Nessuno pensa al 30enne disoccupato che vive dai suoi?

Caro Feltri, le scrivo perché in tutto questo caos dei requisiti per accedere al reddito di cittadinanza, si continua a non tener presente una situazione familiare secondo me molto comune: il disoccupato che vive in casa con un genitore pensionato. Si parla sempre del disoccupato single che paga o non paga l’affitto, ma se una persona di circa 30 anni è disoccupato, come fa a vivere da solo se ha ancora almeno un genitore superstite? Come tira a campare? Il ragazzo in questione, considerando che il genitore pensionato prende quasi 650 euro al mese di pensione per 13 mensilità e per l’abitazione in cui vivono non pagano l’affitto (quindi niente pensione di cittadinanza visto che la pensione supera i 630 euro base), può accedere al reddito di cittadinanza e ovviamente seguire tutto l’iter per arrivare finalmente a trovare lavoro e a guadagnarsi da vivere con le sue forze? Perché non vorrei che abbiano pensato che, siccome il disoccupato ha il genitore pensionato, possa continuare a vivere sulle spalle del genitore, suo malgrado da parassita (secondo me gli sfaticati esistono, ma sono una sparuta minoranza). Ammettiamo pure che in questo caso il disoccupato non abbia diritto al reddito di cittadinanza, una persona onesta che non intende fare un cambio di residenza fittizio (vedrà che succederà) per prendere i 780 euro pieni, può almeno inserirsi comunque nel percorso di formazione previsto per chi prende il reddito di cittadinanza?

Ivan Bizzarri

Caro Bizzarri, da lettere come la sua si capisce che ci sono molte più persone che sentono di meritare di ricevere il reddito di cittadinanza rispetto a quante lo riceveranno davvero. In Italia, il disoccupato di 30 anni che lei chiama ancora “ragazzo” può vivere da solo in molti casi: se ha un lavoro in nero, se riceve qualche aiuto dai genitori, se abita nella casa di una nonna ormai defunta. Certo che la famiglia che lei delinea – 30enne disoccupato e genitore pensionato con casa di proprietà – avrebbe bisogno di aiuto, ma purtroppo in Italia ci sono alcuni milioni di persone in condizioni peggiori, a cominciare dalle famiglie numerose. E quindi è giusto partire da loro. Ci sono molte opportunità di formazione anche fuori dal percorso del reddito di cittadinanza, per ora tutto da costruire. Quindi il suddetto 30enne farebbe benissimo a pensare che il modo giusto per uscire dalla palude è imparare un lavoro, ma per provarci non serve il reddito di cittadinanza.

Stefano Feltri

Il liberatore rock che si inventa Gesù e predica impolitica

Il miracolo avvenne tra le pozzanghere di fine anni Cinquanta e la prima nebbia di via Gluck. Adriano scese dal terzo piano di ballatoio in canottiera, stuzzicadenti e stivaletto bianco. Si guardò intorno. Calcolò il punto preciso in cui si incrociavano il ciuffo impomatato di Elvis Presley con l’ugola negra di Tony Dallara. Mostrò il sorriso col canino. Mostrò le sopracciglia con la pausa. E imbracciando il suo primo accordo in Mi settima, salì per sempre sul tram della nostra vita. E il tram si chiamava Rock and Roll. Celentano nacque orologiaio, che è un mestiere ricamato dal silenzio musicale di ingranaggi. Ma era solo un trucco per studiare il favoloso tempo dei quattro quarti scanditi in vinile che avrebbero fatto la storia, il lessico e il costume di un Paese dove, dopo la polvere della guerra, stava per essere inventata la giovinezza. Quella con la Lambretta e la domenica in balera, lo struscio sul corso, la rotonda sul mare.

Scaraventati sul palcoscenico del Salone delle Feste di Sanremo, i suoi 24 mila baci, apparsi nell’anno 1961, hanno fatto friggere il cuore di mille ragazzine al giorno, per tutti i giorni a venire. Mentre nelle camerette d’adolescenza, magrissimi ragazzi si studiavano le mosse di Stai lontana da me, un colpo d’anca a destra, uno a sinistra con gambe divaricate e poi la giravolta, le spalle piegate in un anticipo di twist, la smorfia col gorgheggio.

Quando nel bianco e nero della televisione è comparso con le spalle rivolte al pubblico, è stato il lampo che tutti aspettavamo. L’insofferenza che cresceva. La voce che mancava.

