“Qui tra le nevi censiti in 1.077 in un mese: sempre più i bambini”

Solo nel novembre scorso la Croce Rossa di Susa ne ha censiti 1.077, tra adulti e bambini. Non c’è stanzialità. Per raccogliere le forze i migranti si fermano una notte, raramente due, e poi sfidano la montagna nella speranza che il buio li aiuti a eludere i controlli della polizia di frontiera francese. Giovedì, per dire, un ragazzo algerino è finito nella Dora, alle Gorge di San Gervasio, quando saranno state le nove di sera. Se l’è cavata grazie al Soccorso alpino. Gli sciatori che ci vanno di giorno sanno che si tratta di un luogo bellissimo, tra Cesana e Clavière. Ma di notte puoi morirci assiderato.

A raccontarmi il suo inverno valsusino fra i turisti e i migranti, sotto la neve che cade fitta, è un giovane uomo di 29 anni, Michele Belmondo, nativo di Bussoleno. Ricorda che alle elementari le maestre li portavano alle manifestazioni No-Tav come fossero gite scolastiche, tanto era naturale trovarsi uniti in quella lotta. A 14 anni ha cominciato a fare il volontario nella Croce Rossa, ora è il responsabile del Comitato di Susa. Si è fatto le ossa negli interventi di protezione civile, incendi, dissesto idrogeologico. Poi la pandemia ha reso necessario raddoppiare la distribuzione dei pacchi alimentari. Le attività di pronto soccorso con ambulanze e motoslitte non si interrompono. Ma ora, di fronte a un’altra emergenza divenuta normalità, Michele Belmondo ha deciso di chiedere aiuto alla nostra Fondazione Fatto Quotidiano.

“Da quando la Francia ha sospeso il trattato di Schengen e richiuso le frontiere – racconta – abbiamo conosciuto diversi tipi di viaggi della disperazione. Dapprima, soprattutto intorno a Bardonecchia, africani giovanissimi e inesperti che sfidavano la sorte in scarpe da ginnastica. D’estate è più facile. Ma questi la neve non l’avevano mai vista, e d’inverno si avventuravano in zone a rischio valanghe”.

Continua a ricordare Michele Belmondo: “Dopo sono arrivati i ragazzi che speravano di ottenere protezione umanitaria in Italia, spinti a cercar fortuna altrove dai decreti Salvini. Meno sprovveduti, pensavano di cavarsela a scavalcare le Alpi, grazie alla app del telefonino. Se respinti, ritentavano subito: i più ce l’hanno fatta”. E adesso? “Ora dalla rotta balcanica stanno arrivando famiglie numerose, magari separate in gruppi diversi. Questi sanno già cos’è la neve, ma ciò rende più difficile dissuaderli dall’affrontare la traversata in una notte d’inverno. Se li immagina, al buio in marcia coi bambini sulle spalle?”.

Con la Croce Rossa operano una quarantina di volontari. Altri cento ruotano intorno al Rifugio Massi di Oulx, i cui posti letto sono quasi sempre esauriti. Lo ha fondato il parroco di Bussoleno, don Luigi Chiampo. Chi lava le coperte. Chi cucina i pasti. Chi recupera scarpe e indumenti caldi. Spesso i migranti in sovrannumero devono essere ricoverati nel Polo logistico di Bussoleno, non lontano dalla casa di Michele Belmondo e del suo vicino Emilio Scalzo, ora estradato e rinchiuso nella prigione francese di Aix Luynes, a seguito di uno scontro con la Gendarmerie. Protestavano contro un respingimento brutale. “Certo che conosco Emilio. È un uomo buono, è uno dei nostri, siamo una valle solidale”, non si tira indietro il capo dei crocerossini.

I montanari non si fanno troppe domande politiche quando c’è di mezzo la vita delle persone. Cercano di fargli capire quanto possano essere pericolosi un orrido, una forra, le trappole nascoste in un passaggio di neve fresca.

Sono stranieri diversi da quelli benestanti che, per fortuna, tornano a riempire gli alberghi di Sestrière, Sansicario, Cesana, Sauze d’Oulx? Pazienza, che siano poveri non fa paura. Però c’è bisogno di tutto per garantire loro la sopravvivenza in alta quota.

“Quando ho letto che nasceva la Fondazione Il Fatto Quotidiano – spiega Belmondo – mi sono ricordato che l’anno scorso venne quassù Simone Bauducco, un videomaker che fece un bel reportage per il vostro sito. Allora ho deciso di provarci, vi ho contattati. Abbiamo una media di mille transiti al mese, più di un centinaio sono minori. L’indispensabile ha costi minimi, ma serve un finanziamento continuativo”.

