Il mega-tempio dei mormoni a Roma, ma in Italia hanno solo 25mila fedeli

Lo sfarzo avvolge ogni dettaglio, leggendo i reportage apparsi in queste settimane su alcuni quotidiani: marmo di Carrara, duecento lampadari di Murano, persino i lapislazzuli. È il grande tempio dei mormoni a Roma Est (nella foto). Via dei Settebagni: circa 60mila metri quadrati su un’area acquistata più di vent’anni fa per due miliardi e mezzo di lire. I lavori sono durati quasi un decennio ma ora è tutto pronto. Oltre al tempio, ci sono un parco e varie costruzioni. Gli edifici saranno pure aperti al pubblico da oggi fino al 16 febbraio.

Ufficialmente, la dizione esatta è Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Quello di Roma è il tredicesimo tempio europeo e visto che in Italia i mormoni sono poco più di 25mila, la nuova chiesa è un riferimento anche per Grecia, Cipro, Albania e Romania.

Impossibile però sapere i costi della faraonica opera. Un mistero che incuriosisce ancora di più se si pensa che i mormoni hanno rinunciato all’otto per mille, dopo l’accordo con lo Stato italiano. In tutto il mondo sono 16 milioni e il loro Vaticano è negli Stati Uniti, in Utah. Ricchi e potenti (il repubblicano Mitt Romney che sfidò Obama nel 2012 per la Casa Bianca è mormone) si definiscono cristiani, ma più di un dubbio è lecito.

Al netto delle loro origini massoniche all’insegna della poligamia, i mormoni devono il loro nome al Libro di Mormon, consegnato dall’Angelo Moroni al profeta Joseph Smith che lo pubblicò per la prima volta nel 1830. Il Libro di Mormon integra Bibbia e Vangelo ma secondo una sentenza dell’ex Sant’Uffizio della Chiesa del 2001, quando il prefetto era l’allora cardinale Ratzinger, i mormoni praticano una sorta di astruso politeismo, contaminato dalla fantascienza.

Scrisse l’Osservatore Romano: “Per i mormoni la trinità sono tre dei. Dio Padre è un uomo esaltato, oriundo di un altro pianeta. Ha avuto dei parenti. Ha una moglie, la Madre celeste. Procreano dei figli. Il loro primogenito è Gesù Cristo. Anche lo Spirito Santo è figlio di genitori celesti”. Il pianeta dove vive Dio Padre si chiama Kolob. Una sorta di cristianesimo alieno.

Figlia mia, l’importante è non dipendere da nessuno

Sì, commessa, maestra, parrucchiera: figlia mia, fa’ quel che vuoi e non lasciarti condizionare dalle limitate vedute dei tuoi genitori che fanno pretenziosi lavori “creativi” e leggono le Bambine Ribelli, sperando che diventi scienziata o astronauta. A sei anni, pensa un po’, il mio sogno era fare la commessa. Ero affascinata dai suoni e dalla precisione del registratore di cassa, me n’ero fatta regalare uno giocattolo e fingevo di fare conti e imbustare merce. Ma se l’avessi scelto come lavoro i miei genitori intellettuali mi avrebbero scacciato di casa, e così sono diventata giornalista.

Io con te, prometto, non farò così. Solo una cosa ti chiedo: l’opzione principe azzurro no, ti prego. Perché, come diceva la tua bisnonna, meglio puttana che vagabonda (qui in Romagna “vagabondo” è chi non lavora). Ma devi sapere anche che nel dialetto dei tuoi avi una delle cose peggiori che si potesse dire di una donna era “imbiziosa”, cioè ambiziosa. Insomma, l’indipendenza economica non è negoziabile: questa, per una ragazza, è ancora la prima, grande ribellione, e la premessa di tutte le altre, anche quelle che ti portano nello spazio. Perché malgrado il patriarcato abbia allentato la sua morsa, una donna che non deve dipendere da nessuno, né per i soldi né per l’amore, ha già fatto la sua rivoluzione. Eppure un buon motivo per aspirare all’eccellenza, alla fama, alle posizioni apicali, c’è: più le donne diventano potenti e influenti, più sono in grado di cambiare il mondo in favore delle altre, di allargare la strada (nella politica, nei media, nella ricerca), in modo che possano accedervi non solo poche donne geniali e tostissime, ma anche le tante normodotate e coscienziose. (Per inciso, figlia cara, se poi davvero decidi di fare la commessa, mi fai provare il registratore di cassa? Una volta sola, non lo saprà nessuno).

