Referendum, come cambiare la riforma

Sono d’accordo con Marco Travaglio che ci sia del nuovo nell’atteggiamento della maggioranza sulla legge che modifica la Costituzione per introdurre il referendum propositivo. Quanto questo sia nuovo, è prudente attendere il testo riformulato dalla relatrice per poterlo accertare, visto che su diversi punti si è riservata di presentare riformulazioni e alcune riguardano la possibilità di sottoporre a referendum propositivo aspetti che vengono catalogati sotto la voce modifiche ai regolamenti europei, che fino a prova contraria sono trattati internazionali e quindi non sottoponibili a referendum. L’introduzione del quorum di approvazione del referendum è un passo avanti, anche se troverei più equilibrato inserire anche un quorum di partecipazione (più alto) in quanto la partecipazione al voto potrebbe essere un tratto distintivo (positivo o negativo) di un solo punto di vista, mentre il voto dovrebbe sempre essere sempre personale e segreto.

Il testo delle modifiche costituzionali, pur essendo migliorato, resta 10 volte più lungo dei due commi precedenti dell’articolo 71: basta prevedere l’introduzione di principio del referendum propositivo e rinviarne l’attuazione alla legge attuativa, approvata dalla maggioranza assoluta delle Camere. Una legge che potrebbe modificare le modalità di raccolta delle firme, rendendola meno costosa e più semplice. Il centrosinistra ha sbagliato nel 2001 con le modifiche alla Costituzione, il centrodestra nel 2005, non c’è ragione di seguirne il pessimo esempio. Il referendum abrogativo può essere promosso anche da 5 consigli regionali: per analogia dovrebbe essere possibile anche in questo caso e questo suggerirebbe di inserire la modifica costituzionale all’articolo 75.

Per i casi di inammissibilità dei referendum propositivi va indicato con chiarezza quanto previsto dall’art. 75 (leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e indulto, trattati internazionali). Inoltre andrebbe aggiunto che sono improponibili referendum che possano prevedere spese di cui solo il lavoro parlamentare è in grado di indicare le coperture. Il ruolo della Consulta è mal collocato, di fatto il suo parere arrivati alla soglia di 100.000 firme (o anche di 200.000) può diventare una sorta di malleveria per arrivare a 500.000 firme.

Inoltre se la Corte si pronuncia prima del voto delle camere, i promotori non hanno interesse a dichiararsi soddisfatti e quindi il doppio voto che contrappone testo delle camere e proposta referendaria è quasi certo. In alternativa al doppio voto su testo delle Camere e testo dell’iniziativa referendaria – che porterebbe al di là delle intenzioni a una contrapposizione tra voto popolare e voto parlamentare – sarebbe preferibile l’entrata in vigore ordinaria della legge che risponde alle richieste dei 500.000 firmatari e se i promotori non sono d’accordo possono sempre adire al referendum abrogativo, magari abbuonando la raccolta delle firme.

Va definito inoltre il numero massimo di referendum da svolgere nel corso della legislatura, se sono abbinabili e questo dovrebbe riguardare sia i referendum abrogativi che quelli propositivi. Ad esempio in ogni legislatura non dovrebbero essere presentati più di 3 referendum propositivi, ciascuno distante almeno 18 mesi dall’altro, in modo che gli elettori possano votare a ragion veduta.

In conclusione, condivido l’apprezzamento per la novità, ma ritengo indispensabile riaprire la discussione a tutto campo, in modo da realizzare un passo avanti nella partecipazione democratica, evitando nello stesso tempo di sminuire ulteriormente il ruolo del Parlamento, senza il quale tutta l’architettura istituzionale del nostro paese ne risentirebbe pesantemente. Altrimenti nessuno dovrà stupirsi se riemergerà una tentazione presidenzialista che sarebbe un rimedio peggiore del male che dichiara di voler curare.

Grillo a Oxford: l’incoerenza è arte

Se qualcuno fosse interessato alla verità dei fatti, e sperando di non causare una caduta psicologica nei navigati cronisti che ci avevano riferito l’evento, vogliamo parlare dell’incontro avvenuto tra Beppe Grillo e gli studenti di Oxford il 14 gennaio scorso, che tanto ha fatto discutere perché secondo alcuni testimoni Grillo avrebbe “maltrattato”, ma secondo altri addirittura seviziato i poveri (si fa per dire) rampolli della secolare università invece di rispondere alle loro domande.