Con Mina, Battisti e De André, Celentano ha cavalcato il secolo e lo ha fatto dondolare d’armonia. Ha inciso mille canzoni, illuminato cento film, riempito i rotocalchi di milioni di parole. Ma è stato anche l’unico a sedersi al centro del più lungo silenzio televisivo – dentro al suo indimenticabile Fantastico numero 8, anno 1987 – per poi andarsene ridendo in anticipo di quante pompose chiacchiere si sarebbero fatte. E che infatti si fecero, da Eco a Moravia, a proposito del “potere ipnotico della televisione”. Ma tutti trascurando la ragione più semplice di quel mistico silenzio: si era dimenticato le parole e quel vuoto lo aveva usato per riempirci di stupore, rivelandoci quanto fosse assordante lo spettacolo che quotidianamente ci imprigiona. Lui venne a liberarci.

Da allora – e per acclamazione – il suo sguardo obliquo divenne profezia. E collettivo discernimento tra il cuore rock e la vita lenta, la luce e il buio. Compreso il memorabile “Berlusconi è lento, i Simpson sono rock”. Ma sempre lui, “il re degli ignoranti”, come unico esegeta del mistero, nonché titolare della colonna sonora che lo tiene (incredibilmente) giovane da allora, conciliandone tutti gli opposti, di urlatore melodico e populista miliardario, guru, para guru, cretino di talento, disinformatore carismatico, unico spettinato anche in assenza di capelli. E adesso, appena compiuti gli 81 anni in carne e ossa, pronto a tornare in forma di apologo e di fumetto, disegnandosi Adrian.

Adriano Celentano nacque nell’anno 1938, nel giorno dei re magi, in una Milano che non c’è più. Studiò fino alla quarta elementare. Fece l’arrotino e l’idraulico. Per quattro anni il riparatore di orologi e il giocatore di biliardo nei bar di Porta Genova, detta la Casbah. Fino a una sera dei suoi 18 anni, quando al tavolo di cucina disse alla madre: “E se mi mettessi a cantare?”.

Si è appena comprato un giradischi e il 45 giri di Little Richard che strilla Rock Around The Clock. Al bar Aurora ha incontrato Miki Del Prete che gli mette in rima le prime strofe e un certo Elio Cesari col ciuffo e la balbuzie, che suona la chitarra e sta per mutarsi in Tony Renis. E siccome nei cinema di terza visione del Lorenteggio va alla grande la coppia Jerry Lewis e Dean Martin, Adriano e Tony si infilano in quello specchio e imparano le mosse. Non hanno paura di nulla. Salgono sul palco dello Smeraldo coi Rocky Mountain travestiti da cow boy, e fondono il Palazzo del Ghiaccio di Milano cantando per dieci volte di seguito Ciao ti dirò, unica canzone del repertorio, circondati da ragazzini urlanti.

Scendono all’Aretusa e al Santa Tecla, dove tra un pallido Enzo Jannacci, studente in Medicina e un Giorgio Gaberscik, ragioniere, si ascolta il primo jazz di importazione, il Be Bop di Charlie Parker, che fa sognare l’America ai nuovi giovanotti del terziario milanese in ricreazione e alle signorine in permanente trepidazione prematrimoniale.

L’incontro della vita è col Bruno Dossena, ballerino e impresario con spettacolo itinerante nei dancing della Lomellina che lo battezza Adriano il Molleggiato. E gli fa fare la gavetta, accompagnato dai baci di Milena Cantù che fa la commessa nella profumeria di piazzale Loreto. La sua prima auto è una Giulietta. Il suo primo complesso canta Il ribelle, che dice: “questo mondo che non vuol la fantasia/io son ribelle nel vestire, nel pensare, nell’amar la bimba mia”. Fellini che cerca “le facce” per la sua Dolce vita, si incanta davanti alla sua. Arrivano il successo e i dischi d’oro. Fonda il Clan, in stile Frank Sinatra, ma con Gino Santercole, Don Backy, Ricky Gianco, Teo Teocoli. Più una coda di litigi, querele e avvocati, in stile italiano.

Compra un attico dietro la stazione Centrale e una Thunderbird decapottabile turchese. Incontra Claudia Mori, che viene dalla rivista di Dapporto. Si innamora per sempre. La sposa nel 1964 in una chiesa di Grosseto alle 3 del mattino per paura dei fotografi. Dirà: “Siamo la coppia più bella del mondo” e finiranno per cantarla insieme. Insieme faranno tutto, i tre figli, la musica, il cinema, la villa di Galbiate che sarà il suo castello e il loro permanente esilio.

Predica Svalutation. Inventa Prisencolinensinainciusol, il primo rap della storia, incide Azzurro di Paolo Conte. Non va in America perché ha paura dell’aereo. Non va in treno perché ha paura delle gallerie. Non mangia il pesce se prima Claudia non gli ha tolto le lische. Non frequenta i mondani. È astemio e va a letto presto. Tifa Inter. Veste beatinik, è contro la caccia e contro il nucleare, ma pensa conservatore e vota liberale. Mentre brucia l’Autunno caldo delle fabbriche, canta Chi non lavora non fa l’amore. È contro l’aborto, contro i gay, ma anche contro la religione dei mercanti e dei farisei. Ama Gesù al punto da inventarsi una sua controfigura cinematografica che battezza Joan Lui, ma che purtroppo risulterà una parodia, piuttosto che un omaggio. E a dirla tutta sarà il suo unico insuccesso – otto mesi di riprese, 20 miliardi di lire buttati – lungo una carriera cinematografica sontuosa anche per semplicità di trama, visto che in ogni film ha interpretato un solo personaggio, se stesso: l’ingenuo che alla fine si dimostra il più dritto di tutti, più o meno come nella vita vera.

