Al grido di “Fateli scendere”, centinaia di persone hanno manifestato ieri davanti a Montecitorio per chiedere al governo di “offrire un porto sicuro in Italia alla Sea Watch, che sabato scorso ha salvato 47 persone, ripristinando il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali”. In piazza anche i promotori dell’appello “Non siamo pesci”, che stanno raccogliendo migliaia di firme anche per chiedere “di istituire subito una commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo e di realizzare una missione in Libia”. Tra i presenti, il presidente dell’associazione “A buon diritto”, Luigi Manconi, lo scrittore Sandro Veronesi, il deputato di Leu Nicola Fratoianni appena rientrato da Siracusa dove è salito a bordo della nave, il vicepresidente Pd della Camera Ettore Rosato, il giornalista Gad Lerner e l’attrice Sonia Bergamasco. Alla manifestazione anche diversi attivisti e alcuni operatori del Cara di Castelnuovo di Porto, chiuso nei giorni scorsi. “Bisogna restituire a queste persone la loro dignità. Li si sta trattando come merce elettorale”, ha detto Manconi parlando dei naufraghi del Mediterraneo. Decine di organizzazioni non governative e associazioni hanno rivolto appelli al governo.
La prodiana Zampa: “Anche il M5s votò la legge sull’infanzia”
“La mia legge è stata profetica e in particolare l’articolo 3 parla chiaro: Salvini sta violando quella legge”. Lo dice Sandra Zampa, ex deputata del Pd vicina a Romano Prodi e ora nel Consiglio italiano dei rifugiati che nel 2013 presentò la proposta di legge sulla protezione dei minori stranieri non accompagnati, diventata legge n. 47 del 2017. Su quella base, secondo Zampa, il ministro dell’Interno Matteo Salvini dovrebbe far sbarcare i minori non accompagnati che sono a bordo della Sea Watch, la nave della ong tedesca ferma al largo di Siracusa. La violazione della legge Zampa è contestata al ministro dell’Interno anche dal Tribunale dei ministri di Catania che ha chiesto l’autorizzazione a procedere per sequestro di persona e abuso d’ufficio per il caso della nave Diciotti dello scorso agosto. L’articolo 3 vieta il respingimento alla frontiera dei minori non accompagnati, che sono 8 sulla Sea Watch. La Procura dei minori si è mossa su questa base chiedendo, fin qui invano, lo sbarco degli under 18. Zampa ricorda che il provvedimento fu modificato e approvato da tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia e Lega, mentre Forza Italia lo votò in parte. “Ma soprattutto – sottolinea – votarono a favore i 5 Stelle”.
Dimenticati a Malta i 49 naufraghi salvati a Natale
Sono trascorsi 20 giorni e, spenti i riflettori, di quel che accade Malta non sembra interessare più a nessuno. Né al governo italiano, né ai politici che in queste ore lottano per far sbarcare i 47 naufraghi soccorsi dalla Sea Watch e bloccati a poche miglia da Siracusa. Eppure dopo giorni di stallo, il 9 gennaio scorso, finalmente i 49 migranti soccorsi, dopo ben 19 giorni trascorsi in mare, riuscirono a sbarcare a Malta in seguito a una trattativa estenuante.
Otto paesi accettarono la redistribuzione insieme ad altri 249 migranti sbarcati a dicembre. Oltre che dall’Italia, l’accordo prevedeva che fossero accolti da Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo e Paesi Bassi. “C’è un limite al rigore” dichiarò il premier Giuseppe Conte sbloccando la situazione e impegnandosi ad accoglierne una decina che sarebbero stati affidati alla Chiesa Valdese. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini s’infuriò al punto che Conte gli rispose: “Vorrà dire che non li faremo sbarcare, li prenderò con l’aereo e li riporterò”.
