Porti Spa, Mit non chiude a idea leghista. I 5Stelle contrari

Maggioranza spaccata sui porti. Dopo l’articolo del Fatto di ieri che ha dettagliato gli effetti del piano della Lega per trasformare le Autorità portuali in Spa, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha gettato acqua sul fuoco: “Il governo è determinato a mantenere i porti sotto il controllo pubblico ed evitare che si verifichino scenari come quello greco. La natura pubblica delle autorità portuali, al di là della forma giuridica, non è in discussione”, spiega una nota di Porta Pia, non chiudendo però all’ipotesi Spa (ad azionariato pubblico). Possibilità categoricamente bocciata dal capogruppo del M5S in Senato, Stefano Patuanelli: “Se le Autorità portuali dovessero diventare Spa, ogni investimento finanziato con soldi pubblici diverrebbe agli occhi dell’Europa un aiuto di Stato. Spiace che alcuni esponenti della Lega la pensino diversamente, ma l’Italia non può giocare al mercante in fiera con i suoi porti”. Sulla stessa linea diversi parlamentari del Pd, che hanno chiesto al governo una linea unitaria.

Trivelle, si rischia l’intesa al ribasso. Scontro Costa-Lega

Un emendamento sofferto, tra decine di riedizioni, aggiornamenti, aggiunte e cancellature. Sulle trivelle Cinque Stelle e Lega combattono ancora, fino a sera tarda. Perché c’è una base di testo su cui il M5S non vuole spostarsi, su ordine di Luigi Di Maio: “Non si cede”. Ma la Lega fa muro, anche per mordere ancora il ministro grillino dell’Ambiente Costa. Così l’accordo politico non c’è. E allora ieri notte ci sono stati nuovi vertici, mentre si parla anche di un decreto ad hoc solo sulle trivelle, fuori del dl semplificazioni.

Al di là dei tempi, il problema è che sulle trivelle, Carroccio e 5Stelle tirano gli estremi opposti di una corda che può spezzarsi scontentando tutti. Si ammorbidiscono le iniziali intenzioni a trivella zero dei pentastellati, si fanno delle concessioni ai petrolieri che comunque saranno in difficoltà. La trattativa, che martedì sera sembrava conclusa, ruota attorno all’aumento dei canoni per le concessioni, ovvero alle cifre che i petrolieri devono pagare per ricercare o estrarre idrocarburi. L’aumento esponenziale voluto dal M5S viene rivisto verso il basso e si profila la possibilità che sia graduale. A pesare, anche una relazione della Ragioneria di Stato che stima richieste di indennizzo – da parte delle società che dovranno sospendere le attività – fino a 470 milioni di euro a fronte di coperture non sufficienti, neanche considerando l’aumento degli introiti (circa 32 milioni di euro) e un eventuale secondo rincaro. Nel corso della giornata intervengono tutti. Compreso il leader della Lega Matteo Salvini, insoddisfatto dell’accordo raggiunto martedì sera e già bollinato. “Con questo testo sono a rischio troppi posti di lavoro” spiegano dal Carroccio ai 5Stelle, furiosi e stranchi, dopo trattative ad ogni livello e scontri, anche comunicativi. Ma a sparigliare in mattinata è il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, con una dichiarazione netta: “Sono per il no alle trivelle, le trivelle passano per la valutazione di impatto ambientale, e io non le firmo. Mi sfiduciano come ministro? Torno a fare il generale dei Carabinieri, lo dico con franchezza. Mi farò dei nemici? Saranno gli stessi nemici del apese e dell’ambiente.” Una posizione sostenuta da Roberto Fico: “Vanno sospese le ricerche di nuovi giacimenti di idrocarburi, a partire dalle trivellazioni in Italia”.

