Nel mercato del lavoro abbiamo ormai visto di tutto: morti, sfruttamento di ogni tipo, salari da fame, precariato, licenziamenti via chat o al telefono, fabbriche spostate solo per guadagnare un po’ di più, etc etc. La storia che segue è un piccolo riassunto di dov’è finito il fondamento della Repubblica e lo è perché è lo Stato che si mette a ricattare i lavoratori e lo fa dando forza di legge a una clausola che, in genere, nei contratti è considerata nulla. Il fatto che, nella fattispecie, lo Stato sia il ministero della Giustizia e i ricattati i circa cinquemila magistrati onorari che per suo conto amministrano la legge fa fare alla vicenda un salto quantico. Che questo avvenga dopo sentenze italiane ed europee che avevano dato torto al ministero, la ciliegina sulla torta.
Per capire bisogna fare un breve riassunto. Creati per occuparsi occasionalmente di reati bagatellari, dal 1998 sono un pezzo assai rilevante del sistema giustizia: i viceprocuratori onorari (1.700) e i giudici onorari (2.013) – a cui vanno aggiunti quelli di pace (1.154) – sgravano assai il lavoro dei circa 9.500 magistrati togati anche su cause di un certo peso. Un calcolo del 2016 pubblicato su Rivista Giuridica, ad esempio, attribuiva ai giudici onorari e a quelli di pace la definizione del 40% del contenzioso civile. Ecco, queste migliaia di lavoratori specializzati hanno contribuito ad amministrare giustizia a 93 euro lordi a udienza, vale a dire pagati a cottimo, senza mai vedersi riconosciute ferie, malattia, maternità, contributi, eccetera: sono lavoratori autonomi e occasionali, “onorari”, era la tesi bizzarra del ministero.
La cosa è ovviamente finita dove doveva: in tribunale. Le sentenze in Italia sono state alterne, a volte timide, in qualche caso dirompenti: il riconoscimento che si tratta di lavoro subordinato, il riconoscimento dei danni parametrati sullo stipendio di un togato di prima nomina etc. Poi è arrivata pure la Corte di Giustizia Ue, che a luglio 2020 ha sancito l’ovvio: chiamateli pure onorari, ma quelli sono lavoratori, alcuni in servizio da vent’anni e dunque hanno diritto ad alcune tutele minime.
Nel frattempo, alluvionata di ricorsi, nel 2015 anche la Commissione Ue aveva aperto un’inchiesta sulla questione: per farla breve, nonostante una “riforma” firmata da Andrea Orlando nel 2017 per aggirare il contenzioso e rispondere a Bruxelles, il 15 luglio 2021 è giunta a Roma pure la lettera di messa in mora della Commissione che rade al suolo la riforma Orlando (mai entrata in vigore peraltro) e impone al governo italiano di mettersi subito in regola.
E qui veniamo ai giorni nostri. Per evitare la procedura di infrazione, il ministero della Giustizia guidato da Marta Cartabia ha escogitato una soluzione da vecchio padrone delle ferriere, inserita in un articolato emendamento alla manovra che Il Fatto ha potuto leggere e sarà presentato a breve per essere approvato a passo di carica col resto del ddl Bilancio. Senza entrare troppo nei dettagli, ai magistrati onorari in servizio si propone – previo colloquio/procedura valutativa – una finta assunzione (mancano, a leggere bene, cosette tipo il Tfr) con stipendi parametrati su quelli del personale amministrativo (20-30mila euro lordi, dipende da alcuni fattori) per continuare a fare quel che fanno ora (non gli amministrativi) diventando dipendenti dello Stato di serie B.
Per accedere a questa cuccagna però, il sciur padrun del ministero scrive in una legge che quei lavoratori dovranno rinunciare a rivendicare alcunché per il pregresso, persino se già hanno sentenze a favore. Chi non dovesse accettare questo ricatto è oggetto di un ricatto di secondo grado: per il regime illegittimo precedente, Cartabia e soci riconoscono al massimo un’indennità da 2.500 euro lordi per anno di sfruttamento fino a un massimo di 50 mila euro (sempre lordi). Ovviamente, “la percezione dell’indennità comporta rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura”.
Né più né meno che uno dei tanti padroncini quando finalmente si decidono a mettere in regola i lavoratori in nero: col che si dimostra che il magistrato magari è onorario, ma il ministero non è onorevole.