilizia abbia mai conosciuto.

Più di 34.500 persone nel 2018 si sono rivolte al centro per l’impiego della città estense per avere almeno un primo colloquio con gli operatori dell’ufficio. Solo la metà, più precisamente 17.600, ha però ritenuto di seguire la strada suggerita dallo stesso sportello per il lavoro, decidendo di siglare un patto. Al centro per l’impiego infatti fra l’operatore allo sportello, che qui chiamano ‘orientatore’, e il disoccupato si firma una sorta d’impegno per intraprendere un nuovo percorso, anche formativo, finalizzato a trovare nuove opportunità occupazionali. “Da tanti anni facciamo quello che oggi prevede il provvedimento sul reddito di cittadinanza senza però aver distribuito mai denaro”, aggiunge ancora la responsabile che teme, dal 6 di marzo, un carico senza precedenti di accessi. La dirigente Celati poi chiude: “Ogni operatore segue in media 360 persone l’anno. Dal 6 marzo non so cosa succederà”.

Sandro Broi

 

Terni – In attesa di 18 assunzioni

A fronteggiare 70 mila domande ci sono 228 dipendenti “Il quadro è ancora incerto”

In Umbria sono 70 mila i potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza, compresi 22 mila nuclei familiari. Del totale, circa 50 mila ricadranno in carico a Perugia e 20 mila su Terni. E considerando che negli ultimi dodici mesi nei centri per l’impiego regionali sono stati registrati circa 22 mila disoccupati, ecco che i numeri potrebbero aumentare in maniera sostanziale.

Tutti utenti che i cinque Cpi umbri (Perugia, Terni, Foligno, Città di Castello e Orvieto, con in più 15 sportelli territoriali) dovranno seguire dopo la presentazione delle domande per il reddito (da inviare invece a Caf, Poste o al sito dedicato), con il rischio di ingolfarsi. Cifre che la Regione fronteggerà tramite i dipendenti dell’Arpal, l’Agenzia regionale per le politiche attive del Lavoro, che in questi mesi sarà anche rafforzata.

L’ente conta 228 dipendenti, ai quali si aggiungeranno 18 unità. In più, la legge di Bilancio dovrebbe prevedere l’inserimento di ulteriori 60 lavoratori, esclusi i navigator, tema che continua a far discutere governo e Regioni.

“La gestione di questa utenza – spiega Fabio Paparelli, assessore regionale alle Politiche attive del lavoro – pone il problema della tempistica. Anche perché la formazione professionale dei navigator potrebbe durare circa otto mesi. Il loro inserimento, dunque, dovrà tener conto della funzione regionale di governo della rete dei soggetti che operano sul mercato del lavoro, per evitare duplicazioni o forme di concorrenza interistituzionale. La Regione è impegnata per la promozione di misure di attivazione al lavoro: non siamo disposti ad assecondare misure assistenziali e temiamo che per continuare a percepire il reddito di cittadinanza alcuni disoccupati rifiutino di partecipare alle nostre misure di attivazione”.

Davide Fosteri

 

Matera – Tutto fermo per le Regionali

Disoccupazione alta, offerte di lavoro scarse e un sistema ancora bloccato dalla burocrazia