La replica a Costa è del sottosegretario leghista all’Economia, Massimo Garavaglia: “Costa deve fare il ministro, non quello che vuole. Ci sono atti obbligatori e c’è un iter in corso. È una questione amministrativa”. Gli orientamenti sono diversi: la firma del ministro non è automatica e la sua figura non funge da semplice passacarte. La stessa Corte Costituzionale, in una sentenza del 2013 proprio sulla Via, sottolineava che la complessità degli interessi coinvolti la rendeva molto più di un semplice atto amministrativo. Sui possibili ricorsi invece il punto è che, non venendo toccate le coltivazioni ma solo i permessi di ricerca, gli interessi economici in gioco e il peso sugli investimenti già fatti potrebbero essere molto minori. In serata il capogruppo dei Cinque Stelle a Palazzo Madama Stefano Patuanelli ribadisce ai senatori che “non si arretra dalle nostre posizioni iniziali”. Mentre il senatore Matteo Mantero loda Costa “che fa per davvero il ministro dell’Ambiente” Ma un accordo va trovato per evitare che il Semplificazioni si areni.

Di sicuro, a colpi di mediazioni, l’intento iniziale del M5S rischia di uscire indebolito. La moratoria che blocca ricerche e concessioni resta per due anni in attesa della redazione del piano delle aree (via l’ipotesi di estenderla a tre anni), ma salta quella per le concessioni di coltivazione già rilasciate. Inoltre, sparisce il divieto dell’airgun. Ed è un punto che rischia di far sollevare il mondo ambientalista, visto che la tecnica dell’airgun è utilizzata per le prospezioni in mare ed è molto controversa. Per ispezionare i fondali marini e capire cosa contiene il sottosuolo, si sparano grandi quantità di aria compressa a intervalli regolari e, attraverso l’analisi delle onde riflesse, si cerca di capire se sotto il livello del mare ci siano formazioni che contengono petrolio o gas. Ambientalisti, accademici e diversi enti pubblici l’hanno considerata dannosa per la fauna marina perché il rumore può provocare danni ed alterazioni comportamentali a cetacei e grandi mammiferi. Da anni le regioni e i comitati fanno ricorso contro questa tecnologia, ma inutilmente. La giustizia amministrativa ha più volte ritenuto che fosse una pratica ammissibile, seppur con le adeguate tutele. Tanto che anche stata inserita con un emendamento nella legge sugli eco-reati del 2015 e che fu fatta saltare.

Macron-Merkel, dietro il trattato non c’è nulla

La cerimonia di Aix-la-Chapelle, capitale dell’impero di Carlo Magno; giorno scelto, l’anniversario della firma da parte di Charles de Gaulle e Konrad Adenauer, nel 1963, del famoso trattato dell’Eliseo; i discorsi che non mancano di sottolineare che si tratta di “prolungare e approfondire” il testo fondatore del ’63: tutto è stato previsto per farne un avvenimento decisivo. La coppia franco-tedesca is back, nel momento in cui il Regno unito si ingrippa sulla Brexit e in cui l’Unione europea è in panne.

Queste le immagini. Perché al fondo, il nuovo trattato appare un fallimento per la sua vacuità e mediocrità. Voluto e annunciato da Emmanuel Macron già ai tempi del suo discorso della Sorbona sull’Europa, nel settembre 2017, quando si trattava di dare “un impulso franco-tedesco decisivo e concreto”, il trattato non propone invece alcuna nuova iniziativa, alcuna visione dell’Europa, alcuna ambizione comune ai cittadini dei due Stati e a quelli dell’Unione. In ampie parti, in realtà, è semplicemente un “copia-incolla” del trattato del 1963; per il resto, non fa che formalizzare, pretendendo di rafforzarle, le cooperazioni che esistono già.

Un copia-incolla

La debolezza di questo testo, che sarà presto dimenticato, non fa che rendere ancora più spettacolari le polemiche e la disinformazione che suscita in Francia. I conservatori tedeschi al potere, che non volevano un nuovo trattato e che l’hanno edulcorato su numerosi punti, non gli danno molta importanza. I Verdi tedeschi, che spingono per un balzo in avanti, confessano la loro delusione

In Francia, invece, l’estrema destra afferma che si tratta di consegnare l’Alsazia e la Lorena alla Germania, di abbandonare la sede francese di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, o di mettere la deterrenza nucleare francese nelle mani degli stranieri, niente meno.