Ecco, il punto è che quella decina di migranti, al di là delle battute e delle polemiche tra premier e Viminale, sono ancora lì che aspettano. Non sono mai sbarcati. E non sono mai atterrati. In sostanza l’Italia non s’è mai presentata per le identificazioni e l’accoglienza. Aspettano loro, così come aspetta la Chiesa Valdese. Il motivo? Fonti del Viminale fanno sapere: se non si presentano a Malta gli altri Stati perché dovremmo presentarci noi. Ma quando gli chiediamo se gli anche gli altri 7 Paesi europei hanno finora disatteso l’appuntamento, non sono in grado di fornire una risposta certa. E allora: di sicuro c’è soltanto che quella decina di naufraghi sbarcati a Malta, in attesa di giungere i Italia, sono ancora lì. E che spenti i riflettori, di loro, qui in Italia, non sembra occuparsi più nessuno.
Il curriculum della “talpa” anti-Ong al braccio destro del sottosegretario Rixi
È la primavera del 2017 quando, negli uffici della Regione Liguria, giunge un curriculum. È indirizzato al braccio destro dell’attuale sottosegretario della Lega Edoardo Rixi. E arriva da una persona che, fino a poco tempo prima, era a bordo della Vos Hestia, la nave della Ong Save The Children, come agente della sicurezza. Parliamo di una delle persone che hanno fatto partire l’inchiesta di Trapani sulle Ong.
Il punto è che – come rivelato dal Fatto – prima di denunciare alla Squadra mobile di Trapani, due agenti privati della security, contattano lo staff dell’attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini, al quale girano informazioni sulle Ong e, in particolare, su Save The Children.
In un’occasione – siamo nell’ottobre 2016 – l’agente della sicurezza a bordo della Vos Hestia, Pietro Gallo, registra una conversazione a bordo, su richiesta della sua collega, con l’accordo di girarla allo staff di Salvini, per provare a dimostrare che l’Ong salva persone con lo scopo di farsi pubblicità. Nella primavera del 2017 in Regione giunge il curriculum di uno dei due agenti in questione.
La Regione Liguria non è un’agenzia interinale, né l’ufficio di un imprenditore privato: perché il curriculum dell’agente della security viene indirizzato proprio in Regione? E proprio a un esponente della Lega?
Il Fatto ha contattato Rixi per chiedergli una spiegazione: “In occasione di un evento pubblico – spiega Rixi – fui avvicinato da una ragazza. Mi spiegò che aveva denunciato le Ong, che però era sbarcata e aveva perso il lavoro. Non posso dire che mi abbia espressamente chiesto un posto di lavoro, ma ricordo di averle dato la mail della Regione, per inviarmi il suo curriculum. Sono certo che non vi siano più stati contatti”.
A fare da tramite fu l’attuale parlamentare della Lega Flavio Di Muro, all’epoca capo segreteria di Rixi in Regione: “Di inviare un curriculum – spiega Di Muro – lo diciamo a centinaia di persone. Ma non siamo mica un ufficio di collocamento. Non mi ha espressamente chiesto un posto di lavoro e non l’ho più vista”. Ma come arriva la donna a Rixi e Di Muro? Entrambi sostengono che non gli sia mai stata presentata né segnalata da nessuno. Ne prendiamo atto.
L’agente della security Pietro Gallo, però, al Fatto ha rivelato: “La mia collega incontrò Salvini e il suo staff a Milano. Mi disse di aver spiegato che, inviandogli fotografie e informazioni, rischiavamo di perdere il lavoro: mi riferì che sul punto fu rassicurata. Intepretai così le sue parole: se avessi perso il lavoro, avrei ricevuto un aiuto per trovarne un altro”. Nei fatti, la collega di Gallo, incontra Rixi e poi invia il curriculum in Regione. Rixi sia Di Muro ribadiscono che si presentò da sola e non vi fu alcuna segnalazione da parte di Salvini o del suo staff. Qualche settimana prima dell’invio del curriculum in Regione, Salvini parla in tv dell’esistenza di un rapporto in mano all’Aise: “Mi risulta che ci sia un dossier dei servizi italiani sui contatti tra Ong e scafisti: se esiste, e il premier Gentiloni lo tiene nel cassetto, sarebbe gravissimo”. A sentire Salvini, ad avere un dossier sui rapporti tra Ong e scafisti, sarebbe Gentiloni. A sentire Gallo è invece l’attuale ministro dell’Interno ad avere un “dossier” sulla vicenda. E a lasciarlo nel cassetto.
