Un nuovo sport: arresti più facili per gli ultrà

La riforma del Coni è stata solo l’antipasto. Il governo si prepara a toccare le fondamenta del sistema sportivo italiano, dalla vecchia legge 91/1981 sul professionismo alla Melandri sui diritti tv, passando per i procuratori e gli stadi. Cambierà tutto, ma ci vorrà tempo. Subito, invece, arriva una nuova stretta sui reati da stadio: Daspo ancora più lunghi e conferma dell’arresto in flagranza differita, con modifica del codice penale. Forse non è un caso che ieri alla presentazione di Sport e Salute spa, la nuova società governativa che strapperà al Coni le competenze sullo sport di base (ma anche sul finanziamento e sul controllo delle Federazioni), ci fosse Matteo Salvini, oltre al sottosegretario Giancarlo Giorgetti e al 5 Stelle Simone Valente. Lo sport è al centro dei pensieri del governo gialloverde, come dimostra il collegato approvato in consiglio dei ministri. La rivoluzione per il momento è solo promessa perché tutta da fare. C’erano due correnti di pensiero: scrivere una legge dettagliata che entrasse subito nello specifico, o delineare solo dei principi generici. È passata la seconda linea, con un’eccezione: la parte sulla sicurezza è già strutturata, come annunciato dal ministro Salvini dopo gli scontri di Inter-Napoli.

Le nuove disposizioni prevedono pene ancora più severe e specifiche per chi commette reati durante manifestazioni sportive. Come il Daspo, che resta di massimo 5 anni ma aumenta ulteriormente per i recidivi: in questo caso si passa fino a 6-10 anni, addirittura 12 in caso di violazione del provvedimento in corso. L’altra grande novità è in realtà una conferma: l’arresto in flagranza differita, che permette il fermo fino a 48 ore dopo l’evento ed era stato introdotto in via temporanea con scadenza nel 2020, diventa permanente. In più viene ritoccato il codice penale, con aggravante specifiche per questi reati, a cui viceversa viene negata la tenuità.

Nella delega, però, c’è molto altro. A partire dalla riforma del Coni, che dovrà essere completata delineando le rispettive competenze con Sport e salute spa: al primo alto livello e preparazione olimpica, alla seconda la base e la scuola; il principio è chiaro, i nodi da sciogliere (finanziamenti e uffici territoriali) pure. La delega più corposa e delicata forse è quella che riguarda i lavoratori dello sport, perché andrà a toccare la vecchia legge 91/1981 sul professionismo e sul vincolo sportivo (che non sarà cancellato, al massimo rivisto): nascerà la figura del “lavoratore sportivo”, con un regime fiscale e previdenziale specifico (è uno dei punti che sta più a cuore al sottosegretario M5S Valente). E ancora: conflitto di interessi e obbligo di trasparenza sulle commissioni per i procuratori. L’ennesima legge sugli stadi, che guarda alla “sicurezza e modernità” degli impianti ma anche alla “redditività” (per alcuni costruttori è sinonimo di speculazione). Nuove regole di sicurezza sulla neve, dopo le recenti tragedie (obbligo di casco da sci non solo per i minori).

Ci sono anche delle assenze: manca, ad esempio, il “semiprofessionismo”, che chiedeva il mondo del calcio per la Serie C (ma serve pure a basket, pallavolo e settore femminile); la parola non è menzionata, in compenso viene introdotta una specie di apprendistato che garantirà forti sgravi per la “formazione” degli atleti (giovani o al di sotto di un certo stipendio), ossigeno puro per i campionati minori. Niente Federazione dello sport scolastico, ma arrivano dei nuovi centri sportivi nelle scuole per coordinare le attività motorie e i giochi studenteschi. Per tutto servirà tempo e pazienza: le deleghe vanno da due mesi a un anno, a seconda della complessità. La vera riforma, anzi le riforme, devono ancora arrivare.

