Nelle redazioni dei giornali, compresa la nostra, è arrivato un dossier anonimo. Segnalava una elenco di “raccomandati” in Intesa Sanpaolo, ma in realtà contiene solo un estratto delle liste inserite nel sistema con cui la banca gestisce i curricula segnalati dai dipendenti, magari per conto di amici o parenti. L’istituto li inserisce in una griglia, in cui segnala la provenienza della segnalazione e l’iter della pratica. Nel database compaiono le valutazioni degli uffici di reclutamento a cui arrivano i Cv. Le pratiche possono concludersi con la richiesta di un colloquio o con una bocciatura preventiva sulla base delle qualifiche ed esperienze pregresse presentate. Dalle annotazioni risultano moltissime bocciature, anche a seguito di colloquio. In tutto i curricula segnalati sono circa 200, sui 150 mila che la banca ha ricevuto nel solo 2018. I verdetti, spesso, sono spietati. Uno spaccato della situazione disperata in cui versa il mercato del lavoro in Italia
Tra i “raccomandati” di Intesa. La Spoon River del lavoro in Italia
I filosofi la chiamano “eterogenesi dei fini”, azioni che ottengono risultati diversi da quelli voluti. Così accade che un anonimo trafuga un documento dell’ufficio del personale della prima banca italiana, Intesa Sanpaolo. Lo fa arrivare alle redazioni di alcuni giornali presentandolo come una sorta di registro dei “raccomandati” suscettibile di scoperchiare uno scandalo enorme, una specie di “scatola nera” della spintarella. Ma se è difficile pensare che a Intesa, come in tutte le altre grandi imprese, non ci siano quei fortunati che i francesi chiamano pistonnées, è ancora più inverosimile che l’ufficio del personale tenga un registro ufficiale dei raccomandati. Infatti l’anonimo whistleblower, magari raccomandato a sua volta, non ci ha preso. Il database che ha mandato in giro è solo un registro delle domande di assunzione trasmesse agli uffici di reclutamento dai dipendenti della banca – che si sono prestati a fare i postini per parenti, amici o vicini di casa.
Nel 2018 hanno consegnato circa 200 curriculum, aggiunti ai 150 mila che la banca ha ricevuto direttamente, producendo pochissime assunzioni e moltissime bocciature. Così, senza rivelare nessuno scandalo, il documento ci regala un ancor più prezioso spaccato sull’Italia che cerca lavoro, scoperchiando una realtà drammatica.
La favola da convegno sul mancato incontro tra offerte di lavoro interessanti e giovani preparatissimi costretti ai lavoretti racconta tutt’al più un piccolo spicchio di realtà. La massa del problema sono i milioni di disoccupati. Loro, la voce più rilevante che sono in grado di mettere nel curriculum è la disperazione. Gli addetti al recruiting di Intesa si impegnano, valutano attentamente i curriculum mandati dai colleghi, ci mettono anche buona volontà per aiutare qualcuno, ma è la realtà a vincere. Anche Intesa è alle prese con esuberi di personale, vuole gente qualificata, il “lavoro in banca” non è più, come una volta, il succedaneo dell’impiego pubblico.
Certi verdetti suonano addirittura spietati. “Invalido al 46 per cento. Colloquio già fatto, profilo mediocre, scrive a tutti. Lasciamo perdere”. Un caso simile, invalidità al 50 per cento, suscita invece solidarietà: poca scuola con “difficoltà di apprendimento” e desiderio di impegnarsi in un’attività lavorativa, “il candidato stesso descrive idonea alle sue caratteristiche un’attività a bassa complessità”. Per le sue attività basiche dev’essere seguito “continuativamente da una figura di tutor che lo supporti in caso di problematiche impreviste e un po’ più complesse”. Vogliono aiutarlo, vogliono assumerlo. Lo chiamereste raccomandato?