È stato il più celebre, il più carismatico della scena italiana. Il più politico degli impolitici che predica rivoluzioni non del tutto portatili, la democrazia diretta, l’ecologismo, la pace universale.

Uno dei pochi che aveva in testa un intero mondo e non ha mai avuto paura di abitarlo anche da solo. Lo ha raccontato in Francamente me ne infischio, 125 milioni di cazzate, Rockpolitic e Rock Economy. Sempre salendo spaesato sul palco, ma più libero di tutti, fermando la musica quando non gli garbava, mandando in malora i divieti e le autorizzazioni, grattandosi la testa in cerca di qualcosa. Radunando gli amici, che un tempo erano Dario Fo, Franca Rame, la voce invisibile di Mina. E ogni volta con la più spettacolare delle premesse al suo miracolo: “Se volete cambiare canale fatelo, ma quali cazzate troverete migliori di quelle che sto dicendo io?”.

Riso e sovranismo anticipato

Usciamo un po’ dall’argomento trasporti e occupiamoci di riso, ma non per ridere, ma per piangere sull’ipocrisia di molti giornali italiani. Giovedì a pag. 20 di Repubblica c’è un articolo che celebra la reintroduzione di dazi sul riso importato da due Paesi molto poveri, Birmania e Cambogia, che con i loro prezzi bassi danneggiavano i produttori italiani, che erano costretti anche loro a tenere i prezzi bassi, soffrendo molto. Quindi il prezzo medio del riso in Italia potrà finalmente aumentare! Ma questo gli autori dell’articolo si guardano bene dal farlo notare. Per rendere ancora più grottesca la cosa, nella pagina di fronte c’è una statistica ufficiale che dimostra come l’inflazione, cioè il rialzo dei prezzi, colpisca più i poveri che i ricchi. Per un bene alimentare questo è certo ancora più vero. Poi, gran finale strappalacrime: in questi Paesi la manodopera è sfruttata, quindi è un atto di carità bloccare le importazioni con i dazi! E questo chi lo afferma con forza? I risicoltori che dal blocco ci guadagnano. Nessuno ovviamente osserva che se questi Paesi esportano di meno, la manodopera, diventando più sovrabbondante, sarà sfruttata ancora di più, non di meno. Questo glorioso risultato nell’articolo è attribuito all’allora (2018) ministro dell’Agricoltura Martina del Pd. Sovranismo addirittura in anticipo sui tempi!

“Gli obblighi sui vaccini? È meglio creare fiducia”

“In una dinamica di costrizione, la dialettica tra medico e paziente è meno costruttiva”. Guido Silvestri è ideatore, insieme a Roberto Burioni e altri scienziati, del Patto per la scienza promosso nelle scorse settimane e firmato da Beppe Grillo, Matteo Renzi e migliaia di professionisti. È immunologo di fama e professore ad Atlanta (Usa).

Professor Silvestri, che pensa dell’obbligo vaccinale?

Bisogna tenere separati i due piani: il primo riguarda sicurezza ed efficacia dei vaccini. Il secondo l’opportunità di introdurre misure coercitive come l’obbligo.

Che differenza c’è?

Uno è strettamente scientifico: in Italia i vaccini raccomandati sono gli stessi di ogni Paese scientificamente evoluto. Su efficacia e sicurezza non c’è più alcun ragionevole dubbio. Sono somministrati a centinaia di milioni di bambini proteggendo da malattie potenzialmente pericolose. Il secondo è gestionale e politico: capire come vaccinare la più alta quota di persone possibile in un contesto con un movimento di opinione che sostiene che i vaccini siano tossici e pericolosi.

Che vantaggio ha l’obbligo?

Crea una forte spinta a vaccinare. Chi non vaccina il figlio per pigrizia o perché troppo occupato o se n’è dimenticato viene spronato a farlo. In California è stato dimostrato che in questo modo si recuperano molte di queste persone.

Lo svantaggio?

Dal punto di vista sociale e culturale costringere le persone a un intervento sanitario è molto antipatico. Gli interventi sanitari si raccomandano, come smettere di fumare, ma nessuno obbliga a farlo. In una dinamica di costrizione, la dialettica tra medico e paziente diventa meno costruttiva rispetto all’adesione consapevole. La salute di un bimbo riguarda aspetti più vasti: dall’attività fisica alla salute mentale. Ma non c’è obbligo di far assumere vitamine e fare sport. C’è invece un capitale di fiducia tra genitore e struttura sanitaria, di cui il pediatra è il fronte più avanzato. Creare fiducia genera un capitale che può essere usato per ogni aspetto della salute.