Secondo La Stampa, il “Grillo-flop” si è concluso con urla di “buu” e fischi, coi ragazzi letteralmente “scioccati”; secondo l’inviato del Corriere, che è riuscito a entrare come ospite dato che Grillo non ha voluto giornalisti, Grillo è stato duramente contestato e costretto al mormorio dei vinti. Sui social, alcuni tra gli studenti brutalizzati, miracolosamente scampati all’eccidio, hanno riferito, scatenando l’indignazione di molti colleghi retwittatori, che “Grillo è un gran maleducato”.

Allora, intanto lasciateci esprimere la nostra ammirazione per la famosa ironia britannica che ha fatto sì che la patria dell’educazione e del bon ton invitasse il comico che ha costruito un movimento politico sulla potenza liberatoria del “vaffanculo” aspettandosi da lui le maniere di un maggiordomo bretone da film di James Ivory. Sospettando che l’intera operazione sia frutto di un grosso equivoco (forse Grillo era stato chiamato per fornire rinforzi nella annuale gara di canottaggio con Cambridge), invitiamo a guardare il video integrale, pubblicato ieri sul blog di Grillo, di questo riuscito esempio di teatro involontario, comico e drammatico, su temi di epistemologia, politica e lotta di classe.

Accanto a un giovane traduttore a cui auguriamo la stessa carriera comica dell’introdotto, Grillo arriva bendato perché non vuole vedere un’Inghilterra che dibatte da mesi sulla Brexit e si incarta su un eventuale secondo referendum che invaliderebbe il primo, e via così ad libitum, finché non si ottiene il risultato sperato. Segue monologo grilliano in purezza, tra gag da slapstick comedy e la descrizione di Oxford come di una città con una architettura ostile, in cui le panchine sono costruite in modo che nessun barbone ci si possa sdraiare.

A un tratto, accede sul palco l’antagonista (invero è sempre stato lì ma non lo si notava, il che è abbastanza esilarante): è il giovanissimo presidente della Oxford Union. Compassato e presissimo nella sua parte, fa una domanda lunga e sfidante a Grillo, che si annoia, si stira sulla sedia, sgrana gli occhi, gorgheggia con l’acqua. Sono mondi antropologici inconciliabili. Il presidente e il comico si fronteggiano senza capirsi. Il ventunenne sfida Grillo sul piano della coerenza; Grillo, che l’incoerenza la rivendica come metodo artistico, risponde su un altro piano: “Sapete perché il movimento ha avuto successo? Perché non c’è mai stata una motivazione economica, egoistica, ma sentimentale, l’esatto opposto dei machiavelliani competenti di prima”. Il presidente lo rimprovera di non rispondere. Grillo si sposta, elude, diserta ancora di più: “Le persone che ridono non puoi altro che amarle. Le donne della mia vita le ho amate perché mi divertivano”.

Quando il presidente, irrigidito, gli chiede conto dell’antivaccinismo del movimento, Grillo spiega che non c’è mai stata nessuna dichiarazione da parte sua e del movimento contro i vaccini, e che un conto è la scienza, un conto la legge che li rende obbligatori senza informare, il che presenta l’inequivocabile inconveniente per i nostri giornali di essere corretto e quindi di rompere il tranquillizzante schema in cui i grillini sono contro la scienza e il Pd a favore (indimenticabili i cartelli con scritto “Vota la scienza. Vota il Pd”). Uno studente gli rinfaccia allora di aver firmato il Patto per la Scienza e dunque di essere contraddittorio. Il presidentino rincara: “Lei è contraddittorio col movimento”. Grillo rivendica l’esser contraddittori come una qualità umana, scientifica e politica, e precisa di non essere più capo del movimento. Un ragazzo italiano gli chiede di un libro scritto da due fuoriusciti del M5S che denunciano la mancanza di democrazia interna al M5S. Grillo si arrabbia (e qui sbaglia; ma non nel senso che è poco democratico, come è stato detto, piuttosto perché si difende, invece di sottolineare l’evidenza che chi accetta di entrare in un movimento in cui c’è l’obbligo di rispettare delle regole poi non può lacrimare se ne viene espulso per averle violate).