Par di capire dal tabulato che l’estate scorsa un certo “on. Martina”, che sembra corrispondere all’attuale segretario del Pd, cioè a un esponente dell’opposizione, abbia fatto arrivare alla segreteria dell’amministratore delegato Carlo Messina il curriculum di un ragazzo che nel giro di un paio di settimane è stato fulminato come “non interessante”, dopo un colloquio in cui “è risultato piuttosto contraddittorio”. A una ragazza segnalata da un Osvaldo Napoli, che potrebbe essere l’ex parlamentare di Forza Italia, viene concesso il “colloquio di cortesia” che prelude alla bocciatura. Un alto dirigente della banca sottopone il curriculum di un signore che “ha necessità di lavorare e si adatterebbe a qualsiasi tipo di lavoro” e manifesta “disponibilità alla mobilità su tutto il territorio”. Il funzionario annota freddamente: “Da valutare se è possibile fare qualcosa”. Un signore ha perso la madre e la di lei pensione che teneva in piedi l’economia familiare. “Buon profilo”, rilevano gli addetti, che si scambiano messaggi per trovargli una soluzione, però “dobbiamo essere tutti d’accordo”.
L’imbuto è stretto. Intesa ha quasi centomila dipendenti e come tutte le banche accusa esuberi. Ogni anno assume un migliaio di persone, lo 0,7 per cento di chi si candida. Il figlio di un importante ex manager pubblico viene presentato da un grosso dirigente della banca, studia Economia all’estero e vorrebbe iniziare a inserirsi con uno stage. “Persona ancora molto fragile e insicura, con aspetti fortemente adolescenziali”. Bocciato, con buona pace di papà. Poi un giorno faremo il conto di una vera tragedia sociale delle classi alte: la lunga crisi economica, forse l’irreversibile declino, rende tutto più difficile anche per i potenti e i loro amici. La raccomandazione non è più quella di una volta.
Si propone anche il dirigente di un’altra banca, forse attraverso il collega amico. Gli scrivono una email per un colloquio, lui non risponde. Cassato. Un altro manager, altissimo profilo, 250 mila euro di stipendio ma ora “è a casa”. Passare da 250 mila a zero è, soggettivamente, un dramma vero. Non si sa se l’hanno preso a bordo.
Tra i giovani c’è il diciassettenne allievo di una scuola internazionale che richiede agli studenti esperienze pratiche extrascolastiche, e lui vorrebbe fare la sua a Intesa durante l’estate. Nonostante un “atteggiamento un po’ supponente” lo chiamano a metà giugno per offrirgli una possibilità, ma lui risponde che per luglio e agosto ha già altri impegni. Mica tutti i giovani sono cervelli pronti alla fuga. C’è quello “poco sofisticato a livello cognitivo”, quello dotato di “area del pensiero basica”, uno che “a colloquio non brilla”, il figlio di dipendenti che “andrebbe ovunque”, quella che “si candida a qualsiasi cosa”, uno con cognome importante e con “nessuna accortezza specifica”, una con “scarsissima iniziativa” che confessa l’inclinazione per la quale sarà bocciata: “Dice che le piace andare sul sicuro”. C’è lo studente di Giurisprudenza molto indietro con gli esami, “ma non ha alcuna esperienza lavorativa di alcun genere che possa giustificare un percorso accademico così lento”.
Ma c’è anche la ragazza vicina alla laurea che manifesta “buona energia e forte volontà di miglioramento”, accompagnata da una notazione che toglie il fiato: “Il trapianto è recente e sta riscoprendo una possibilità di vita autonoma che di fatto non ha mai conosciuto”. Speriamo che l’abbiano raccomandata.
Bonelli (Verdi): “Così se ne autorizzano 15”. Ma Costa smentisce
“Tutte le richieste di permessi di trivellazione che arriveranno sulla scrivania del ministro dell’Ambiente Costa non verranno firmate”. È la risposta che arriva da fonti del Ministero alle affermazioni del leader dei Verdi, Angelo Bonelli, che definisce “gattopardesco” l’emendamento sulle trivelle, inserito nel dl Semplificazione, frutto dell’accordo tra Lega e M5S e in seguito al quale, secondo Bonelli “verranno autorizzate 15 nuove trivellazioni di cui quattro in mare (tre in Mar Adriatico e una nel canale di Sicilia ) e 11 sulla terraferma”. Dal ministero dell’Ambiente però smentiscono e ricordano che Costa “ha già espresso la sua intenzione di non firmare nuove autorizzazioni”. Ma Bonelli insiste: “Anche se il ministro dichiara che non firmerà nuove trivellazioni, questo accadrà in virtù della norma che fa salvi dalla sospensione di 18 mesi le istanze di concessione in essere alla data di entrata in vigore della legge e a queste se ne potranno aggiungere altre sino alla data di pubblicazione della legge in Gazzetta ufficiale”. E prosegue: “Quindi i casi sono due: o in Parlamento viene votato un nuovo emendamento che annulla questo oppure Costa afferma che non rispetterà la legge”.