Il Fatto –mai smentito – ha scritto che la donna consegna a Salvini e al suo staff, il 13 marzo 2017, la documentazione che gli agenti della security hanno inviato all’Aise. Eppure l’allora presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, del suo stesso partito, sul dossier dei servizi smentisce categoricamente Salvini che parlava anche di armi e droga a bordo: “Notizie prive di fondamento”. E il M5S all’epoca dichiarò: “Su quali basi Salvini fa queste affermazioni? Perché non va in procura a denunciare?”. Il vicepremier, in procura, non ci andò mai. In Regione, sebbene senza risultati, giunse invece il curriculum di chi lo informava.
Mattarella scarica su Conte. E lui: “Vadano in Olanda”
Il Colle telefona, chiede, suggerisce. Insomma invoca “una soluzione” per la Sea Watch 3, ma con un’avvertenza: questa volta Sergio Mattarella non si esporrà. E Palazzo Chigi prima nega (“Oggi non abbiamo avuto nessun contatto”). Poi in serata propone la sua via d’uscita, ossia il trasferimento dei migranti in Olanda tramite un apposito corridoio umanitario. È il senso di una lunga nota che torna sulla strada di fatto indicata giorni fa dal vicepremier Luigi Di Maio, a cui le autorità di Amsterdam hanno già detto di no.
Così Palazzo Chigi annuncia contromosse: “Domani (oggi, ndr) l’Italia depositerà una memoria difensiva davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, già attivata dal capo della nave e dal capo missione, con la quale farà valere la giurisdizione dell’Olanda sulla Sea Watch”. Perché la Ong sostiene che sia stato violato il divieto di respingimenti collettivi previsto dalla Convenzione europea dei diritti umani. E da qui si arriva al passaggio politico: “Ci rendiamo disponibili, una volta riconosciuta la giurisdizione olandese sulla nave, a offrire un corridoio umanitario così da consentire un trasferimento dei migranti in Olanda”, scrive Palazzo Chigi. Nell’attesa, il governo di Roma offre “generi di conforto e la necessaria assistenza sanitaria” all’imbarcazione al largo di Siracusa. E ovviamente se la prende ancora con “la temeraria condotta della Sea Watch, che anziché trovare riparo sulla costa tunisina a 40 miglia, si è avventurata in una traversata di centinaia di miglia”.
Così parlò la presidenza del Consiglio, cioè Giuseppe Conte: che non ha alcuna voglia di smarcarsi dai due suoi due vice, Di Maio e Salvini. Anche se il Quirinale è preoccupato. E anche se il presidente della Camera è il grillino rosso Roberto Fico, che predica l’accoglienza come valore fondante. Quindi spinge perché i migranti vadano fatti sbarcare, prima possibile. Ma non può pensarla così dritta il vicepremier Di Maio, che deve gestire il rapporto con Salvini, su cui già gravano mille grane: dal Tav fino a quella ora più rumorosa, il voto in Senato sulla richiesta di rinvio a giudizio per il ministro dell’Interno. E proprio per il caso della nave Diciotti, quello dello scorso agosto, quando Mattarella intervenne calando l’ordine su Conte: “Fateli sbarcare tutti”. E Salvini non gradì: “Non con il mio consenso”. Un copione che difficilmente potrà ripetersi, almeno a breve. Proprio perché ora sul capo della Lega balla una richiesta di rinvio a processo. Ed è una circostanza che induce al Colle a muoversi con grande prudenza.
Ma il lavorìo dietro le quinte è quotidiano. Così in giornata plana la visione fuori taccuino del Quirinale. E nel gioco di sfumature si nota il riferimento diretto a Salvini: “La speranza è che l’assicurazione ‘stiamo lavorando’ espressa dal ministro dell’Interno possa tradursi presto in fatti concreti, che tuttavia sono legati in via esclusiva alle scelte del governo”. Tradotto, bisogna muoversi. Ma sul come, se la veda l’esecutivo, e innanzitutto il ministro dell’’Interno. Palazzo Chigi tace, a lungo, con Conte che è a Cipro. E risponde dritto a Macron, l’avversario dei gialloverdi: “La valutazione se i leader siano più o meno all’altezza non può che essere rimessa al popolo”. Però ci sarebbero anche 47 migranti al largo da giorni. “Stiamo lavorando, anche per trovare una sistemazione alle persone a bordo” trapela da fonti della presidenza. Ma in serata ecco il comunicato, in linea con Lega e 5Stelle. Un corridoio umanitario potrebbe andare bene perfino al Salvini dei porti chiusi. E infatti ieri Di Maio è andato dritto, ancora, contro l’Olanda: “Siamo pronti all’incidente diplomatico”. È la rotta, “e anche un modo per uscire dall’angolo” ammettono fonti di governo. Quello di Conte, l’equilibrista.