Quelli che hanno dipinto Grillo come un brutalizzatore di studenti perché a Oxford non ci si comporta così, sappiano che hanno ridato spinta all’anima originaria del movimento, oggi un po’ appannata; sostenere che Grillo, estraneo ad ogni galateo diplomatico, avrebbe dovuto avere riverenza per l’istituzione e non contraddire gli studenti, è poco rispettoso; ma non di Grillo, piuttosto degli studenti.

Mail box

 

Gli scienziati si confrontano, non zittiscono l’avversario

Beppe Grillo ha sbagliato a sottoscrivere il Patto per la scienza di Burioni, non certo perché la difesa della scienza non sia una cosa buona (e ovvia), ma per quella frase contenuta nel testo: “mi impegno a non sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza”. Usare le parole “non tollerare” significa avere un atteggiamento di preconcetta ostilità verso posizioni contrarie anziché una predisposizione verso al dialogo e al confronto. Perché non dovremmo cercare di convincere l’avversario invece di ostracizzarlo? La teorizzazione dell’intolleranza verso opinioni contrarie al mainstream nasce dal libro Merchants of doubt di due storici della scienza, Erik Convay e Naomi Oreskes. In questa pubblicazione si giustifica il silenziamento di posizioni negazioniste nei confronti dei cambiamenti climatici per prevenire ulteriori ritardi nell’adozione di valide misure correttive. Questi atteggiamenti antidemocratici sono però profondamente sbagliati e forieri di pericolose derive autoritarie. A mio avviso Grillo ha sbagliato ad associare il suo nome a uno come Roberto Burionoi che dà del “somaro” a chi non la pensa come lui. Di fronte a verità complesse, chi cerca la verità dovrebbe invece amare le oppinioni contrarie, secondo l’insegnamento del cardinal Martini “pro veritate adversa diligere”. Chi possiede validi argomenti e non ha nulla da nascondere non nega mai il dialogo.

Roberto Cappelletti

 

Quei “terroni” lavoratori abbandonati dal Nord

Qualche giorno fa il quotidiano Libero diretto da Vittorio Feltri pubblicava un titolone in prima pagina con dentro la parola “terroni”. Il termine, nato con l’intento di essere offensivo, in realtà non realizza il suo scopo di umiliare la gente del Sud Italia. Se per “terrone” si intende chi coltiva la terra e ha saputo trarre sostegno alimentare, questo appellativo sortisce addirittura un effetto elogiativo per gli abitanti del Meridione che nel corso dei secoli hanno dimostrato di far fruttare economicamente i proprio territori mentre lo Stato li aveva dimenticati, senza dare loro nessun impulso.

Il titolo quindi divulga una menzogna storica: il Mezzogiorno è stato sempre posto ai margini della vita socioeconomica italiana fin dai tempi di Mazzini e Cavour e lo è ancora oggi. A causa di tali logiche di potere, è sempre più povero. La disoccupazione è aumentata quasi ai livelli da Terzo mondo perché le piccole aziende, le poche nate sul territorio, chiudono a causa dell’eccessiva pressione fiscale. Da questa arretratezza e discriminazione è la mafia, che ha governato indiscussa. Sembrerebbe quasi che il Sud italiano debba rimanere più povero di quanto non lo sia già, perché se il Sud è povero il Nord potrà avere di più. Ma occorre fare una considerazione vincente a favore del meridione Italia: bisogna fare i conti con l’emancipazione e con la tecnologia. Potrà verificarsi, in tal modo, che le logiche di potere esistenti siano sgominate dai giovani meridionali che, con la loro energia, saranno in grado di cambiare le cose. Il Sud è ricco di cultura, tradizione e storia, che costituiscono un patrimonio davvero inestimabile su cui porre le basi della rinascita delle sue terre.