Autostrade, Xylella e Ncc: ecco il gran bazar Semplificazioni
Si chiude la prima tormentata corsa del cosiddetto “decreto Semplificazioni” che in origine doveva contenere solo misure per la “deburocratizzazione e la facilitazione dei rapporti tra cittadini e imprese con la Pubblicazione amministrazione”. Dal via libera dal Consiglio dei ministri del 15 ottobre scorso infatti, come spesso accade, il testo ha finito per trasformarsi in un omnibus. Il maxi decreto ha incontrato diversi ostacoli durante l’esame delle commissioni Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato che, inserendo e stralciando decine di emendamenti, ne hanno modificato l’impianto originario. Dentro è entrrato di tutto, dalle misure sull’emergenza Xylellella alle Trivelle, oggetto di uno scontro acceso tra Lega e M5s, fino ai favori ai concessionari autostradali. Dopo l’ok arrivato nella tarda serata di giovedì dalle commissioni, il decreto dovrà compiere l’ultimo miglio: andrà in aula tra lunedì e martedì. Visti i tempi, è probabile che il governo porrà la fiducia: il dl dovrà essere approvato entro il 12 febbraio e alla Camera rischia così di arrivare già blindato. Ecco quello che ci è finito dentro in questi mesi.
Trivelle. Alla fine di un travagliato accordo tra Lega e M5S, sono aumentati i canoni per le concessioni di 25 volte (da circa 59 euro a km quadrato per la coltivazione a 1.480 euro) e bloccati permessi di prospezione e nuove concessioni per 18 mesi in attesa di un Piano di riordino complessivo affidato al ministero del l’Ambiente.
Xylella. Anche se l’emendamento è a firma Lega, la decisione è bipartisan: carcere da uno a 5 anni per chi non abbatte gli ulivi colpiti dalla Xylella fastidiosa in Puglia. Beppe Grillo l’ha bollato come “roba da film horror”.
Fisco. Si allargano le maglie per aderire alla rottamazione ter: potrà richiedere la rateizzazione agevolata delle cartelle esattoriali anche chi ha aderito alla rottamazione bis, ma non ha pagato le rate entro il 2018.
Debiti Pa. Viene esteso anche ai professionisti l’accesso al fondo di garanzia per le Pmi di 50 milioni di euro riservato solo alle piccole e medie imprese titolari di crediti con la Pa ma in difficoltà con i pagamenti alle banche.
Concessioni autostradali. Arriva un vero e proprio favore ai concessionari autostradali. Con una modifica al Codice degli appalti viene ritardato di un anno (al 2020) l’obbligo di mettere a gara il 60% dei lavori superiori ai 150 mila euro. I concessionari potranno così continuare a svolgere a proprie società in house tutti i lavori. Un dietrofront da parte dei 5Stelle.
Idroelettrico. Le concessioni potranno essere “regionalizzate”. L’emendamento della Lega va incontro alle richieste dei territori del Nord.
Web tax. Non si considerano servizi digitali (e quindi esclusi dall’ambito di applicazione della nuova imposta sulle transazioni digitali), le piattaforme che forniscono agli utenti solo l’interfaccia di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento (come Paypal, Borsa italiana e Borsa elettrica).
Ires. Viene eliminata la cosiddetta “tassa sulla bontà” inserita in manovra tra le proteste e poi sconfessata dai gialloverdi. Ritorna l’Ires agevolata (al 12% invece che al 24%) per gli enti non profit.
Durc. Passa da 3 a 24 mesi il tempo per i datori di lavoro per mettersi in regola con il Durc (il certificato che attesta la regolarità dell’impresa nei pagamenti e nei vari adempimenti burocratici).