Facciamo un po’ di conti: “Il kit di assistenza comprende una coperta termica, mascherine chirurgiche, gel lavamani, acqua, barrette energetiche, scaldamani/piedi e poncho antipioggia. Costa 10 euro”. Il primo obiettivo della Fondazione è di acquistarne 500. Poi c’è la fornitura di pasti e bevande autoriscaldanti: “Ogni fornitura costa 5 euro”. Per questo, l’obiettivo della Fondazione è di acquistarne almeno mille.

È solo l’inizio, contiamo sulla generosità dei lettori.

Sul confine Italia-Francia coi volontari per i migranti. Fermare il naufragio di civiltà

“Fermiamo il naufragio di civiltà”; “Finisca il rimbalzo di responsabilità”; “Paura e cinico disinteresse uccidono. È tragico che in Europa qualcuno la consideri una questione che non lo riguardi”; “Chiusure e nazionalismi portano a conseguenze disastrose”. Sono anche parole come queste, quelle di un grande uomo che si chiama Francesco, il nostro Papa, esempio di cristianità sia per i laici sia per i cattolici, a spingerci con la Fondazione del Fatto Quotidiano ad affrontare un nuovo progetto.

Siamo stati contattati dalla Croce Rossa Italiana di Val Susa perché la aiutassimo ad assistere i migranti. Dal 2017 la Valle di Susa, naturale corridoio di collegamento tra l’Italia e la Francia, vede il transito di migliaia di persone migranti che tentano di valicare le Alpi in cerca di un futuro migliore; provengono dalla rotta mediterranea o dalla via dei Balcani. Nel compiere questo viaggio si espongono a grandi rischi, specie nel periodo invernale: rischiano di morire di stenti e di freddo.

Il lavoro dei volontari della Croce Rossa Italiana è fondamentale. Hanno l’obiettivo di proteggere i migranti fornendo ogni giorno e ogni notte aiuto materiale (con coperte termiche e bevande calde), informazioni, possibilità di un ricovero notturno o di un intervento in caso di emergenza. Spesso si ritrovano ad assistere intere famiglie con bambini piccoli. E anche in questo caso – come per gli altri progetti che ha in corso la Fondazione, e per i quali in poco tempo abbiamo raggiunto i risultati sperati – vogliamo sottolineare il lavoro meraviglioso dei volontari. Che anche in Valle di Susa ogni giorno, ventiquattr’ore su ventiquattro, assistono persone nel tratto più difficile del loro percorso verso una vita migliore.

Al già citato “rimbalzo di responsabilità” di cui parla Papa Francesco aggiungerei l’aggettivo “schifoso”. Il pianeta Terra non è di nessuno, non abbiamo la proprietà della vita degli altri né il diritto di negare la salvezza, il sogno di scappare da ingiustizie, soprusi e stenti. Dovrebbe sorprendere, anche se ormai purtroppo non sorprende più, l’atteggiamento di certi politici che inneggiano alla vita facendo battaglie contro l’aborto o contro l’eutanasia, per poi invocare la chiusura dei porti e continuare a sostenere che queste persone devono essere aiutate “là”, “a casa loro”. Parlando di un “là” che nemmeno conoscono, e dove non resisterebbero nemmeno un giorno se ci vivessero. Mai che nessuno di loro abbia spiegato come si tradurrebbe, in concreto e nell’immediato, questo fantomatico aiuto “là”. Perché si parla di immediatezza quando l’aiuto deve salvare vite umane; non di anni di riflessioni sulle politiche internazionali. Vengono poi spesso strumentalizzati coloro che delinquono e che sono presenti, come è naturale che sia, all’interno di questi flussi migratori che non sono avulsi dalle realtà che viviamo. Ogni volta che uno straniero commette un atto di violenza, un reato, dal più piccolo al più grande, lo si esibisce, per le strategie politiche del caso, a riprova di una necessaria chiusura dei porti e delle frontiere. E si confonde così, appositamente, il caso singolo con il tutto.

E non si pensa mai abbastanza al fatto che se queste persone sono disposte ad attraversare mari in tempesta con imbarcazioni di fortuna, o Alpi innevate con temperature impossibili come in Valle di Susa, significa che sono pronti alla morte pur di non rimanere in quel “là” che è così lontano da non riguardarci.

Danno fastidio a tutti i violenti, così come il degrado di alcune città dove si riuniscono gruppi di persone che sempre più spesso provengono da quel “là” e che si ritrovano a vivere accatastando sporcizia o molestando chi passa. Sì, danno fastidio a tutti. È inutile trincerarsi nel falso buonismo. Però è necessario distinguere. E fissare delle priorità. La prima: salvare la vita delle persone. Non si può reputare un merito l’essere nati in una determinata parte del mondo; è solo dovuto al caso di un seme e di un ovulo che hanno determinato la nostra nascita in un luogo rispetto a un altro. Ci penso sempre a questa cosa. È stata una gran botta di culo non nascere sotto le bombe, o in Paesi torturati da ingiustizie politiche, o da dittature politiche e religiose.