L’obbligo inasprisce chi si oppone ai vaccini?

Si dà l’opportunità ai professionisti dell’antivaccinismo di atteggiarsi a vittime. Il genitore fanatico che crede che il vaccino ucciderà suo figlio comunque non glielo farà, pagherà la multa o troverà il pediatra compiacente che gli firmi un certificato. Forse queste persone è meglio ignorarle che antagonizzarle.

Ma c’è il metodo “anti-ignoranti” di Roberto Burioni. Considera valido quel tipo di comunicazione tranchant?

Riguarda meno dell’1% di ciò che scrive, mentre il 99% è comunicazione chiara, pacata, efficace e scientificamente inappuntabile di un professionista di grande valore. Bisognerebbe concentrarsi su questo aspetto, che sta aiutando milioni di persone.

L’obbligo tutela chi non può essere vaccinato?

La questione dell’immunità di gregge è seria. Ma il livello di rischio non dipende dall’obbligo bensì dal livello della copertura vaccinale. Un bambino che vive in un Paese con l’obbligo ma con una copertura del 90% è più a rischio di uno che vive in Svezia dove non c’è obbligo ma la copertura è al 99.

Va tolto?

Lo auspico, ma se si decidesse di farlo è fondamentale che si investa davvero su raccomandazione e persuasione. Se si lascia il problema al caso, togliendolo da un giorno all’altro, potremmo ritrovarci coperture in calo ed epidemie. C’è bisogno di campagne di prevenzione serie e ben finanziate. Inoltre è necessario che le autorità sanitarie (ministero, Iss, Aifa) prendano posizioni forti contro le bufale. È difficile puntare sulla persuasione se c’è chi, per professione, dice in giro che i vaccini sono tossici.

Quanto è importante la trasparenza?

Non c’è alternativa: bisogna essere trasparenti: nelle evidenze scientifiche a favore, nelle decisioni sui vaccini, sui possibili effetti avversi, e anche se ci sono conflitti d’interessi. E c’è bisogno, d’altro canto, che qualcuno punisca chi diffonde informazioni false. Il conflitto d’interessi esiste, ma è marginale. Molte accuse sono assurde.

Ora si pensa a introdurre “l’obbligo flessibile”…

La terminologia è infelice, ma la strada intermedia tra l’approccio dell’obbligo e quello della persuasione potrebbe essere una buona idea. Se ci sono casi particolari di calo delle coperture o di epidemie, si aumenta la pressione nell’immediato con aspetti “punitivi” per poi lavorare sulla fiducia in situazioni meno critiche e come strategia a medio-lungo termine. Ridare efficacia alla raccomandazione è un percorso bellissimo, ma anche lungo e difficile.

Perché tanto stupore sulla firma di Grillo al patto? Si dice che il M5S abbia intercettato il voto no-vax…

Beppe Grillo è una persona estremamente intelligente e da sempre innamorata della scienza. La sua adesione non dovrebbe stupire. Può aver fatto degli errori, ma l’importante è il presente e soprattutto il futuro. L’Italia ha bisogno di crescere nel modo in cui si promuove e protegge la scienza e che una persona del carisma di Beppe si impegni in questo senso è una splendida notizia per tutto il Paese.

Kasper: “Ecco il complotto” I dossier Usa sui cardinali

Complotto. La parola è una tradizione per il Vaticano. Complotto contro papa Francesco, denuncia il cardinale Walter Kasper in un’intervista a una televisione tedesca. Quando risponde da un appartamento in Vaticano, Kasper è consapevole che la parola – pronunciata con cognizione – può agitare la già fibrillante Chiesa in epoca di Francesco, ma non sorprende, non disorienta. Perché lo scontro tra le opposte fazioni – oltre la dicotomia banale ta conservatori e progressisti – ha raggiunto ormai l’apice e la luce. Lo scontro è visibile. Il tedesco Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per l’unione dei cristiani, fu scelto da Francesco per la relazione introduttiva al sinodo su famiglia e divorziati. Il rapporto è solido.

Kasper argomenta: “Ci sono persone che non amano il pontificato di Francesco. Vogliono che finisca il prima possibile per avere, per così dire, un nuovo conclave. Vogliono anche che vadano a loro favore, quindi confidano in un risultato che si adatta alle loro idee”. Per chi conosce il Vaticano è semplice parafrasare l’invettiva di Kasper, perché i segnali che arrivano, soprattutto dagli Stati Uniti, inquietano Francesco.