Di questi tempi è meglio non sputare sul principe azzurro

Serena Williams o Malala Yousafzai, Rita Levi Montalcini o Frida Khalo, Margherita Hack o Michelle Obama: il menu per le ragazzine di oggi è servito. Vietato oggi sognare il matrimonio col principe azzurro, la nuova parola d’ordine– come si legge sul sito del famosissimo libro delle Storie della buonanotte per le Bambine ribelli– è piuttosto andare su Marte.

Certo, il successo del libro, e di altri simili, dimostra che di immaginari alternativi c’è sicuramente bisogno. Ma i libri, si sa, li comprano le mamme in base alle loro aspettative. Siamo davvero sicuri che le bambine vogliano diventare “poetesse, chirurghe, astronaute, giudici, acrobate, imprenditrici, vulcanologhe”? Non sarà che la retorica delle donne vincenti e di successo, dall’astronauta Cristoforetti a Bebe Vio, induca in loro un’ansia di prestazione ancora maggiore, visti i modelli perfetti di fatto schiaccianti?

Forse potrebbe essere più rassicurante per le nostre figlie dire loro che saranno felici e amate qualunque cosa decidano di essere. Magari commesse e basta. O madri e basta. O ribelli per davvero, che è altra cosa da diventare chirurghe. Che poi dare alle bambine italiane figure di riferimento di così grande successo, nel Paese dove la disoccupazione femminile è altissima e gli stipendi minimi, rischia di esporle alla più grande delle frustrazioni: sognare in grande, finire in piccolo, nonostante i meriti.

Tra la casalinga e la pittrice di grido – due conformismi opposti, ma sempre tali – forse c’è una più realistica via di mezzo. Se avessi una figlia le racconterei delle difficoltà di arrivare in cima e l’aiuterei a trovare una strada serena tra la casa da pulire e Marte da scoprire (ma poi chi ci vuole andare su Marte?). E comunque, di questi tempi, sul principe azzurro non sputerei troppo. Mica così male, trovarlo.

Club inglesi: ecco il calcio che funziona

Quesito per gli appassionati di calcio. Tra i dieci club europei che in rigoroso ordine alfabetico andiamo a snocciolarvi, e cioè Ajax, Benfica, Brighton, Celtic Glasgow, Dinamo Kiev, Lazio, Marsiglia, Porto, PSV Eindhoven e Valencia, qual è quello con meno blasone, quello più anonimo, quello di cui, seguendo le vicende del pallone, avete sentito parlare meno? Come dite? State pensando al Brighton, per l’esattezza il Brighton & Hove Albion F.C. che non ha mai vinto un titolo nazionale, una Coppa Campioni o una Champions, una Coppa Uefa o un’Europa League, di cui ignorate praticamente tutto, nome dei giocatori, dell’allenatore e persino la serie in cui milita in Inghilterra?

Ebbene: anche noi, che non siamo di primo pelo e ci siamo emozionati per le tre Coppe dei Campioni consecutive vinte dall’Ajax di Cruijff, per le due del Benfica di Eusebio, per le due del Porto di Jorge e di Mourinho, per la coppa che il Celtic sottrasse all’Inter di Herrera a Lisbona ’67 e per quella che il Marsiglia soffiò al Milan di Capello a Monaco ’93, anche noi – dicevamo – avremmo detto Brighton: che in quanto a blasone pare una bagnarola al cospetto di siffatte corazzate. Ebbene: sapete perchè abbiamo voluto parlarvi del piccolo, anonimo, insignificante Brighton? Lo abbiamo fatto perchè il Brighton, che un anno fa finì 15° nella Premier League inglese (come il Bologna in serie A o il Levante nella Liga spagnola), nella classifica dei club coi fatturati più alti al mondo, stilata da Deloitte nel report “Deloitte Football Money League”, si è piazzato al 29° posto, con 157,4 milioni, davanti a tutti i grandi e gloriosi club che abbiamo citato e a un’infinità di altri; e lo abbiamo fatto per dimostrare come il calcio inglese, che in questa classifica vanta 6 club tra i primi 10 (i due Manchester e poi Liverpool, Chelsea, Arsenal e Tottenham) e 13 nei primi 30, sia riuscito col tempo, dandosi un’organizzazione che nessun altro paese ha saputo darsi, a divenire astro capace di brillare di luce propria tenendo sotto scacco chiunque, distribuendo ricchezza e miracolando tutti suoi club, se è vero che il Newcastle è 19°, il West Ham 20°, il Leicester 22°, il Southampton 23°, il Crystal Palace 24°.