Con il pensiero che le persone disperate vadano aiutate tutte, che siano cittadini italiani o cittadini del mondo, abbiamo deciso di aiutare la Croce Rossa in Val Susa. La Fondazione contribuirà direttamente con una donazione. Ma, in aggiunta, partiamo proprio oggi con la raccolta fondi per la fornitura di kit di assistenza con cibo autoriscaldanti e coperte termiche. Non c’è tempo da perdere. Non si può rimanere indifferenti di fronte a famiglie intere che si tengono per mano affrontando a piedi le Alpi.

Mail box

 

Il silenzio sulle reazioni avverse dei vaccini

Vorrei porre l’attenzione sul tema delle reazioni avverse al vaccino, che nell’attuale nubifragio di notizie mi sembra abbia toccato solo i diretti interessati. Parlo di reazione considerate molto forti e in alcuni casi gravi o gravissime. Queste persone, io tra queste, si trovano in un limbo che li vede da una parte impossibilitati a concludere il ciclo vaccinale a meno che tentino la sorte, dall’altra all’avvio di un percorso accidentato tra il proprio medico curante e le file agli hub vaccinali, con la speranza che un medico vaccinatore con facoltà di valutare esenzioni (non tutti i medici vaccinatori possono rilasciare esenzioni) si faccia carico di riconoscere la tua criticità. Il non-risultato è il tempo passato a cercare il medico coi superpoteri: a Torino sembra si presenti ogni tanto all’hub del Lingotto, ma non è dato sapere in quali giorni e in che orario. “Lei passi ogni giorno, e vedrà che lo trova”, mi hanno detto. Siamo pochi e silenziosi quelli a cui non è andata bene, l’importante è non turbare le gioie che solo il Super Green Pass sa dare.

Carlo Cantono

 

Pure Mino vuole firmare contro il Caimano

Anche Mino, come il suo fratello Mirtillo, inorridisce all’idea che l’ex finanziatore della mafia possa salire al Quirinale, ma inorridisce anche quando sente i nomi degli altri papabili giostrai come Amato, Draghi, Alberti Casellati vien dall’attico, Cartabia, Casini e palafrenieri al seguito.

Paolo Sanna

 

Perché l’Europa impone il ritorno alla Fornero?

A Radio Rai un giornalista ha spiegato come i soldi del Pnrr della Commissione europea siano vincolati a un ritorno alla legge Fornero. Insomma, gli ultrasessantenni, che già pagano all’Inps il Reddito di cittadinanza per i disoccupati, per lo più giovani, dovranno pagare alla Ue anche il famigerato RF, perché lo Stato farà cassa con i loro contributi per ripagarlo alla Commissione. Ma cosa ha fatto di male la mia generazione per essere trattata come le merdacce fantozziane? Abbiamo sempre fatto il nostro dovere, lavorando e pagando tasse e contributi, e ancora non è sufficiente? Lo zio Tom era trattato con più umanità dagli schiavisti dell’Ottocento americano rispetto alla mia generazione. Questa ingiustizia è così grave che fa venire meno qualsiasi obbligazione politica, perché lo Stato è venuto meno al proprio obbligo verso il cittadino contribuente. Un tale Stato quale lealtà può chiedere a chi è in età da pensione? Nessuna.

Vincenzo Magi

Caro Vincenzo, ovviamente non è affatto vero che i fondi del Pnrr siano vincolati al ritorno della Fornero. Ma quando si vuole giustificare una porcata si tira in ballo l’Europa. Che ha tante colpe, ma non tutte.

M. Trav.

 

La società civile è troppo silenziosa

Alla domanda della giornalista Bonsanti che, comprensibilmente angosciata in riferimento a Berlusconi, si chiede “cosa bisogna fare in questo Paese perché qualcuno dalla comunità civile protesti?”, rispondo che è molto semplice: basta istituire un bel Green pass.

Maurizio Derossi

 

Se B. va al Colle, mi vestirò a lutto

Se il pregiudicato dovesse accedere al Quirinale, listerò a nero il tricolore che sventola da anni davanti a casa mia.

Arosio Gaviola

 

I NOSTRI ERRORI

Ieri, nell’articolo a pagina 2 dal titolo “Il pass dei positivi non si revoca – La ‘black list’ non è mai esistita”, abbiamo scritto che Il Fatto anticipò la notizia del “bug” nella certificazione verde il 14 agosto, quando invece era il 13 agosto, nella rubrica “Non c’è di che” di Daniele Luttazzi. Ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.

