I sindacati dei bancari di Cgil, Cisl e Uil chiedono che “il governo avvii quanto prima la procedura di nomina del presidente” della Consob “considerando la candidatura emersa del professore Marcello Minenna, di cui il sindacato confederale apprezza e conosce da tempo, anche per averci direttamente collaborato, la professionalità, l’esperienza e le competenze come economista di rilievo internazionale”. Nei giorni scorsi a sostegno della candidatura di Minenna, dirigente Consob, si era schierata anche la Fabi, il maggiore dei sindacati bancari: “La nostra organizzazione è a favore della nomina di Marcello Minenna: la migliore scelta da parte delle forze politiche e delle istituzioni”, aveva spiegato il segretario generale Lando Maria Sileoni. Secondo Fisac, Uilca e First Cisl, si legge in una nota, Minenna ha le “caratteristiche indispensabili per garantire un’azione della Consob adatta ad affrontare e governare le sfide poste dai mercati finanziari, grazie alla valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori e di quei principi di indipendenza e autonomia che devono essere propri di un’Autorità, affinché sia effettivo baluardo a tutela dei cittadini”.
Cgil all’opposizione Camusso: “Pronti a lottare per l’Europa”
La distanza è andata maturando un po’ alla volta dal 4 marzo in poi. L’assenza del governo ieri, all’apertura del congresso della Cgil, conferma quanto ribadito nella relazione di Susanna Camusso, l’ultima da segretario generale, carica che lascia dopo otto anni: il sindacato sta all’opposizione.
Scelta scandita nei contenuti con l’attacco al reddito di cittadinanza, ancor di più ribadita nella sottolineatura della manifestazione unitaria, con Cisl e Uil prevista il 9 febbraio contro la manovra di Bilancio (che però è stata approvata in dicembre).
Una contestazione di fondo alla politica di governo che, a detta della Cgil, “senza investimenti non affronta i nodi della politica industriale”. E poi l’attacco al reddito: “Una misura di contrasto alla povertà è necessaria” spiega, ma lo strumento individuato dal governo è “confuso e non fa tesoro dell’esperienza del Rei per meglio finanziarlo ed estenderlo, e ne cancella invece la valenza sociale”. Camusso non si unisce al coro delle critiche giunte dal Pd: “Non useremo mai la frase ‘è vacanza per tutti’, che fa il paio con ‘l’antidivano’ delle slide del governo”. Ma quel nuovo “stato sociale” sbandierato da Luigi Di Maio non trova il consenso della Cgil. La cui linea di opposizione è resa ancora più plastica da un altro passaggio della relazione. Lì dove Camusso annuncia che il sindacato, unitariamente e insieme a Confindustria, intende stare dentro la campagna elettorale per le europee: “La Cgil è chiamata a essere parte attiva nella campagna elettorale europea, con Cisl e Uil, ne discuteremo con Confindustria, perché continuare a essere europei è una scelta di prospettiva e di campo rispetto alle destre e ai nazionalismi”. Nazionalismi è la parola che il segretario uscente preferisce a “populismo” con ciò decidendo di stilare una linea di demarcazione tra i valori di un sindacato progressista e quelli sostenuti dall’attuale governo: “Il nazionalismo di ritorno è il grande nemico dello sviluppo e del futuro umano e umanistico”.
Pur criticando la centralità monetaria e l’austerità, allora, Camusso rilancia il tema dell’Europa e lo declina nella tradizionale formula del multilaterialismo, della pace, dello sviluppo e della cooperazione. Arricchendolo con uno slogan del passato che “è una delle condizioni per far risorgere una sinistra: ‘Lavoratori di tutto il mondo unitevi!’”.
Il richiamo ai valori antichi aveva permeato l’intervento del segretario uscente all’inizio della sua relazione con un richiamo sentito all’eredità di Giuseppe Di Vittorio, ricordato in terra di Puglia visto che il congresso si tiene a Bari. E ricordato, forse, insieme a Bruno Trentin, anche per ricordare a tutti cosa è stata la Cgil, quale ancoraggio ha e quali ambizioni ha coltivato nella sua storia. Oggi è tutto più difficile, la manifestazione contro il governo del 9 febbraio è un’incognita e, soprattutto, pesa sul congresso lo spettro della divisione a metà.
Nel ribadire la proposta della nuova segreteria offerta a Maurizio Landini, Camusso ha ricordato l’ampia maggioranza che ha condiviso il documento principale, quasi il 98% che però ha fatto nascere le divisioni al momento di discutere della leadership.
