L’Araba fenice della riforma che non arriva mai

Dalle ceneri tiepide dei suoi ricorrenti fallimenti, rinasce – periodicamente – l’Araba Fenice del ‘quick fix’: l’idea, l’illusione, di risolvere tutti i mali della governance mondiale con una sola mossa, far entrare la Germania fra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu con (o meglio senza) diritto di veto.

Non accadrà stavolta come non è accaduto in passato, neppure quando la Francia non era la sola a vedere bene questa soluzione. Per Parigi, è un modo facile e indolore di dimostrare amicizia a Berlino: francesi e tedeschi affermano un comune obiettivo, ben sapendo che non lo conseguiranno. Se entra la Germania nel club dei “permanenti”, allora vuole entrare il Giappone, che ha l’appoggio degli Usa ed è la Germania d’Asia: una grande economia politicamente e militarmente “mortificata” dalla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. E poi lo pretendono India e Brasile e Sud Africa, in nome proprio e degli equilibri geografici; e altri Paesi s’accodano.

Va avanti così dalla fine della Guerra Fredda. Le Nazioni Unite hanno un’architettura istituzionale che discende direttamente dall’esito della guerra: nel Consiglio di Sicurezza, composto da 15 Paesi, siedono in modo permanente, e hanno diritto di veto, le 5 potenze vincitrici, che sono pure le cinque potenze nucleari “legittime”, Stati Uniti, Russia (come erede dell’Urss), Cina, Gran Bretagna e Francia.

Fra le critiche mosse a questa “squadra”, c’è che l’Europa è sovra-rappresentata: con la Germania, lo sarebbe ancora di più. Gli altri 10 ruotano: ogni anno ne vengono eletti cinque per un biennio, uno dell’Occidente, uno del fu blocco comunista, un africano, un asiatico e un latino-americano. Nel tempo, il numero dei Paesi Onu è cresciuto: dai 50 iniziali ai 193 attuali. La composizione del Consiglio di Sicurezza, dunque, appare a molti inadeguata, a partire dall’anacronistica divisione tra Paesi occidentali e del blocco comunista.

Negli ultimi 25 anni, sono state fatte numerose proposte di riforma: l’Italia ne è stata propugnatrice o partecipe. Fra le tante: abolizione del diritto di veto; ampliamento dei membri permanenti a 6 o a 7, cioè ‘quick fix’ con l’ingresso della Germania ed eventualmente del Giappone; allargamento da 15 a 20 dei membri del Consiglio di Sicurezza con più Paesi “rotanti”; creazione di una fascia di membri semi-permanenti – una decina – che si alternano più frequentemente degli altri.

Questa è la formula che pareva avere più chances di successo. Ma, quando si trattava di delimitare la fascia, i pretendenti erano sempre più dei posti: Germania e Italia; Giappone e Corea del Sud, ma anche inevitabilmente India e quindi Pakistan e Indonesia; Sud Africa e un Paese dell’Islam, l’Arabia Saudita o l’Egitto; Brasile, ma anche Argentina e Messico; e poi Canada e Australia; e, a quel punto, chi li tiene Turchia e Iran e magari Nigeria?

In questo infruttuoso esercizio diplomatico, si sono formate alleanze e cordate, rinsaldate e poi rotte amicizie. E tutto è rimasto com’era, magari “arcaico” e poco efficiente, ma almeno esistente. L’Italia, poi, nell’attuale sistema sa farsi valere: con la Germania e il Giappone, è uno dei Paesi che ha fatto più bienni. L’ultimo, quello 2017-18, l’ha però dovuto spartire con l’Olanda, perché l’Assemblea generale non riusciva a esprimere una maggioranza né per Roma né per l’Aja. Dal 1° gennaio, è subentrata la Germania. Prove generali di permanenza prolungata? Nessuno ci crede.