Fq

Da un fisico “Più energie rinnovabili in attesa del nucleare sicuro e pulito”

Gentile redazione, abbiamo letto il vostro articolo molto interessante: “Comanda Eni o il governo?” sul Fatto di sabato scorso. Domanda: “E se comandassero gli italiani che si sono espressi con ben due referendum contro il nucleare” (di fissione è bene precisare)? I due progetti sono entrambi sbagliati al 50 per cento: Enel fuori dalla fusione, vera risorsa, con solo rinnovabili ed Eni (e Cingolani!), che promette la fusione ma, nel frattempo, punta sulle centrali a fissione, riverniciate per l’occasione, sotto la forma di più piccole centrali modulari, da distribuire sul territorio. L’Italia dica di no a questa truffa, condita dal balletto con Macron! La via italiana dovrebbe essere quella di puntare su un mix di rinnovabili e in particolare sul solare termico e fotoelettrico. Abbiamo gran parte del Paese con una esposizione solare unica in Europa: basterebbe includere nel bonus facciate o simili la promozione di questa energia. Poi, oltre alle rinnovabili, arriverà la fusione nucleare: il “sole in bottiglia”, energia pulita, sicura e a basso costo. È più vicina di quanto ci facciano credere: 2025-2028 il primo prototipo di centrale funzionante in continua, 2030-2035 la prima centrale commerciale da collegare alla rete di distribuzione (dati Eni). Già ad andare a metà secolo, data cui ci riferisce per bloccare a 1,5 °C l’aumento del riscaldamento globale, il contributo della fusione non sarà trascurabile, ed è destinato a diventare decisivo nella seconda metà del secolo. Forse la fusione arriverà addirittura prima, grazie a sviluppi di aziende private. Negli ultimi due anni i progressi sono stati travolgenti, grazie in particolare ai nuovi materiali superconduttori a più alta temperatura. Come con il Covid, dobbiamo trovare una via italiana che si adatti a un Paese con alta densità di popolazione, fragile e sismico, senza far regali a partiti, gruppi industriali o altre nazioni che hanno problemi diversi (come la Francia). La tragedia di Fukushima in Giappone, che ha determinato la scelta tedesca di abbandonare il nucleare “sporco” di fissione, è stata il disastro, non ancora terminato, di una centrale considerata super-sicura. Senza contare il problema irrisolto di cosa fare delle scorie nucleari. Se si vogliono capire a fondo i dannati rischi del nucleare “sporco”, si legga il bel libro Scream dei professori Baracchi e Ferrari, grandi esperti del settore. Si aggiunga che distribuire sul territorio mini centrali nucleari di fissione aumenta i rischi di ogni tipo. Immaginiamo anche solo di trasportare con continuità l’uranio arricchito in giro per le nostre strade, gallerie e ponti. Cosa ci possiamo attendere? Se si vuol invece capire più a fondo lo sviluppo travolgente della fusione si veda il recentissimo articolo “The chase for fusion energy” di Philip Ball su Nature.

Prof. Giovanni Borasi, Medaglia d’oro 2015 per la Fisica Medica

I bimbi e il dilemma rischi-benefici

Perché ancora panico? E perché usare l’argomento più sensibile – la salute dei bambini – per trovare adesione a un più allargato piano vaccinale? Ho il più profondo rispetto dei genitori che vengono messi tra i due fuochi, dovendo scegliere tra la salute dei propri bambini e la necessità di non privarli di una normale socialità. Mi riferisco all’offerta vaccinale per la fascia d’età tra i 5 e gli 11 anni. Io sono per l’obbligo vaccinale almeno per la fascia degli anziani e per i fragili, sia per motivi sanitari che per assunzione di responsabilità istituzionale, ma è stato scelto un metodo diverso. Lentamente la morsa è stata sempre più stretta fino ad arrivare alla concreta necessità di vaccinarsi per sopravvivere socialmente e lavorativamente. Torniamo ai bambini. Tutti auspichiamo che siano protetti da ogni possibile malattia ma, al pari, dobbiamo usare farmaci e vaccini che siano sicuri e, siccome non esiste la possibilità che non ci sia alcun effetto collaterale anche somministrando un’aspirina, che il rapporto rischio–beneficio sia dalla parte del piccolo. In questa fase nella quale si stanno ancora raccogliendo i dati, aspettiamo. E invece c’è una pressione insopportabile. Si strumentalizzano i dati. I Pronto soccorso degli ospedali pediatrici sono sotto pressione, ma non si dice qual è la vera causa, la bronchiolite da virus respiratorio sinciziale (RSV). Riferisco le parole del Prof. Gianvincenzo Zuccotti, preside della facoltà di Medicina dell’Università Statale e direttore di Pediatria e Pronto soccorso pediatrico dell’Ospedale Buzzi di Milano, pediatra di chiara fama e vasta esperienza: “Nel mese di novembre abbiamo avuto 4 mila accessi al Pronto soccorso, che al Buzzi è esclusivamente pediatrico. Casi di complicanze come le sindromi infiammatorie multisistemiche (la ‘mis-c’) al Buzzi ne abbiamo osservati durante la prima e la seconda ondata, meno nella terza e in quest’ultima ondata quasi nessuno. Però le cose possono cambiare repentinamente, l’attenzione va tenuta alta”. A questo va aggiunto il dato ufficiale: nei bambini vaccinati, 1 miocardite (da lieve a grave) ogni 10.000. I numeri parlano da soli.

*Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Lo sciopero politico per golfisti

Come già per il golf secondo George Bernard Shaw, anche per definire spregiativamente “sciopero politico” quello generale indetto da Cgil e Uil il 16 dicembre non è indispensabile essere stupidi, però aiuta. Il fatto che ormai si viva immersi in dissonanze cognitive ben più gravi non può lasciar passare sotto silenzio questa, che ha unito politici e commentatori di vario genere, la gran parte autorevolissimi. Forse andrebbe ricordato che lo sciopero è sempre un atto politico e ancor di più lo è quando lo proclama a livello nazionale un sindacato confederale: trattasi, se è lecito ricordare l’ovvio in questo assai frequentato campo da golf, di un soggetto che mira a rappresentare non le singole categorie, ma l’intero mondo del lavoro (ivi compreso di chi gode del salario differito detto pensione). Tradotto per chi giusto adesso sta scegliendo il ferro: il sindacato confederale nasce e vive come soggetto politico e non può che fare politica. Peraltro – come chiarì ai golfisti di allora la Corte Costituzionale nel 1974 – “In via generale si osserva che appare difficile, se non impossibile, distinguere tra sciopero per fini economici e sciopero per fini politici, attesa la stretta connessione esistente tra le due forme, tanto da doversi considerare sciopero economico anche quello che sostanzialmente si risolve in una pressione politica nei riguardi dei pubblici poteri al fine di stimolarli all’accoglimento di determinate rivendicazioni”. Non si vuole, però, sottrarsi al dovere di interpretare correttamente quanto intendono dire i più pensosi tra i nostri golfisti (e pure qualche caddie), per quanto in basso occorra scendere: lo sciopero sarebbe “politico” nel senso che farebbe gli interessi di qualcuno contro qualcun altro. Chi siano gli attori e come questo avvenga non è mai spiegato, però pare che questo benedetto sciopero possa persino turbare il quadro politico nel momento in cui leader e peones sono intenti a giocare alle figurine in vista del voto sul prossimo presidente della Repubblica e, ove dovesse ascendere al Colle più alto San Mario da Città della Pieve, della scelta del capo del governo. E qui, prendendo a prestito un celebre passo di Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, diremmo: E sticazzi non ce lo metti?

Su Maresca il Csm ha sbagliato: poteva mandarlo al ministero

Il Csm, con 11 voti a favore e 11 astensioni, ha deliberato di assegnare il posto di consigliere della Corte di Appello di Campobasso al magistrato Catello Maresca (sost. proc. gener. a Napoli) che, presentatosi alle elezioni amministrative della città, era risultato sconfitto come candidato sindaco (per il centrodestra) ma, comunque, eletto consigliere comunale (indicato come futuro capo dell’opposizione in consiglio comunale). La delibera del Csm ha scatenato una violenta polemica: chi ha votato per il sì ha tenuto a precisare che era stata “applicata la normativa vigente” – la quale consente che un magistrato possa essere, nel contempo, anche consigliere comunale – e che, quindi, era “una scelta dovuta”; chi, invece, si è astenuto ha puntato l’indice contro “la colpevole inerzia del legislatore” – (così, il componente Cascini, a suo tempo intimo di Palamara al quale chiedeva “contatto, non posso romperti i coglioni per ogni partita”, con riferimento ai biglietti gratuiti per il figlio allo stadio) – o ha dichiarato che “l’astensione era un segnale alla politica” (come il componente Suriano). Il comportamento degli astenuti è improprio perché – se essi ritengono che esiste una lacuna normativa – non avevano altra scelta che votare favorevolmente e l’astensione appare anomala e strumentale iniziativa per “mandare segnali alla politica”. Il Csm non manda “segnali alla politica”; esso, con apposite delibere adotta, su questioni relative all’ordinamento giudiziario, pareri, anche di severa critica, inviandoli ai competenti organi istituzionali. Ora, è vero che non esiste alcuna norma che stabilisca l’incompatibilità del magistrato con la carica di consigliere comunale, e non vi è alcun dubbio che tale incompatibilità andrebbe rigorosamente imposta (questo giornale, da anni, scrive che “i magistrati devono fare solo i magistrati”); ma la vera questione era quella di verificare se nella normativa esiste una chiave interpretativa che consenta al Csm di destinare il magistrato, che è stato eletto – anziché in un ufficio ove svolga le funzioni giurisdizionali – al ministero di Giustizia. Si può obiettare che per il collocamento fuori ruolo è necessario il consenso dell’interessato, atteso il principio della inamovibilità del magistrato che verrebbe, comunque, privato delle funzioni giurisdizionali. Va, di converso, evidenziato che non può parlarsi di violazione del principio di inamovibilità del magistrato per la semplice ragione che il Maresca ha già perso il posto di sostituto procuratore generale e che, per quanto riguarda le funzioni, egli era “cessato” dalle stesse per essere stato collocato dal 12 maggio, in aspettativa per potersi candidare. L’art. 60 del D.lgs. n° 267/2000 (e succ. modif.), stabilisce che sono ineleggibili nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni i magistrati addetti alle Corti di Appello e ai Tribunali, salvo che “l’interessato cessi dalle funzioni … per collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature”. E, allora, non sembra che, in un caso del genere, sia necessario il consenso del magistrato per il collocamento fuori ruolo presso il ministero di Giustizia, perché egli di sua sponte, ha deciso di scendere nell’agone politico e ha determinato, di conseguenza, il suo collocamento in aspettativa, così cessando, a seguito della sua scelta, dalle funzioni, situazione persistente al momento in cui il Maresca – eletto consigliere comunale – chiede la riammissione in servizio, sicché nulla osta a che il magistrato – ancora privo di funzioni per la sua libera scelta – venga assegnato, fino all’espletamento del mandato elettorale, al ministero, atteso anche il superiore interesse dell’amministrazione della giustizia che così impedisce lo scandalo o la vergogna del contemporaneo esercizio della funzione giurisdizionale con l’espletamento di attività politica.