La storia è nota: Susanna Camusso e il gruppo dirigente a lei vicino ha lanciato Landini, una fetta importante del sindacato, a partire dai Pensionati, propone invece Vincenzo Colla, già segretario dell’Emilia Romagna. La spaccatura è tale che si teme una conta su due liste contrapposte per l’elezione dell’Assemblea nazionale, che si terrà stasera, luogo deputato all’indicazione del nome del segretario.
Dietro le quinte del dibattito si gioca la trattativa per chiudere unitariamente il congresso.
A fronte della richiesta dell’area che fa riferimento a Colla di raggiungere un accordo per la gestione unitaria del sindacato – sembra che la richiesta sia stata quella di una composizione quasi paritaria della segreteria e dell’incarico organizzativo a quest’area – la segretaria uscente abbia fatto balenare l’incarico di vicesegretario.
L’ultimo a ricoprirlo era stato Guglielmo Epifani accanto a Sergio Cofferati e il vicesegretario aggiunto era la soluzione che la Cgil aveva trovato per far convivere la componente comunista e quella socialista. Niente a vedere con quei tempi, oggi si tratta di altra levatura, ma la proposta avrebbe il merito, se accettata, di sbloccare la situazione. Ma resta sul tavolo anche l’ipotesi di un incarico di rilievo, forse alle relazioni internazionali, per la stessa Camusso. E la relazione di ieri sembrerebbe confermarlo.
Saipem, indagati l’ad e tre dirigenti per falso in bilancio
L’amministratore delegato di Saipem, Stefano Cao, e a vario titolo, due suoi dirigenti e un ex manager sono indagati dalla Procura di Milano nell’ambito di una inchiesta che ipotizza false comunicazioni sociali “relativamente al bilancio 2015 e 2016, la manipolazione del mercato commessa dal 27 ottobre 2015 all’aprile 2017 e il falso nel prospetto dell’aumento di capitale del gennaio 2016”. Lo ha dichiarato ieri la società in una nota. Il comunicato si è reso necessario perché ieri gli inquirenti milanesi hanno perquisito l sede e notificato un’informazione di garanzia agli indagati. Saipem ricorda che, come noto, Consob a marzo 2018 ha indicato la non conformità del bilancio consolidato e di esercizio 2015 e 2016 alle norme che ne disciplinano la predisposizione. Ad aprile 2018, Saipem ha impugnato la decisione al Tar Lazio, dove pende tuttora il giudizio. Il 6 aprile dello scorso anno la Divisione Informazione Emittenti di Consob ha avviato un procedimento amministrativo sanzionatorio formulando contestazioni sulla documentazione d’offerta messa a disposizione del mercato per l’aumento del capitale realizzato nel 2016 e che tale procedimento è tuttora in corso.
Strage di Viareggio, Moretti in aula. I parenti dei 32 morti: “Rinunci alla prescrizione”
Il primo incontro con i parenti delle vittime. Ieri mattina Mauro Moretti si è presentato in Tribunale a Firenze al processo d’appello per la strage ferroviaria di Viareggio. Moretti, ex ad di Rfi e di Trenitalia, in primo grado è stato condannato a sette anni di reclusione. Erano le 23.48 del 29 giugno 2009: un carro cisterna carico di gpl deragliò facendo uscire dai binari un treno merci. Il gpl, fuoriuscito dalla cisterna che stava entrando nella stazione, esplose causando un incendio che distrusse le abitazioni di via Ponchielli, a pochi passi dai binari. Le vittime furono 32. Il processo di primo grado a Lucca si concluse il 31 gennaio 2017 con 23 condanne e 10 assoluzioni. A Firenze adesso è cominciato, appunto, l’appello. Una corsa contro il tempo: parte delle accuse rischia la prescrizione.