Biagio Maimone

 

Forse è ora che Meb e Renzi si ritirino a vita privata

La signorina Boschi ha attaccato Di Battista per il compenso che percepisce dal Fatto Quotidiano. Bisognerebbe spiegarle che Di Battista è un privato cittadino che riceve uno stipendio perché lavora (a differenza sua) per il giornale, fa reportage in Centroamerica e non va alle cene da 6 mila euro per parlare di giustizia, né parla di giovani e di pensioni su un motoscafo a Venezia come quell’altro genio di Renzi (come se io parlassi di povertà alle Maldive). Questi poveracci pensano di salvarsi la faccia (che non hanno) o ripulirsi la coscienza (che non hanno) dando lezioni di buon governo dimenticando quello che hanno fatto loro. Boschi mette addirittura a confronto il padre di Di Maio con il proprio. Non aggiungo altro. Mi chiedo perché facciano questo e non si ritirino a vita privata come peraltro avevano promesso di fare. Meno male che non rivedremo più questa gente al governo. Intanto, fanno dirette Facebook parlando da soli.

Francesco Vignola

 

I NOSTRI ERRORI

Nella rubrica “Lo dico al Fatto” di ieri (“Guido Rossa: cosa manca alla memoria collettiva per fare pace con il passato”) abbiamo erroneamente chiamato “Giovanni Santoro” uno dei due agenti di scorta del procuratore generale di Genova Francesco Coco assassinati insieme al magistrato nel 1976. Il suo nome era Giovanni Saponara. Ce ne scusiamo con i familiari e con i lettori.

FQ

 

Nell’articolo “Fondi per la formazione: milioni di euro con un’autocertificazione” pubblicato il 12 dicembre 2018 ho attribuito al fondo interprofessionale FonARCom una rappresentatività pari allo 0,05% di lavoratori per il biennio 2017-2018. Il dato però (tratto da un rapporto Inps) è parziale perché riguarda solo la registrazione – non obbligatoria – dell’adesione a uno dei contratti nazionali di Cifa. Secondo FonARCom, il dato indicativo per la propria rappresentatività oggi è quello delle adesioni delle imprese e dei dipendenti al fondo che, per il 2015-2016, vede almeno 156 mila aziende e circa 595 mila lavoratori (rapporto Inapp), 172 mila imprese secondo FonARCom per il 2019.

Vds

L’istruzione è in pessimo stato, non solo nei Conservatori musicali

A Paolo Isotta rivolgo parole di stima per l’articolo sui Conservatori di musica. Non solo perché sto leggendo con molto interesse il suo libro “Il canto degli animali” (Marsilio), ma anche perché ha ribadito qui che “manca la conoscenza basilare dell’italiano” e che “c’è (al Conservatorio) e c’era la regola non scritta di promuovere tutti”. Tale regola, posso confermare, è ormai estesa – con effetti che sono sotto ai nostri occhi – a tutti gli ordini e gradi delle scuole. Temo anche nelle università. Concordo con lui anche sulla definizione della scuola dell’obbligo come “un ammortizzatore sociale”.

La zavorra di vagabondi, spesso mascherati sotto varie sigle, dai dislessici ai discalculici fino ai turbamenti emotivi permanenti, ha instaurato un’omologazione al ribasso che disgusta chi ha voglia di istruire davvero dei ragazzi e non di fare l’impiegato statale. Infatti, Isotta ha lasciato l’insegnamento. Quanti come lui? Restano a insegnare le donne, perché riescono a conciliare la vita familiare con l’orario e perché si divertono a stare con coloro di cui spesso imitano le mode perfino nel linguaggio.

Servirebbero a mio avviso delle quote maschili obbligatorie, a partire dalla scuola dell’infanzia, per evitare “l’effetto pollaio” che spesso si verifica in presenza di tante femmine. Ovviamente sarebbe utile anche per gli allievi, così imparano da subito a confrontarsi anche con l’altro sesso. Da ultimo, concordo con la stroncatura della trasmissione, la cui sceneggiatura mi ha indotto a lasciare la tv alle prime sequenze.