Onu, M5S schiera l’Europarlamento contro Macron

Dritti contro Macron, ancora. Agitando anche una risoluzione del giugno scorso, con cui il Parlamento europeo chiedeva un seggio per la Ue nel Consiglio di sicurezza nell’Onu, proprio come pretendono ora i 5 Stelle. Un documento approvato con una larga maggioranza (390 sì e 103 no), appoggiato anche da molti parlamentari francesi, socialisti e popolari, mentre il Front National di Marine Le Pen votò contro.

“E questo conferma due cose: la necessità di un seggio permanente per l’Unione e l’ipocrisia di Emmanuel Macron, che fino a ieri faceva l’europeista e ora punta a una Ue monopolizzata da Francia e Germania” sostiene il cinquestelle Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente dell’Europarlamento. L’uomo che sta gestendo, assieme a Luigi Di Maio, le trattative per creare un nuovo gruppo in Europa guidato dal Movimento.

Non a caso Castaldo torna ad accusare: “Dopo aver presentato un emendamento al regolamento per permettere alla conferenza dei capigruppo di bloccare la nascita di nuovi gruppi, ora i socialisti ci riprovano con un altro testo che vuole rimettere all’aula la decisione, co-firmato dal partito dell’ungherese Orban. È una novità cosmetica, ma il succo che è a colpi di maggioranza vogliono fermare il nuovo”. A ripresentare l’emendamento è sempre il socialista tedesco Jo Leinen, il padre di una norma in base a cui i capigruppo potrebbero “raccomandare” all’Aula di votare sui nuovi gruppi. E il M5S ovviamente protesta: “Vogliono limitare il diritto delle opposizioni, e di chi non è legato all’ancien régime”. Però il punto principale rimane Macron, l’avversario che il Movimento si è scelto per queste Europee. Perché è “il Renzi francese”, un uomo dell’establishment che in casa è assediato dai Gilet gialli e fuori dei confini crea guai al governo italiano in partite pesanti, prima tra tutte quella in Libia. E pazienza se un paio di anni fa Di Maio gli scriveva lettere pubbliche dal blog, citandolo come una fonte di ispirazione. “Ma è lui che è cambiato, dimostrando la sua ipocrisia” sostiene Castaldo.

Che riparte dalla risoluzione, un atto di indirizzo non vincolante. “Però il tema è politico – continua il grillino – perché fino a pochi mesi anche la Francia riconosceva la necessità di un seggio permanente nel Consiglio dell’Onu per l’Unione, quindi voleva rafforzarla. Invece ora Macron fa un patto con la Germania che punta a far ottenere un seggio ai tedeschi, con diritto di veto”. È naturale muovere due obiezioni: i 5Stelle il seggio lo vorrebbero togliere proprio alla Francia; e in fondo l’asse con la Germania della Merkel lo vorrebbero in tanti, forse perfino il Giuseppe Conte sorpreso in un fuori onda a confidarle i timori del M5S per il risultato nelle Europee… Castaldo replica così: “Il nodo non sono i normali incontri bilaterali del premier, ma il fatto che due Stati vogliono guidare l’Unione, con Macron e Merkel che vogliono puntellarsi a vicenda, perché sono due leader in difficoltà. Ma questo va contro gli interessi dell’Europa, e stride anche con la vecchia retorica europeista del presidente francese, che ora è dichiaratamente ostile al governo italiano. Quando venne formato, lui parlò di lebbra”.

Basta questo? “Il suo governo porta avanti una politica ostile all’esecutivo italiano, e lo ha dimostrato anche contestando l’accordo tra Fincantieri e la società francese Stx (ora all’esame dell’Antitrust Ue, ndr)”.

D’accordo, ma voi mordete il presidente francese senza sosta, invece il presidente del Consiglio Conte e il ministro degli Esteri Moavero abbassano i toni. L’impressione è che abbiate più linee di politica estera dentro lo stesso governo. “No, semplicemente loro tengono aperta la porta del dialogo, come è giusto visto il loro ruolo. Mentre noi mettiamo in luce le contraddizioni di Macron”.

Resta il fatto che elogiare e proporre accordi ai Gilet gialli, come ha fatto il Movimento, non è una via per migliorare i rapporti. Ma Castaldo rilancia: “Noi manteniamo un’interlocuzione col movimento francese e attendiamo di capire che idea di Europa hanno e quali battaglie vogliono portare avanti”.