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Che il trattato ratifichi lo sviluppo delle politiche neoliberiste nell’Unione europea è una evidenza (articolo 20: “Favorire la convergenza tra i due Stati e migliorare la competitività delle loro economie”). Che sancisca la sconfitta di Macron rispetto alla cancelliera tedesca sulla riforma della zona euro, la creazione di un budget europeo e il riequilibrio delle relazioni commerciali, è poco contestabile. Che non dica niente di concreto sul lavoro, la conquista di nuovi diritti sociali – o la loro semplice preservazione – e meno ancora sulla riforma democratica delle istituzioni europee, non è una sorpresa. E questo può giustificare ampiamente una opposizione a un tale testo.

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E invece i due ex socialisti Marie-Noëlle Lienemann ed Emmanuel Maurel, che lo scorso autunno si sono allineati alle posizioni di Jean-Luc Mélenchon, riprendono, sia pure con sfumature, numerose critiche venute dall’estrema destra. Per esempio, sul seggio di membro permanente dell Nazioni Unite.

L’articolo 8 del trattato dice che i due Stati “coordineranno strettamente la loro posizione” all’Onu. È già così e fu stabilito da Jacques Chirac e Gerhard Schröder nel 2003 per opporsi alla guerra in Iraq. L’articolo aggiunge che “l’ammissione della Repubblica federale tedesca in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite è una priorità della diplomazia franco-tedesca”.

L’Onu per due

(…) Quanto alla riforma del Consiglio di Sicurezza appena presentata, è già stata seppellita da un fuoco di sbarramento degli Stati Uniti e della Russia. Se viene costantemente invocata è solo per constatare che non è fattibile, viste le opposizioni che suscita. E ricordando questa posizione, il potere francese non fa giustamente che ricordare la sua opposizione feroce a qualsiasi menomazione del proprio seggio.

Stesse considerazioni in materia di difesa. Come nel 1963, il trattato plaude a cooperazioni rafforzate, con l’articolo 4 che parla di “cultura comune”, “dispiegamenti congiunti” e di intensificazione dei “programmi di difesa comuni”. Questo articolo dice anche che i due Stati “si prestano aiuto e assistenza con tutti i mezzi di cui dispongono, compresa la forza armata, in caso di aggressione armata contro i loro territori”. Si tratta di clausole già previste nel trattato della Nato e di quello sull’Unione europea. Ma Emmanuel Maurel crede di riscontarvi “una messa a disposizione del nostro arsenale nucleare come ‘ombrello’ di tutta l’Europa”.

Nei fatti, il testo manca significativamente di ambizione in materia di difesa europea. La Germania, che protegge gelosamente la propria industria di difesa e che non intende seguire la Francia nei suoi impegni militari all’estero (si è opposta alla guerra in Libia di Nicolas Sarkozy, sostenuta invece da David Cameron), non ha seguito la volontà francese di andare più velocemente e più forte. La difesa europea rimane un fantasma.

Che resta allora di questo trattato? Il progetto di una futura assemblea parlamentare comune (50 francesi e 50 tedeschi) con un mero ruolo consultivo, non è stato neanche ripreso. Del resto, esiste da circa 70 anni una Assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa dove sono rappresentati 47 Paesi… Le questioni delle migrazioni e dello sviluppo sostenibile sono espunte. Resta la volontà di sviluppare dei progetti trans-frontalieri (articolo 13 e 14), logica sequenza delle grandi operazioni di gemellaggio delle città lanciate negli anni 50. Questa volta si tratta di dare più competenze e di impiegare più fondi.

Il motore inceppato

(…) In fin dei conti, la povertà del testo rivela lo stato di impasse del motore franco-tedesco. L’ambizione comune non c’è più e i dirigenti dei due Paesi sono in difficoltà. Macron ha dilapidato in 18 mesi il capitale politico di cui disponeva in Europa all’indomani della sua elezione. Il suo programma di riforme si è infranto sull’opposizione di diversi Paesi (Germania, ma anche Olanda, Ungheria e oggi l’Italia).