Centro per l’impiego di via Cappelluti, Matera. Sono le 11 di mattina, eppure c’è un’aria di desolazione. Uno degli operatori del centro per l’impiego spiega che gli uffici si sono trasferiti nel nuovo stabile da pochi mesi e che le cose sono cambiate da quando l’ente è passato dalla gestione provinciale a quella regionale. In passato, il Centro per l’impiego era anche un luogo di formazione professionale, ora si fa solo la parte burocratica, soprattutto con le elezioni regionali alle porte. Un ingresso non proprio invitante quello riservato al centro per l’impiego di Matera all’interno del palazzo della Regione. Un signore sulla cinquantina borbotta in dialetto: “Di Maio mi sta facendo sbattere da un ufficio a un altro per consegnare le carte”. Annunci in bacheca: molto scarsi. Cercasi barista massimo 35 anni; operaio metalmeccanico; un vecchio annuncio di Garanzia giovani. In Basilicata, il tasso di disoccupazione è al 12,9%. Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 38,1% nel 2018. Eppure, nel giro di un’ora arrivano solo una decina di persone, tutti ragazzi dai 20 ai quarant’anni, entrano con poca attesa in una delle quattro stanze adibite a sportelli. Uno di loro dice che è lì per informarsi sul reddito di cittadinanza, un’altra parla di sussidio di disoccupazione, altri aspettano, in silenzio. Gli operatori sono tutti concordi nel dichiarare che le cose sono cambiate, che stanno lavorando tanto, che l’afflusso è aumentato con la legge di Bilancio e i centri per l’impiego non saranno più quelli di una volta. “Quindi ora qualcuno trova lavoro?”. Nessuna risposta. Non sono molto propensi a rispondere. “Come funziona il reclutamento dei navigator? Avete già cominciato le selezioni? Come verranno fatte le assunzioni?”. Poche risposte, vaghe e anche un po’ spaventate: “Non lo so, ancora non lo so come funziona”.

Isabella Corrado

Bankitalia, lite in Cdm M5S blocca il rinnovo di Luigi Signorini

Dopo Cassa depositi e Prestiti e Consob, si profila all’interno del governo gialloverde un nuovo braccio di ferro per il rinnovo del vice direttore della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, il cui incarico scade lunedì prossimo 11 febbraio. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sarebbe per la riconferma ma il Movimento 5 Stelle si dice contrario e punta alla “discontinuita’”, come ha detto il vicepremier Luigi Di Maio. Il rinnovo era stato proposto dal consiglio superiore dell’istituto lo scorso 16 gennaio. Ma spetta al premier Giuseppe Conte, di concerto con il titolare del Mef e sentito il Cdm, trasferire la proposta al presidente della Repubblica, che con un decreto formalizza la nomina. E nel Cdm notturno di giovedì la proposta di rinnovare Signorini ha visto salire in trincea il M5S, che vuole andare a fondo nell’opera di spoils system dei tecnici. E, non a caso, ieri Di Maio ha annunciato la rotazione di 10 direttori generali del suo ministero, quello dello Sviluppo economico, spiegando che i restanti 5 ruoteranno entro marzo. “Per alcune direzioni questo non avveniva da 17 anni, finalmente arriverà un po’ d’aria fresca”, ha commentato il vicepremier.

Dai siti al controllo: il nodo della privacy

Rimandare a decreti attuativi definizione e modalità di monitoraggio e verifica della fruizione del reddito di cittadinanza: è uno dei maggiori nodi pratici da sciogliere sulla misura e ieri il Garante della privacy italiano, Antonello Soro, ha depositato le proprie osservazioni sui rischi e le violazioni. Quali dati. Per capire perché ci sia bisogno di tutelare i dati, basta guardare alla mole di informazioni che transiteranno da una amministrazione all’altra. Per sapere se si ha diritto al reddito, infatti, ogni cittadino che presenterà domanda sarà ‘verificato’. A fare da snodo saranno due piattaforme digitali, una di Anpal e una del ministero del Lavoro, su cui confluiranno le informazioni provenienti dalle banche dati di diverse amministrazioni pubbliche. Dall’Inps, ad esempio, che a sua volta acquisisce quelle che gli servono dall’Anagrafe tributaria, dal Pubblico registro automobilistico e dalle altre amministrazioni. Poi dai Comuni, almeno fino a quando non ci sarà l’Anagrafe nazionale, che dovranno verificare i requisiti di residenza e anche le movimentazioni sulla carta del reddito. Ma non solo. Si legge nel decreto che “i centri per l’impiego e i Comuni segnalano alle piattaforme dedicate l’elenco dei beneficiari per cui sia stata osservata una qualsiasi anomalia nei consumi e nei comportamenti dai quali si possa dedurre una eventuale non veridicità dei requisiti economici, reddituali e patrimoniali dichiarati e la non eleggibilità al beneficio”. Elenco che viene poi comunicato all’Agenzia delle entrate e alla Guardia di finanza. Così come è scritta la disposizione, osserva il garante, “attribuisce agli operatori dei centri per l’impiego e dei servizi comunali (e ai Caf, ndr) il monitoraggio dei consumi e dei comportamenti dei beneficiari”, attività che “presuppongono un massivo flusso di informazioni tra quelle assistite dalla maggiore tutela, ivi incluse quelle presenti nell’archivio dei rapporti finanziari, tra diversi soggetti pubblici”.