Sono due club spagnoli, a dire il vero, a guidare la classifica: il Real Madrid, che mette a frutto la 4^ Champions vinta negli ultimi 5 anni e si piazza primo con 750,9 milioni, e il Barcellona, secondo con 690,4. Tolti i due colossi, tuttavia, il calcio spagnolo nel confronto col calcio inglese sparisce (con Atletico Madrid e Siviglia piazza solo 4 club nei primi 30) esattamente come il calcio italiano (5 nei primi 30 ma con la locomotiva Juventus, 394,9 milioni, solo 11^ e poi Inter 14^, Roma 15^, Milan 18° e Napoli 21°) e ancora la Germania (3 club nei primi 30) e la Francia (2). Insomma, se è vero, come ricorda il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, che nel mondo ventisei super ricchi detengono risorse pari al 50% più povero dell’umanità e la ricchezza nelle mani di pochi sta diventando una tragedia collettiva mondiale, anche il pianeta-pallone pare aver imboccato la strada dei (pochi) super miliardari da un lato, tutti o quasi in Inghilterra, e dei diseredati sempre più numerosi sparsi in ogni angolo del globo. I nostri mammasantissima dovrebbero pensarci: A.A.A. reddito di cittadinanza (calcistica) cercasi.

Non tutta la disuguaglianza è colpa della corruzione

In Italia la corruzione regna sovrana: ce lo ricordano quotidianamente gli scandali politici, i procedimenti giudiziari, le inchieste dei giornali. Lo dicono anche le classifiche internazionali: Transparency International ci mette al cinquantaquattresimo posto, dietro al Ruanda. Il problema c’è – enorme – ma forse ancora più enorme è la sua onnipresenza nel discorso pubblico, nella percezione comune. Ne parla una recente ricerca dell’Euripses, diretta da Giovanni Tartaglia Polcini, che spiega come le tanto citate classifiche internazionali misurino quanto diffusa sia la corruzione nella percezione degli italiani, non quanto sia effettivamente diffusa. Lo studio nota che se l’85% degli italiani è convinto che la corruzione sia ovunque, a domanda se abbiano conoscenza diretta di un caso di corruzione avvenuto negli ultimi dodici mesi la stragrande maggioranza risponde di no. Non si tratta di negare la pervasività della corruzione. Ma la centralità quasi egemonica del discorso sulla corruzione nel dibattito pubblico ha il potere di gonfiarne la percezione, allineando l’Italia, nelle classifiche, a paesi coi quali, quanto a parametri istituzionali e oggettivi, non ha nulla a che spartire. Questa centralità egemonica ha conseguenze politiche e sociali. Perché in Italia il discorso sulla corruzione – radicato certo nella corruzione reale – si è mangiato quello sulle diseguaglianze.

Da noi, ovunque si rilevi un’asimmetria di trattamento o l’accaparramento elitario di risorse, posizioni e potere, il pensiero va immediatamente a nepotismo, raccomandazioni oscure, favori incrociati, mazzette. Ora, in Italia l’ascensore sociale è bloccato e le diseguaglianze – di reddito e di ricchezza – continuano a crescere. L’ultimo rapporto Ocse sulla mobilità sociale nota che più del 60% di chi proviene da famiglie senza diploma superiore non raggiunge a sua volta il diploma superiore (media Ocse 40%). Spiega poi che ci vogliono in media cinque generazioni prima che una famiglia a basso reddito raggiunga il reddito medio nazionale, e che il livello di riproduzione sociale anche nei mestieri praticati è altissimo. I due fenomeni sono certo collegati. Ma possiamo ridurre l’uno all’altro? E si può affrontare l’uno attraverso l’altro? Eppure l’attenzione alla corruzione è stata alibi per ignorare le iniquità strutturali della società.