Angela Merkel è una cancelliera a fine mandato con una maggioranza parlamentare fragile. Soprattutto, i dirigenti di un buon numero di Stati membri della Ue sono molto determinati a non vedere più l’Europa fabbricata e diretta dal tandem franco-tedesco come è stato fino agli inizi degli anni 2000.

Il 9 maggio 1950 Robert Shumann gridava: “Signori, non è più questione di vane parole, ma di fatti audaci, costruttivi”. Presentava dunque una dichiarazione, concordata con Jean Monnet, che istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Fu il calcio d’inizio della costruzione europea. Settant’anni dopo non si vede un Robert Shumann nell’Europa divisa e abbandonata dai suoi cittadini.

Giustizia, sfiorata la rissa in aula tra Lega-Forza Italia

Va bene che uno sta al governo e l’altro all’opposizione. Va bene pure che l’alleanza di centrodestra quasi non esiste più. Ma addirittura venire alle mani non si era mai visto. Parliamo di Forza Italia e Lega, ormai sempre più distanti, come si è visto plasticamente ieri pomeriggio a Montecitorio. Era in corso la replica del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sullo stato della giustizia. La seduta s’infiamma quando Bonafede dice che “la corruzione in Italia si vede a occhio nudo, ogni volta che dopo un terremoto crolla un edificio”. Molti deputati si sentono offesi. “Deve chiedere scusa agli italiani!”, si grida dai banchi di Fi. Con accuse rivolte anche al presidente Roberto Fico, che sospende la seduta. E sono proprio leghisti e forzisti a insultarsi di più, fino quando la situazione trascende. Giorgio Mulè, neo deputato ed ex direttore di Panorama, e Daniele Belotti, leghista di lungo corso e ultras dell’Atalanta, si avvicinano pericolosamente. “Dovete stare zitti!”, urla Belotti. “Come ti permetti, stai zitto tu!”, risponde Mulè. Stanno quasi per venire alle mani, poi gli animi, grazie anche ai commessi, si placano. Com’è dura, oggigiorno, la vita nel centrodestra.

Castelnuovo, la fuga senza meta degli sgombrati

Trolley e zaini come fagotto, qualche felpa per ombrello, tutti in fila sulla Tiberina, a caccia di un mezzo per Roma. Sono “almeno un centinaio” e il loro letto sarà un marciapiede o, come pare abbiano già fatto in tre, le stazioni Termini e Tiburtina. È l’altro esodo dal Cara di Castelnuovo di Porto, quello di chi si è dileguato dopo lo sgombero.

Ieri 75 migranti sono stati distribuiti fra Marche (30), Abruzzo (30) e Molise (15). Il trasferimento è iniziato martedì con i primi 30 in Basilicata (15) e Campania (15). Oggi toccherà a 60 verso Umbria (15) e Toscana (45), quindi domani i nuclei familiari (50 persone con 10 bambini) in Piemonte. Sabato gli ultimi 90, 50 in Lombardia e 40 in Emilia. Top secret le destinazioni, nemmeno comunicate al gestore, la coop Auxilium. Chi è in Abruzzo dovrebbe essere alle porte di Teramo, inBasilicata a Potenza e Tursi. “Di solito ci scambiavamo le informazioni con gli altri centri. Ora non sappiamo niente”, spiegano gli operatori della cooperativa, il cui contratto scade il 31 gennaio. Un dramma anche per chi lavora: “Siamo in 107, 60 di Castelnuovo. Finiremo in mezzo a una strada anche noi”.

Dei 540 migranti del Cara, 521 sono richiedenti asilo, divisi più o meno equamente fra prime istanze e ricorrenti contro la bocciatura. Il loro trasferimento si deve alla scelta del ministero di chiudere motivata da una “razionalizzazione delle risorse”. Nel 2016, in realtà, l’Anac aveva certificato come il contratto da un milione di euro fra Viminale e Inail (proprietario dell’edificio) non fosse mai stato formalizzato e la scelta fosse caduta in via “emergenziale” senza procedura pubblica. Un vulnus che potrebbe aver motivato l’operazione. Dei 521, in 50 la scorsa settimana sono stati affidati al circuito Sprar di Roma. Dopo sabato, rimarranno a Castelnuovo in 166, “preservati” dalla Auxilium in quanto “casi limite” o comunque persone “che a giorni attendono la risoluzione delle pratiche”. Almeno fino al 31 gennaio, data di “chiusura inderogabile”.