Le prime due uscite di Landini: dal Cara di Bari ai partigiani

Il programma per il futuro del nuovo segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, è semplice a parole quanto complesso nella pratica: fare “il sindacato di strada: andare tra i lavoratori nei cantieri, nelle campagne, dove ci sono i lavoratori, come rinnovata pratica sindacale per tutta la Cgil”, dice dal palco del congresso che si è chiuso ieri a Bari. Le sue due prime uscite pubbliche, invece, segnalano che il bersaglio polemico dell’ex leader dei metalmeccanici è il governo e, in particolare, il ministro dell’Interno Matteo Salvini: “Da nuovo segretario generale della Cgil ho pensato di fare due cose subito, chiare: ieri sera sono andato a un’assemblea dell’Anpi a Bari per dire che la resistenza contro il fascismo non è finita e la dobbiamo continuare tutti insieme. Oggi vado al Cara di Bari-Palese, quelli che il governo vuole chiudere”. Antifascismo e accoglienza, perché “questa Cgil ha un’altra idea di società rispetto al ministro dell’Interno: noi vogliamo cambiare il Paese, noi siamo il sindacato del cambiamento, non Salvini, la Lega che sta portando l’Italia indietro”.

Mors tua mors mea, leviamo almeno un grido

Mosè ti scongiuriamo torna! Vieni a salvare dall’acqua i corpi del creato! I miracoli non esistono ma si fanno. Poveri cristi non riescono più a camminare sull’acqua, e il miracolo dell’apertura del mare e dei porti sembra il più difficile. Chiediamo ong anche sommergibili che coi sottomarini scandaglino questa situazione, fino in fondo.

Amor anfibio ci sono altre 170 dignità da restituire alla terra, quindi non solo all’Africa che è la stessa nostra terra, silenzi che non si possono colmare solo col mare. Ci sono migliaia di persone che lasciamo torturare a distanza e che non devono più fare viaggi boomerang e tornare a morire anche senza essere uccisi. A che gioco giochiamo? A nascondino invece che a pace libera tutti.

La razza (umana) è l’unico pesce che annega sempre più spesso ma le verità vengono a galla. Sentiamo morire, ci sentiamo morire, sentiamo mancare, ma cosa manca per non far morire, per non annegare l’evidenza? Mancano i passaporti per andare al di là, non solo in Europa (che sembra non abbia più stati d’animo), ma al di là della sola condizione umana, politica, sociale, civile. Mancano le forze, superiori e sovrumane. Mancano i visti per gli invisibili, però visti morire, invisi, e che non riusciamo a seppellire se non nella famosa baraonda.

La matematica non è una opinione ma vite, che gridano giustizia, anche in forma di pietà, non a parole: 47 o 170 non sono numeri ma una eterna moltitudine, come lo sarebbe anche soltanto l’1, che la compone, tutto sommato, ininterrottamente. Esistono i numeri sacri? E quelli massacri? A cosa bisogna aggrapparsi, per non sprofondare, a quale barca, a quali chiese (quasi fino allo sciopero della fede?), a quale struttura, a quale partito, a quale guaio o guaito, per non esser ancora così superficiali da non far restare in superficie chi va giù, anzi per alzarsi da questo grande giù, questo infinito sotto? Siamo una sotto-specie? È arrivato il momento in cui leggere la portata di una strage in un’altra dimensione. Occorriamo, serviamo, accorriamo coi nostri arti ambulanza a prendere in carico i gettati nell’onda della nostra commozione e della loro disperazione.

Mors tua mors mea vita tua vita mea.

Un eccidio stillicidio, in gocce, nel mare, in lacrime, che nell’acqua sembra non si vedano più. Ma se cambiamo dimensione si sentono scendere. Dobbiamo prendere le distanze ma per poi accorciarle, e restituire terra a chi continua ad affogare nella (in)differenza profonda, che crea un abisso, tra loro e noi, noi e noi, tra voi e voi, tra me e me. Leviamo almeno un grido.