Secondo la tabella prevista la discussione dovrebbe terminare entro marzo. Ieri i magistrati della Corte hanno ripercorso le tappe della vicenda, ricostruito la sentenza di primo grado e illustrato i motivi di appello presentati dalle parti. “È un’udienza importante, per questo l’ingegnere ha deciso di essere presente. Ma non rilascerà dichiarazioni”, hanno spiegato i suoi avvocati. Una presenza silenziosa, immobile (anche se pare che Moretti si sia fatto scappare un saluto proprio con Dante De Angelis, il macchinista scomodo licenziato da Trenitalia per le sue denunce contro l’azienda). Intanto i parenti delle vittime chiedevano agli imputati di rinunciare alla prescrizione. E il consigliere regionale Pd Stefano Baccelli ha sottolineato che “Moretti fino a oggi non si era mai presentato ad alcuna delle oltre 140 udienze del processo di primo grado a Lucca. Un comportamento irrispettoso verso le vittime e le famiglie”. Le associazioni che riuniscono i familiari delle stragi, da Viareggio al Ponte Morandi, hanno annunciato che venerdì saranno a Roma all’inaugurazione dell’anno giudiziario.
L’avvocato dei Cucchi denuncia: “Manomesse le radiografie” Nistri: verifiche sui depistaggi
Oltre alle anomalie già emerse, ci sarebbero “manomissioni e nuovi risvolti anche sulla documentazione fornita in ambito medico legale dopo la tac eseguita sul corpo di Stefano Cucchi”. A denunciarlo è Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, secondo il quale sarebbe stato esaminato un tratto di colonna che include solo metà della vertebra L3. Ma è proprio nella metà mancante che ci sarebbe la prova di una frattura recente. L’analisi delle radiografie e delle Tac è stata eseguita dal professor Carlo Masciocchi, che verrà sentito venerdì nel processo in primo grado ai 5 carabinieri, tre accusati di pestaggio. Il professore era stato interrogato dal pm Musarò il 6 ottobre 2015. “Posso affermare – disse – di avere la certezza, e non semplicemente la forte sensazione, che fosse stato esaminato un tratto di colonna che include solo metà della soma di L3”. “Spero che da questi elementi, nasca un nuovo spunto investigativo”, ha detto Anselmo. E sarebbe un ulteriore tassello che si aggiunge a due filoni di indagine aperti parallelamente al processo in corso: uno riguarda alcuni falsi nelle annotazioni sullo stato di salute di Cucchi, l’altro un presunto depistaggio avvenuto nel 2015 quando non sarebbero stati acquisiti dal Nucleo investigativo alcuni atti. Ma c’è il sospetto di un depistaggio, anche più recente. E riguarda la telefonata del 6 novembre 2018 tra il vicebrigadiere della stazione Vomero-Arenella, Mario Iorio e il maresciallo Ciro Grimaldi (nel 2009 era a Tor Sapienza, Roma). Grimaldi di lì a poco avrebbe testimoniato in aula. Secondo la Squadra Mobile, Iorio avrebbe riportato al collega un messaggio del comandante del gruppo Vincenzo Pascale (non indagato) quando diceva: “Ha detto: ‘Dovete avere lo spirito di corpo”. Su questo è intervenuto ieri il comandante generale dell’Arma Giovanni Nistri: “Verificheremo i significati da dare a frasi come ‘spirito di corpo’”. “Noi carabinieri – aveva invece detto all’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola ufficiali carabinieri – dobbiamo essere i primi a giudicare, con rigore e senza tentennamenti, chi di noi si allontani dalla via del dovere”.
Abiti usati per il Nord Africa: migranti sfruttati a 3 euro l’ora
La retedel caporalato sempre più radicata in Nord Italia, ultimo caso tra Cremona e le provincie di Bergamo, Como e Reggio Emilia. In carcere sono finiti un tunisino di 37 anni, il capo dell’organizzazione, e due fratelli marocchini, di 45 e 43 anni, suoi collaboratori. In più sono state spiccate le ordinanze per cinque misure cautelari nei confronti dei componenti del gruppo criminale che sfruttava extracomunitari per la raccolta degli abiti usati destinati al Nord Africa. Un napoletano di 62 anni residente nel varesotto è arresti domiciliari, mentre un trentacinquenne di origine marocchina che vive a Lodi è sottoposto all’obbligo di dimora. Due suoi connazionali sono irreperibili mentre altre cinque persone sono indagate a piede libero. L’organizzazione acquistava indumenti per 30 centesimi al chilo e li rivendevano a un prezzo 30 o 40 volte superiore sul mercato nordafricano. I migranti, 16 identificati ma dovrebbero essere circa una trentina, dovevano stipare i vestiti nei container che li portavano al porto di Genova e da lì arrivavano in Tunisia. I lavoratori era pagati 3 euro l’ora, costretti a faticare in condizioni degradanti, senza sicurezza e con misure igieniche pressoché inesistenti. La paga non era neppure assicurata perché spesso i caporali se la prendevano con loro dicendo che lavoravano male, arrivando a minacciarli di percosse. Il capo dell’organizzazione aveva anche stabilito che agli “scansafatiche” non sarebbe stata data la cifra pattuita ma cinque l’euro per l’intera giornata. Questa punizione era frutto di una nuova “strategia lavorativa”, come la chiamava, successiva all’episodio che ha messo gli inquirenti sulle tracce dell’organizzazione. Ad aprile un furgone con otto richiedenti asilo aveva avuto un incidente ed erano morti il conducente, un egiziano di 32 anni, e un ragazzo senegalese di 23.