Il baricentro dei cattolici è sempre più asiatico e africano, ma la potenza economica e trainante degli Usa è ancora ineguagliabile. Non è la Conferenza episcopale americana, spesso in contrasto con la Curia, a spaventare Jorge Mario Bergoglio, ma c’è un sistema molto coeso e ricco di associazioni che si muove per incidere su Roma e, di conseguenza, sul prossimo conclave.

Il Vaticano segue con attenzione il progetto chiamato Red hat report, finanziato dai gruppi cattolici americani con milioni di dollari e lanciato l’autunno scorso: si tratta di un dossier, che coinvolge giornalisti, ricercatori, avvocati, per scoprire e raccontare i segreti del collegio dei cardinali, cioè gli elettori del pontefice. Un anno e mezzo di lavoro e – come scrive Crux – l’enorme materiale sarà pronto, forse per l’aprile del 2020. “Un’iniziativa che rasenta la scomunica”, commenta un amico di Bergoglio. La lettera di monsignor Carlo Maria Viganò per chiedere le dimissioni di Francesco; le accuse di aver coperto l’ex cardinale Theodore Edgar McCarrick, molestatore sessuale seriale; i lenti e inesorabili repulisti interni: frammenti di un pontificato costretto a ritrovare un equilibrio mentre intorno aumenta la confusione. Ancora più evidente è l’incompatibilità con le politiche dei governi sull’immigrazione, un terreno di pessimo dialogo che va dagli Stati Uniti all’Italia. La paura di Francesco, però, è soltanto una: i fedeli, scoraggiati dagli scandali, che si allontanano.

Il cardinale Kasper, ancora, sostiene che il tema della pedofilia sia usato da chi congiura per indebolire Francesco, per scalfirne la figura e avvicinare la data di un nuovo conclave. Il compito della Chiesa e la protezione dei minori è anche l’argomento di una riunione tra i vescovi del mondo dal 21 al 24 febbraio in Vaticano. Quattro giorni non bastano. E Francesco lo sa.

Meno aborti, stessi obiettori

“Dal 1983, l’Interruzione volontaria di gravidanza è in continua e progressiva diminuzione, attualmente il tasso di abortività del nostro Paese è fra i più bassi tra quelli dei Paesi occidentali”: è l’incipit delle conclusioni del ministro della Salute, Giulia Grillo, alla relazione sull’attuazione della legge 194 che fa il punto sui dati e la situazione italiana per le interruzioni volontarie di gravidanza nel 2017. Giovedì Emma Bonino aveva depositato una interrogazione urgente per un ritardo di 11 mesi nella sua pubblicazione (che ha riguardato tutti i ministri che si sono succeduti dal 2000).

Calano le interruzioni: -4.9% rispetto al 2016, -65.6% rispetto al 1982. Il tasso di abortività è di 6,2 donne ogni mille (15-49 anni), il 3,3% in meno rispetto al 2016. A contribuire, l’abolizione per le maggiorenni della prescrizione medica per la cosiddetta “pillola dei 5 giorni dopo” e della “pillola del giorno dopo”, la cui vendita è in crescita. Stabile, inoltre, il livello di aborti tra le straniere dopo anni di aumento. Oggi rappresentano il 30,3% di tutti gli aborti volontari, un valore simile a quello del 2016 (30%). “Permane una popolazione a maggior rischio di abortire rispetto alle italiane: per tutte le classi di età hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte”. Tra le minorenni, invece, il tasso per il 2017 è pari a 2,7 per 1000, valore inferiore (-6,9% è il calo per le under 20) a quello del 2016. Un dato inferiore “a quanto registrato negli altri Paesi dell’Europa Occidentale – si legge – in linea con la loro moderata attività sessuale e con l’uso estensivo del profilattico riscontrati in recenti studi”.

Ancora alto il numero di obiettori di coscienza tra i ginecologi: sono il 68,4%, in linea con il 2016. Tra gli anestesisti, la percentuale è del 45,6%. Il numero di interventi di interruzione, che settimanalmente grava sui non – obiettori, va dalle 0,2 della Valle d’Aosta alle 8,6 del Molise, con una media nazionale di 1,2 a settimana. “Non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività. Quindi gli eventuali problemi nell’accesso al percorso potrebbero essere riconducibili ad una inadeguata organizzazione territoriale”. Dai monitoraggi regionali, infatti, è emerso che il 9,8% dei ginecologi non obiettori (146 ginecologi in 146 strutture di 8 regioni) è assegnato ad altri servizi e non a quello di interruzione volontaria di gravidanza. “A determinare eventuali criticità è probabilmente il modo in cui le strutture si organizzano”. E nei consultori? Non pervenuto. “Non è stato ritenuto utile rilevare il numero – si legge – in quanto il dato negli anni precedenti non aveva rilevato criticità”. La raccolta dati è stata però e difficoltosa “considerando anche la grande difformità territoriale dell’organizzazione dei consultori stessi, che mutano spesso di numero a causa di accorpamenti e distinzioni fra sedi principali e distaccate, la cui differenziazione spesso non è chiara e risponde a criteri diversi fra le diverse regioni”. Inoltre è emerso che “molte sedi sono servizi per l’età evolutiva o dedicati agli screening dei tumori femminili pertanto non svolgono attività connesse al servizio di interruzione volontaria di gravidanza”.