Sea Watch: Salvini rischia se i minori non sbarcano
È questione di tempo. Giorni, forse ore. Ma sul tavolo del procuratore di Siracusa, Fabio Scavone, tra le tante informative previste, portebbe arrivare anche la segnalazione della Procura dei minori di Catania. Quella determinante per aprire un fascicolo che, anche questa volta, potrebbe coinvolgere il vicepremier Matteo Salvini. Tutto nasce dalla legge Zampa che “in nessun caso” prevede il respingimento dei minori non accompagnati. La Procura dei minori ha già chiesto ufficialmente a Salvini e al ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, di far sbarcare i minori non accompagnati. E nelle prossime ore – se la situazione non dovesse mutare – chiederà alla Procura di Siracusa di attivare una pratica a tutela dei minori. Fonti giudiziarie assicurano che anche ieri le due Procure hanno avuto contatti sul punto. C’è innanzitutto da capire se l’autodichiarazione dei minorenni a bordo, riguardo la loro età, sia sufficiente per attivare la pratica. “La Procura dei minorenni – spiega il procuratore Scavone – non s’è ancora attivata e mi riservo ogni valutazione dopo che avrò un quadro completo della situazione”. In realtà non esiste un vero e proprio termine di scadenza per portare i minori a terra. Ma tocca solo alla Procura minorile valutare se, ai minori non accompagnati che da venerdì notte sono a bordo della Sea Watch di fronte a Siracusa, sia stata fornita una tutela adeguata oppure no. Quando sul tavolo del procuratore giungerà – come a Siracusa ritengono altamente probabile – la “denuncia” della mancata tutela, Scavone dovrà valutare se sia stato commesso un abuso, se qualcuno non abbia rispettato la norma, e aprire il fascicolo d’indagine.
Nel frattempo la Procura ha escluso, in attesa di altre informative della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per il comandante della Sea Watch. La tesi di Salvini non ha per nulla convinto la Procura di Siracusa, neanche riguardo al fatto che la Sea Watch avrebbe ricevuto, dall’Olanda di cui batte bandiera, indicazioni per raggiungere un porto sicuro in Tunisia.
La condotta del comandante – è in sostanza la tesi della Procura – non è penalmente rivelante per molti motivi. Il primo: c’erano condizioni meteorologiche avverse e, con 47 persone a bordo, nel cuore della notte, la sua manovra è stata ritenuta tecnicamente corretta. Il secondo: la disposizione olandese non indicava un porto sicuro in Tunisia, ma un rifugio, quindi la scelta di dirigersi verso l’Italia è stata legittima. Chi rischia d’essere indagato – e probabilmente archiviato all’istante – sono invece i parlamentari che nei giorni scorsi si sono recati a bordo della Sea Watch. Hanno infatti violato un’ordinanza della Prefettura e della Capitaneria di Porto – la prima dipende da Salvini, la seconda da Toninelli – che vietava, anche per motivi sanitari, la navigazione verso la Sea Watch. “Oggi insieme a Maurizio Martina – ha detto Matteo Orfini – sono salito sulla Sea Watch. Per averlo fatto siamo stati indagati”. In realtà sono stati soltanto denunciati per aver violato l’ordinanza. Domenica, prima di Martina e Orfini, sulla nave sono saliti Stefania Prestigiacomo (FI), Nicola Fratoianni (SI–Leu) e Riccardo Magi dei radicali. In realtà il tutto, ammesso che Scavone intenda iscrivere i due parlamentari nel registro degli indagati, si risolverebbe con una sanzione pecuniaria che può arrivare, al massimo, fino a 206 euro.