Un caso emblematico: da decenni, riforma dell’università è sinonimo di riforma dei concorsi. Ci sono i baroni, i concorsi truccati… Se vai a chiedere agli esclusi, agli espatriati, subito trovi citati baroni (talvolta reali, spesso teorici), nepotismo, assenza di meritocrazia. In risposta, una serie infinita di riforme del reclutamento – tra concorsi nazionali e locali, abilitazioni, meccanismi di controllo sempre più bizantini. Tutto vero, per carità. Ma sono davvero queste le cause profonde dell’esclusione (sociale, soprattutto) dall’università? O non è forse la mancanza pluridecennale di investimenti, il blocco del turnover, le troppo poche borse di studio – da quelle per il diritto allo studio a quelle dottorali e postdottorali? Per ogni vittima di un concorso truccato, decine, centinaia, migliaia sono esclusi ben prima, strutturalmente: c’è chi non può mantenersi durante gli studi; chi non ha i mezzi per fare un dottorato senza borsa; chi si addottora ma non ha poi le risorse, sociali ed economiche, per starsene parcheggiato per dieci anni ad aspettare un posto ipotetico che nel frattempo il governo di turno ha tagliato. È tutto questo – prima di baroni e concorsi truccati – che esclude interi strati sociali dalla possibilità stessa di tentare la carriera universitaria. Lo stesso accade in ogni angolo del sistema.

La corruzione è stata dai tempi di Tangentopoli, e rimane oggi, la foglia di fico ideologica che permette di ignorare, e perpetuare, forme più sottili ma più capillari di esclusione sociale, che la politica non combatte, ma favorisce. E di questo fenomeno il M5S è prodotto e rappresentazione.

Mentre altrove – Podemos, France Insoumise, Corbyn – il malcontento sociale è sfociato in movimenti “populisti” per i quali la critica alle diseguaglianze, all’intero assetto sociale ed economico, sono parte del Dna, il M5S comincia con “onestà”. La guerra alla povertà la fa non contestando il modello economico corrente – facendo cioè un po’ di guerra ai ricchi, alle élite e ai loro privilegi – ma piuttosto facendo la guerra agli sprechi, ai “disonesti”, che si intaschino le mazzette, evadano per milioni o, tirando a campare, trucchino l’Isee per prendersi il reddito di cittadinanza. “Abolire la povertà” mentre al contempo si riforma la tassazione in senso regressivo è un monstrum logico-ideologico contemplabile solo da un movimento nel cui orizzonte teorico e ideale una vera linea sulle diseguaglianze e sulle dinamiche che le producono non c’è. E alla lotta alla corruzione, alla “disonestà” – sacrosanta, per carità – viene assegnato il compito impari di farne le veci. Ma l’analisi è sbagliata – sono problemi collegati ma non sono un problema unico. E non si risolve l’uno affrontando l’altro.

In Italia, in questo “momento populista”, ancora manca un movimento che metta la lotta alle diseguaglianze al centro dell’agenda – che gridi magari ancora “onestà!”, ma gridi “eguaglianza!” un po’ più forte.

Facce di casta

Bocciati

IL TROLL OLTRE LO SCRANNO
Qualche settimana fa, in occasione di altri tweet tra il violento e il delirante che sul suo profilo rappresentano più o meno la norma, ci eravamo già chiesti se sia Elio Lannutti a parlare attraverso i social o se non siano piuttosto i social a parlare attraverso di lui. Sì, perchè scorrendo la pagina Twitter del senatore, ci s’imbatte in una sequela di tweet e retweet che sembrano un esempio pratico di tutto il peggio che si può trovare in rete: insulti gratuiti, storpiature di nomi, accuse semplicistiche e sommarie, link acchiappaclick. Sembra di essere ad un’esposizione degli orrori del web. Non c’era dunque bisogno che Lannutti arrivasse a citare il Protocollo dei Savi di Sion per rendersi conto che il suddetto profilo somigli più a quello di un troll che a quello di un senatore. Comunque, meglio tardi che mai. Enrico Mentana ha rivolto un appello pubblico a Luigi Di Maio perchè liberi L’M5S da Lannutti. Come dargli torto? Nell’attesa, noi intanto ci accontenteremmo che gli si desse il Daspo a vita dai social network.