Inoltre, il passaggio di questi dati, la loro consultazione e finanche il mettere in comunicazione le banche dati pubbliche devono, dal 2018, sottostare alle regole del Gdpr, il regolamento europeo per la protezione dei dati personali che, oltretutto, prevede la consultazione del garante nei casi in cui sia coinvolto l’uso, ancor più se massivo, dei dati personali. Non rispettarlo potrebbe generare ricorsi, sanzioni e blocchi. Anche a livello europeo.

I decreti attuativi dovrebbero quindi risolvere diversi punti deboli: garantire che la comunicazione tra i database sia sicura, che non ci sia accesso indiscriminato alle informazioni sensibili, che l’accesso sia limitato ai dati necessari esclusivamente per il reddito di cittadinanza, che le banche dati siano protette da attacchi alla sicurezza e, inoltre, che le regole sulla privacy e l’uso dei dati dei cittadini siano chiare e facilmente consultabili. “In particolare – scrive il garante – dovranno essere puntualmente definiti i presupposti per l’avviamento delle attività di monitoraggio e individuati le tipologie di controllo, i criteri per la classificazione dei comportamenti anomali, nonché i soggetti legittimati allo svolgimento di tali attività, le garanzie per gli interessati e i tempi di conservazione dei dati”.

Finlandia, il “reddito di base” aiuta la salute, ma non il lavoro

Il reddito di base, pagato dallo Stato senza condizioni, migliora la salute e l’umore ma non aiuta a trovare lavoro (e neppure penalizza, però). È la conclusione a cui arriva l’agenzia Kela che gestisce il welfare della Finlandia dopo un esperimento durato due anni (2017-2018) e che ha coinvolto 2.000 beneficiari i cui comportamenti sono stati confrontati con quelli di un “gruppo di controllo” di 173.000 persone che hanno continuato a ricevere i normali ammortizzatori sociali. Il governo finlandese dell’ex premier Juha Sipilä aveva un obiettivo chiaro con questo esperimento: valutare se un reddito di base, pagato senza pretendere in cambio gli impegni alla formazione o ad accettare offerte di lavoro previste dal reddito di cittadinanza italiano, fosse più efficace nel permettere ai beneficiari di trovare un lavoro rispetto ai normali sussidi di disoccupazione.

I 2.000 beneficiari hanno quindi ricevuto 560 euro al mese per due anni a prescindere che fossero disoccupati o trovassero un lavoro, che lo cercassero o che rimanessero a casa. I normali sostegni pubblici si riducono se chi li riceve riesce ad aumentare i propri redditi da lavoro e spesso prevedono obblighi o hanno requisiti che finiscono per condizionare l’atteggiamento del beneficiario verso il lavoro (chi prende la cassa integrazione in Italia, per esempio, non può lavorare nel frattempo). L’ipotesi da verificare in Finlandia era la seguente: un reddito di base rende i lavoratori più inclini a lavorare, anche con orari e salari ridotti, o a mettersi in proprio e rischiare perché si può contare su un minimo garantito? O, viceversa, disincentiva il lavoro perché è meglio prendere poco senza far nulla piuttosto che faticare per salari bassi?