I No Tav aspettano Salvini: “Non sa nulla, è solo show”

Salvini arriverà a Chiomonte in mattinata e i No Tav sono pronti ad accoglierlo: “Saremo lì con il massimo del buon senso e con la massima sorpresa”, annuncia il leader del movimento della Val di Susa Alberto Perino. Il capo del Viminale, dalla poltrona di Porta a Porta, replica: “Basta che rispondano alle idee con le idee. Vado a Chiomonte per portare solidarietà alle forze dell’ordine”. Cercando di schivare la risposta in merito alla Torino-Lione che può infastidire gli alleati del Movimento 5 Stelle, il segretario della Lega rischia di alimentare la protesta dei No Tav, in perenne conflitto con gli schieramenti di polizia, carabinieri ed esercito a tutela del cantiere. “Dovrebbe preoccuparsi di quante risorse stiamo sprecando a difesa di quel cantiere – afferma Francesca Frediani, consigliera regionale M5S in Piemonte –. Salvini non capisce che il Tav non è un tema qualunque, non può fare i suoi show e sparare dei dati a caso”.

Molti pentastellati ci tengono a far comprendere una cosa a Salvini: “Deve sapere che quello che vedrà è un tunnel geognostico, di studio, che servirà da galleria di servizio. Del tunnel di base non è stato scavato un metro”, spiega il deputato valsusino Luca Carabetta. Il vicepremier Luigi Di Maio, che non intende visitare Chiomonte, sottolinea che quello “è un cantiere che non è mai partito, perché non si è ancora scavato di quel tunnel, dove deve passare il treno, neanche un centimetro”. La loro linea, almeno dal punto di vista della comunicazione, è chiara. Con Salvini continua a predominare la linea del dialogo, dell’accordo che ha portato al contratto di governo e alla “ridiscussione” della Torino-Lione: “Non sono scontento del contratto e di come stiamo portando avanti la questione – aggiunge Carabetta – M5S e Lega hanno fatto un passo indietro per guardare ai datti in maniera non ideologica. Da una discussione può emergere qualcosa di buono”.

“È un marpione, io con Salvini non parlo – afferma invece il leader No Tav Perino –. Spiegargli tutto sarebbe tempo perso. D’altronde hanno fatto passare come dei loro dati uno studio di Telt del 2012”. Perino prevede che Salvini cederà alle istanze dei Sì Tav perché il Carroccio segue la linea degli imprenditori: “La Lega deve pagare 49 milioni di euro e ha le casse vuote, soldi che il M5s non può dargli e le imprese sì”.

Chi invita tutti al dialogo – in modo un po’ naïf – è Mino Giachino, l’ex sottosegretario ai Trasporti del governo Berlusconi tornato alla carica con le manifestazioni delle madamine in piazza Castello a Torino: “Ho sentito che alcuni No Tav andranno a contestare. Perché? A cosa serve? Un governo va sollecitato e non insultato, soprattutto quando va a rendersi conto della situazione locale”. Per questo propone ai manifestanti contrari alla Torino-Lione di invitarlo a prendere un caffè a Chiomonte e discutere: “Erano tanto belle le discussioni nei caffè dei nostri paesi senza insultarsi e senza mancarsi di riguardo”. Invece il Partito democratico corteggia il ministro dell’Interno come fosse il vero capo del governo: “Salvini ha uno strumento molto semplice per sbloccare i lavori della Torino-Lione: andare in consiglio dei ministri e dire che il consiglio dei ministri deve dare l’ordine al ministro Toninelli di sbloccare i lavori – ha detto ieri l’ex ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio –. Non è facendo le gite in Piemonte che si sbloccano i lavori, è facendo il proprio mestiere”. Delrio ha annunciato un esposto alla Corte dei conti sui rischi finanziari di Telt legati allo stop dei lavori e poi ha bacchettato i pentastellati sulla linea Torino-Lione: “Credo non la conoscano, perché continuano a dire che non è stato scavato neanche un centimetro, invece ci sono 32 chilometri di gallerie, di cui sei della galleria di base”. 32 chilometri su un totale di 162, per l’esattezza.