Etichette. Diventa obbligatorio indicare sulle confezioni dei prodotti alimentari l’origine di tutte le materie prime utilizzate. Al momento l’obbligo esiste solo per pelati, latte e derivati, riso, grano della pasta e carne.
Farmacie. Bocciato l’emendamento che avrebbe aperto alle parafarmacie la vendita dei farmaci di fascia C con obbligo di ricetta. Arriva poi la stretta alle concentrazioni che riduce il tetto attualmente fissato al 20%. I proprietari di farmacie non potranno controllare più del 10% delle attività esistenti nella stessa Regione.
Ncc. Gli autisi del noleggio con conducente erano arrivati a dare fuoco a un fantoccio con le sembianze di Di Maio pur di non far approvare in manovra la riforma che li avrebbe penalizzati. E ora hanno strappato un’apertura: possono operare a livello provinciale senza l’obbligo di ritornare in rimessa per accettare una nuova chiamata. Non saranno però rilasciate nuove autorizzazioni.
Rc auto. Sconti sull’assicurazione per chi installa la scatola nera. Anche se per il 2019 si prevedono rincari per le tariffe e già oltre 5 milioni di automobilisti l’hanno già montata.
“I comunisti col Rolex oggi stanno nel Pd, ma anche nella Lega”
Scusa, Alessandro, ma più leggo gli attacchi elitari e classisti della cosiddetta sinistra al reddito di cittadinanza e ai poveri che ne beneficeranno, più mi viene in mente il rap tuo e di Fedez “Comunisti col Rolex”. Poi si scopre che il compagno Pisapia ha subìto il furto in casa di 300 mila euro in gioielli e orologi, e vabbè, mi arrendo…
I comunisti se la sono chiamata da soli: per anni hanno rotto le palle a chiunque facesse i soldi e questo è il contrappasso. Fossi in loro, direi qualcosa di impopolare e quindi di sinistra: fare i soldi è giusto, perché ogni volta che li fai ci pagherai quelle tasse che andranno alle scuole e all’assistenza sociale.
I comunisti col Rolex stanno solo a sinistra?
No. Oggi i veri comunisti col Rolex sono anche i destrorsi che fanno gli ‘amici del popolo’, tipo i leghisti che per vent’anni hanno distrutto l’Italia con Berlusconi e ora si son rifatti la verginità con la keyword ‘sovranista’. È bastato farsi un selfie con una paranza di pesce in un ristorante all-you-can-eat per scaricare sugli immigrati e sull’Europa la colpa di tutte le stronzate che hanno fatto e tornare a mangiarsi tutto.
Poi c’è la Boschi che, reduce dal Capodanno a Marrakech e dalla cena con Salvini da 6mila euro a tavolo, sbeffeggia i poveri in attesa del reddito di cittadinanza con la battutona sulla “vita in vacanza”…
Negli anni 60 l’Fbi di Hoover infiltrava gli agenti sotto copertura nei movimenti rivoluzionari di sinistra per far fare e dire loro cose che avrebbero causato schifo fra la maggioranza degli elettori. Tutto questo per impedire ai movimenti progressisti di crescere. Nel Pd, Renzi è Hoover e la Boschi è il Donnie Brasco della finta sinistra.
Renzi attacca i poveri presunti “divanisti” da un motoscafo a Venezia: poteva dare retta a te, quando rappavi “Io dico sempre a Fedez: non farti i selfie in barca”.
Sono sicuro che ogni singolo post di Renzi sia coordinato da qualche mega-agenzia di comunicazione politica che gli consiglia queste stronzate. Forse è arrivato il momento di chiedere un rimborso.
L’appiattimento su Macron contro i Gilet gialli non ti ricorda Maria Antonietta di Francia e le sue brioche, prima della ghigliottina?
Tutto ciò che viene dal basso sembra spaventare il Pd, forse perché è genuino e non può essere controllato dall’alto.
Ma il reddito di cittadinanza è di sinistra o no?