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Promossi

UN ALTRO PRAGMATISMO È POSSIBILE
Nell’irrazionalità generale in cui si svolge ormai il dibattito sull’immigrazione, tra slogan grotteschi come “porti chiusi e cuori aperti”, o dichiarazioni d’intenti come “non possiamo lasciar morire la gente in mare” sospese in un luminoso nulla di proposte concrete, torna a farsi sentire limpida la voce di Elly Schlein, giovane e pragmatica europarlamentare di ‘Possibile’. “Sarebbe una vergogna se la riforma, bella e pronta da più di un anno, che libera l’Italia dal giogo di primo Paese d’ingresso, venisse messa in un cassetto”: la Schlein continua a ricordare come uno degli elementi centrali per affrontare la questione sia la riforma del Trattato di Dublino, che il Parlamento europeo ha già approvato il 6 Novembre 2017, ma che da allora se ne sta in un cassetto nell’attesa che il Consiglio Ue, composto dai singoli governi nazionali, si decida a ratificarlo. Pur di non parlare di questo, “meglio esternalizzare i confini dell’Europa, meglio che la gente muoia in mare o sia ricacciata nei campi di concentramento libici, meglio che le navi dell’Ong non siano più testimoni di questo scempio, che infanga la convenzione di Ginevra del 1951″, prosegue l’eurodeputata: in poche righe è raccolta tutta l’ipocrisia dei singoli Stati dell’Unione. Eppure dalle parole della Schlein si evince anche che un altro pragmatismo è possibile, uguale ma di segno contario a quello di Salvini, un’altra possibilità di passare “dalle parole ai fatti”, per citare il Ministro, senza però diventare sordi, feroci e per giunta irrazionali.

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STRADA MAESTRA e CAPITAN SALVINI
“Gino Strada, cosa risponde a Salvini che pensa che la chiusura dei porti sia per voi la fine della mangiatoia?”.
“Penso che i conti di Emergency sono su internet, i conti della Lega sono in procura”.
La prossima volta, prima di mancare di rispetto ad un uomo che della generosità, del coraggio, della correttezza ne ha fatto una missione di vita, a Capitan Bacione gli conviene pensarci due volte.

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La settimana incom

Bocciati

Il Capitale di Vox.
“Il capitalismo non è immorale, ma è amorale”, ha detto Bono Vox, parlando al World Economic Forum di Davos. “Il capitalismo ha portato via più persone dalla povertà di qualsiasi altro sistema, ma è una bestia e se non addomesticata può divorare un sacco di persone”. Dice il frontman degli U2 che coloro che non beneficiato del capitalismo stanno spingendo “la politica verso il populismo”. La classe operaia va in paradiso (fiscale).

Innocenti evasioni. “Todo perfecto”, ha detto lasciando il tribunale. Cristiano Ronaldo ha chiuso così il suo lungo contenzioso col fisco spagnolo, firmando il patteggiamento e accettando la sanzione economica (e carceraria) stabilita dalla corte. Secondo quanto pubblicato nella sentenza del tribunale madrileno, Ronaldo ha accettato la creazione di due società scudo, una alle Isole Vergini Britanniche e l’altra in Irlanda, per evitare di pagare quanto dovuto al fisco spagnolo. Totale pagato, 18,8 milioni di euro. Todo perfecto, ma forse verranno revocate al campione le onorificenze. Il Presidente della Republica portoghese ha detto: “La legge è semplice. Spetta ai cancellieri degli ordini nazionali verificare se esistono situazioni per la revoca di una onorificenza”. A Ronaldo era stata assegnata la medaglia di grande ufficiale dell’Ordine dell’infante Dom Henrique (2014) e la Gran Croce dell’Ordine al Merito (2016). Se ne farà una ragione.