Firenze-Pisa, chiuso un viadotto sulla superstrada

Il ponte era chiuso dal 2014 per motivi di sicurezza ma le auto, i trattori e i mezzi pesanti passavano lo stesso scansando le transenne. Così ieri, a sei mesi dal crollo del ponte Morandi e due settimane dopo la chiusura del tratto E-45 vicino Arezzo, il viadotto che passa sopra la superstrada Firenze-Pisa-Livorno in località Sant’Ermete (Pisa) è stato sbarrato con i new jersey. La decisione è stata presa dal Comune di Pisa che ha rilevato “cedimenti laterali alla struttura del ponte, tali da rendere necessaria la chiusura totale a tutti i veicoli per ulteriori accertamenti”. Essendo una strada secondaria che dalla superstrada porta alle coltivazioni non si sono verificati disagi sul traffico regionale. Intanto è giallo sulla competenza del viadotto: ieri il Comune di Pisa ha comunicato che spetta alla Città Metropolitana di Firenze fare i lavori mentre quest’ultima ha risposto che la competenza “non è in capo all’ente, tranne in casi specifici concordati con i Comuni (ma non in questo caso)”. La Regione ieri ha convocato una riunione per fare il punto su tutti i viadotti della Toscana.

Una landa deserta a bassa velocità. C’era una volta uno scalo merci

Appena entrati dell’area dello Scalo ferroviario merci di Orbassano, una coppia di aironi cinerini, disturbati dal raro visitatore, prende elegantemente il volo. Non sono abituati a visite, gli aironi, né a un gran traffico di treni. L’area è un’immensa, desolata landa coperta di sterpaglie che si mangiano ogni giorno di più i binari arrugginiti. Eppure il Terminale di Orbassano dovrebbe essere il cuore pulsante del futuro Tav, la porta d’accesso della linea ad alta capacità che dovrebbe sparare tonnellate di merci dentro il (futuro) supertunnel della Val di Susa, per collegare a frizzante velocità Torino e Lione.

Oggi è una Fortezza Bastiani assediata da placidi aironi e allarmate salamandre. I pochi superstiti umani (erano un migliaio i dipendenti dieci anni fa, oggi sono circa duecento) aspettano perplessi che arrivi la grande piena del Tav.

Lo scalo merci di Orbassano è la grande area alla periferia di Torino – 1,660 milioni di metri quadrati – che fu ideata negli anni Settanta per gestire il traffico merci da e per la Francia. Crebbe per qualche anno, ma quando fu completato, lo Scalo era già vecchio: il trasporto merci stava cambiando, moriva il trasporto “diffuso”, che componeva treni caricando merci diverse per diverse destinazioni, e cominciava ad affermarsi il trasporto di container ad unica destinazione. Tramontava il trasporto di merci come carbone, lamiere, cereali. Diminuivano anche le auto in partenza dalle fabbriche Fiat. Cominciò a deperire anche il Terminale di Orbassano, oggi malato terminale.

Per vistarlo, disturbando aironi e salamandre, si può entrare da un punto qualunque dell’infinito perimetro non presidiato. Se si entra da Strada del Portone, subito sulla destra si vede la sagoma del Ferrhotel, che un tempo ospitava i ferrovieri. Oggi è abbandonato e la grande area attorno viene richiesta da quei buontemponi che si mettono in divisa, si armano e giocano alla guerra. Non troppo distante, ecco il deposito locomotori, che un tempo era il cuore del terminal. Oggi è vuoto, come il capannone delle Omv, le Officine manutenzione veicoli, inattivo e abbandonato. Desolata anche la mensa ferrovieri. Restano attivi alcuni uffici del grande Fum, il Fabbricato uffici movimento.

I binari arrivano da Porta Susa, provengono dalle linee che vanno da una parte verso Torino, dall’altra verso Modane e la Francia. Qui si aprono a ventaglio, raddoppiano, si triplicano, si quadruplicano, si moltiplicano, diventano decine e poi più di un centinaio. C’è il “fascio container”, il “fascio dogana”, il “fascio direzioni”, il “fascio centrale-partenze sud”, il “fascio presa e consegna”, il “fascio officina manutenzione veicoli”. Poi i fasci di binari di nuovo si assottigliano, per moltiplicarsi ancora nel “fascio arrivi” e, in fondo, nel “fascio deposito locomotive”.

Ma molti binari sono smantellati e divelti, gli altri arrugginiti. La “parigina” di binari in cui un tempo venivano lanciati i vagoni e composti i treni merci ora è abbandonata. I segnali che una volta accendevano le loro luci rosse e verdi dando il via libera o lo stop ai treni ora sono come orbite senza occhi.