Il reddito di cittadinanza avrebbe dovuto approvarlo la sinistra ed è giusto che esista per aiutare chi si trova in estrema difficoltà. Però la politica dovrebbe risolvere il problema alla fonte: se le persone non trovano un lavoro, non possiamo tappare il buco solo versando loro dei soldi. Dobbiamo anche tagliare l’assurdo costo del lavoro, per esempio. Come imprenditore, verso più soldi in tasse per ciascun lavoratore che assumo che in stipendi.
Che sinistra è quella che sfila con la Lega per il Tav e sta con la Lega per le trivelle dei petrolieri?
È la sinistra dei Casini e delle Boschi.
Poteva andare diversamente?
Be’, sarebbe bastato che, dopo le elezioni del 4 marzo 2018, il Pd si sedesse al tavolo con Di Maio. Invece ha preferito ‘mangiare popcorn’ e godersi lo spettacolo. Ora Salvini si è preso il Paese e detta ogni giorno l’agenda all’Italia: vorrei sapere se, a Renzi&C., è andato di traverso qualche popcorn o se sono contenti così. Mi preoccupano i 5Stelle, che rischiano di farsi vampirizzare da Salvini. Per quanto possa essere antipatico, li sta portando a scuola.
“Sono partito comunista, ma non ci sono arrivato”, rappavate tu e Fedez: quanti ne vedi, di politici così?
Mi fanno paura quelli che erano comunisti, poi sono diventati berlusconiani, poi anti-berlusconiani e ora sovranisti: la loro ideologia politica è ‘paraculo’.
Che dovrebbe fare la sinistra che tu sogni?
Io non sono di sinistra, io sono un libertario. Sogno un partito che rispetti i diritti civili e le libertà personali in modo trasversale, senza che nessuno possa arrogarsi di dire a qualcuno ‘questo non lo puoi fare’. Non voglio vedere le mie tasse usate per opprimere nessuno. Nel 2019 non esiste più ‘sinistra’ o ‘destra’, ma autoritarismo e progressismo.
Vedi qualche leader di una sinistra senza Rolex?
Do umilmente un consiglio al Pd: ispiratevi alla Ocasio-Cortez, la più giovane deputata eletta alla Camera americana, una ragazza che fino a un anno fa faceva la barista e si è presentata proponendo di tassare al 70 per cento i redditi sopra i 10 milioni di dollari all’anno. Quella è la sinistra. Probabilmente in Italia la prenderebbero per il culo perché faceva la ‘bibitara’ come Di Maio.
Forza Italia, è il giorno dei “gilet azzurri”. Ma Berlusconi non c’è
Oggi Forza Italia scende in piazza contro il governo gialloverde e la sua manovra economica con le manifestazioni dei cosiddetti “gilet azzurri” lanciati da Silvio Berlusconi nei giorni di Natale. I presidi dei militanti di Forza Italia si terranno nelle principali città italiane. La parola d’ordine è la contestazioni delle scelte “anti-italiane” di Lega e Cinque Stelle, che “non fanno nulla per il lavoro e contro la disoccupazione”. L’iniziativa – che coincide con il 25esimo anniversario della fondazione del partito – è stata presentata ieri nella sede romana, in piazza San Lorenzo in Lucina, da Antonio Tajani. A Roma i parlamentari azzurri si ritrovano in piazza Cola di Rienzo, alle ore 17.00, guidati dallo stesso presidente del Parlamento europeo, con lo slogan “Siamo l’Italia del sì”. Non ci sarà però Silvio Berlusconi, che sarà invece a L’Aquila, dove si avvicina il decimo anniversario del devastante terremoto del 6 aprile 2009. L’ex Cavaliere porta avanti la campagna per le elezioni abruzzesi del prossimo 10 febbraio. Mentre a Roma contesta la Lega, per le Regionali correranno insieme.