 

Le “liti temerarie” che minacciano l’informazione

“I politici non sono né di destra né di sinistra: sono solo politici. L’unica cosa che gli interessa è il potere”

(da Indipendenza di Javier Cercas –
Guanda, 2021 – pag. 294)

Apostrofare come “pregiudicato” un giornalista, tanto più il direttore responsabile di un giornale, come ha fatto recentemente Matteo Renzi in tv nei confronti di Marco Travaglio, è uno spregio alla libertà di stampa e un affronto al diritto d’informazione. Un diritto che, prima ancora dei giornalisti, riguarda i cittadini, i lettori, l’opinione pubblica. I reati a mezzo stampa, a parte i casi specifici di diffamazione su cui spetta alla magistratura giudicare, sono equiparabili per lo più ai reati d’opinione: quelli, per intenderci, che incriminano una manifestazione del pensiero. E come tali appartengono a una cultura giuridica autoritaria e repressiva. Non a caso risalgono a un Codice penale del 1930 che prende nome da Alfredo Rocco, il Guardasigilli del governo Mussolini. Anche quando un giornalista incorre in un reato del genere, lo fa nell’esercizio delle sue funzioni professionali, generalmente in buona fede, nell’interesse collettivo, a proprio rischio e pericolo.

Questo vale a maggior ragione per un direttore, su cui grava un monstrum giuridico come la cosiddetta responsabilità oggettiva, per cui risponde di tutto ciò che viene pubblicato sul suo giornale, anche se non ha avuto la possibilità materiale di leggerlo e di controllarlo. Una culpa in vigilando, come si dice. Un reato senza dolo e senza colpa, mentre – come si sa – la responsabilità penale è personale.

La querela per diffamazione, accompagnata eventualmente da una richiesta di risarcimento, diventa allora uno strumento d’intimidazione. Una clava da agitare sulla testa dei giornalisti, per minacciarne uno e “avvertirne” magari altri cento. C’è infatti un’ipoteca di milioni di euro che pende, come una spada di Damocle, sulle aziende editoriali e minaccia in particolare quelle minori. Farebbe bene perciò il Parlamento ad approvare al più presto la proposta contro le “liti temerarie”, presentata dal senatore Primo Di Nicola (M5S), per stabilire che chi le intenta sia costretto a pagare un congruo indennizzo in caso di soccombenza.

Tanto azzardato e incerto è percorrere la via penale che ormai i politici, e spesso anche i magistrati, preferiscono imboccare quella civile per chiedere cospicui risarcimenti e monetizzare – per così dire – la rivendicazione dei propri diritti, reali o presunti che siano. Chi per farsi la villa o pagare il mutuo, chi per cambiare l’auto, chi per organizzarsi le vacanze. E quando il senatore Renzi afferma di essersi procurato in questo modo un “vitalizio”, in aggiunta a quello parlamentare, dimostra un’arroganza e un cinismo politico che vanno oltre la legittima difesa. Arriviamo così al disprezzo della libertà di stampa, del diritto di critica e di opinione.