Funziona ancora la zona Modalhor, dove arrivano camion che sono caricati sui treni per fare, grazie a incentivi ancora non beccati dall’Unione europea come aiuti di Stato, meno di 200 chilometri, da Orbassano a Aiton, in Francia, e poi tornare serenamente sulle strade.

L’attesa nella Foresta Bastiani continua. Per ora passa qui, tra le sterpaglie, soltanto un’ottantina di treni alla settimana, meno di dieci al giorno. Il Tav dovrà fare il miracolo. Il Terminale aspetta la sua terza vita, dopo le fasi della breve crescita e del rapido declino. Ma non è facile prevedere quale sarà il suo destino, indissolubilmente legato al Tav Torino-Lione che nel tempo è già cambiato più volte. All’inizio era il Treno ad alta velocità per passeggeri, pronto a salire in Val di Susa e infilarsi a Venaus nel lunghissimo tunnel verso Lione. Constatato che non c’erano frotte di passeggeri smaniosi di andare in treno a Lione, ecco la conversione del Tav in Tac, Treno ad alta capacità per le merci. Dopo il 2010 i nuovi progetti prevedono che il tunnel inizi a Susa invece che a Venaus, con una nuova linea che scende ad Avigliana e poi a Orbassano e via verso Settimo Torinese, non senza aver bucato con un’altra galleria la collina morenica di Rivoli.

Nel 2014 il ministro Graziano Delrio cambia qualcosa: il tunnel resta, naturalmente, ma fuori dal buco si utilizza la linea vecchia, da Bussoleno ad Avigliana, e poi Orbassano, e poi Torino. Ora si sono inventati il MiniTav, dove si risparmia qualcosa sulla linea e il tunnel resta intatto. Il problema è cosa farci passare, nel tunnel. Come lo Scalo di Orbassano insegna, il trasporto merci è in declino. Negli ultimi vent’anni il traffico merci con la Francia (strada più ferrovia) è statico. Era 50 milioni di tonnellate nel 2000, è calato a 45 nel 2005, precipitato a 38 nel 2009, negli anni seguenti si è mantenuto tra 41 e 44 milioni di tonnellate all’anno.

I promotori del Tav prevedono che crescerà fino a 110 milioni nel 2053, ma perfino il commissario di governo Paolo Foietta ha dovuto ammettere nel novembre 2017 che quell’incremento è palesemente sovrastimato. In compenso la linea oggi esistente ha già la capacità di trasportare da 20 a 30 milioni di tonnellate l’anno, ma le merci che effettivamente passano sui treni sono calate da 10 milioni (1997) a 7 (2007) a 3 (2017). Non sono andate via strada, perché sono scese anche le quantità totali in Val di Susa (strada più ferrovia), dai 24 milioni del 1997 ai 15 del 2017. Lo stesso calo percentuale è visibile nel trasporto merci al Monte Bianco (solo strada). Eppure la fede delle vestali della Fortezza Bastiani è incrollabile. Sperano nella moltiplicazione delle merci e dei treni e nella risurrezione dei morti dello struggente Terminale di Orbassano.

Sky licenzia 2 croniste: non avevano firmato per andare a Milano

L’ultimo atto, ricorso al giudice a parte, è di ieri: due giornaliste licenziate, la quarta e la quinta (tutte donne) da quando, due anni fa, ha avuto inizio il trasferimento “volontario” dei lavoratori Sky da Roma a Milano con la cacciata di decine di tecnici e amministrativi. Una procedura realizzata con un atto di forza – e avallata dal governo dell’epoca – che in Tribunale sta costando alla tv satellitare alcune sconfitte, ma non abbastanza da renderla diseconomica. Fino alle 5 colleghe cacciate negli ultimi mesi, i giornalisti erano stati “salvati” grazie alla firma di un contestato accordo separato con l’azienda: chi non ha firmato il trasferimento “volontario”, però, alla fine è stato mandato a casa. Le due croniste licenziate ieri, peraltro sindacaliste dell’Usb, sono passate per tutte le tipiche umiliazioni di casi simili: mesi a casa senza un incarico, poi la “trasferta comandata” a Milano per due mesi, divenuti tre, poi quattro e, al rifiuto di restare in trasferta senza limiti, il blocco dello stipendio e infine il licenziamento. Sky ritiene che “l’insubordinazione” delle sue dipendenti sia giusta causa di licenziamento. Ora un giudice dovrà decidere se è così e se l’azienda abbia rispettato la legge mentre ristrutturava i suoi centri produttivi.