Adriana Rossi

 

La lettera viene da un’insegnante – sottolineo donna –, ed è pertanto un’analisi impietosa ulteriore dello stato dell’istruzione da noi. Ripeto per l’ennesima volta: solo la cultura rende liberi, l’ignorante, e peggio ancora il mezzo ignorante, sarà solo un suddito, non un cittadino.

Paolo Isotta

Donne e bambini (per ora) resteranno al Cara di Castelnuovo

Donne e bambinirestano nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto fino a quando sarà trovata una sistemazione più idonea, è il passo indietro del ministero dell’Interno dopo le proteste. Non si spostano 18 famiglie, 30 adulti e 14 minori, due donne single e una mamma con un bambino piccolo sono in attesa di essere presi in cura dai servizi sociali del Comune. “Nessun bambino viene strappato agli amici o alla scuola” fa sapere il Viminale. Ma ciò non è bastato al sindaco di Castelnuovo Riccardo Travaglini che chiede una “sospensiva del trasferimento di tutti”. Il primo cittadino ha avuto in incontro al Ministero dello Sviluppo economico dove è andato insieme ai lavoratori della cooperativa Auxilium. In 107 perderanno il lavoro il 31 gennaio, data prevista per chiusura del Cara. Alla manifestazione i lavoratori hanno sfilato con lo striscione “Prima gli italiani?” accompagnati anche dai richiedenti asilo. Il prossimo obiettivo di Salvini è la chiusura del Cara di Mineo dove attualmente ci sono 1.357 richiedenti asilo ma ha già perso 150 operatori su 299 con il cambio di gestione dal primo ottobre 2018

Disabili contro sindaco: 1-0. Multe addio. La mamma di Nitu ha vinto

L’ultima multa l’ha ricevuta appena due settimane fa proprio sotto casa, nonostante tre sentenze avessero detto che le precedenti andavano annullate. Ma d’ora in poi le cose dovrebbero cambiare. “È una vittoria, definitiva, del disabile. Resta da vedere se la applicheranno”. Commenta così Daniela Santoncini, avvocato maceratese, la revoca del provvedimento che dal 2017 ha fatto prendere multe a lei e altre persone nonostante avessero il pass disabili per parcheggiare. Era stata lei, mamma di Nitu, una bambina di 11 anni cieca dalla nascita, ad aver acceso i riflettori sulla vicenda dalle pagine del Fatto lo scorso 6 gennaio. La norma di due anni fa aveva modificato il sistema dei parcheggi nella città marchigiana, riservando solo gli spazi gialli ai possessori del pass disabili.

Adesso chi ha il tagliando potrà parcheggiare anche negli spazi blu se gli altri sono occupati, inoltre la Giunta comunale ha deciso di riportare a 1 a 50 il rapporto tra spazi riservati e spazi a pagamento, così oltre ai 57 i posti riservati alla sosta per i disabili . “Abbiamo voluto venire incontro alle esigenze dei disabili recependo anche le considerazioni giunte dall’opinione pubblica e dai cittadini” ha detto il sindaco di Macerata Romano Carancini. La vede in maniera un po’ diversa Santoncini, non per vis polemica ma per precisione: “Il sindaco parla di scelta a favore del disabile ma dovrebbe anche dire che ci sono le sentenze di ben tre Giudici di pace che hanno stabilito che le multe sono da annullare”.

Il motivo? “I parchimetri sono difficilmente raggiungibili per i disabili e non sono a norma con la direttiva europea” che ha stabilito di poter effettuare il pagamento anche con la carta di credito “invece qui dobbiamo girare con le monetine”.

“Io incinta di cinque mesi, stuprata da due uomini” Arrestato 45enne marocchino

Paura. Per tutto il tempo per due sconosciuti che abusavano di lei, una studentessa di 23 anni, che ha avuto paura “che facessero del male a me e al bambino”. A quattro mesi dallo stupro, si terrà oggi l’interrogatorio di garanzia per uno dei due, un marocchino di 45 anni accusato di sequestro di persona e violenza sessuale aggravata. Era settembre quando la ragazza era in giro la sera con degli amici dopo una cena in un ristorante. La giovane si separa dal gruppo quando gli altri decidono di passare la serata in discoteca, essendo in stato interessante. Uno dei ragazzi della compagnia le indica una persona a lei sconosciuta per poter tornare a casa, secondo quanto riporta l’avvocato della studentessa Marco Scarpati. La ragazza si fida del suo amico e sale in macchina con l’uomo, marocchino, 45 anni, che invece di portarla a casa carica in macchina un suo connazionale e inizia un giro di locali dove la fanno bere. Da lì, dritti in un appartamento dove la fanno bere di nuovo prima di costringerla ad avere rapporti sessuali con loro.