Il tappo renziano blocca ancora i Dem
Il 3 marzo, data delle primarie del Pd, è vicino, ma troppo lontano per le dinamiche del partito. Perché a questo punto sono già partiti i giochi per il dopo. Che contemplano la vittoria di Nicola Zingaretti e la ricerca di un modo per arginarlo, condizionarlo, direzionarlo. L’operazione Carlo Calenda è già questo: l’ex ministro dello Sviluppo economico, lanciando il suo fronte anti-sovranista, ha chiarito di non volersi imbarcare né pezzi di Forza Italia, né pezzi di LeU (nonostante Enrico Rossi sia tra i promotori del manifesto e Laura Boldrini abbia già aderito). Il governatore del Lazio, però, aveva già garantito il “rientro” nella ex Ditta. E così si riserva di lasciar fare Calenda e capitalizzare quel che può, ma “mollarlo” dopo i gazebo. Nel frattempo, però, è partito un altro gioco. Non a caso, infatti, Renzi ci ha tenuto a far sapere di essere d’accordo con il progetto del suo ex ministro dello Sviluppo. E la sua permanenza nel Pd ancora una volta riesce a condizionare il dibattito.
L’ex premier non può uscire. Per adesso non lo farà e non si candiderà. Ma intanto i suoi ex fedelissimi si espandono nelle varie mozioni e condizionano pure il Governatore del Lazio. Molti sono già saltati sul carro di quello che sembra il vincitore. Dalla ex ministra Marianna Madia, al Governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini alla sua vice Elisabetta Gualmini. Da Matteo Ricci, già responsabile Enti locali del pd renziano e sindaco di Pesaro (era stato il tessitore della raccolta firme per la candidatura di Marco Minniti) a Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria. E poi, il segretario metropolitano, Pietro Bussolati, l’assessore ai Trasporti della giunta Pisapia, Pierfrancesco Maran. Da una parte è la prova definitiva della fine del renzismo, dall’altra, però, è anche un inquinamento della mozione Zingaretti. Che in potenza lo condiziona. Sia se si parla della riapertura a Bersani & co., sia se si parla di accordi con i Cinque Stelle. Zingaretti, infatti, non fa altro che chiarire per ogni dove che quell’asse non è in programma. E però, da Massimiliano Smeriglio in giù, era una cosa a cui lui e i suoi avevano cominciato a lavorare.
A questo si aggiunge l’annunciata débacle della mozione di Maurizio Martina, che è talmente al di sotto delle aspettative che molti dei suoi sostenitori hanno iniziato ad appoggiare Roberto Giachetti. Questo potrebbe significare una minoranza interna ben organizzata e guidata da Renzi. Un tappo sul Pd che – finché resta – ne impedisce la trasformazione. E che resterà fino a dopo le Europee. A quel punto, tutto è possibile, compresa la scissione. Ma intanto ci sarà da assistere a una guerra sulle liste e a un partito congelato, tra diverse visioni di opposizione.
Nel frattempo, secondo i dati (ufficiosi) che vengono diffusi, quando hanno votato circa l’85% dei circoli, i votanti sono solo 131.735 (poco più di 1/3 degli iscritti), con 66.580 voti per Zingaretti, pari al 50,5% del totale; 43.021 per Martina, che è al 32,7% e 16.148 per Giachetti, al 12,3%. Se è per i circoli, Zingaretti ha vinto in 1709, Martina in 907, Giachetti in 226.
Ma il numero basso dei votanti apre un altro tema: lo svuotamento del congresso. Da vedere quanta gente andrà ai gazebo: a votare alle ultime primarie, che incoronarono Renzi per la seconda volta, furono 1 milione e 800mila votanti (1 milione in meno rispetto alle primarie precedenti, quelle del 2013, vinte dallo stesso Renzi). È chiaro che più l’asticella scenderà rispetto a questo numero, più si parlerà di segretario delegittimato. E più si ridurranno i margini di azione del vincitore.
“Cesaro faceva il deputato”. Lega, FI, Pd e LeU lo salvano
Luigi Cesaro potrà dormire sonni sereni. Perché la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato ha stabilito che i magistrati del Tribunale di Napoli Nord dovranno attendere chissà quanto altri mesi per poter utilizzare (forse) alcune intercettazioni ritenute indispensabili per il processo che lo vede alla sbarra per voto di scambio. Insieme a una ventina di persone tra cui il figlio Armandino e ai suoi due fratelli, arrestati mesi fa nell’ambito di un’inchiesta della dia sulle commistioni politico-mafiose. L’organismo di Palazzo Madama se ne è letteralmente lavato le mani dichiarandosi incompetente a decidere: è infatti passata la linea che la richiesta dei magistrati doveva essere formulata all’indirizzo della Camera. Dove Cesaro sedeva all’epoca dei fatti contestati, anziché al Senato dove oggi è eletto.