Cassa integrazione Alitalia, indaga la Corte dei conti

Una nuova tegola giudiziaria potrebbe abbattersi su Alitalia. Dopo le indagini condotte dalla Procura di Civitavecchia, anche la Corte dei Conti ha aperto un fascicolo per approfondire la vicenda legata all’utilizzo “degli ammortizzatori sociali richiesti dalle società Alitalia Sai e Alitalia Sai in amministrazione straordinaria”. La storia nasce da un esposto presentato dal sindacato Cub Trasporti all’indomani di un articolo pubblicato dal Fatto.

Nel documento al vaglio dei magistrati contabili si richiede “un’urgente verifica dell’eventuale sussistenza di un cospicuo danno erariale reiterato in Alitalia dall’inizio del 2015 alla fine del 2017, determinato dalla fruizione di ammortizzatori sociali, alla stregua di un vero e proprio bancomat pubblico, la cui definizione sembrerebbe essere ingiustificata, oltre che nelle modalità applicative, soprattutto nella misura concessa”. Al vaglio dei pm contabili, che ancora non hanno quantificato l’eventuale danno arrecato alle casse pubbliche, ci sono i fondi erogati dal ministero del lavoro per la solidarietà difensiva 2015, 2016 e anche per i primi sei mesi del 2017. Non solo: si indaga anche sulla Cassa integrazione straordinaria elargita dal secondo semestre 2017 a oggi. Nell’esposto si chiedeva anche di verificare “un eventuale danno erariale per possibile elusione contributiva” e “la gestione dei permessi sindacali in regime di prestito pubblico”.

Nel documento si fa riferimento alla relazione dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Roma. Dopo aver ascoltato oltre 500 persone tra comandanti, piloti e assistenti di volo, il documento era approdato alla Procura della Repubblica di Civitavecchia. Una parte della relazione riguardava anche la Cassa integrazione. In particolar modo si sottolineava lo scambio tra “riposo” e Cassa integrazione riguardante il personale di volo. La differenza è evidente: il primo lo paga l’azienda, il secondo lo Stato.

Per quanto riguarda il personale di terra invece, l’attenzione è focalizzata sull’esternalizzazione del lavoro durante i periodi di cassa integrazione. “Abbiamo sempre sostenuto che non esistono esuberi – afferma Antonio Amoroso, della Cub Trasporti – basta comparare i dipendenti di Alitalia con quelli delle compagnie aeree europee di riferimento. Il costo del lavoro è in linea con quello sostenuto dalle compagnia low cost”. Un altro capitolo, infine, riguardava l’evasione contributiva che deriverebbe dall’uso massiccio delle indennità da parte di Alitalia a discapito della retribuzione normale. Su questo, dopo l’intervento dell’ispettorato del lavoro, indaga già da mesi la Procura di Civitavecchia. Anche al ministero sono informati: il sindacato Cub afferma di avere inoltrato almeno due lettere, la prima a luglio e la seconda lo scorso ottobre. Nelle missive indirizzate al ministero del Lavoro, dei Trasporti e alle Direzioni Generali degli ammortizzatori Sociali si sollecita una verifica “in materia di fruizione degli ammortizzatori sociali”.