Lo scopo dell’esperimento è capire se conviene riformare il sistema di welfare finlandese e sostituire alcuni degli attuali sostegni con un reddito di base (mentre in Italia, finora, il reddito di cittadinanza è stato introdotto in aggiunta ai sussidi esistenti, con l’eccezione del Rei che viene inglobato). I risultati sono sorprendenti e inequivocabili, anche se si tratta di uno studio preliminare che dovrà essere approfondito. In un anno i beneficiari del reddito di base lavorano meno di mezza giornata in più degli altri (le persone nel gruppo di controllo che continuano a ricevere i normali ammortizzatori sociali): 49,64 giorni lavorati nel 2017 contro 49,25. E se sono liberi professionisti, guadagnano in media 21 euro annui in meno: 4.230 contro 4.251. “L’esperimento non ha effetti sulle condizioni lavorative nel primo anno”, scrivono Kari Hamalainen, Ohto Kanninen, Miska Simanainen, Jouko Verho nel report.

Ci sono dei benefici osservabili, però. Chi riceve il reddito di base è molto meno stressato di chi è nel sistema tradizionale: si dichiara i buona o eccellente salute nel 55,4 per cento dei casi contro il 46,2, ha una capacità di concentrarsi buona o eccellente nel 56,7 per cento dei casi contro il 55,7, dice di “vivere in modo confortevole” nell’11,9 per cento delle risposte, chi non prende il reddito di base si ferma al 7,4.

Emerge anche un effetto collaterale: nell’esperimento chi riceve il reddito di base ha comunque diritto agli ammortizzatori sociali di entità superiore, ma è meno propenso a chiederli, ma questo forse si spiega con una riforma della burocrazia del settore entrata in vigore proprio mentre partiva l’esperimento.

La Finlandia ha un tasso di disoccupazione del 7,6 per cento, l’Italia del 9,7, le due economie sono molto diverse. Ma due lezioni sembrano chiare dall’esperimento. Primo: non è affatto detto che garantire un livello minimo di reddito cambi l’approccio al mercato del lavoro. Secondo, e più importante: quando si vuole fare una riforma complessa, è bene aver chiari gli obiettivi in modo da poter stabilire se l’intervento produce i risultati sperati o meno.

Industria, crolla la produzione in Italia, Spagna e Germania

Dopo il calo del 2,6% registrato a novembre, nel dicembre 2018 la produzione industriale italiana è crollata del 5,5% su base annua e dello 0,8% rispetto a novembre. L’Istat parla di “variazione ampiamente negativa sia su base congiunturale sia in termini annui”. Il dato annuale rappresenta la diminuzione tendenziale più accentuata dal dicembre del 2012. “La marcata flessione – spiega l’Istat – è dovuta alle possibili serie difficoltà di tenuta dei livelli di attività economica“. Ma tira una brutta aria di recessione anche in Germania, dove l’industria continua a frenare più del previsto per il quarto mese consecutivo: a dicembre, la produzione è diminuita dello 0,4% rispetto a dicembre, mentre gli analisti si aspettavano un +0,7%. Bruschi segnali di rallentamento giungono anche dalla Spagna, dove si registra su anno un calo del 6,2% rispetto al -3,2% rivisto di novembre. A guardare positivo è, invece, la Francia: a dicembre la produzione industriale è cresciuta dello 0,8% rispetto al mese precedente, quando aveva registrato un calo rivisto dell’1,5%. Il dato è migliore rispetto alle attese, che erano di un +0,6%. Su base annua la produzione registra invece un calo dell’1,4%, in linea con le stime.

Non bastano le accise a giustificare i costi del Tav

L’ultimo argomento dei sostenitori del Tav Torino Lione è il seguente: gli esperti della commissione al ministero dei Trasporti stanno truccando i conti perché contano tra i costi il mancato gettito fiscale per lo Stato che deriverà dal passaggio di alcune merci tra Italia e Francia su rotaia invece che su camion. Meno tir significa meno benzina venduta, meno pedaggi autostradali, meno tasse sugli utili dei concessionari e minori introiti per il fisco. Secondo quanto sostenuto da Repubblica, la commissione guidata da Marco Ponti considera soltanto la perdita dovuta alle minori accise ma non i benefici ambientali (cala l’inquinamento) e questo sarebbe uno dei fattori decisivi che portano al risultato negativo dell’analisi costi-benefici che boccerebbe l’opera per uno sbilancio di quasi 7 miliardi.