Kretinen.
La serie tv Rocco Schiavone sbarca in Germania, ma l’annuncio della stampa tedesca scatena la polemica. La rivista berlinese Zitty mette in copertina una foto di Marco Giallini con un incomprensibile titolo che contiene una bestemmia (a caratteri cubitali). Il silenzio è d’oro (specie se ti chiami Zitty).Vecchi discorsi.
Finito il Grande Fratello, ci tocca l’isola dei Famosi. Nel cast: Riccardo Fogli (ha già fatto anche Music Farm), Paolo Brosio, Marina La Rosa (dal Grande Fratello 1), Marco Maddaloni (vincitore di Pechino Express), Grecia Colmenares (protagonista di soap opera come Topazio ), Kaspar Capparoni (il Commissario di Rex), Jo Squillo, Demetra Hampton (ex modella, la Valentina di Guido Crepax). C’è sempre il telecomando.

 

Promossi

Enzino.
Iachetti tenerissimo su Dalla: “Vivo con Lucino, un bastardino che mi guarda tutto il giorno in adorazione. L’ ho chiamato come Lucio Dalla, forse è la sua reincarnazione. Ci facevamo delle telefonate così dolci e intense che ogni tanto lui scherzava: “Se ci intercettano pensano che anche tu sei gay”.Try a little tenderness.

 

Non classificati

Precisazione.
Siccome dopo quattro giorni c’è chi non ha capito (o fa finta di non capire), Lino Banfi non è il rappresentate dell’Italia all’Unesco (è l’ambasciatore Massimo Riccardo). Madonna dell’incoroneta.

Ariete, basta discutere sui figli Leone: un amico esige le tue scuse

ARIETE – “Nella scuola tedesca non ci sono corsi avanzati. A insegnare matematica c’è un idraulico, non un professore”: Monica Hesse sta parlando della Guerra di Margot (Piemme), che è un po’ anche la tua. Smettila di discutere in famiglia sull’istruzione dei figli.

 

TORO – Il paradosso di Achille, alias Mauri (Bollati Boringhieri): “È così raro trovare qualcuno che si interessi a te come individuo, qualcuno che non sia interessato al tuo nome e alla tua fama”. È raro, sì, ma in ufficio hai trovato finalmente un collega sincero.

 

GEMELLI – Cees Nooteboom ha L’occhio del monaco (Einaudi): “Qualcuno parlava di colpa,/ ma l’argomento erano gli uomini,/ un inganno come la natura non ne sa fare”. Anche il tuo compagno ti sta ingannando, non far finta di non saperlo.

 

CANCRO – “Chissà perché i giornalisti sono sempre i primi a vendersi”: nel Caso Kaufmann (Rizzoli) Giovanni Grasso non risparmia qualche cattiveria. Ma dice il vero: evita di accompagnarti a poco onesti parolai.

 

LEONE – Come Roberto Bolaño sei finito su una pericolosa Pista di ghiaccio (Adelphi): “Cercai di fare il simpatico ma non ottenni nulla, gli sguardi restarono ben attaccati alle finestre e ai tavoli”. È inutile che cerchi di smorzare la tensione buttandola sul ridere: l’amico è giustamente risentito e pretende le tue scuse, non barzellette.

 

VERGINE – Emanuele Trevi spaccia Sogni e favole (Ponte alle Grazie): “Tutto è menzogna. Mai, mai in vita sua Metastasio l’ha sparata così grossa”. Pure tu ti sei fatto intortare: rivedi il tuo progetto prima di presentarlo ai capi.

 

BILANCIA – Si chiede Takis Würger (Feltrinelli): “Come ho potuto essere così ingenuo? Ma non è forse una domanda che ci si pone sempre, quando si guarda al passato?”. Povera Stella, e tu con lui: il tradimento ormai è fatto, potete solo prenderne atto e troncare.

 

SCORPIONE – In Tutte le opere IV (Bompiani) c’è pure il William Shakespeare poeta: “Nessuno inveisce contro il fiore che è appassito/ ma insulta il crudo inverno che quel fiore uccise”. Smettila di inveire contro il collega sbagliato: la mole di lavoro non dipende da lui, ma dai vostri sfaccendati superiori.