Chia, perché la spiaggia delle Dune resti pubblica servono ancora trentamila euro
Èquasi fatta. La campagna “Salviamo insieme le dune e la spiaggia di Chia” lanciata sotto Natale dall’associazione ambientalista Gruppo d’Intervento Giuridico ha avuto successo raccogliendo in sole tre settimane oltre 70 mila euro da tutta Italia. Ma per raggiungere l’obiettivo finale occorre ancora uno sforzo. “Per completare l’acquisto servono 100 mila euro, senza contare le spese legali e i 15 mila euro di tasse di registro” spiega Stefano Deliperi, presidente del Grig Sardegna. La campagna nasce per salvaguardare l’area dunale di Chia dal pericolo di diventare la “spiaggia privata” di qualche ricco sceicco intenzionato a insediarsi nella zona. Da qualche tempo infatti gruppi internazionali di investimento si stanno muovendo nell’Isola per rastrellare i terreni più pregiati in attesa di una legge urbanistica favorevole al superamento del Piano paesaggistico salva-coste che finora ha salvaguardato la fascia di rispetto dei 300 metri dal mare. “Siamo intervenuti per mantenere intatta la bellezza della spiaggia e per garantirne la fruizione pubblica anche per le prossime generazioni – prosegue Deliperi – Si tratta di nove ettari divisi fra diversi proprietari. Noi abbiamo acquistato i quattro ettari di dune, ma chi è proprietario può chiudere gli accessi e non fa passare più nessuno”.
La campagna ha ricevuto migliaia di adesioni da tutta Italia, con endorsement importanti di personaggi pubblici e artisti. Su tutti Paolo Fresu e il cantante Piero Pelù, fra i primi ad aderire a Natale. Ora Deliperi rinnova l’appello: “A tutti quelli che amano la natura e desiderano proteggerla, a tutti quelli che pensano che i beni ambientali non debbano essere privatizzati. È ora che ci si renda conto che andare al mare è un diritto per chiunque, non può essere compresso come di fatto sta accadendo fra concessioni e possibilità di chiusura di spazi che consentono di accedere al mare”.
Purtroppo, spiega l’ambientalista, oggi la tendenza in Italia va dalla parte opposta. Persino l’appartenenza al Demanio dello Stato non implica la tutela effettiva dei beni e la loro fruibilità pubblica. “L’ultima legge di Bilancio prevede la proroga per 15 anni delle concessioni demaniali marittime in violazione della normativa comunitaria – la cosiddetta direttiva Bolkestein – di fatto sospendendo la demolizione di opere abusive ed ampliando la possibilità di concessioni in assenza di adeguamento dei canoni. Canoni irrisori che strutture alberghiere come il Cala di Volpe, a Porto Cervo, verseranno a fronte della fruizione della spiaggia demaniale dove i comuni mortali non possono comunque accedere”.
Esempi simili si ritrovano un po’ ovunque in Sardegna: a Capo Ceraso, legittimamente recintata dalla proprietaria Edilizia Alta Italia della famiglia Berlusconi, a Torregrande, dove il Comune ha affittato per decenni la pineta costiera alla Ivi Petrolifera, a Piscinas, dove addirittura il Comune di Arbus ha venduto tre lotti di spiaggia a privati, per far cassa. “La tendenza a privatizzare sembra inarrestabile. Ecco perché dobbiamo dare un segnale in controtendenza. Serve l’aiuto di tutti quelli che pensano che le bellezze naturali non possono diventare oggetto di scambio economico ma debbano rimanere di tutti, sotto la tutela pubblica”.