Dopo 20 ore nelle mani dei suoi aguzzini, la ragazza è stata portata nei pressi di un bar e lasciata ancora in stato confusionale. Lì è stata notata ed è stato dato l’allarme che ha permesso alla famiglia di ritrovarla, preoccupata per tutte quelle ore fuori casa, e portarla subito in ospedale per un controllo ginecologico e sincerarsi che non ci fossero problemi per la gravidanza. Dopo è arrivata la denuncia, che ha messo i carabinieri di Bagnolo del Piano sulle tracce di due uomini di nazionalità straniera perché la ragazza aveva raccontato che fra loro i due molestatori parlavano in arabo. Il 45enne è finito agli arresti domiciliari, mentre il suo connazionale non è stato ancora rintracciato. Nel frattempo la ragazza è diventata mamma, ma sta ancora seguendo un percorso di terapia psicologica per superare l’accaduto.

Torna l’emergenza racket: nona bomba (inesplosa) sei giorni dopo l’arrivo di Salvini

Una settimana fal’arrivo ad Afragola (Napoli) del ministro dell’Interno Matteo Salvini dopo le otto bombe di racket in pochi giorni: fu accolto da una piazza semivuota e dal baciamano del disoccupato che ringraziava per il reddito di cittadinanza. Ieri la statistica degli ordigni è salita a nove, a dimostrazione che i ministri passano, poi se ne vanno, e la camorra resta. Nove, se per i calcoli vale anche una bomba che non è esplosa, quella piazzata nella notte davanti a una tabaccheria in via Calvanese: una tanica piena di liquido infiammabile, “un ordigno artigianale”, secondo la nota diffusa dai carabinieri del comando provinciale di Napoli. Indagano i carabinieri della stazione di Afragola, agli ordini del maresciallo Raimondo Semprevivo: era in ferie quando è iniziata l’emergenza, le prime sette bombe in rapida successione subito dopo Natale, e il comandante è tornato di corsa al lavoro rinunciando al riposo.

La bomba di ieri forse non è scoppiata perché non doveva scoppiare, fabbricata in maniera raffazzonata giusto per spaventare un po’: ha prodotto solo una fiammata che ha bruciacchiato una parte della porta di ingresso. La titolare del negozio, una signora di 52 anni, non se n’era nemmeno accorta: ha notato le macchie blu-verdastre tra porta e vetrata soltanto grazie ad alcuni ragazzi di un circolo lì vicino.

Premesso che gli investigatori non hanno certezze assolute sul fatto che tutti gli ordigni siano collegati alla recrudescenza delle estorsioni e al tentativo di qualche ‘emergente’ dei clan locali di far capire chi comanda adesso, anche l’episodio di ieri ha le stesse caratteristiche dei primi otto: la vittima non avrebbe ricevuto nessuna intimidazione ne invito preventivo a pagare il pizzo. L’impianto di videosorveglianza della tabaccheria avrebbe filmato l’uomo che ha piazzato il contenitore e ha innescato la miccia. Si vedrà se assomiglia a qualcuno di quelli filmati con le bombe precedenti.

La rivoluzione non è un pranzo al fast food: “Fuori quel Burger King dall’Università”

Studenti di destra e di sinistra uniti contro un unico obiettivo: il fast food nel complesso “Aldo Moro” che ospiterà la facoltà di lingue dell’Università di Torino accanto a Palazzo Nuovo, storica sede delle facoltà umanistiche. È la battaglia che riunisce una parte di universitari e di quattro docenti su duemila dell’ateneo e del vicino liceo Gioberti, una battaglia che a molti ricorda quelle del contadino no global José Bové contro i McDonald’s in Francia alla fine degli anni Novanta, ad altri – si parva licet – addirittura quelle di Carlin Petrini e Arcigola (esperienza da cui nascerà “Slow food”) contro le catene americane e il cibo spazzatura negli anni Ottanta.