 

SAGITTARIO – Kaplan e Marsh svelano La scienza della fortuna (Sperling & Kupfer): “Invece di aspettare il milione che magicamente ci cambierà la vita, faremmo meglio a cominciare a pensare ai centesimi”. In famiglia ricuci un po’ alla volta: le relazioni si sono molto ingarbugliate dall’arrivo di nuovi parenti acquisiti.

 

CAPRICORNO – “Un solo essere ti manca e tutto è spopolato, come diceva quell’altro”. Michel Houellebecq invece dice che l’unico rimedio è la Serotonina (La nave di Teseo): tranquillo, si recupera facilmente. E comunque, puoi sempre farti consolare da un’amica occasionale.

 

ACQUARIO – Claire Vaye Watkins racconta di due tizi persi in Nevada (Neri Pozzi): “Era stata data loro una seconda opportunità ed erano stati liberi di farne quello che volevano”. Persi lo siete anche voi, e altrettanto liberi di cambiare strada, o di separarvi dal compagno di viaggio: la relazione vi sta zavvorando.

 

PESCI – Lo spaventapasseri malinconico “si ente anche molto solo: ‘Amici, non andate via, canto così male?’”. Un po’, maligna Carlotta Paoletti (Albe), ma presto sarà apprezzato per altre sue qualità, come te in ufficio.

Un posto al Monte dei Paschi, un sogno da Mille lire al mese

ECinquanta assunzioni a tempo determinato. Fino a dicembre. È un bando del Monte dei Paschi di Siena, lo stipendio è di 1.300 euro mensili e le richieste – a oggi – sono oltre settemila. Già domani saranno molti di più a chiedere quel posto ed è, questo delle cinquanta assunzioni, un dettaglio identitario dell’attuale stagione italiana. È l’assegno fuor dalla tasca del Signor Bonaventura cui l’epoca dell’europeismo compiuto ha ridimensionato l’esagerata aspirazione a Un milione (con la svalutazione arrivata poi a Un miliardo) per arrivare alla cifra di pochi e miserrimi zeri. Ed è il cauto approdo di ciascun cittadino che in quel numero – 1.300 euro al mese – vede se stesso.

Non l’eredità di un lontano zio americano ma un modesto impiego che, appunto, ravviva l’archetipo del nonno dei nonni quando al ritmo di fox-trot con Gilberto Mazzi si cantava “se potessi avere Mille lire al mese… senza esagerare sarei certo di trovare la felicità”. Era il reddito di cittadinanza del tempo che fu. Era e resta il traguardo di serenità nel presepe d’Italia.

Ed è il caso di riascoltarlo il motivetto arrangiato da Pippo Barzizza per scavare, con la memoria e la comparazione, dentro l’impasto della realtà: “Che disperazione, che delusione, dover campar/sempre in disdetta, sempre in bolletta”.

Il valore del capitale umano, nel brano datato 1939, è quantificato nelle Mille lire al mese. La copertina disegnata da Gino Boccasile avanza sulla falcata di una giovane signora elegante, sullo sfondo c’è una Topolino e se sono Mille e Mille altri ancora – come oggi, di euro – ne deriva una cornucopia senza pretese: innanzitutto una casettina in periferia e – senza esagerare – gemme d’oro per ricoprire di felicità la mogliettina giovane e carina.

Ecco, tutto per lei nell’alfine ritrovata tranquillità: “Farei tante spese/comprerei fra tante cose/le più belle che vuoi tu”. Cose che con 1.000 euro al mese – terribile è già dirlo quando Mille euro sono una chimera per tantissimi italiani – non si possono certo immaginare.

Non una casettina perché nelle città dove Mps offre le sue cinquanta assunzioni, un affitto – un alloggio da studente – sottrae oltre la metà allo stipendio. Figurarsi in un’ideale famiglia fatta di mamma, papà e figli (almeno due): non c’è niente che possa assomigliare a uno squillante benessere può immaginarsi nell’Italia dove il reddito di cittadinanza è diventato vitale per riequilibrare una società di sempre più poveri.