Il sociologo che per primo raccontò i braccianti indiani: “In questa inchiesta non solo sfruttatori, ma il Mondo di Sopra”

“Qui non serve più la Procura della Repubblica, serve la politica. Adesso non lasciamo soli i lavoratori. Grazie alla legge sul caporalato, soltanto in provincia di Latina, 500 braccianti sono stati salvati. La legge funziona e va difesa”. Lo dice Marco Omizzolo, sociologo, responsabile scientifico della cooperativa InMigrazione, insignito al merito di Cavaliere della Repubblica, meno di un mese fa, dal presidente Mattarella per la sua opera di contrasto allo sfruttamento dei braccianti agricoli. Omizzoli – che nel corso dell’ultimo anno ha ricevuto diverse intimidazioni – spiega come di tutte le inchieste sul caporalato questa messa a segno dalla squadra mobile di Latina sia l’unica che indaga sul Mondo di Sopra: “Non più solo caporali ma tutti coloro che per anni attraverso i loro ruoli anche istituzionali hanno agito nell’interesse degli sfruttatori violando norme fondamentali ed esponendo lavoratori e lavoratrici a pericoli per la loro stessa vita”. Per arrivare a questi arresti c’è stato un impegno della Questura e della Procura di Latina lungo 15 anni. E c’è stato un grande lavoro di ricerca partito proprio dal sociologo che, come tesi di dottorato, anni fa, decise di studiare la comunità sikh. Fu il primo italiano ad occuparsi di loro e ad aiutarli: per tre mesi Omizzolo fece il bracciante agricolo. La mattina lasciava la macchina al residence Bella Farnia e poi raggiungeva i campi in bicicletta. Come “loro”

Sabaudia, Latina, Sperlonga, Fondi: tra i “mostri” del Circeo

Tra i ricchi e gli schiavi ci sono le dune. Tra le dune e la Pontina c’è Sabaudia, disposta ai piedi del promontorio del Circeo, la magnifica gobba sfregiata da una iniezione super abusiva di circa 100 mila cubi di cemento, nell’area detta del “Quarto caldo”, che dopo quarant’anni le ruspe finanziate dall’Ente Parco hanno finito di rimuovere, restituendo in limine mortis alla legge la sua forza.

Sabaudia è connessa in spirito, e non solo, a Latina, Fondi e Sperlonga. Le magnifiche quattro dell’Agro Pontino, cinque con San Felice al Circeo, e formano un club esclusivo in cui il movimento di pensiero, insieme economico e, diciamo così, culturale, trasforma spesso il vizio in virtù, e interpreta, sovvertendone i canoni, l’illegale in legale, l’insolito con il possibile. Forse è per questa ragione che tre giorni fa, il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, generale di brigata, indica Antonio Ricciardi, generale dei carabinieri, come presidente del Parco Nazionale del Circeo. E forse è sempre per questa ragione che la nomina non passa, si blocca nella commissione parlamentare che deve ratificarla. “È una questione di metodo”, dichiara la Lega, il partito oggi monopolista quaggiù, dove Matteo Salvini è acclamato come l’erede della destra romantica, di quella muscolare e di quella imprenditoriale.

Cambio di scena. Ventiquattro ore dopo lo stop parlamentare, una retata manda in prigione alcuni schiavisti, i cosiddetti “caporali”, più un sindacalista e un ispettore del lavoro, per la gestione disumana dei braccianti agricoli, 20mila immigrati nell’area. “La pacchia è finita”, dice immediatamente Angelo Tripodi, capogruppo leghista alla Regione, già personal trainer e responsabile risorse umane della palestra PalaFitness di Latina. Finora la “pacchia” – se vogliamo chiamarla così – è dei padroncini, gli imprenditori agricoli, molti dei quali entusiasticamente di centrodestra. Hanno la fortuna di far raccogliere lattuga e rafano, fragole e melanzane a disgraziati che accettano una stalla per dormire, disponibili a lavorare 10-12 ore al giorno prima per 2, poi 3, oggi forse (calcolo ottimistico) per 4 euro all’ora, sempre meno della metà del dovuto. Quando la fatica era troppa – e questi sono sempre i verbali di polizia a raccontarcelo –, allora le metanfetamine, le droghe, rendevano possibile lo sforzo. Erano i sikh, l’etnia preponderante ingaggiata dal lontano Punjab, a utilizzare pure la droga per far fronte all’impegno. Docili, pazienti, disciplinati. Senza contributi, senza ferie. La pacchia, sì.