Da qui a invocare il carcere per i giornalisti, il passo è breve. Personalmente, essendomi schierato contro la legge-bavaglio fin dal 2012 e avendo difeso dalle colonne di Repubblica perfino l’ex direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, che rischiava di finire dietro le sbarre, ritengo che i giornalisti dovrebbero fare fronte comune contro le aggressioni dei politici, al di là delle rispettive opinioni e posizioni. Non tanto in ragione di una solidarietà corporativa, quanto piuttosto in difesa dell’autonomia e dell’indipendenza professionale. Magari evitando di parlare di “processi mediatici” quando in realtà si tratta di campagne di stampa che possono anche essere giuste o sbagliate, piacere o non piacere, ma rispondono tendenzialmente alla funzione fondamentale del watch dog, cioè del cane da guardia, nei confronti del potere e dei suoi abusi.

 

Le fake news sul Covid date al nostro corpo

La storia umana è divisa, convenzionalmente ma non solo, in Età della pietra, Età del bronzo, Età del ferro. Ognuna è caratterizzata da straordinarie innovazioni. Nemmeno la pietra, che di questi materiali sembra il più inerte, è innocente. Tutto dipende, per dirla con Duchamp, da come si guardano le cose e da come le si guardano l’uso che se ne può fare. In un delizioso apologo inserito in Diario minimo intitolato “La Cosa”, Umberto Eco racconta questa favoletta. Un generale ha ingaggiato il professor Ka perché inventi un’arma formidabile capace di sterminare i nemici. Dopo cinque anni Ka presenta al generale, comprensibilmente impaziente, un sasso. “Ma questo è solo un sasso” dice il generale. “Vi sbagliate” replica Ka. “Guardatelo bene è un sasso con una punta aguzza che può frantumare la roccia, spezzare una noce di cocco e quindi anche uccidere i nemici”. È la scoperta della violenza, dell’energia che è nascosta in ogni materiale. Il tema verrà ripreso da Stanley Kubrick in 2001, Odissea nello spazio quando l’ignaro scimmione che sta utilizzando il suo bastone per raccogliere cibo, del tutto involontariamente, fracassa lo scheletro di un animale. E questa scoperta dell’energia porterà alla Bomba e ingenererà infiniti conflitti di cui non si intravede la fine.

Varie quindi e, molto più di quante ne abbiamo elencate, sono le età della storia umana. Non esiste invece, benché se ne favoleggi di continuo, una ”età dell’Oro”. È la nostalgia di una origine delle origini quando l’uomo viveva senza sofferenze, senza dolore, senza fatica. È il mito del Paradiso Perduto prima che a Eva, Eva la civetta, Eva la maliarda, Eva la lasciva, Eva la fedifraga, ma soprattutto Eva la curiosa, non venisse la bislacca idea di mordere con i suoi candidi dentini la mela della conoscenza da cui sono venuti tutti i nostri guai. Bisogna dire che la sciagurata qualche giustificazione ce l’ha. Era stata tentata dal Potente Spirito che aveva capito bene come l’uomo fosse il più fragile e il più indifeso degli animali (devo ammettere che io ho un debole per Lucifero, il più bello degli Angeli che non accetta l’insopportabile strapotere di Dio, è il primo Ribelle della storia, “meglio esser primi in Inferno che in Ciel servire” The lost paradise, John Milton).

Se la storia umana è divisa in ere, la nostra è sicuramente l’Era dell’Informazione. Dalla quasi innocente invenzione della stampa, attribuita a Johannes Gutenberg, passi enormi si sono fatti in questa direzione. Col computer, una delle invenzioni più geniali paragonabile forse solo a quella della macchina a vapore di Watt, si sono spalancate praterie enormi che vanno molto al di là dei media tradizionali: Twitter, Instagram, Facebook, Tik Tok e tutto l’immenso mondo del digitale. Oggi le guerre fra le grandi potenze, Stati Uniti e Russia, per dire, ma anche Cina, si fanno con l’informazione, la controinformazione, la disinformazione, con l’hackeraggio entrando nei sistemi altrui per carpirne le notizie o distruggerli.

Trovo un sottile contrappasso nel fatto che oggi il nostro maggior nemico sia ritenuto il Covid, o i suoi mutanti, che altro non è che un’informazione. Un’informazione sbagliata. A differenza del caro e vecchio batterio è molto dubbio che il Covid sia un essere vivente perché “i virus non crescono e non producono energia” (Med4care). È solo un’informazione appunto. Usano astuzie da hacker, si introducono in una cellula e per un bel po’ fan finta di nulla, per poi esplodere quando lo ritengono opportuno. Se non sono umani sono senz’altro disumani. Sono molto intelligenti e, altra analogia con il mondo dell’informazione, diciamo così, normale, sono capaci, anche per la loro qualità di mutanti, di sparare fake news a raffica.