Poiché il ministero dei Trasporti continua a non divulgare l’analisi, pronta da settimane, si sta diffondendo una grande confusione intorno al suo contenuto. Col risultato che i lettori dei giornali e ancor più gli elettori vengono tempestati di numeri spesso poco coerenti tra loro. Sul punto specifico delle accise, però, qualcosa si può già dire anche in attesa del tanto sospirato documento. L’economista Marco Ponti ha già replicato alle contestazioni sul punto, prima in un articolo su lavoce.info firmato con gli altri membri della commissione, poi con una risposta all’intervento dell’economista Andrea Boitani su Affari e Finanza di Repubblica, dove si toccava lo stesso punto. Nella lettera ad Affari e Finanza, Ponti scrive: “Nella nostra valutazione, in linea con quanto previsto dalla letteratura di settore, si è stimato il cosiddetto surplus del produttore anche per il soggetto Stato. Nel surplus del produttore si confrontano le entrate (le tariffe) e i costi del modo di destinazione (nel nostro caso la ferrovia) con il progetto e senza progetto per il produttore dei servizi, ma anche le entrate fiscali (accise e Iva) e gli eventuali sussidi per lo Stato con e senza il progetto. Se la tassazione è diversa nei due modi (più alta per la strada e più bassa per la ferrovia) la diversione modale comporta una variazione delle entrate fiscali, che deve essere considerata”.

L’argomento è così condiviso nel settore che anche l’analisi costi-benefici dell’Osservatorio Tav di Palazzo Chigi guidato da Paolo Foietta (favorevole all’opera) la applicava già nel 2011. E in quel caso le previsioni erano ancora più negative di quelle che pare abbiano utilizzato Ponti e i suoi colleghi oggi. Secondo l’analisi dell’Osservatorio del 2011, con il Tav Torino Lione il gettito fiscale complessivo sarebbe calato di ben 7 miliardi di euro e i concessionari autostradali avrebbero perso 9,5 miliardi di introiti (considerando l’intera vita utile del progetto). Come si arrivava a numeri così iperbolici? Le stime del 2011 erano basate su previsioni di traffico che si sono rivelate completamente sballate. Si stimava che da 28,5 milioni di tonnellate di merci scambiate tra Italia e Francia su quella tratta nel 2004 si sarebbe passati a 52,7 nel 2030 fino ad arrivare a 97,3 nel 2053. Nel 2017, invece, l’interscambio era addirittura più basso che nel 2004, soltanto 23,3 milioni.

Gli errori di valutazione di quell’analisi del 2011 contribuiscono a spiegare perché l’opera risultava conveniente anche partendo da una stima di costo di 20 miliardi (mentre oggi, al ministero dei Trasporti, valutano un progetto ridotto a 12 miliardi).

Lo Stato perde accise, dicono i sostenitori dell’alta velocità Torino-Lione, ma ci guadagna in qualità dell’aria, perché i treni inquinano meno dei camion. L’analisi costi-benefici di Ponti e colleghi ovviamente ne tiene conto (nonostante quello che dicono i detrattori) e applica la valutazione standard usata nell’Unione europea. Ogni tonnellata di anidride carbonica in più immessa nell’atmosfera genera un effetto negativo pari a 90 euro mentre genera contributi positivi per 400 euro. Nei 90 euro sono compresi i danni ambientali e alla salute, nei 400 i benefici che derivano dalla tassazione (che serve a pagare beni e servizi di cui poi i cittadini usufruiscono). Quando il traffico autostradale è così tassato come in Italia, spostarlo su rotaia genera piccoli benefici ambientali ma pesanti costi complessivi.