Ci vogliono giustamente le competenze per avere uno di questi cinquanta contratti di primo livello bancario. Occorre una laurea giuridica/economica e, facendosi largo tra le oltre settemila richieste, si trova il lavoro: primo contratto fino a dicembre 2019, poi il rinnovo, quindi l’assunzione.

Un percorso standard, un dettaglio significativo se si pensa che si entra nell’istituto di credito simbolo di tante e troppe cose (alfine sopravvissuto alle commistioni con la politica, fino al mistero di un uomo morto all’ombra del Banco), per inverare il decreto dignità che, nella sostanza, così dice all’italiano del se potessi avere: “Ti posso tenere a tempo per 24 mesi, poi ti devo assumere”.

E chissà poi quante spese. E quante cose: le più belle mai avute.

Quando i sogni dei bimbi diventano una bella mostra

Mettete un bambino davanti al miracolo della Natura. Poi mettetelo davanti ai disastri della Cultura. Cioè mettetelo davanti a un cielo blu meraviglioso e poi al cospetto di un avvoltoio che, da quel cielo, plana su un ammasso di rifiuti. Tradotto: mettetelo davanti a nomi come Jan Fabre, John Isaacs o Gavin Turk, insomma all’arte contemporanea. E lui cosa farà? Inizierà a sognare, come solo un bambino sa fare. È quello che hanno fatto a Parma in occasione della mostra “Il Terzo Giorno” la scorsa estate: una mostra che raccontava incanto e devastazione di questo tempo, dominato dalla tecnica per la tecnica, nella quale erano presenti tanti artisti internazionali, non solo quelli citati.

Da quella mostra, da quei sogni fanciulli, è nato un Atelier, vero – non quelle salette che di solito si vedono a fine percorso di una mostra, dove i bambini scarabocchiano qualcosa e poi ciao – dal quale sono scaturite 1.500 opere d’arte fatte da loro, i bambini, sotto la direzione attenta di Hélène Taiocchi. 1.500 opere – tante, tantissime – tra disegni e “sculture” che a loro volta hanno dato vita a una mostra dal titolo, appunto, “Le cose e i sogni” (Parma, Convitto Maria Luigia, fino al 9 febbraio) a cura di Didi Bozzini, che poi era il curatore dell’altra mostra. Una chiesa che diventa un’aula scolastica, ma magica, fatta di sogni, dove sui banchi non ci sono i quaderni e le penne, ma le opere d’arte fatte dai bambini. E sopra l’aula, come per incanto, compare un cielo enorme fatto di quasi un migliaio di altre opere d’arte, questa volta i disegni, sempre dei bambini.

Una Wunderkammer splendente, un sogno collettivo, l’arte che torna a essere arte, ossia umana, giocosa ma insieme rigorosa: qui un albero è più o meno un albero – o almeno il sogno dello stesso – così come il gesto d’artista può essere figurativo o astratto, “come fanno i grandi”. Se prendessimo alcuni di questi disegni o alcune di queste composizioni scultoree e le mettessimo a Punta della Dogana a Venezia, o in uno stand di Basilea, e sotto scrivessimo una didascalia con nome e cognome inglese, nessuno avrebbe niente da ridire. Anzi, probabilmente si griderebbe al capolavoro.

Questo per dire che questa mostra è anche uno stimolo a riflettere sull’arte contemporanea, alla sua deriva, ai suoi eccessi. E poi il fatto che il curatore della mostra “principale” sia anche il curatore della mostra dei bambini la dice lunga sulla serietà e sulla profondità dell’operazione.

Serietà, profondità, parole rare ormai, non solo nel circo dell’arte contemporanea. E poi nei bambini c’è quella poesia che dovrebbe appartenere all’arte: sovversione dei codici, folgorazione, stupore.

Proprio come nella parola poetica. Ultimo dettaglio: sull’altare della chiesa dove è allestita la mostra Didi Bozzini ha appoggiato la riproduzione di un cervello. Sarebbe bello chiedersi – filosoficamente – cosa significhi tale gesto. Ma sappiamo – teologicamente – che nei luoghi sacri le domande non sono ammesse. E forse è meglio così.