Il decreto Salvini in tutta questa storia c’entra poco. Solo per 19, infatti, è scattata la revoca della protezione umanitaria di secondo livello, persone che avevano già il permesso di soggiorno ma non i mezzi per cavarsela da soli. Avrebbero comunque dovuto lasciare il centro. In 3 si sono già dileguati, gli altri 16 si sono affidati a un legale. Come Blessing Attari, strappata alla tratta della prostituzione e ora, insieme alla sua bimba di 7 mesi, di fatto di nuovo in strada. Per loro si sta muovendo la macchina della solidarietà. In 10 saranno accolti nella parrocchia del paese. Una ragazza, Muna Hadid, sarà ospite temporanea del sindaco di Castelnuovo. Per gli altri stanno arrivando proposte di accoglienza da tutta Italia.

Il comandante ora cambia rotta: “I libici? Un ottimo lavoro”

“I colleghi della guardia costiera libica stanno facendo un grande lavoro, questo grazie a progetti della Comunità europea, ma soprattutto alle motovedette fornite dall’Italia e dalla formazione da noi prestata. Il Mediterraneo non è una tomba”. Parola di Giovanni Pettorino, comandante generale delle capitanerie di porto italiane, lo stesso che nell’agosto scorso ha polemizzato col Ministro dell’Interno Matteo Salvini sul soccorso e sullo sbarco dei 177 migranti a bordo del pattugliatore Diciotti. Grazie alla resistenza al capo del Viminale, Giovanni Pettorino per qualche giorno si trasformò in un rappresentante dell’opposizione. Sembra passata una vita. Dopo l’episodio una lavata di capo e un vertice interministeriale tra Lega e 5 Stelle per ristabilire le distanze. Al tempo si scommetteva non sul “se”, ma sul “quando” Pettorino sarebbe stato rimosso dal suo incarico: “Come vede sono ancora qui, saldamente al mio posto. A parte una lieve influenza nei giorni scorsi, godo di ottima salute” ammette a margine di un incontro con gli operatori portuali di Ancona, città e sede in cui ha operato fino al 2013.

Ammiraglio Pettorino, come si è sentito al centro di uno scontro tra ministeri?

Nessuno scontro, solo dialettica. Il mio ministro (Toninelli, ndr) al tempo ha subito ribadito la sua fiducia nei miei confronti.

È sempre del parere che i porti debbano essere comunque aperti?

Il ministero non ha mai emesso provvedimenti di chiusura. Ritengo che sia solo il governo a dover assumere certe decisioni.

Ripeterebbe le stesse frasi e prenderebbe le stesse decisioni assunte ad agosto?

Non ho fatto nulla di straordinario, se non ribadire l’obbligo giuridico e morale nei soccorsi in mare.

Le motovedette libiche non raccolgono gli allarmi o lo fanno quanto meno in ritardo, innalzando il rischio di drammatici naufragi, come nei giorni scorsi, è d’accordo?

Controllare la Sar (Search and rescue, ricerca e soccorso, ndr) di competenza non è compito facile. Stanno facendo un grandissimo sforzo, molto positivo. Vorrei ricordare che i libici nel 2018 hanno salvato oltre 20 mila persone sui barconi.

Tanti però sono morti e continuano a morire.

Anche una sola vittima rappresenta un dramma. Ripeto affermare che il Mediterraneo è una tomba non mi trova d’accordo.

Eppure si parla di migliaia di vittime innocenti, non è così?