“Oggi gli ultimi degli ultimi non sono più i sikh. Il tempo li ha resi meno docili, la fatica e i soprusi li hanno indotti a denunciare le condizioni di lavoro impossibili. E infatti è iniziato, come dimostra questa inchiesta, il rimpiazzo con i romeni e i richiedenti asilo. Questi, per la fragilità della loro condizione, accettano ogni tipo di rapporto, e statuiscono una progressiva discesa agli inferi che permette all’imprenditoria locale, che da sempre fa riferimento ai partiti dominanti dell’area, di ottenere braccia a buon peso. È merce tradotta quotidianamente dai dormitori alle campagne e stipata in pulmini. Chi si sente male durante il tragitto, per esempio sviene per il troppo caldo d’estate, viene lasciato a terra. L’auto accosta e fa scendere o rotolare”, dice Marco Omizzolo, sociologo da sempre impegnato nella lotta allo sfruttamento e nel contrasto all’illegalità, e da poco insignito da Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere del lavoro.

Da feudo di FI e Alleanza nazionale a terra leghista

L’élite qui era con Forza Italia e Alleanza nazionale. Dimagrita la prima, evacuata la seconda, oggi si ritrova nelle braccia di Matteo Salvini, il trasformer giusto, il potente che decide e accoglie nel nome di “Prima gli italiani”.

Latina ha solo 86 anni e conta 120 mila abitanti. L’amatissima Littoria è fascista per nascita e conserva nella struttura urbanistica un sentimento indiscutibile, manifesto vivo dell’architettura futurista, e della devozione al Duce (il muscoloso palazzo M ne è il segno visibile). Latina è il luogo fisico in cui criminalità organizzata e devianza politica si incrociano, e sviluppano attraverso la finanza una connessione sentimentale. Dell’usura e nell’usura lo sviluppo sostenibile, e anche la rappresentazione cinematografica che la inchioda al suo vizio d’origine. Il regista Paolo Sorrentino scelse la Pontina per girare il suo Amico di famiglia, il cui protagonista, Geremia de Gemerei, nell’eccellente interpretazione di Giacomo Rizzo, è l’usuraio perfetto, figlio d’arte, romantico ma spietato.

Qualche anno fa Giorgia Meloni tentò di acchiappare una fetta di fan e traghettarli verso i suoi Fratelli d’Italia, e in Parlamento fece sedere Pasquale Maietta che scese in campo con la squadra di calcio, finalmente in serie B. L’epilogo è stato triste: Maietta non è più deputato, finito incarcerato per presunti reati di natura tributaria e per legami con i clan locali, e la compagine della Meloni ora è candela fioca dinanzi al fuoco che arde sotto i piedi di Alberto da Giussano.

Nera fuori e nera dentro. Instancabilmente di destra, affascinata dalle cubature fuori terra che sul litorale, specialmente nelle aree di pregio, ha raggiunto negli anni d’oro anche 15mila euro al metro quadrato. La tentazione di costruire sempre e comunque (il dato risale ad alcuni anni fa, ma fa ugualmente impressione: a Sabaudia 1 abuso ogni 3 residenti, 1 a 1 a San Felice al Circeo) è stata, se non scoraggiata, almeno un po’ ostruita dall’esistenza del Parco nazionale. Il presidente uscente Gaetano Benedetto (proveniente dal WWF), insieme al direttore Paolo Cassola, hanno per esempio vanificato la più incredibile e appetitosa operazione commerciale. Fare del Lago di Paola, il Lago del Circeo, patrimonio dell’umanità, un porto. Benché il divieto di navigazione fosse assoluto, i vincoli enormi quanto la montagna che lo sovrasta, il club dell’imprenditoria e della politica promosse l’idea e, senza l’ente Parco, avrebbe certamente avuto la forza contundente dei numeri: quanti nuovi occupati, quanta ricchezza traghettata, quante opportunità. Il Parco, dunque, e un generale che faccia rispettare le regole, in un territorio allenato a evaderle, può divenire un problema. Certo, la bolla immobiliare oggi è scoppiata, il mattone non tira più. Ma domani?

Qui uno strano intreccio delle tre mafie controlla tutto

“Il livello di commistione, l’intensità dell’intreccio tra criminalità e politica, tra clan e vita quotidiana è tale che le famiglie della ‘ndrangheta, della camorra, ma anche pezzi di Cosa Nostra arrivati nell’agro-pontino negli anni Settanta perché mandati al confino, controllano tutto, dalle pompe funebri agli appalti, al Mof – il mercato dell’ortofrutta più grande d’Europa – alle concessioni urbanistiche in aree con varianti vantaggiose”. È un passo, fosse il più noto e il più drammatico, della possente relazione della commissione d’accesso prefettizia che supplicava l’allora ministro dell’Interno di commissariare Fondi, la città che ospita questo enorme e incontrollato movimento merci, dietro le quali e sotto le quali hanno spesso viaggiato armi e droga.