De Raho: “Bisogna togliere la potestà ai genitori mafiosi”
“Liberi di scegliere”, film prodotto da Rai Fiction e Bibi Film Tv con la regia di Giacomo Campiotti, è stato presentato ieri alla Camera, poche ore prima di essere trasmesso da Rai1. La fiction ruota attorno alle vicende di due nuove leve della ’ndrangheta (Domenico e Teresa, giovanissimi eredi di una cosca malavitosa finiti a processo) e del giudice Lo Bianco (interpretato da Alessandro Preziosi) che tenta di indirizzarli verso un futuro diverso da quello criminale scritto nel dna delle loro famiglie. Liberi di scegliere è ispirato alla storia di Roberto Di Bella, presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria nonché promotore del protocollo che dà nome alla fiction, strumento grazie al quale i minori che sono nati o vivono in contesti malavitosi possono essere allontanati dalla famiglia di origine per iniziare una vita nuova nel solco della legalità. Su questo tema si è espresso il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho. poco prima della proiezione a Montecitorio De Raho ha sollecitato il Parlamento affinché il protocollo “Liberi di scegliere” sia convertito in legge a livello nazionale.
Greco e Lo Piccolo, colpo alla nuova cupola dei rampolli
Per ricostituire la cupola mafiosa si rifacevano alle vecchie regole “custodite a Corleone”, prevedevano “sei, sette o otto” summit l’anno organizzati da ciascun mandamento e si erano riuniti in una “vecchia casa con mobili vecchi, al primo piano di una palazzina tra le campagne di Baida o di Altarello”, alla periferia meridionale di Palermo: qui il 28 maggio scorso, racconta il pentito Francesco Colletti, attorno al tavolo imbandito di dolci “ho trovato Mineo seduto, Greco Michele, che era già a tavola, Gregorio Di Giovanni… Calogero Lo Piccolo è venuto dopo una mezzoretta… Filippo Bisconti, invece, lo abbiamo aspettato per due ore”.
È qui il quartier generale della nuova cupola mafiosa riunita dopo 25 anni di dittatura di Riina: il progetto di ricostituzione era emerso il 4 dicembre scorso con il fermo di 47 boss coordinati dall’anziano capomafia Settimo Mineo, 81 anni; ieri, con il fermo di altri sette boss compiuto dal Ros e dal comando provinciale dei Carabinieri e dalla Squadra mobile del capoluogo, spuntano cognomi pesanti del gotha mafioso: Leandro Greco, 28 anni, nipote di Michele Greco, il “papa” della mafia, che aveva assunto il nome del nonno, Michele, così descritto da Colletti: “È molto giovane però io gli ho detto che non parla male e che il cervello ce l’ha. Cioè per me aveva cinquant’anni, non venticinque”.
Leandro è il figlio del primogenito del “papa”, Giuseppe, appassionato di cinema, estraneo ad ambienti mafiosi e diventato un regista cinematografico di film non irresistibili anche a sfondo criminale. E poi Calogero Lo Piccolo, 48 anni, fratello di Sandro e figlio di Salvatore, entrambi ergastolani. Sono i rampolli della mafia degli anni 80 e 90 oggi impegnati nella gestione di scommesse online ad avere tentato la ricostituzione della cupola, e tra i fermati salta fuori un’altra vecchia conoscenza degli investigatori, l’imprenditore Pietro Lo Sicco, 70 anni, amico di politici e di mafiosi: costruì un palazzo finito al centro di una speculazione edilizia irregolare, viziata da una tangente a un assessore e sanata da un emendamento introdotto dal governo Berlusconi, e in quell’occasione, a difenderlo davanti ai giudici amministrativi, fu l’allora avvocato Renato Schifani, poi diventato presidente del Senato.
Per quella vicenda fu condannato a due anni e due mesi per truffa e corruzione, oltre a una condanna a sette anni per mafia. Per bloccare la ricostituzione della commissione gli investigatori hanno utilizzato anche la collaborazione di due pentiti al vertice dei mandamenti che hanno partecipato alle riunioni della cupola 2.0: Francesco Colletti e Filippo Bisconti, che aveva il ruolo di coordinare i mandamenti della provincia.
E nonostante il secondo avesse disertato quella prima riunione i boss fecero in tempo a stabilire le nuove regole, con l’ossessione di tutelare la segretezza: notizie solo ai capimandamento che in commissione potevano avere ciascuno un delegato. “Michele Greco prendeva spesso parola dicendo che dobbiamo fare le cose serie – ha detto Colletti – dobbiamo organizzarci in modo che solo noi che ci riuniamo e ci riuniremo dobbiamo sapere le cose”.