Le vittime di naufragi nel canale di Sicilia tra le coste libiche e italiane sono diminuite, così come sono diminuite le persone sbarcate nel nostro paese, appena 21 mila nel 2018, l’85% in meno rispetto all’anno precedente. Siamo tornati ai numeri del 2008. Fino a tre anni fa il sistema di salvataggio così come è applicato adesso non esisteva.

Le navi delle organizzazioni umanitarie in questi anni hanno contribuito a salvare molte vite. Cosa pensa, ritiene la loro presenza un intralcio?

Certe scelte spettano soltanto alla politica. Nel 2017 il precedente governo ha regolamentato queste attività e per svolgerle ci vogliono regole e assunzioni di responsabilità precise.

È sempre dell’idea che salvare le persone in difficoltà in mare sia una priorità?

Certo, non ho cambiato idea. Ripeto, sulla questione dei porti aperti o chiusi poi se ne occupa la politica. Sono soltanto un umile tecnico e preferisco lasciare ad altri questo argomento, parte di una discussione molto più vasta al centro di un fenomeno storico figlio di questa epoca.

Durante uno degli ultimi naufragi davanti alle coste libiche, un superstite ha detto “Meglio morire in mare piuttosto di tornare nelle prigioni libiche”, una frase disperata.

Non possiamo pensare di risolvere il problema immigrazione in mare, non funziona così. Il soccorso è come una medicina per una febbre alta, ma non è la soluzione. Il problema va affrontato a terra, nei luoghi da dove queste persone partono. Tentare di forzare questi destini spesso è molto doloroso.

Gratteri-Lupacchini, il Csm archivia lo scontro tra giudici

Il plenumdel Csm a porte chiuse ieri, quando si è discusso su Catanzaro e il contrasto tra il Pg Lupacchini e il procuratore Gratteri, le cui audizioni di luglio erano state secretate. La Prima commissione, presieduta da Alessio Lanzi, Fi, ha proposto l’archiviazione e il plenum ha approvato. Secondo quanto filtra dal Csm, l’archiviazione è dovuta al fatto che sarebbe stato un episodio isolato, circoscritto. Il dissidio tra i due magistrati è cominciato perché Lupacchini ha mosso una grave accusa a Gratteri: aver inviato le carte alla procura di Salerno su magistrati del distretto di Catanzaro, ora indagati dai colleghi campani, come rivelato dal Fatto, solo dopo aver fatto una prima indagine. Ma Gratteri in una nota dettagliata ha spiegato di aver trasmesso gli atti “tempestivamente”, così come prevede il codice. Proprio perché la Commissione ha ritenuto che si sia trattato di un singolo episodio ha proposto e, il plenum ha deliberato, di archiviare e non di aprire una procedura per incompatibilità ambientale o funzionale. Su questo contrasto è in corso una pre-istruttoria disciplinare della Procura generale della Cassazione.

I Casalesi puntavano all’affare profughi

Una delle comunità di recupero di baby criminali e minori a rischio, l’Incontro, di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), gestite da una coop ritenuta vicina alla fazione Schiavone del clan dei Casalesi, veniva indicata dai motori di ricerca su Internet come “affittacamere”. Chi ha telefonato, però, ha sentito una voce in italiano incerto, quasi certamente uno straniero, riferire che stanze al momento non ne c’erano. La voce si è sparsa, qualcuno si è insospettito e si è chiesto cosa ci facesse un migrante in quello che a tutti gli effetti era un carcere minorile privato. Il resto è la cronaca di questi giorni: l’inchiesta della Dda di Napoli – pm Simona Belluccio, Antonello Ardituro e Vincenzo Ranieri – che ha svelato anche le mire della camorra sul business dei migranti, dopo dieci anni ininterrotti di gestione di centri di accoglienza per minorenni condannati e da rieducare, diventati nel tempo sette, come raccontato a metà gennaio da Rosaria Capacchione su Fanpage. Strutture facenti capo alla cooperativa sociale Serapide, di Casagiove, e sparpagliate tra Casapesenna, Casagiove, Santa Maria Capua Vetere e Villa di Briano, città e paesi in provincia di Caserta, guidati negli anni scorsi da sindaci e amministratori finiti sotto processo per collusioni camorristiche.