Una tesi sposata ovviamente dai forzisti suoi colleghi di partito, ma pure da Fratelli d’Italia. E che è stata abbracciata, con convinzione, anche dalla Lega. Che tutti insieme appassionatamente hanno fatto blocco per salvare Cesaro, accusato di aver promesso posti di lavoro in cambio di voti per il figliolo poi effettivamente eletto alle regionali del 2015 in Campania. Un attivismo, a quanto emerge dalle contestazioni, coltivato con perseveranza. E che ha visto in prima linea anche i suoi due germani Aniello e Raffaele, sodali dell’imprenditore Antonio Di Guida, ritenuto vicino al clan dei Polverino, e impegnato anche lui per far eleggere Cesaro junior. Quest’ultimo, al telefono, non sapendo di essere ascoltato, si era lasciato scappare che, grazie al ras di Forza Italia si era assicurato una commessa milionaria, con un guadagno personale di un paio di milioncini di euro. Ma per sperare di poter utilizzare questa e altre intercettazioni di un certo rilievo penale, i magistrati campani dovranno attendere il via libera di Montecitorio. Dopo aver atteso per mesi inutilmente quello di Palazzo Madama. Campa cavallo.
Il rischio di una dilatazione enorme dei tempi della giustizia c’è. Ma pure quello che l’interessato potesse far valere il vizio della presunta incompetenza del Senato “e l’annullamento del processo” ha sottolineato Alberto Balboni di FdI che ora dovrà predisporre la relazione per l’aula che calendario permettendo, sarà chiamata a decidere definitivamente sul caso. In Giunta, per la verità, si è invece deciso di non dare peso a un altro argomento. Anzi a un precedente di un certo rilievo: quello di Denis Verdini su cui, la scorsa legislatura, decise proprio la Giunta del Senato nonostante i fatti che gli erano contestati risalivano all’epoca in cui era deputato. In quella occasione riuniti gli uffici competenti di Camera e Senato, si concordò il principio che qualora il parlamentare sia ancora in carica, la competenza spetta alla camera di attuale appartenenza dello stesso. Se invece non lo è più, la competenza spetta a quella a cui apparteneva all’epoca delle intercettazioni. “Dato il precedente di Verdini abbiamo insistito che il caso Cesaro dovesse rimanere al Senato. Noi dei 5 Stelle il punto l’abbiamo tenuto, altri no” dice Mario Giarrusso che guida i 7 senatori del M5S. “Non ricordo esattamente quanti senatori erano presenti al voto. Ma essendo la Giunta composta da 23 membri, se i quattro del Pd avessero votato con noi, con l’aiuto di Pietro Grasso (che ha votato no) e magari De Falco (che non c’era), l’avremmo spuntata”. Già, il Pd: per la prima volta da inizio della legislatura ha deciso di astenersi anziché allinearsi alle posizioni di FI, FdI e Carroccio salvando tutti dalle grinfie dei magistrati. Eppure il precedente di Verdini i dem lo conoscono bene, non fosse altro perché fu proprio una di loro (Stefania Pezzopane) a istruire la pratica finita con il via libera all’autorizzazione a procedere. Che invece oggi si nega per Cesaro.
“Vip” in campo – Favorevoli e contrari al governo
C’è un rapporto particolare tra questo governo e i personaggi pubblici. Cinque Stelle e Lega tentano di legittimare il proprio profilo popolare anche con l’appoggio dei personaggi più pop della cultura e dello spettacolo (l’ultima prova è la nomina di Lino Banfi alla commissione italiana per l’Unesco). E i cosiddetti “vip” rispondono, in un modo o nell’altro. Attori, scrittori, musicisti, comici, dopo decenni di divisioni sull’asse destra-sinistra, ora si trovano di fronte una creatura nuova. In questa pagina mettiamo in fila alcuni dei personaggi pubblici che hanno espresso un giudizio (positivo o negativo) sul governo gialloverde.
