Secondo i social media, in Russia “Brexit” ha un nuovo significato: “Dici addio ma non te ne vai mai”. Vasilij Petrovich ha bevuto una mezza bottiglia di vodka, rotto parecchie porcellane preziose, offeso gli avventori ma, pur avendo detto addio a tutti, sta ancora al tavolo a bere. Verrebbe voglia di sbatterlo fuori al gelo, ma questo creerebbe più problemi che lasciarlo dentro.
Questa storiella riflette l’attuale dilemma dell’Europa. Per molti anni il Regno Unito ha goduto dei benefici dell’integrazione europea senza provare a essere un membro costruttivo (men che meno entusiasta) dell’Unione europea. Due anni fa ha deciso di andarsene ma sta ancora ponderando se farlo dalla porta, dalla finestra o dal camino. E così, intanto, la Gran Bretagna siede ancora al tavolo, come l’ubriaco Petrovich, e questo innervosisce parecchio il resto dell’Ue.
L’Europa è uno spazio politico profondamente integrato. Non si possono smontare 20.000 regolamenti comuni senza effetti collaterali.
Qualcuno può sostenere che i britannici dovrebbero pagare per il loro odioso comportamento, ma a soffrire sarebbero anche le imprese basate nel resto d’Europa e i loro dipendenti. Per non parlare di tutti quei milioni di cittadini europei che per sopravvivere dovranno comunque trovare un modus vivendi con la “perfida Albione”.
Lo slogan che recita “la Brexit è un problema dei britannici” rappresenta un modo disonesto e pericoloso di affrontare la questione. A Bruxelles nessuno sembra volersi prendere la responsabilità della perdita del Regno Unito, si limitano a sostenere questa linea: Michel Barnier, il capo negoziatore, ha trattato un accordo equo con la premier Theresa May e se al Parlamento inglese non piace, be’, affar loro.
In realtà, l’Unione europea non si è limitata a definire il quadro legale del “divorzio” della Gran Bretagna. L’Ue ha anche insistito (a ragione) sulla necessità di meccanismi di salvaguardia per il confine irlandese. Un compromesso su questo sotto la pressione del partito unionista dell’Irlanda del Nord significherebbe tradire la Repubblica d’Irlanda, cioè lo Stato europeo più colpito dalla Brexit.
La questione cruciale che i burocrati europei dovrebbero affrontare è perché i cittadini inglesi hanno scelto di andarsene. E insinuare che i britannici sono, in qualche modo, meno europei degli altri non è una risposta convincente. E neppure è plausibile sostenere che sono stati semplicemente manipolati dai tabloid euro-scettici.
Quando i francesi e gli olandesi hanno avuto l’opportunità di esprimersi sul progetto di Costituzione europea, nel 2004, anche loro hanno votato no. E negli ultimi anni i partiti anti-europei hanno riscosso successo in tutta Europa. C’è chiaramente qualcosa di sbagliato nel modo in cui funziona l’Ue e dobbiamo tutti affrontare la questione, invece che limitarci a insultare quegli ingrati dei britannici e i partiti populisti.
La verità è che l’Ue non è riuscita a offrire ai cittadini strumenti efficaci di partecipazione. Anziché proteggere le persone dalle conseguenze della globalizzazione, l’Ue è diventata uno degli strumenti della globalizzazione stessa. Anche le economie europee più solide faticano a crescere abbastanza e i sistemi di welfare stanno collassando.
La Commissione europea sembra essere molto sensibile a quello che dicono i 30.000 lobbisti attivi a Bruxelles, ma non alle richieste dei suoi cittadini, soprattutto di quelli più poveri. La politica estera e quella migratoria dell’Ue sono spesso immorali e inefficaci. I conflitti dentro l’Ue stessa abbondano: tra Paesi debitori e creditori, tra esportatori e importatori, tra quelli dentro l’euro e quelli fuori, poi ci sono le tensioni che riguardano l’Ucraina, la Russia e il Nord Africa.
Tutto questo non significa che l’integrazione europea è stata un errore e che dobbiamo tornare indietro alle vecchie glorie nazionali. Ma se vogliamo riconquistare la fiducia dei cittadini – che siano britannici o del resto d’Europa – dobbiamo introdurre alcune riforme fondamentali nell’Ue. Le ultime rilevanti risalgono al 1991, con Maastricht. Da allora l’Europa ha attraversato tre rivoluzioni; geopolitica, geoeconomica e digitale. C’è poco da stupirsi se ora l’Unione europea ci pare poco in grado di affrontare le nuove sfide. Intimare ai britannici di cambiare atteggiamento verso l’Ue senza cambiare l’Ue serve a poco.
Purtroppo i leader europei sembrano ignorare queste semplici verità. La Brexit per loro è soltanto lo spauracchio da agitare davanti ai partiti euro-scettici nei vari Paesi. Il risultato di questa tattica è perverso: i politici euroscettici ora non vogliono più lasciare l’Ue, ma conquistarla. I recenti incontro di Matteo Salvini con Viktor Orbán e Jarosław Kaczynski lo dimostrano. Potremmo presto trovarci ad avere una Ue senza Gran Bretagna ma anche con una Commissione e un Parlamento euro-scettici.
Ci sono solo due modi per evitare questo scenario: fermare l’orologio della Brexit e dare un messaggio di cambiamento molto netto nella campagna elettorale per le Europee di maggio.
I britannici hanno esaurito le opzioni e potrebbero chiedere di sospendere l’articolo 50 del trattato in modo da evitare il trauma di una uscita senza accordo. Un trauma che sarebbe devastante non soltanto per gli inglesi, ma per tutti gli europei che, peraltro, non sono minimamente preparati all’eventualità.
La proposta della Gran Bretagna non è ancora ben definita, ma i leader europei dovrebbero accettarla: sarebbe un segnale importante che siamo tutti sulla stessa barca e abbiamo una comune responsabilità riguardo al futuro del continente.
Ma sospendere l’articolo 50 sarebbe soltanto un modo di guadagnare tempo per impostare una seria agenda di riforme. Finora, le proposte concrete arrivano soltanto da figure laterali come Thomas Piketty e Yanis Varoufakis. Ma è tempo che i leader europei agiscano insieme e propongano la loro visione del futuro dell’Ue. Come dimostra il consenso popolare alle proteste dei Gilet gialli, la visione dell’Europa che ha Emmanuel Macron appaga soltanto pochi privilegiati.
Una visione dell’Europa nuova, coraggiosa, che tenda verso una maggiore uguaglianza potrebbe aiutare i leader liberali a resistere all’assalto dei partiti populisti alle Europee. Potrebbe anche spingere alcuni britannici a cambiare opinione sulla Brexit.
Ci meritiamo un’Europa che funzioni per la grande maggioranza dei cittadini, inglesi inclusi. La parola chiave dovrebbe essere solidarietà, non soltanto crescita, competizione e potere.