Ieri all’ora di pranzo un gruppo di studenti del gruppo “Noi restiamo” ha organizzato un ‘flash mob’ davanti al Burger King al grido di “Fuori i privati dall’università”. Volevano entrare dentro il ristorante, sedersi ai tavolini e mettersi a leggere dei libri. Dopo l’ingresso di alcuni, però, i carabinieri e gli agenti della Digos hanno bloccato l’entrata e li hanno respinti. A questo punto gli studenti hanno fatto un corteo per andare verso il rettorato e parlare col rettore, Gianmaria Ajani. Dopo aver trovato il portone chiuso hanno proseguito la protesta arrivando a scontrarsi con le forze dell’ordine. Tre manifestanti sono stati fermati (e poi rilasciati) dalla polizia, che li denuncerà per resistenza a pubblico ufficiale.

Martedì mattina, invece, la protesta era stata animata dai componenti di Azione studentesca, organizzazione giovanile di destra. Anche loro, seppur in numero minore, erano entrati nel ristorante con libri da leggere e il pranzo portato da casa: “È assurdo che l’università abbia concesso uno spazio del genere a una multinazionale del panino, quando gli studenti molto spesso a Palazzo Nuovo sono costretti a seguire le lezioni seduti per terra o fuori dall’aula”, spiegavano in un comunicato.

Linea simile a quella degli studenti di sinistra che hanno animato la protesta di ieri. Secondo loro l’apertura di Burger King al piano terra della nuova palazzina universitaria è il simbolo della privatizzazione dell’istruzione e della ricerca: “Il progetto della Palazzina Aldo Moro è perfettamente coerente alle logiche di privatizzazione e aziendalizzazione di tutto il sistema universitario italiano”, sostiene il movimento “Noi restiamo”.

La realtà è diversa. L’università, in carenza di risorse per l’edilizia, ha affidato il compito di realizzare il “Complesso Aldo Moro” (con sei aule da 800 posti, sale studio e una residenza universitaria) alla società University Service Project. Tutto avviene col sistema del project financing: l’edificio apparterrà alla società per 29 anni e poi diventerà patrimonio dell’ateneo che per la costruzione ha stanziato 7,5 milioni di euro (dei 50 necessari) e ne pagherà 1,5 di affitto all’anno. Fino ad allora i proprietari riserveranno la maggior parte degli spazi alla facoltà di Lingue e una parte potrà gestirla a suo piacimento. Per questa ragione ha messo in affitto i locali al piano terra, che sono stati presi dalla catena di fast food, su cui l’ateneo non ha potere.

Chiese i domiciliari per il rivale in amore: 8 mesi al pm di Firenze

Tutto nasceda una denuncia per maltrattamenti di una signora contro il marito, un medico. Viene assegnata a un pm di Firenze che per due volte la ritiene infondata e chiede l’archiviazione dell’uomo. Il Gip ordina un supplemento di indagini, il pm sente l’uomo, convoca anche la donna e poi se ne innamora. E infine arriva a chiedere gli arresti domiciliari del marito (respinti). Lui si insospettisce e ingaggia un investigatore privato. Che filma la donna entrare di notte nella casa del pm e uscirne al mattino. Scatta un esposto. Si apre una nuova indagine. Stavolta contro il pm. Ieri la sentenza del Tribunale di Genova per Vincenzo Ferrigno, nel frattempo passato in servizio a Spoleto: 8 mesi di condanna per abuso d’ufficio e pena sospesa, e risarcimento del medico costituitosi parte civile. La storia fu raccontata in anteprima da Filippo Roma delle Iene. Che riuscì a intervistarne tutti i protagonisti, appostandosi a lungo sotto la casa del magistrato. Secondo il sito del programma tv, Ferrigno e signora (ieri assolta) stanno ancora insieme. I legali del magistrato hanno annunciato appello.