Anche per questo aderisco all’appello di Manconi e Veronesi che sta prendendo sempre più corpo, per prendere corpi.

Papa e migranti, l’incontro segreto di Salvini in Vaticano

Dal Vangelo secondo Matteo: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Attorno a un tavolo imbandito per il pranzo, un pasto essenziale e però sufficiente a reggere una delicata conversazione, in Vaticano c’erano il cardinale Angelo Becciu, il ministro Matteo Salvini, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Il porporato sardo di Pattada, tra i più influenti in Curia, ha accolto il vicepremier dei porti chiusi una decina di giorni fa, dopo le tensioni del governo con le istituzioni europee e con la Chiesa per l’attracco vietato ai migranti a bordo delle navi delle Ong. Un incontro al solito riservato – il ministro dell’Interno fa sapere che tace sul tema – che avvicina due mondi all’apparenza inconciliabili.

Salvini ha ignorato con arroganza le suppliche dei vescovi italiani per i 49 salvati dalle Ong (poi in parte affidati ai valdesi), non l’appello – senza riferimenti espliciti all’Italia, ma all’intera comunità europea – di papa Francesco pronunciato all’Angelus dell’Epifania.

Il metodo Salvini – soprattutto le accuse ai paesi europei indifferenti e agli scafisti disumani – riscuote consenso tra laici e clero, tra parrocchie e sacerdoti. Il fenomeno leghista non va sottovaluto, ripetono i consiglieri di Francesco, anche quelli che disprezzano il vicepremier.

Il Carroccio ha sempre curato con discrezione un canale di comunicazione diretto con il Vaticano, mentre il dialogo con la Conferenza episcopale italiana è inesistente. Per ovvie ragioni di opportunità politica e chissà di fede, Salvini non s’è permesso mai di trascurare il pensiero di Jorge Mario Bergoglio e col supporto diplomatico di Lorenzo Fontana, il conservatore ministro per la Famiglia, ha contatti frequenti in Curia. Con la Chiesa che spinge per il ritorno dei cattolici in politica, che si organizza attraverso le iniziative del cardinale Gualtiero Bassetti, il presidente dei vescovi, ai leghisti conviene mediare in privato pur preservando il grugno in pubblico.

Il pranzo ha un significato profondo anche per le dinamiche curiali. Becciu ha ricevuto la porpora da Francesco in maggio e in giugno ha lasciato l’incarico di sostituto agli Affari generali in Segreteria di Stato, era cioè fra i principali interlocutori di Palazzo Chigi, dopo sette anni di servizio cominciati con Joseph Ratzinger e Tarcisio Bertone.

Adesso prefetto della Congregazione per le cause dei santi, Becciu è sempre considerato un referente privilegiato dal governo italiano. Il raccordo col Vaticano spetta al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, al terzo commensale Giorgetti. Il venezuelano Edgar Peña Parra, successore di Becciu, è digiuno di politica italiana, proviene da un triennio di nunziatura in Mozambico. Francesco ha cambiato più poltrone in Curia, ma l’inesperienza può generare soltanto confusione.

Becciu interviene spesso sugli argomenti di attualità, l’ultima volta, per esempio, ha rimproverato il governo per la gestione dell’arresto di Cesare Battisti: “In Italia abbiamo una cultura giuridica di primo grado, non possiamo risvegliare nella gente certi istinti forcaioli. Chi sbaglia merita la condanna, la deve espiare, ma come persona merita rispetto”. Quasi due anni fa, Becciu ha pianificato e ospitato nel suo appartamento il colloquio tra papa Francesco e l’allora premier Gentiloni per “approvare” la linea di Marco Minniti sui migranti, il primo a smorzare le partenze dei barconi dall’Africa, a stringere accordi con le tribù, a creare un codice di condotta per le Ong.