Cinquecento pagine inviate al ministro dell’Interno che ieri come oggi era un leghista: si chiamava Bobo Maroni. L’unico caso in cui il Consiglio dei ministri non mostrò accordo. Tre, nella consultazione a palazzo Chigi, i membri contrari: Meloni, Brunetta e Matteoli. Era richiesta l’unanimità. E così Fondi fu l’unico municipio a salvarsi dalla legge, anzi a vederla elusa, mortificata e persino irrisa. I consiglieri comunali poi – come ciliegina sulla torta – scelsero le dimissioni anticipate, rendendo impossibile il commissariamento. Il boss politico, allora come ora era Claudio Fazzone, magistrale parlamentare di Forza Italia, ras delle tessere e onnipotente delle clientele, così tanto adeguato da essere indicato negli anni, senza che alcuno avvertisse almeno una punta di imbarazzo, prima nella Commissione antimafia e poi nel Copasir, il comitato parlamentare per i servizi segreti. E l’allora sindaco di Sperlonga, pluri indagato, anche rimosso e pure arrestato, accusò i funzionari che avevano osato chiedere il commissariamento di Fondi di essere “pezzi deviati” dello Stato.

Fazzone è dove l’avevamo lasciato, politicamente super attivo, anche se il tramonto berlusconiano ne ha ridotto le aspirazioni. E quel sindaco arrestato, rimosso, inquisito, è tornato nel municipio con la fascia tricolore. Armando Cusani si chiama: acclamato dalla sua gente, che lo amava e lo ama.

Ecco il quadrilatero su cui svetta Latina, cioè Littoria, che Antonio Pennacchi, l’autore di Canale Mussolini, ama e difende. “Non mi piace che Latina venga dipinta come il luogo dei fetenti, la fogna d’Italia. La città sta nel medesimo gorgo delle altre, ha le sue vanità, le sue debolezze, le sue porcherie ma anche il suo lavoro, la sua storia, la sua grande bonifica. Certo, vennero a colonizzarla non i migliori ma i peggiori, o i figli dei peggiori, i più disgraziati e poveri. Però resta un fatto: Latina ha una sua vitalità persino intellettuale, e una radice che in qualche modo parla al Paese”.

Conte non ferma i sindacati:Cgil, Cisl e Uil in piazza il 9.2

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ha ribadito la propria disponibilità ad aprire tavoli di confronto sulla manovra. La stessa garanzia data lo scorso dicembre prima del varo della manovra. E i sindacati non intendono per questo abbassare la guardia: confermano la mobilitazione del 9 febbraio prossimo che porterà nuovamente in piazza a Roma Cgil, Cisl e Uil per sollecitare robuste correzioni alla legge di bilancio. Così i leader di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, praticamente all’unisono, spiegano la propria risposta al premier al termine delle due ore di incontro a palazzo Chigi. I sindacati infatti hanno ribadito al premier, accompagnato da Giorgio Sorial (M5S), come il governo abbia optato per una manovra che, a loro avviso, non guarda né alla crescita né allo sviluppo. E come alle aperture di dicembre non sia seguito nessun fatto concreto. Respinta al mittente, dunque, ricostruiscono i partecipanti alla riunione, la richiesta di rinviare la mobilitazione tanto più , hanno annotato ancora i leader di Cgil, Cisl e Uil, gli ultimi dati di Bankitalia sono preoccupanti e dicono che la recessione è a un passo.

Il gioiello di Codecasa

Una imbarcazione di 51 metri di lunghezza, 9 e mezzo di larghezza, 565 tonnellate di stazza, velocità massima di 17 nodi. Si chiama “M.y. Aldabra” ed è lo yacht battente bandiera delle Isole Cayman. Il nome deriva da un atollo corallino delle isole Seychelles (il secondo più grande al mondo, patrimonio Unesco, abitato da tartarughe giganti) ed è prodotto a Viareggio negli storici cantieri navali Codecasa (il maestro d’ascia Giovanni Battista Codecasa fondò l’impresa nell’anno 1825), specializzati in nautica di lusso.

Sul modello del Codecasa51, firmato dagli architetti Anna Maria e Franco Della Role, “M.y. Aldabra” ha interni in legno scuro di palissandro con pavimenti in rovere di tonalità molto chiara. Nell’arredo colori tenuti, corda e panna. I bagni sono rivestiti in marmo e legno laccato bronzo. Una Jacuzzi sul ponte, una “sala da pranzo” con vista circolare a poppa, uno studio con una paratia mobile che diventa terrazzo i marchi di fabbrica.