Di certo c’è che, per il quarto giorno consecutivo, i 47 migranti, di cui 13 minorenni, sono rimasti a un miglio dalla costa di Siracusa. Salvini confida ancora nel sequestro della nave e la Procura oggi dovrà valutare l’informativa, redatta della Guardia di Finanza, che s’è concentrata sul percorso marittimo condotto dalla Sea Watch 3 dopo aver soccorso i migranti in acque libiche. La dottoressa Carla Trombino, garante per l’infanzia del Comune di Siracusa, ha presentato al Tribunale dei minorenni di Catania un ricorso d’urgenza per chiedere che vengano fatti sbarcare i 13 minori non accompagnati, e che vengano assegnati a un centro specializzato. Il Garante nazionale delle persone private della libertà, presieduto da Mauro Palma, ha chiesto “con la massima urgenza” al Ministro dei trasporti Danilo Toninelli “informazioni relative all’assegnazione di un luogo sicuro (POS) dove sbarcare le persone”.
Migrante si getta nel Brenta per salvare aspirante suicida
Ha sentitole urla d’aiuto e ha visto un uomo in mezzo al fiume, nel gelo del mattino. Senza pensarci troppo, si è tolto gli abiti e con una temperatura vicina allo zero, si è tuffato in acqua, portando a riva l’aspirante suicida. Un gesto eroico, che Ousmane Cissoko, migrante senegalese di 21 anni, arrivato dalla Libia tre anni fa, ha compiuto con semplicità. “C’era gente che gridava, ho visto quell’uomo, ma nessuno entrava in acqua, e il mio cuore mi ha detto che quella era la cosa importante da fare”, ha raccontato. Il fatto è avvenuto alle porte di Padova, sul passaggio Romeo Bonetti, la passerella pedonale che collega Ponte di Brenta al territorio di Cadoneghe. Erano le 7.50 quando un 68enne di Padova si è buttato sul fiume dal centro del ponte, per togliersi la vita. C’era una donna che stava passando e poco lontano c’era Osumane, con la sua bicicletta, diretto al posto di lavoro, un’azienda di Limena. Il giovane africano ha sentito le urla disperate, ha capito che non c’era tempo da perdere e che se non si fosse tuffato nessun’altro l’avrebbe fatto. Nonostante il salvataggio, il 68enne è giunto in gravissime condizioni in ospedale.
Nell’ex feudo alfaniano appalti truccati e sprechi
Quando fu analizzata da una commissione parlamentare nell’estate del 2017, il Cara di Mineo fu definito “un caso di scuola”. E non solo perché è il centro di accoglienza più grande d’Europa. Ma anche per tutte le criticità e per quella convergenza di interessi economici e politici, che guardavano più ai bacini elettorali che alle esigenze dei migranti. In tanti sono passati in questo “non luogo” di 404 villette. Ognuna avrebbe potuto ospitare 10 persone, ma negli anni passati il sovraffollamento è stato una costante: 3.200 era i migranti che si contavano al 26 maggio 2015, 3.359 al 6 luglio del 2016, di cui 110 bambini. I numeri sono poi diminuiti: “Dai 2.585 del 25 gennaio 2018 ai 1.357 del 25 gennaio 2019”, ha sottolineato il vicepremier Matteo Salvini ieri in un tweet, promettendone la chiusura entro l’anno. E sul Cara la politica non è divisa: ne chiedono la chiusura anche esponenti di Forza Italia e i 5 Stelle.
Ieri c’è stato il fermo di 19 ospiti accusati di associazione mafiosa, traffico illecito di sostanze stupefacenti e violenza sessuale aggravata. Ma non è la prima volta che il Cara finisce al centro di inchieste giudiziarie. Degli appalti del centro si parlava per esempio anche nelle intercettazioni di Mafia Capitale. “Su Mineo casca il governo”, diceva in un interrogatorio del 2015 Salvatore Buzzi (condannato in Appello a 18 anni per associazione mafiosa per vicende che non hanno nulla a che vedere con il Cara). A Roma alla fine hanno patteggiato quattro ex manager de La Cascina, accusati di avere corrotto Luca Odevaine (ex componente del tavolo nazionale per il coordinamento dell’accoglienza dei migranti che pure ha patteggiato) per ottenere il mega-appalto del Centro assistenza rifugiati di Mineo.