Lavoro: disoccupati in calo, ma crescono i contratti a termine

I dati Istat sul lavoro di dicembre somigliano molto a quelli che abbiamo spesso visto negli ultimi anni: mostrano un aumento degli occupati precari e un crollo di quelli stabili rispetto al mese precedente. Quindi sembra assente l’effetto del decreto Dignità, entrato del tutto in vigore il primo novembre 2018 con l’obiettivo di innescare, disincentivando l’uso del contratto a tempo determinato, una dinamica esattamente contraria. Cosa che in effetti era successa a novembre: in quel mese abbiamo avuto 15 mila occupati in più tra quelli a tempo indeterminato e 22 mila lavoratori a termine in meno. Questa tendenza, che era iniziata già a ottobre, si è però già interrotta: nell’ultimo mese del 2018 c’è stata una crescita di 23 mila occupati, composta da 47 mila dipendenti a termine in più e 35 mila stabili in meno. A completare il quadro c’è l’incremento di 11 mila lavoratori autonomi. Sono dati che probabilmente vanno contestualizzati: con le vacanze natalizie, le imprese hanno maggiore bisogno di arruolare addetti stagionali per far fronte ai picchi di produzione, mentre chi cerca persone da assumere in modo permanente aspetta in genere l’inizio del nuovo anno. Nel trimestre ottobre-dicembre, comunque, i dipendenti stabili sono aumentati di 16 mila unità rispetto a luglio-settembre, mentre tra i precari se ne contano solo 4 mila in più. Viste le aspettative create dal decreto Dignità, i risultati sono ancora deludenti. Su base annuale, cioè rispetto a dicembre 2017, resta il boom dei precari con più 257 mila e la discesa ripida dei permanenti con meno 88 mila. A dicembre 2018 il tasso di occupazione ha raggiunto il 58,8%; la disoccupazione, che indica la percentuale di persone in cerca di un impiego, è al 10,3% (al 31,9% nella fascia di età tra 15 e 24 anni).

Rei, metà dei beneficiari è ancora a mani vuote

Il Reddito di inclusione (Rei) marcia a passo lento: nel 2018 lo hanno ricevuto un milione e 329 mila poveri che compongono 462 mila famiglie. Mentre sono circa 2,5 milioni (700 mila nuclei) le persone che ne avrebbero diritto. Finora è stata raggiunta poco più di metà della platea potenziale individuata dal governo Gentiloni. L’importo medio, sotto forma di carta acquisti, è stato di 296 euro al mese e l’11% dei nuclei è formato da extracomunitari.

I dati pubblicati dall’Inps offrono uno spunto prezioso di riflessione in vista del reddito di cittadinanza, atteso ad aprile. Dimostrano che, quando i criteri di accesso sono molti e stringenti, il meccanismo fa fatica a mettersi in moto. Le strutture con il compito di controllare che tutte le carte siano a posto vanno in affanno e non riescono a rispondere in tempi brevi. Insomma, per arrivare a coprire tutti gli aventi diritto possono passare anche molti mesi. Per il reddito di cittadinanza potrebbe succedere lo stesso e tra tre mesi, all’avvio della misura, potremmo trovarci con molti ipotetici beneficiari ancora a mani vuote. Ieri, infatti, il presidente Inps Tito Boeri ha detto che “nei primi mesi non si potranno svolgere verifiche stringenti sul patrimonio mobiliare”. Ma non è questa l’intenzione del governo gialloverde, con il Movimento Cinque Stelle che vorrebbe capitalizzare la promessa mantenuta prima delle elezioni europee di maggio.

Per avere il Rei le famiglie devono risiedere in Italia da almeno cinque anni e rispettare vari paletti: l’Isee deve essere inferiore a 6 mila euro; inoltre non bisogna superare i 3 mila euro di Isre, l’indicatore che si ottiene prendendo il reddito del nucleo e sottraendo le detrazioni. Il valore degli immobili, prima casa esclusa, non può superare i 20 mila euro mentre il patrimonio mobiliare (depositi e conti corrente) deve stare sotto i 10 mila.

Niente sussidio per chi ha assegno di disoccupazione o possiede un’auto nuova o una barca. Il reddito di cittadinanza, invece, avrà soglie più alte ma anche qui ci sono tante verifiche da compiere. A partire da quelle sulla residenza in Italia che deve esserci da almeno dieci anni, con gli ultimi due continuativi. Poi i requisiti economici: l’Isee massimo sarà 9.360 euro, immobili sotto i 30 mila euro, risparmi inferiori a 10 mila euro per le famiglie e 6 mila per i single. Sarà inoltre escluso chi recentemente ha comprato una moto nuova di grossa cilindrata o possiede barche. Effettuare tutte queste indagini non sarà un gioco da ragazzi. Il ministro Luigi Di Maio ha promesso che la prossima settimana arriverà il sito del reddito di cittadinanza, che dovrebbe andare per il 53% al Sud e nelle Isole e per il restante 47% nel resto d’Italia. Il Rei, invece, è ben più sproporzionato: il 68% va nel Meridione (Campania e Sicilia raggiungono da sole il 50% dei beneficiari totali), il 12% al Centro e il 20% nelle Regioni settentrionali. Il Reddito di cittadinanza, a differenza del Rei, è stato molto pubblicizzato: per questo ci si aspetta una valanga di richieste già dalla fase di lancio.