Fiorella Mannoia
Sostenitrice dei 5Stelle fino allo stop allo ius soli (“Fanno i pesci in barile”), critica le scelte di Salvini sui migranti
Iva Zanicchi
Ex berlusconiana, oggi affascinata dal salvinismo: “Nutro ammirazione per Matteo, ha una marcia in più”
Claudia Gerini
L’attrice apprezza le politiche di questo governo, anche quelle sui rom: “Perché noi dobbiamo essere censiti e loro no?”
Mara Venier
L’ultima “sovranista” è la conduttrice di Domenica In: “Sui migranti bisogna mettere paletti. Salvini è ‘godereccio’”
Riccardo Scamarcio
Ha speso parole di elogio per i giallo-verdi: “Vogliono rinazionalizzare i beni pubblici, meritano grande rispetto”
Heater Parisi/ Lorella Cuccarini
Le due showgirl rivali anche in politica. Cuccarini: “Sono la più sovranista degli italiani”. Parisi: “Ci mancava solo lei”
Claudio Santamaria
L’attore ha sostenuto i Cinque Stelle e la Raggi, ma ha fatto marcia indietro: “Ora capisco di aver sbagliato”
Andrea Camilleri
Lo scrittore ha definito Salvini così: “Attorno a lui vedo lo stesso consenso che c’era nel 1937 intorno a Mussolini”
Michele Riondino
L’attore, deluso dalle scelte su Ilva e Tap, ha dichiarato: “Ho votato M5S ma mi sento truffato, sono disonesti”
Lodo Guenzi
Il musicista/giudice di X Factor è uomo di sinistra. “Non capisco Di Maio, come si fa ad andare con uno come Salvini?”
Fedez
Non è un fan di Salvini (“Ma fa quello per cui l’hanno votato”) però difende il governo: “Si occupa di cose concrete”
Rita Pavone
La cantante ha sgridato i Pearl Jam (storica band Usa) che chiedevano di aprire i porti. Salvini l’ha ringraziata
Erri de Luca
Anche lo scrittore è deluso dai 5Stelle: “Nei confronti di questo governo provo un sentimento di disgusto fisico”
Jerry Calà
Si è schierato col governo con un tweet, facendo esultare Di Maio: “Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi”
Al Bano
Ha portato uno dei suoi vini a Salvini al Viminale e hanno cantato insieme. “Sui migranti – dice – ci vuole ordine”
Orietta Berti
Non ha mai nascosto la simpatia per i Cinque Stelle e ha dichiarato: “Sono contenta di Salvini come alleato”
Mogol
L’autore di Lucio Battisti: “Su questo governo ci sono troppi pregiudizi, non è affatto razzista, lasciamolo lavorare”
Ivano Marescotti
L’attore – una vita a sinistra – ha votato per M5S, ma è pentito: “Non lo rifarei, nel governo domina la destra razzista”
Chef Rubio
Sui suoi profili social il cuoco showman attacca il governo su base quotidiana: “Voglio dare voce a chi è contro Salvini”
Zerocalcare
Il fumettista, vicino al mondo dei centri sociali, non si è nascosto: “Questo governo mi fa accapponare la pelle”
L’accusa della Gdf: Kering-Gucci ha evaso 1,4 miliardi
Tra il 2011 e il 2017 la multinazionale francese del lusso Kering – società di proprietà della famiglia Pinault che fattura circa 11 miliardi e possiede i marchi Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta e molti altri – avrebbe evaso in Italia circa 1,4 miliardi di euro con ricavi non dichiarati nel periodo analizzato quasi dieci volte superiori, cioè 14,5 miliardi. È quanto ritiene il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Milano che ha indagato sul gruppo nell’ambito di un’inchiesta del pm Stefano Civardi: secondo l’accusa, Kering – attraverso “una stabile organizzazione occulta” costituita dalla società svizzera LGI Luxury Goods International – avrebbe evitato di pagare le tasse sulla commercializzazione in Italia di prodotti del marchio Gucci, pagando invece solo le imposte svizzere che risultano inferiori al 9% (in sostanza il marchio risultava della LGI in Svizzera, ma le attività commerciali reali avvenivano a Firenze). Il gruppo della famiglia Pinault, ovviamente, nega di aver aggirato le norme fiscali italiane e ha presentato una sua relazione sui fatti all’Agenzia delle entrate.