I figli dei boss nelle cooperative dei clan, un corto circuito figlio di qualche falla nel rilascio di permessi e accreditamenti da parte degli enti locali e del Centro della giustizia minorile, è il filone principale del lavoro della Procura guidata da Giovanni Melillo. Ma ce n’è un secondo, per ora appena iniziato, che affronta la questione migranti. Perché alle infiltrazioni della camorra nell’affare, gli inquirenti sono arrivati attraverso una richiesta della Prefettura che chiedeva la certificazione antimafia allargata per le cooperative e i centri del gruppo delle sorelle Eufrasia, Adalgisa e Rossana Del Vecchio, dal marito di Rossana, Massimo Zippo, e dalla madre delle tre signore, Regina Zagaria.

La onlus del Casertano voleva partecipare al bando per l’accoglienza al Cara di Mineo, in Sicilia, dei migranti minorenni non accompagnati. Per il quale è obbligatorio questo tipo di certificato, che affronta anche le parentele. Le tre sorelle sono le figlie di Paolo Del Vecchio, capoclan della fazione Schiavone condannato per camorra, implicato in una vecchia inchiesta sulle pressioni della camorra al mercato ortofrutticolo di Fondi (Latina). Gli investigatori, allarmati, hanno approfondito le indagini ed hanno contestato alcune irregolarità nella gestione delle comunità per minori ed i legami con i clan del territorio.

Le quattro pagine del decreto di perquisizione eseguito l’altro ieri dalla Mobile e dallo Sco riportano accuse di concorso esterno in associazione camorristica e riciclaggio dei proventi camorristici. I pm stanno già analizzando il materiale sequestrato nei comuni. C’è materiale che dovrebbe allargare, e di molto, il raggio d’azione delle indagini. Ci sono tracce della presenza di persone straniere nei centri. Bisogna capire come ci sono arrivate. E perché stanno lì.

Migranti, l’Italia vuole riaprire il negoziato Ue sull’accoglienza

Dopo 24 ore di polemiche non è cambiato quasi nulla, ma la mezza rivolta della Germania può perfino diventare utile ai fini della linea del governo italiano: usare la scadenza dell’operazione europea EunavforMed-Sophia per costringere gli altri governi europei a farsi carico di parte dei migranti che tentano di sbarcare in Italia.

Prima escono le indiscrezioni che la Germania vuole abbandonare EunavforMed, la missione europea che dal 2015 è il tentativo di dare una risposta europea alle partenze di migranti dal Nord Africa. Sophia (chiamata così dal nome di una bambina salvata), nel tempo ha cambiato il suo mandato: non solo lotta ai trafficanti ma anche salvataggio in mare e formazione della Guardia costiera libica.

Il ministro della Difesa tedesco Ursula von der Leyen ha spiegato che la Germania non si ritira formalmente, ma sposta la sua fregata Amburgo lontano dalle coste libiche, per usarla nel Mare del Nord per esercitazioni. La motivazione: “Per tre quarti dell’anno il comando italiano ha mandato la nostra marina negli angoli più remoti del Mediterraneo, dove non ci sono rotte di trafficanti e nessuna rotta di migranti, per cui per mesi la Marina non ha avuto alcun compito sensibile”. Fonti della Farnesina spiegano che non tutti i Paesi hanno l’obbligo di lasciare costantemente nella disponibilità di Sophia le navi che partecipano all’operazione. Solo l’Italia ha questo vincolo perché, con l’ammiraglio Enrico Credendino, ha il comando dell’operazione.

La mossa tedesca ha un’utilità di politica interna: la Von der Leyen è membro di quella Cdu di Angela Merkel che sul tema dei migranti sente la competizione della Csu del ministro dell’Interno Horst Seehofer e della destra di Alternativa per la Germania. Ma per l’Italia ha il vantaggio di rendere plateale il dibattito sul rinnovo del mandato di Sophia che è scaduto il 31 dicembre ed è stato prorogato fino al 31 marzo: l’Italia, con il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, continua a premere per proroghe trimestrali (invece che di sei mesi o un anno) così da avere un’occasione per costringere i partner a discutere davvero di immigrazione.