Una parte degli atti poi dalla capitale però è stata mandata a Catania, dove i pm hanno indagato e alla fine hanno chiesto e in parte ottenuto il rinvio a giudizio per 16 persone, accusate a vario titolo di turbativa d’asta e falso nell’ambito di un’indagine sulla concessione dell’appalto dei servizi, dal 2011 al 2014, al Cara. Tra gli indagati, c’è anche l’ex sottosegretario alle politiche agricole Giuseppe Castiglione, che ha scelto il rito immediato. Oggi senza cariche, Castiglione è accusato di turbativa d’asta perchè come “soggetto attuatore per il centro di accoglienza”, con Luca Odevaine e Giovanni Ferrara, rispettivamente “presidente e membro della commissione di gara dell’appalto” “predisponevano i contenuti del bando” del 2011 “con la finalità di garantire l’affidamento all’Ati con capofila il ‘Consorzio Sisifo’”.
E poi c’è la parte più politica, in un territorio dove – come sottolineato nella relazione della commissione parlamentare dell’agosto del 2017 – “in occasione delle elezioni europee del 2014 il capolista in sicilia di Ncd (il partito fondato da Angelino Alfano, ndr) solo a Mineo otteneva il 39 per cento delle preferenze”. Castiglione è accusato anche di corruzione con Anna Aloisi, ex sindaco di Mineo, perchè “accettavano la promessa di voti per loro e per i gruppi politici nei quali militavano (Pdl, ‘Lista uniti per Mineo e Ncd) nonché la costituzione di 15 circoli Ncd nei diversi comuni del calatino, in cambio del compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio”. Quali? Per i pm con il turbamento della gara (solo nel caso di Castiglione) e nella “conseguente assegnazione dell’appalto per la gestione del Cara all’Ati comprendente anche il ‘consorzio sol Calatino’” il cui allora presidente “si occupava della raccolta dei voti in favore degli indagati”.
“Droga e stupro: la mafia nigeriana al Cara di Mineo”
“Voglio essere Norseman’’, dicevano tra urla e canti i neo affiliati, al posto della spina di arancio amaro c’era un rasoio o pezzi di ossi di animale, e il sangue del dito punto invece di cadere su un’immagine santa veniva bevuto dal neo affiliato, secondo il principio del blood for blood, “sangue chiama sangue”: erano quelli di una vera e propria associazione mafiosa i rituali di affiliazione svelati da un pentito che hanno consentito alla polizia di Catania di smantellare una banda nigeriana ramificata in Europa, i Viking, che praticando riti di tipo cultista hanno trasformato il Cara di Mineo (Catania) in un inferno di violenza e omertà, soggiogando, secondo l’accusa, gli ospiti di altre etnie, imponendo lo spaccio di droga e violentando le donne presenti nel centro sorto come un fiore all’occhiello dell’accoglienza e che, per il procuratore Carmelo Zuccaro, è stato “un errore enorme che si paga in termini di controllo della legalita’’ e adesso va chiuso.
“Da operatore del diritto – ha detto ieri Zuccaro – constato che, così com’è non funziona assolutamente, non svolge il compito per cui è stato concepito e anzi diventa snodo per i traffici di sostanze stupefacenti, luogo nel quale entrano ed escono criminali e nel quale si svolgono episodi di una violenza e crudeltà impressionanti”. La decisione di chiuderlo entro la fine del mese era già stata annunciata e il ministro dell’Interno Matteo Salvini l’ha confermata ieri.
Sono 16 i nigeriani della cellula catanese (con base al Cara) denominata “Catacata M.P. (Italy Sicily) – De Norsemen Kclub International“, fermati tra Mineo, Augusta, Catania e Bergamo e altri tre sono riusciti a sfuggire al provvedimento di fermo firmato dal pm Andrea Bonomo ed eseguito tra mercoledì e venerdì scorsi con il sequestro, a casa dei fermati, di numerose armi bianche, in particolare una mannaia e coltellacci, e centinaia di grammi di marijuana e materiale per il confezionamento. Devono rispondere di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione, trasporto e cessione di cocaina e marijuana, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto al fine di agevolare l’associazione mafiosa denominata Vikings.