Nel 2014 l’analisi costi-benefici del Tav Torino Lione fatta dal professore Rémy Proud’Homme dell’Università Parigi Est aiuta a capire l’ordine di grandezza della questione: nell’arco di 50 anni l’Alta velocità porterebbe a un beneficio di soli 228 milioni di euro per l’anidride carbonica che non verrebbe immessa nell’atmosfera mentre gli Stati coinvolti perderebbero 6,5 miliardi di tasse. Nel complesso, quell’analisi che stimava un costo reale del progetto di 29,5 miliardi, arrivava a concludere che il saldo attualizzato dell’opera era negativo per un valore addirittura superiore a quello dell’intero investimento: 32,5 miliardi. Un disastro completo.

Laura Castelli dai pm a Torino, i carabinieri allontanano i cronisti

Il viceministro Laura Castelli è stata ascoltata ieri in Procura Torino come testimone nell’inchiesta che riguarda la presunta estorsione messa in atto dall’ex portavoce della sindaca Luca Pasquaretta ai danni della Appendino. L’audizione si è svolta alla settimo piano nell’ufficio dell’ex procuratore capo Armando Spataro. Al termine i giornalisti sono stati allontanati e fatti uscire dal Palazzo di giustizia dai carabinieri. Secondo le prime ricostruzioni investigative, dopo la fine del suo incarico di portavoce, Pasquaretta avrebbe esercitato pressioni sulla sindaca per ottenere un nuovo lavoro. A settembre ottenne una collaborazione con Laura Castelli, che ha troncato il rapporto la scorsa settimana non appena si sono sparse le prime notizie sull’esistenza dell’inchiesta. L’audizione del viceministro è durata 2 ore. Luca Pasquaretta, giornalista 42enne, è indagato per peculato, turbativa d’asta e – ciò che conta di più – traffico di influenze illecite ed estorsione ai danni della sindaca. “Se parlo io, crolla tutto”, andava ripetendo nelle settimane dopo la fine del suo rapporto di lavoro.

Ponte, Autostrade in guerra contro la perizia in tedesco

“Di questo passo il processo finirà tra anni”, senti sospirare nel- l’aula del Tribunale di Genova. Mentre ieri il ponte Morandi perdeva il suo primo pezzo alla presenza di Giuseppe Conte, a Palazzo di Giustizia l’incidente probatorio segnava una battuta d’arresto. Cosa succede? Dopo ben due mesi da quando gli studiosi di Zurigo hanno presentato lo studio commissionato dai periti del gip, ieri finalmente è arrivata la traduzione in italiano: 172 pagine, il cardine del processo. Ma subito l’avvocato di uno dei manager di Autostrade ha sollevato un’eccezione: alla traduzione, ha sostenuto, dovevano partecipare interpreti scelti dalle parti. In aula c’è stato un attimo di silenzio. Si rischiano di perdere mesi, soltanto per tradurre un documento. E dopo ore di camera di consiglio, il gip accoglie, anche per evitare che l’eccezione venga magari tirata fuori al dibattimento. Ci si rivedrà il 15 febbraio. Il risultato lo ricostruisce uno degli avvocati di Autostrade: “Ogni parte ha diritto a individuare i suoi periti tecnici. E adesso anche gli interpreti”. Provate a immaginare la scena: 21 indagati, più le eventuali parti civili, ognuno con i relativi avvocati, più i periti (spesso una nutrita squadra) e infine gli interpreti. Si rischia di andare alle calende greche solo per questo documento (se dovrà essere tradotto di nuovo si rischia di perdere mesi). Una mossa per tirare il processo per le lunghe? “Macché – assicura uno dei legali degli indagati di Autostrade che chiede di non essere citato – quello studio è la base del processo. Dobbiamo essere tutti d’accordo su ogni parola”.