Banche, i dubbi Ue sui rimborsi ai truffati. Di Maio: “Noi andremo avanti lo stesso”

La mossa era attesa, non fosse altro per i dubbi già espressi dal Tesoro italiano. La Commissione europea ha inviato ieri una lettera in cui chiede chiarimenti sui rimborsi decisi dal governo a favore degli ex azionisti e obbligazionisti delle banche finite in dissesto, da Etruria, Marche, Carife e Carichiati alle due popolari venete.

In manovra il governo ha stanziato un fondo da 525 milioni l’anno per il 2019-2021 per indennizzare 300 mila piccoli investitori travolti dai crac (per un massimo del 30% del danno e con tetto a 100 mila euro). Rispetto all’impostazione iniziale, al Senato è stato eliminato l’obbligo di dimostrare di aver subito una vendita fraudolenta (misselling) con una sentenza del giudice o dell’arbitro finanziario della Consob e aperto i rimborsi anche a Onlus e piccole imprese. Nei giorni scorsi il Fatto ha rivelato un nota inviata dal dg del Tesoro, Alessandro Rivera agli uffici legislativi del ministero in cui avvisava che le modifiche avrebbero portato a una contestazione di Bruxelles per aiuti di Stato. A giorni è previsto il varo del decreto ministeriale con le linee guida per le commissioni che dovranno vagliare le domande dei “truffati”. Nella sua lettera Bruxelles di fatto ricalca i dubbi di Rivera, a cui peraltro è indirizzata la missiva. Tecnicamente la Direzione concorrenza dell’Ue chiede chiarimenti, ma di norma questi preludono a possibili rilievi critici. Il più rilevante è che la norma “non prevede un meccanismo volto ad accertare caso per caso se vi è stata violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza”.

“La lettera sembra dirci ‘non lo potete fare’, ma noi lo facciamo e basta. Non esiste che l’Ue ci debba dire come risarcire i truffati dopo che evidentemente Bce e Bankitalia non hanno controllato”, attacca Luigi Di Maio. Nei giorni scorsi il sottosegretario al Tesoro Massimo Garavaglia (Lega) ha spiegato che in caso di contestazioni “la norma si può cambiare in un attimo”. Ora il Tesoro dovrà rispondere ai molti chiarimenti chiesti da Bruxelles. Nella nota interna al Tesoro, Rivera segnalava il rischio di non poter autorizzare i rimborsi senza il via libera dell’Ue per il rischio di possibili contestazioni di “danno erariale”. La novità rischia di far slittare i tempi e difficilmente si potrà partire prima della seconda metà dell’anno, ammesso che la norma non debba essere cambiata. Un problema per il governo. Il 9 febbraio, Di Maio e Salvini saranno a Vicenza ospiti delle associazioni dei risparmiatori truffati. Che sono già sul piede di guerra.

Commissione Ue indaga 8 banche sulla vendita dei titoli di Stato

Si sarebbero scambiati messaggi su una chat comunicando informazioni sensibili per concordare e scambiarsi le strategie di trading sui titoli di Stato. Per questo l’Antitrust europea ha deciso di indagare su un presunto cartello di 8 banche – i nomi degli istituti non sono stati ufficialmente rivelati ma in una passata indagine erano emersi quelli di Deutsche Bank, Crédit Agricole e Crédit Suisse – i cui trader avrebbero violato e distorto “la concorrenza nell’acquisto e nello scambio“. L’accusa è di comportamenti collusivi tra il 2007 e il 2012, nel pieno della crisi finanziaria e della successiva crisi del debito. Le multe potrebbero arrivare fino al 10% del fatturato.