Mentre si sale in auto lungo l’affollata arteria che da El Bireh conduce a Ramallah, la “capitale de facto” dei palestinesi, si vedono già svettare palazzoni e diversi grattacieli in vetrocemento che scintillano alla luce del tiepido sole invernale. La città ha cambiato completamente volto negli ultimi venti anni, quando Yasser Arafat la scelse come residenza dopo gli accordi di Oslo, era un centro agricolo con un importante mercato ortofrutticolo. Oggi somiglia sempre più alle città arabe del Golfo, architetture ardite, condomini, villette col tetto a pagoda che sono il tratto distintivo dei “nuovi ricchi”, gli emergenti della società palestinese un tempo legata solo alla terra e oggi è invece spinta soprattutto da manager, web designer, architetti, ingegneri. L’economia della Cisgiordania è cresciuta in questi ultimi tre anni al ritmo del 3,5% e certamente, come spiega l’ultimo Rapporto della Banca Mondiale, con la prospettiva di una pace potrebbe raggiungere persino il 6-7%. Un mondo molto distante da Gaza, dove invece la situazione è drammatica, il reddito pro capite nella Striscia (1.000 dollari) è meno della metà della Cisgiordania.
A Ramallah il “Millenium” è certamente l’hotel più lussuoso con i suoi ristoranti, chef internazionali e sale meeting grandi come campi di calcio. Nel parcheggio luccicano delle Bmw, Mercedes, persino una Porsche Panamera. La sera del sabato nella discoteca dell’hotel non c’è posto nemmeno per uno spillo, con il telefonino in una mano e un drink nell’altra, tutta la “jeunesse doree” palestinese si dimena al ritmo di Rihanna. In città è un fiorire di pub e ristoranti sempre affollati. Il segnale più evidente che il denaro sta circolando, che l’economia privata sta crescendo a fianco di quella sostenuta dai donatori internazionali che si assottiglia ogni anno. Questa è la Cisgiordania, un vero vespaio. Quasi tre milioni di palestinesi, pigiati nelle città e nei campi profughi, le brigate dei soldati israeliani che vanno e vengono, 400 mila coloni ebrei che sono venuti per rivendicare una terra che dicono è stata loro assegnata dalla storia e da dio.
A dieci chilometri da Ramallah sorge dopo 9 anni di lavori, Rawabi, la New Town nota come la città da “un miliardo di dollari” che promette di ospitare presto 40.000 residenti. Ricca di caffè e negozi di lusso, Rawabi ospita scuole, palestre, centro congressi, uno spettacolare anfiteatro romano da 15 mila posti e persino un campo di calcio. Ma anche ristoranti, complessi per uffici, spazi sociali, farmacie, moschee e chiese. Cofinanziata dal miliardario palestinese Bashar Al Masri e da un Fondo edilizio del Qatar, è una joint venture da 1,4 miliardi di dollari. Rawabi è il progetto più ambizioso nei Territori palestinesi ed è il grande datore di lavoro del settore edilizio. Trasuda l’ambizione e l’opulenza del Golfo, sono 5.000 appartamenti costruiti per la classe media, la nuova realtà che si affaccia nella società palestinese. Un appartamento di tre stanze costa tra i 95.000 e i 125.000 dollari – con un mutuo al 4,95% – molto meno caro che a Ramallah dove i prezzi sono folli e certamente ben al di sopra di quelli che molti palestinesi possono permettersi. La buona notizia è che Rawabi offre una visione ottimista del futuro ai palestinesi. Incoraggia l’espandersi di una classe medio-alta, la spinge a sperare in quello che potrebbe diventare uno Stato palestinese attraente e competitivo. Coltivare questo tessuto socio-economico è della massima importanza per qualunque pace duratura, una classe media è fondamentale per garantire, stabilità, democrazia e crescita in tutti i Paesi in via di sviluppo.
L’inaugurazione del grande “Q Center”, il più grande shopping mail della Cisgiordania, è il maggiore tratto distintivo di un’utopia borghese in stile occidentale. Borse delle grandi griffe internazionali, marchi blasonati e costosi del fashion. I negozi di abbigliamento riforniti con veri jeans americani, non le solite contraffazioni che si trovano nei bazar di Ramallah. “Vivremo come persone normali, in attesa della normalità”, ha detto Al Masri durante l’inaugurazione. Attorno a molti palazzi fervono ancora lavori di costruzione, camion e betoniere vanno e vengono, solo tre quartieri sono finiti. Ma i dati forniti dall’ufficio di Al Masri parlano di oltre 3.000 abitanti negli appartamenti finora venduti.
Amjad Qasr e sua moglie Huda sono una giovane coppia di architetti con un bambino piccolo. Si sono trasferiti qui da Ramallah dove i prezzi degli appartamenti sono ancora più alti. Di Rawabi apprezzano la modernità , la sicurezza e l’ordine. Credono nel loro investimento e sperano nello sviluppo dell’area.
Ma è necessaria un nuova nuova strategia per spingere l’economia verso il cambiamento. La Banca Mondiale nel suo ultimo rapporto sostiene che serva una nuova visione dell’economia palestinese in grado di poter raggiungere una crescita del 7% annuo.
Pur riconoscendo l’importanza fondamentale di una soluzione politica, la relazione sostiene che delle misure a medio termine possono creare nuove aree di attività economica, attrarre investimenti privati, generare posti di lavoro e migliorare significativamente gli standard di vita. “Senza un vero cambiamento nelle politiche”, spiega Marina Wes, direttore per Cisgiordania e Gaza della Banca Mondiale, “la crescita difficilmente supererà il 3% annuo, meno del ritmo di crescita della popolazione”. Il rapporto utilizza un modello economico per un periodo di 10 anni per stimare l’impatto sull’economia palestinese se fossero rimossi vincoli e ostacoli dovuti all’occupazione militare israeliana nei commerci, nell’import e nell’export dai Territori palestinesi.
Il profitto economico e sociale sarebbe immenso, traducendosi in un tasso di crescita annuale del 6% in Cisgiordania e addirittura l’8% a Gaza. Con la conseguente creazione di 50 mila posti di lavoro in Cisgiordania e 60 mila nella Striscia. In questa prospettiva la creazione e la crescita dei posti di lavoro saranno guidati dal settore privato. Come a Rawabi che è attualmente il maggior centro di occupazione in Cisgiordania.