Regole sovrapponibili, hanno riscontrato i magistrati, a quelle di un “pizzino” trovato a Salvatore e Sandro Lo Piccolo al momento del loro arresto che fissava, appunto, i criteri di funzionamento, uguali a quelli raccontati dai due collaboratori, con le identiche funzioni e ruoli: ‘”Il ruolo della commissione – avevano scritto i boss – è costituita per esserci un’equilibrio nelle famiglie e in cosa nostra”’.
E se qualcuno “sgarrava”, rivolgendosi non ai capimandamento ma direttamente all’anziano coordinatore Settimo Mineo, veniva cacciato, e il metodo per scoprire i trasgressori lo aveva suggerito lo stesso anziano boss: “Ma se qualcuno viene da me io lo stesso l’ascolto e poi nel caso me lo filo (gli do corda, ndr) e vi faccio sapere il discorso”.
Tra i fermati ci sono anche Giovanni Sirchia, esponente di spicco della cosca di Passo di Rigano, che ha attivamente partecipato all’organizzazione del summit; nonché Giuseppe Serio, Erasmo Lo Bello e Carmelo Cacocciola, cui sono state contestate anche alcune estorsioni.
Lega Serie A, l’avvocato Alfano si dà al calcio
Da ministro dell’Interno ricevuto con tutti gli onori in Lega calcio a consulente: dura la seconda vita di Angelino Alfano. Tocca reinventarsi dopo l’addio alla politica e l’ex leader di Alternativa popolare non ha perso tempo: è tornato alla sua professione di avvocato e adesso si interessa persino di pallone. Le sue ultime notizie risalgono a giugno: le cronache annunciavano l’ingresso nella squadra del prestigioso studio legale BonelliErede, con un interesse specifico su Africa e Medioriente, in virtù del suo progresso incarico da ministro degli Esteri. Ma l’esperienza alla Farnesina non è l’unica che potrebbe tornargli utile: può sfruttare anche le sue competenze (e i suoi contatti) come titolare del Viminale. Proprio come ministro dell’Interno, infatti, Alfano si era occupato di calcio, ad esempio di sicurezza degli stadi, per cui era andato in visita ufficiale in Lega nel 2013. Cinque anni dopo, lontano dalle luci dei riflettori e dalle passerelle, ha di nuovo a che fare con la Serie A attraverso lo studio per cui lavora.
BonelliErede già da qualche mese affianca la Confindustria del pallone per la parte legale: uno dei suoi partner, l’avvocato Francesco Anglani, nel 2016 è stato anche nominato nell’organo di vigilanza interno. Tra i vari fascicoli sul tavolo dello studio ce n’è uno su cui anche Alfano potrebbe dare una mano: pare che stia curando la revisione del modello di organizzazione e controllo ai sensi del decreto 231/2001 che regola l’attività di monitoraggio interna per reati per cui può configurarsi la responsabilità amministrativa dell’ente. Un tema che riguarda anche le responsabilità dei club e che sta a cuore al mondo del pallone: il parere di un ex ministro è senz’altro un valore aggiunto.
Quello di Alfano, peraltro, non è l’unico nome noto a cui ha deciso di rivolgersi la Serie A: in una fase di riorganizzazione interna sono spuntati pure incarichi esterni. Il nuovo presidente Gaetano Miccichè ha voluto che lo accompagnasse nella sua avventura calcistica uno dei suoi fedelissimi ai tempi di Banca Intesa: da un paio di mesi lavora in via Rosellini a Milano anche Andrea Faragalli, ex presidente di Ntv (e prima ancora in Intesa San Paolo); per lui un ufficio privato e l’inedita carica di “president assistent”. Discorso simile per Csc Vision, l’agenzia che si occupa di comunicazione: la Lega ha già un suo ufficio stampa, ma il presidente ha preferito farsi seguire da un portavoce personale. Si parla di cifre a cinque zeri, compensate però dalla rinuncia a buona parte dello stipendio presidenziale: rispetto al suo predecessore Maurizio Beretta (che percepiva circa 340 mila euro l’anno), Miccichè si è accontentato di meno di un terzo. Aveva più bisogno di uomini fidati per provare a cambiare il calcio italiano. Presto comunque non sarà più solo: è in arrivo anche Luigi De Siervo come ad. Di lui (e del suo contratto) si parlerà nel consiglio di oggi.