“Il primo tangibile passo per finirla con venti anni di guerra, che ha provocato decine di migliaia di morti e ha cambiato la politica estera degli Stati Uniti”. Il commento del New York Times alla propria notizia appena sfornata, ha il sapore della storia. Eppure, “l’accordo di principio” che avrebbero trovato Stati Uniti e Talebani, in Italia si trasforma in una rissa di governo che non tiene in alcuna considerazione la portata di quanto sta accadendo oltreoceano.
La notizia che la ministra Elisabetta Trenta “ha dato disposizioni al Coi (Comando operativo interforze, ndr) di valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan entro 12 mesi” fa esplodere, infatti, l’ennesimo scontro non solo tra M5S e Lega, ma anche tra i primi e il ministro degli Esteri che si dichiara “all’oscuro” della decisione della collega. Eppure il passaggio è epocale.
Le avvisaglie che qualcosa si stesse muovendo erano giunte lo scorso 23 gennaio quando il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha dichiarato: “Dopo che gli americani hanno accettato di porre fine all’occupazione dell’Afghanistan e di impedire l’uso del Paese per operazioni future contro altri Stati, i colloqui con i rappresentanti statunitensi si sono svolti oggi a Doha, la capitale del Qatar”. Prima del vertice si era tenuto un meeting alla fine di dicembre.
Secondo quanto dichiarato dal mediatore americano, Zalmay Khalilzad, i termini dell’accordo “di principio” prevedono che i Talebani garantiscano che l’Afghanistan non sia una piattaforma operativa per gruppi terroristici. Oltre a questo dovrebbero garantire anche “un cessate il fuoco” e la ripresa del dialogo con il governo di Kabul.
Impegni complessi e infatti l’accordo al momento costituisce una intelaiatura che dovrà essere esaminata attentamente dalle parti, soprattutto dai Talebani. Ma il solo fatto che sia stato annunciato costituisce una novità rilevante. I 17 anni di guerra hanno segnato la strategia militare e di politica estera imposta agli Usa da George W. Bush e dall’ala politica e intellettuale dei neocon. Da questa impostazione sembra che ora si voglia tornare indietro.
La mossa aiuta a comprendere anche la fretta con cui Donald Trump ha annunciato il ritiro dalla Siria ribaltando quindi la strategia del “Grande Medioriente”, cioè della presenza stabile di truppe americane dal Mediterraneo fino ai confini della Cina. Gli Usa hanno ancora 14.500 uomini in Afghanistan e lo scorso mese Trump ha dichiarato di volerne ritirare 7.000. Se l’accordo andasse in porto si potrebbe immaginare un ritiro più completo e quindi una nuova fase geopolitica con un ruolo diverso per gli attori locali, Iran in testa.
La notizia diffusa dal New York Times nel primo pomeriggio, ora italiana, ha avuto l’effetto di far scattare l’iniziativa del Movimento 5 Stelle. Perché, a giudicare dalle dichiarazioni successive, l’idea di annunciare il ritiro delle truppe italiane entro 12 mesi non è una mossa isolata della ministra Trenta.
Che sia così lo si comprende dall’irritazione leghista ribadita insistentemente. Il sottosegretario agli Esteri, la carica più alta della Lega in materia di politica internazionale, Guglielmo Picchi, dice chiaramente di “non saperne niente”. Ma anche il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, in visita a Gerusalemme, dice lapidario: “Lo sto apprendendo ora”. E anche Matteo Salvini prova a frenare Trenta, tanto che fonti della Difesa in serata hanno dovuto spiegare che la richiesta di “valutare una pianificazione” del ritiro del contingente italiano è stata “una decisione governativa condivisa con la Presidenza del Consiglio” e comunque si tratta di una decisione che rappresenta “una questione di sicurezza per i nostri militari” alla luce del possibile ritiro statunitense.
Osservazione logica: se gli Usa se ne vanno, non saranno certo gli 870 militari italiani sul campo a poter surrogare la forza militare americana.
Quindi la ministra Trenta chiama in causa il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e spiega che al momento vige solo una “richiesta” di valutazione del ritiro e non certo la decisione di tornare a casa.
Dal Movimento 5 Stelle, però, parte la ola. Il più netto è Alessandro Di Battista che al Fatto dice: “Sono strafelice e faccio i complimenti alla ministra Trenta. Si tratta di una decisione che nessun governo, e in particolare un governo di centrosinistra, era riuscito a prendere”. Di Battista ricorda i soldi spesi per la missione, circa 7 miliardi in 17 anni, e non vede l’ora di vedere il rientro dei militari italiani. Ma poi ne approfitta per togliersi un sassolino dalla scarpa: “Chiedo a Gino Strada, di cui rispetto enormemente il lavoro svolto in Afghanistan, di dare a Cesare quel che è di Cesare e di valutare positivamente questo ritiro”.
Dal fronte delle opposizioni, invece, si mette il dito sulla piaga dello scontro tra M5S e Lega e si chiede che Trenta riferisca subito alle Camere. Anche la Nato interviene con una nota ufficiale dicendo che “è prematuro parlare di ritiro”. Ma il dibattito non sembra tenere conto per nulla del fatto centrale della giornata, la decisione americana.