Ma il senso del documento – anticipato dal Fatto il 14 dicembre – sembra trasparire già dalla prima traduzione depositata ieri. Molti passaggi puntano il dito sui trefoli (i fili che compongono i grandi cavi d’acciaio). A pagina 23 si legge: “Tutti i trefoli e i fili mostrano segni di corrosione di diverso grado. Alcuni trefoli mostrano una perdita totale della sezione trasversale dovuta a corrosione nella zona terminale. Ciò indica un processo di degrado in atto da molto tempo”. Trefoli corrosi, come testimoniano decine di fotografie. I tecnici svizzeri li hanno sottoposti a test di resistenza: “Numerosi frammenti indicano una certa fragilità dei singoli fili… Inoltre, i frammenti potrebbero anche essersi separati dal resto del filo a causa della perdita totale della sezione dovuta alla corrosione”. Ancora: “Il comportamento di fragilità dei fili è stato controllato a campione, con una prova di flessione di un filo del reperto corroso eseguita, in modo rudimentale, a mano… Il campione si è rotto improvvisamente e senza preavviso (indicando che era fragile) nell’area di un punto di corrosione a conca. La rottura è stata accompagnata da un nitido rumore di spaccatura. Le superfici di frattura mostrano un aspetto estremamente fragile al microscopio ottico”.

Ancora: “Le superfici di frattura di alcuni fili presentano una corrosione secondaria assai elevata e le strutture della frattura sono pertanto completamente irriconoscibili… La sezione trasversale del filo” in alcuni casi “è ridotta nell’area delle superfici di frattura fino al 25%”.

Ma c’è una questione inedita cui gli studiosi di Zurigo paiono dedicare molta importanza: le infiltrazioni di idrogeno. Cioè l’acqua che negli anni avrebbe corroso i cavi: “Il contenuto totale di idrogeno di tutti i fili esaminati è significativamente superiore alla soglia critica. Il contenuto misurato indica un maggior rischio per l’acciaio da precompressione di infragilimento da idrogeno e corrosione sotto sforzo indotta dall’idrogeno”. E parliamo di un ponte in posizione critica: vicino al mare, esposto all’acqua e al salino (anche su questo si punta l’attenzione degli svizzeri).

Insomma, si è visto ieri: la battaglia legale sarà lunga. Ci si rivedrà il 15 febbraio e poi l’8 aprile. Anche per verificare se le tappe fissate per sopralluoghi e demolizione potranno essere rispettate: a fine mese verranno montate le torri ausiliarie per i sopralluoghi nella parte est del ponte – dove è avvenuto il crollo – poi il 15 aprile dovrà essere demolito il pilone 11 e il 28 maggio il 10. A quel punto, tolte le macerie – migliaia di tonnellate – sarà campo libero per la costruzione del nuovo ponte. Ieri intanto i lavori di demolizione hanno dato il primo risultato visibile: è stato rimosso – un’impresa ancora in corso questa notte – un troncone di 36 metri e 800 tonnellate. Calato a terra a cinque metri l’ora.

Primo passo ed ennesima sfilata di autorità: Conte, il ministro Danilo Toninelli, il viceministro Edoardo Rixi, il governatore Giovanni Toti e il sindaco-commissario Marco Bucci. Anche se le promesse sono diventate con i mesi più misurate: “Ho parlato con le aziende – ha detto Conte – mi hanno assicurato che entro l’anno il ponte sarà in piedi… poi dovremo aspettare qualche altro mese”, perché sia percorribile. Toninelli azzarda di più, parla di inizio 2020: “Questo ponte non lo sta pagando lo Stato. Circa 200 milioni sono già stati dati agli sfollati, nelle prossime ore arriverà un altro bonifico da parte di chi doveva gestire questa infrastruttura e non l’ha fatto. Su quei pistoni idraulici non viene giù solo un pezzo del ponte, ma anche un sistema di gestione dei beni pubblici che ha messo gli interessi di pochi davanti alla sicurezza di tutti. Ora meno opere inutili e più manutenzione”.