Con accenti più ruvidi e col contestato decreto Sicurezza, Salvini ha proseguito sul tracciato dell’ex ministro di centrosinistra. E Becciu sta ancora lì a ridurre la distanze tra le due sponde del Tevere, a mettere insieme il “Gesù era un profugo” di Francesco e “la pacchia è finita” di Salvini. Qui si entra nel settore miracoli: “Appena saliti sulla barca, il vento cessò”. L’ha detto Matteo. L’evangelista.

L’Anm difende i giudici che accusano il leader della Lega

“Bisogna abbassare i toni del dibattito e noi auspichiamo che la dialettica torni nei canoni corretti: la magistratura ha le sue prerogative, noi rispettiamo quelle di tutti, ma chiediamo rispetto”. Lo ha detto il presidente dell’Associazione magistrati (Anm), Francesco Minisci, sulle polemiche che hanno investito i giudici del Tribunale dei ministri di Catania che intendono processare Matteo Salvini per il caso della nave Diciotti della Guardia costiera, bloccata l’estate scorsa prima in mare e poi nel porto di Catania con 177 migranti a bordo. Più tardi una nota della giunta esecutiva dell’Anm ha replicato, senza citarlo, a un titolo del Giornale su uno dei giudici che hanno incriminato il ministro degli Interni, Paolo Corda: “Il giudice che scarcera gli scafisti”, così era definito. “Vengono attribuite ai magistrati posizioni preconcette, anche attraverso un inammissibile parallelismo con precedenti provvedimenti giudiziari, e connotazioni ideologiche e politiche”, scrive l’Anm censurando un “modo di fare informazione” che “rende un cattivo servizio ai cittadini e non corrisponde alla azione giudiziaria dei magistrati che svolgono la propria attività seguendo il dettato costituzionale dell’imparzialità”.

“Il dl Sicurezza non è retroattivo”. Così i permessi umanitari restano

Da Ancona a Bari, da Bologna a Catania, da Brescia a Firenze e ancora a Genova, Milano, Napoli, Perugia, Torino, Trento, Venezia, Palermo. Quattordici (su 20) tribunali in cui esistono le sezioni speciali per l’immigrazione e la protezione internazionale hanno deciso di concedere la vecchia protezione umanitaria cosiddetta atipica agli stranieri che avevano fatto domanda prima del 4 ottobre 2018, giorno dell’entrata in vigore del decreto 113/2018 voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Le nuove norme, come è noto, eliminano quella forma di tutela, che in passato affiancava l’asilo vero e proprio ed era concessa con maggior frequenza perché prevedeva “seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali”. Oggi invece è possibile solo in tre casi: per cure mediche, per calamità nel Paese d’origine e per atti di particolare valore civile.

I quattordici tribunali, secondo il monitoraggio dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), hanno stabilito che la norma non può essere retroattiva, cioè non può essere applicata a chi ha chiesto la protezione umanitaria prima del decreto Salvini. Perché il decreto non prevede la retroattività e perché, scrivono alcuni giudici, se la prevedesse sarebbe incostituzionale: priverebbe infatti il richiedente del riconoscimento di un diritto esercitato quando la legge lo prevedeva.

Come ha scritto La Stampa, la stessa posizione è stata assunta dalla Procura generale presso la Cassazione, lo scorso 15 gennaio, dal sostituto procuratore generale Luisa De Renzis. Se la Cassazione decirà in questo senso potrebbero essere accolte decine di migliaia di domande oggi pendenti, accumulate negli anni, addirittura 150 mila secondo le stime dell’Asgi. L’associazione ha trovato solo due pronunce a favore della retroattività del decreto, una del tribunale di Campobasso e una della Corte d’appello di Firenze.

I permessi umanitari sono già stati ridotti drasticamente da quando Salvini è arrivato al Viminale. Le commissioni territoriali sono molto rigide e spesso applicano il decreto Salvini anche alle domande pre-ottobre 2018 col risultato, al di là delle ovvie considerazioni umanitarie, di aumentare gli irregolari che in massima parte non è possibile espellere perché mancano gli accordi con i Paesi d’origine. E intanto i tribunali si riempiono di ricorsi. Succede anche in Cassazione: in materia di asilo e protezione internazionale sono aumentati del 512 per cento nel 2018, ha detto ieri il primo presidente della Suprema Corte, Giovanni Mammone, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Dipende da un decreto del 2017, firmato da Marco Minniti, che ha abolito l’appello. Così vanno tutti in Cassazione.