Oltre alle rivelazioni del pentito, che ha collaborato anche con la Dda di Palermo, a inchiodare i 16 fermati sono state le intercettazioni telefoniche, da cui sono emersi i dettagli della ferocia criminale, identici a quelli di una Cupola, in questo caso nigeriana: il giuramento di fedeltà, chiamato Oath, vincola gli associati fino all’omicidio sulla base della regola del Baga kills baga (se un Viking fa del male ad altro sodale, la reazione può essere l’omicidio), e il modello organizzativo criminale della “Supreme Viking Confraternity’’ che ricalca quello delle Black Axe, le Asce nere, la banda criminale rivale che a Palermo ha stabilito da tempo un patto di convivenza e scambio di favori con Cosa Nostra, rifornita di eroina dai nigeriani: “I nivuri (i neri, ndr) ammagazzinanu, ci a portanu a nuatri”, diceva in carcere il capo della famiglia di Porta Nuova, Giuseppe Di Giacomo, al fratello Giovanni, ergastolano.
E se i Black Axe sono organizzati in sei livelli gerarchici, dallo “spiritual” al “chama”, che è il capo del collegio dei ‘saggi’, 6 o 7 in Italia, che hanno il compito di vagliare le affiliazioni, fino al ministero della Difesa, e alle figure operative di cif asa (cassiere), cif eye (responsabile della sicurezza delle riunioni) e cif cryer (“informatore” o “banditore”), al vertice dei Viking catanesi c’era “Oyoma”, il capo supremo (FF), con potere di nomina dei capi (executioner) dei gruppi territoriali in Italia, il capo catanese è Kingrney Ewiarion, detto “Jogodò” mentre il collettore con le altre cellule nazionali è Anthony Leonard Izedonmi, detto “Phyno”, catturato a Bergamo dove si era trasferito.
Alcuni devono rispondere anche di violenza sessuale per avere ripetutamente violentato nel Cara una ragazza nigeriana, il 21 settembre scorso: fecero irruzione nel suo alloggio armati di machete, e minacciandola di morte abusarono di lei per tutta la notte.
Le sette
Riti di affiliazione a base di sangue e ossi di animali, rigide gerarchie a partire da un capo supremo chiamato Oyoma. È la Supreme Viking Confraternity, setta nigeriana presente nel Catanese e accusata di spaccio di droga con l’aggravante mafiosa. Sono i rivali dei Black Axe, le Asce nere, che a Palermo trafficano soprattutto eroina e hanno un patto con Cosa Nostra
Washington chiede ai Talebani colloqui diretti con Kabul
L’inviato Usa Zalmay Khalilzad ha annunciato dopo anni di fallimenti una bozza d’accordo con i Talebani che potrebbe mettere fine alla guerra più lunga e tra le più sanguinose della storia americana, con circa mezzo milione di vittime, di cui 7000 soldati statunitensi. Mossa che consentirebbe a Trump di mantenere un’altra promessa elettorale facendo ciò che non riuscì a Obama: ritirare tutte le truppe in cambio di una pacificazione che però appare ancora difficile e fragile, sullo sfondo di Presidenziali posticipate da aprile a luglio.
Dopo sei giorni di negoziati a Doha, in Qatar, le parti hanno concordato un’intesa preliminare in cui i Talebani si impegnano a garantire che l’Afghanistan non sia più usato come base per gruppi terroristici, a partire da al Qaeda, che dopo l’11 settembre indusse Stati Uniti e coalizione Nato all’invasione. Ma ci sono altre due condizioni poste per lasciare completamente il Paese, dove gli Usa hanno 14 mila soldati, che a dicembre Trump ha già detto di voler dimezzare: cessate-il-fuoco e colloqui diretti col governo di Kabul. I Talebani hanno chiesto tempo per discutere tali concessioni alle quali si sono sempre opposti.