C’è poi un dubbio, un dubbio da assoluto dilettante si intende, che mi tormenta e si può riassumere così: è nato prima l’uovo o la gallina? Se infatti il Covid non può vivere se non all’interno di una cellula, allora è stata la cellula a partorire il Covid o il Covid ha partorito la cellula? E dove stava prima, visto che senza un “ospite” è un uomo, pardon un virus, morto?

Il Covid dà informazioni sbagliate, a suo uso e consumo. Ma anche l’informazione, diciamo così normale, dà informazioni che, sbagliate o vere che siano, non verificabili, si spargono per l’universo mondo e non per nulla si definiscono “virali”.

Quando Fidippide corre per 42 km da Maratona ad Atene per dare agli Ateniesi la notizia che i Persiani sono stati sconfitti, questa è una notizia certa. E questo, a parer mio, è il solo modo serio di dare le notizie. I giornalisti di oggi che, nella stragrande maggioranza dei casi, non alzano il culo dalla sedia e si abbeverano al mondo del digitale, cioè al mondo delle balle, ne prendano nota.

 

I migliori programmi tv: dalla “santa messa” a “tutta colpa di freud”

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Canale 5, 14.45: Uomini e Donne, reality. Maria De Filippi fa ormai così tanti programmi (Uomini e Donne, Amici, Tú sí que vales, e a gennaio riparte C’è posta per te) che è sempre più difficile mancarla. Rai1, 15.55: Il paradiso delle signore, soap. Marco continua a fare la corte a Gemma. MARCO: “Uhm… Ehm…” GEMMA: “Ehm… Uhm…” MARCO: “Sono molto nervoso.” GEMMA: “Tranquillo: neanch’io so recitare”. Rete 4, 21.20: Fuori dal coro, attualità con Mario Giordano. Le puntate che hanno fatto da sponda ai no-vax e ai no pass parlando di “liberticidio” portavano ascolti, ma a quanto pare adesso nuocciono alle chance presidenziali del padrone, e il programma è stato sospeso fino a gennaio, quando Berlusconi verrà eletto. Giordano ha sbraitato, ma in caso di bavaglio si va via, come fece qualcuno, sennò #sei complice. Rai Movie, 23.00: Sole rosso, film western con Charles Bronson, Toshiro Mifune e Alain Delon. BRONSON: “Non muoverti o ti riempio di così tanti buchi che sembrerai un clarinetto giallo!” MIFUNE: “Non sparare. Da quella distanza non sbaglierebbe nessuno.” DELON: “Bronson, se non puoi essere un gentiluomo, sii almeno una signora”. Amazon Prime Video, on demand: Star Trek: Picard, fantascienza. Non riesco a seguirlo con attenzione: a ogni episodio continuo a chiedermi come starebbe il parrucchino di William Shatner sulla coccia pelata del capitano Picard. Canale 5, Tutta colpa di Freud, serie. Francesco, uno psicanalista milanese, ha attacchi di panico e problemi famigliari in un carosello di cliché da commedia italiana contemporanea, quella che alla fine ti fa sempre venir voglia di toglierti la vita. Non so come ci riescano. Rai 3, 13.15: Passato e presente, documentario. La nuova edizione del programma condotto da Paolo Mieli inizia con una puntata sulla guerra in Afghanistan. Ricordo quando andai laggiù, su incarico del governo, per allietare le nostre truppe con uno show a base di ragazze, musica e risate. Gli spettacoli avevano successo, perché eravamo in posti dove per un soldato l’unica possibilità di sconfiggere la monotonia era scoprire che gli stava crescendo addosso un nuovo fungo, o uccidere per sbaglio una bambina di 13 anni. In giro non c’erano donne: al sabato sera i soldati pagavano un biglietto per vedere una ballerina di hula-hoop tatuata sul torace di un sergente, ballerina che il sergente, contraendo certi muscoli, faceva muovere in modo arrapante. Non vi dico cos’era l’ombelico. Uno del Comsubin si fidanzò col tatuaggio. Altri chiesero al sergente se il tatuaggio aveva una sorella. Un natale anche Sabrina Ferilli stava partendo per l’Afghanistan a intrattenere le nostre truppe, quando si accorsero che nella località prevista erano di stanza solo un sergente e un soldato semplice. L’esercito dovette inviare in aereo 10.000 soldati dal Friuli in modo che Sabrina non si sentisse offesa. Ne bastavano mille, ma con 10.000 c’era lo sconto comitive. La guerra in Afghanistan, come quella in Iraq, dimostrò che l’Italia appoggia gli Usa anche quando sbagliano. È lo stupido amore incondizionato che ti fa dire: “Se tu ti fai di eroina, anch’io mi faccio di eroina”.Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Pensate se invece di crocifiggerlo gli avessero dato dieci anni di galera. Esce e vive fino a ottant’anni, diventando cinico, misantropo e rompicoglioni come tutti i vecchi: “Porgimi l’altra guancia, stronzo!”.