Il governo blocca Sea Watch. Il pm: fate sbarcare i minori

Alle 21, la richiesta del Tribunali dei minori, è sulle scrivanie del Viminale già da un bel po’. Ci si ragiona su. Mamadou che ha 15 anni – così dicono dalla Sea Watch 3 – non è un bambino. È un minore. È partito dalla Libia solo soletto. È alla fonda a Porto Santa Panagia, vede le luci di Siracusa, e deve portare pazienza. Il governo si sta facendo due conti: e se avesse 17 anni e mezzo, s’interroga Salvini? E se tutti i 13 minori non accompagnati, a bordo della Sea Watch 3, avessero 17 anni e mezzo? E se fosse un escamotage – sospetta il Viminale – per far fesso il governo?

“Forse il ministro dell’Interno non conosce la legge”, commenta l’avvocato Carla Trommino, garante per l’infanzia di Siracusa che ieri ha scritto alla Procura dei minori di Catania, per chiedere la verifica sui minori non accompagnati a bordo della Sea Watch 3. “Se c’è un solo dubbio – continua Trommino – il ragazzo si deve considerare minore fino a prova contraria. Non si tratta di escamotage. Non lo può valutare il Viminale se fare sbarcare i minori, deve solo applicare la legge”.

Nel pomeriggio di ieri la Procura per i minorenni di Catania, infatti, ha chiesto al Viminale e al ministero delle Infrastrutture – quindi a Salvini e Danilo Toninelli – di far sbarcare i minori non accompagnati affinché siano “collocati in apposite strutture”. La Procura per i minorenni, che ha aperto un fascicolo, spiega a Salvini e Toninelli che, “come ben noto, i diritti riconosciuti dalle convenzioni internazionali e dalla legge Zampa impongono il divieto di respingimento e di espulsione, riconoscendo il diritto a essere accolti in strutture idonee, ad aver nominato un tutore, nonché a ottenere un permesso di soggiorno”. Mamadou e i suoi 12 compagni di viaggio non devono chiedere un “favore” a Salvini: sbarcare è un loro diritto. E la Procura sottolinea: “Evidentemente questi diritti vengono elusi a causa dell permanenza dei suddetti minori a bordo della nave, poiché quantomeno non possono beneficiare di strutture d’accoglienza idonee e sono costretti a permanere in una situazione di disagio sino a quando la situazione politica internazionale non sarà risolta, con grave violazione dei loro diritti”.

Parole sovrapponibili a quelle vergate dal Tribunale dei ministri quando, accusando Salvini di sequestro di persona, si occupa dei migranti che nell’agosto scorso erano a bordo del pattugliatore Diciotti. Il paragrafo, non a caso, s’intitola “Violazione della legge Zampa –Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”. “Tra imigranti soccorsi dal Diciotti – scrive il tribunale dei ministri – vi erano anche diversi minorenni non accompagnati e tale circostanza era sicuramente nota anche al Ministro, atteso che già allorquando” la Guardia costiera “veniva contattata, alle ore 11:52 del 15 agosto, da una telefonata satellitare proveniente dal barcone, si dava atto della presenza a bordo di circa 190 migranti… tra cui diversi minori”.

A meno che questa volta, dalla Sea Watch, abbiano omesso la presenza di minori non accompagnati, la circostanza dovrebbe essere nota anche questa volta. “Ciononostante”, continua il tribunale, “lo sbarco dei 29 minori veniva autorizzato da Salvini… solamente la sera del 22 agosto e solo dopo l’intervento della Procura della Repubblica per i Minorenni di Catania che, con nota del 21 agosto… aveva intimato l’immediato sbarco dei minori non accompagnati presenti a bordo”.