“Se oggi l’Italia, che ospita comando e quartier generale dell’operazione, non vuole più Sophia, siamo pronti a chiuderla”, dicono alle agenzie di stampa fonti vicine all’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, l’italiana Federica Mogherini, che di Sophia è la referente. Il piano operativo si Sophia prevede che l’Italia sia il punto di sbarco dei migranti salvati in mare nell’ambito della lotta agli scafisti e che sia anche lo Stato competente per l’attività giudiziaria di contrasto al traffico. Questo ha già creato qualche frizione, come quando a luglio il ministro dell’Interno Matteo Salvini voleva bloccare l’attracco a un pattugliatore irlandese che ha portato a Messina 106 persone.

Il vero limite di Sophia è che non ha mai replicato il modello cui era ispirata, quello della lotta alla pirateria in Somalia, che era stato un successo perché le navi internazionali si spingevano fino a ridosso della costa per affondare le imbarcazioni dei criminali e contrastare il business alla fonte. In Libia questo non è stato possibile: il fragile governo di Al Serraj rivendica una sua sovranità, che l’Italia cerca faticosamente di consolidare, anche per non doversi far carico (morale e politico) di tutto quello che succede nei capi dove vengono rinchiusi i migranti e nelle acque territoriali.

Il premier Giuseppe Conte si assume come sempre il ruolo di mediatore anche in questa micro-crisi: parla con la cancelliera Angela Merkel – che conferma un contributo tedesco a Sophia – e cerca di distendere i rapporti con Parigi: “Nessuna lacerazione”. Ma c’è la campagna elettorale permanente dei due partiti della sua coalizione. E così recepisce uno dei temi lanciati dal Movimento 5 Stelle e propone che il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu della Francia vada all’Ue. E poi si trova Matteo Salvini che sposta subito il tiro verso la prossima polemica: “Ci sono evidenze di contatti telefonici tra alcune persone a bordo delle navi delle Ong e alcuni trafficanti a terra, gireremo le informazioni all’autorità giudiziaria”. Il riferimento sarebbe ad attività recenti, forse riferibili alla nave Seawatch.

Già in passato l’intelligence (l’Aise, i servizi esteri) avevano intercettato comunicazioni tra Ong e scafisti e osservato movimenti sospetti di sincronia tra le mosse degli scafisti e quelle delle navi umanitarie. Ma quelle informazioni non erano mai state utilizzabili in indagini giudiziarie, tanto che le inchieste della Procura di Catania, che proprio quei punti volevano verificare, si sono chiuse con archiviazioni.

Il ritorno di Prodi: “Il centrosinistra è senza idee e leader”

Romano Prodi torna a parlare. E il suo giudizio sullo stato del centrosinistra è tutt’altro che tenero: “Mancano sia le idee che i leader ”. A margine di un incontro a Bruxelles, l’ex presidente del Consiglio fotografa la stasi del Partito democratico: “La politica non si fa con i che, ma con i chi. E manca una prospettiva”. E ancora: “In Italia abbiamo un’opposizione, ma non abbiamo un’alternativa”. Sul governo, il professore critica le accuse di Di Maio e Salvini rivolte alla Francia e alle sue politiche post coloniali in Africa, che sarebbero la ragione dei flussi migratori: “Problemi così complessi e raffinati non vanno affrontati con questa superficiale brutalità”. Sulla crisi migratoria Prodi invita i Paesi europei ad agire insieme: “Se non ci si mette insieme, non c’è soluzione, che passa dalla pace in Siria e in Libia”. Ricordando l’era di Gheddafi, aggiunge che con lui c’era un rapporto tra due autorità, mentre ora il Paese “è totalmente anarchico, ci sarà sempre qualcuno interessato a esasperare il problema”. Prodi è critico pure sul recente trattato franco-tedesco: “Sono due motori con un pistone ciascuno, l’automobile così non va”. E l’Europa è messa così: “Un pane mezzo crudo e mezzo cotto”.