È la fotografia di quel che s’è ripetuto ieri. Anche a livello diplomatico. Salvini in mattinata annuncia: “Bandiera olandese, Ong tedesca. Aprano i porti di Rotterdam o Amburgo, in Italia posto non ce n’è”. Il governo italiano ha convocato l’ambasciatore dei Paesi Bassi – la Sea Watch batte bandiera olandese – per chiedergli di accogliere i 47 migranti soccorsi dalla Ong, ormai una settimana fa, al largo delle acque libiche. Il soccorso sarebbe stato di competenza di Tripoli: “Non hanno risposto al telefono”, ha detto Sea Watch. Proposta rispedita al mittente: non se ne parla. Nel pomeriggio Salvini rilancia: “Denuncerò l’equipaggio della Sea Watch 3 per favoreggiamento all’immigrazione clandestina”.

L’altro vicepremier, Luigi Di Maio, sospetta invece che la Sea Watch – come nel caso della nave Lifeline – menta quando dichiara di battere bandiera olandese: “Se sta sventolando illegalmente la bandiera procederemo al sequestro”. Tra mille dubbi e sospetti, però, un fatto solo resta certo: i 13 minori non accompagnati hanno il diritto di sbarcare.

L’editoriale di Bannon

Nel Tg2 superleghista di Gennaro Sangiuliano – già ribattezzato “TeleVisegrad” – c’è gloria anche per Steve Bannon. Il notiziario preferito da Matteo Salvini dedica una corposa intervista – nell’edizione nobile delle 20.30 – all’ideologo dell’Alt-right, già consigliere di Donald Trump (poi licenziato) e rumoroso sostenitore dei populismi di mezza Europa, a partire dai gialloverdi nostrani. Bannon, come prevedibile, di fronte alle telecamere del servizio pubblico suona il solito spartito: “Ci sono delle critiche nei confronti di Orban e Salvini perché sono razzisti, io non sono assolutamente d’accordo, si dice che sono etno-nazionalisti, è assurdo”. Al massimo, ci spiega, sono “patrioti”. E bisogna andarne fieri, perché “negli altri Stati non esiste questo grande amore per il proprio Paese”. Ma il buon Steve ha parole al miele anche per Luigi Di Maio: “Il Movimento 5 Stelle mi interessa molto perché è un governo di cittadini. Loro erano contro la corruzione”. Nel suo innato ottimismo, ne è certo: malgrado i litigi, Matteo e Giggino hanno un futuro brillante insieme: “La cosa straordinaria di Di Maio e Salvini è che è difficile avere gente di destra e di sinistra che collabora. L’Italia non è perfetta ma quello che abbiamo visto qui è un tentativo che non ha fatto nessun’altro al mondo”.

La Suprema Corte inaugura l’anno criticando i gialloverdi

Critiche alla maggioranza giallo-verde dai vertici della Cassazione, che ieri hanno inaugurato l’anno giudiziario. Il presidente Giovanni Mammone tocca il nervo scoperto dei migranti: “Evitare ogni regressione in materia di diritti umani è un compito che si è dato la comunità internazionale” e fornisce un dato impressionante: i ricorsi civili in Cassazione, per le richieste di asilo, sono aumentati del “512,4%”. Man forte a Mammone arriva dal vicepresidente del Csm David Ermini che parla di un “carico insostenibile”. Nessun riferimento politico esplicito, ovviamente, ma in automatico il pensiero va a Salvini con diverse declinazioni sul tema: dal caso Diciotti, al decreto sicurezza, alle schermaglie con il premier Conte. Ma il dato specifico sui ricorsi si riferisce al periodo di Marco Minniti al Viminale. Il Pg Fuzio, invece, interviene sulla nuova prescrizione, che, a suo parere, da sola non serve. Perché sia efficace “occorrerà che siano rimodellati tutti i tempi ragionevoli del processo”, ci vogliono soluzioni “ragionevoli” e non “emotive”. Il ministro Bonafede, presente ieri, ribatte: la prescrizione è una riforma “di forte impatto strutturale”.