Qualche avvocato ieri in aula ci ha provato ma è andata male. I giudici sono andati dritti e hanno condannato. Sul tavolo la maxi-inchiesta milanese sulle cosiddette “spese pazze” poi ribattezzata Rimborsopoli: 57 ex consiglieri regionali tutti accusati di peculato. Assolti in cinque e condannati in 52, tra loro Renzo Bossi detto il Trota figlio di Umberto (2 anni e 6 mesi), l’attuale capogruppo leghista in Senato, Massimiliano Romeo (1 anno e 8 mesi) e Nicole Minetti (1 anno e 8 mesi), l’ex igienista dentale nonché gran dama delle cene eleganti di Arcore. Circa 3 milioni di euro le spese considerate illegittime fatte con denaro pubblico tra il 2008 e il 2012. L’indagine era dell’ex procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che nel 2014 chiese il rinvio a giudizio per 62 politici.
La prescrizione galoppa e non sarebbe un problema se il reato rimanesse quello di peculato. In realtà, ieri, Jacopo Pensa, avvocato di Romeo, ha chiesto ai giudici di primo grado di rinviare la sentenza in attesa che il 31 gennaio entri in vigore la nuova legge Anticorruzione voluta dal governo gialloverde, che si tiene in pancia una piccola aggiunta all’articolo 316 ter (indebita percezione di erogazioni da parte dello Stato) in base alla quale potrebbe essere modificata in un reato più lieve l’accusa di peculato per i politici.
Rapida e stringata la decisione dei giudici: la legge non è ancora in vigore, quindi si condanna. L’articolo 316 ter riguarda “chiunque mediante l’utilizzo di dichiarazioni o di documenti falsi (…) consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi o finanziamenti”. Così il vecchio testo a cui sono state aggiunte altre poche righe che recitano: “La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri”. Ecco il pertugio per alleggerire l’accusa di peculato per i politici. Non più quella parola generica “chiunque” applicabile a un semplice cittadino ma il termine giusto “pubblico ufficiale”.
La modifica, come svelato da Ferruccio Sansa sul Fatto, si deve a dieci parlamentari leghisti, da qui il soprannome di “Salva Rixi”, l’attuale viceministro leghista alle Infrastrutture e Trasporti, imputato nella Rimborsopoli regionale ligure. L’avvocato Pensa ha spiegato: “La nuova legge ha una norma più adeguata alle condotte contestate”. Più adeguata e più lieve con un termine di prescrizione che si abbassa a 7 anni e, ricordiamolo, i reati contestati vanno dal 2008 al 2012. Il reato di peculato ha una prescrizione, invece, di 12 anni. Le motivazioni della sentenza arriveranno tra 90 giorni, dopodiché Pensa ha annunciato che in appello chiederà l’applicazione della nuova legge. Il risultato non è matematico. Il peculato prevede che i soldi dei politici siano già nelle loro disponibilità in un fondo comune da cui vengono poi distribuiti. L’indebita percezione prevede invece che il denaro arrivi al soggetto solo dopo false dichiarazioni.
Insomma la partita resta aperta. E non è detto che quando inizierà l’appello sia ancora in vigore questa legge. Nel frattempo ieri l’accusa ha retto al primo grado. Dei 52 condannati solo uno è stato rubricato a 316 ter, ed è il consigliere regionale leghista Luca Ferrazzi. Vanno così in archivio come spese illegittime i 19.651 euro della Minetti usati per cene di sushi e l’acquisto del libro Mignottocrazia. A Romeo sono contestati 22 mila euro per bar o ristoranti. Per il Trota circa 15 mila euro tra iPad, spazzolini, caramelle e patatine. Tra i condannati anche l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca (1 anno e 6 mesi), il suo collega di FI Stefano Maullu (1 anno e 6 mesi), il deputato Alessandro Colucci (2 anni e 2 mesi). Pena più alta, 4 anni e 8 mesi, a Stefano Galli ex capogruppo della Lega in Regione. Per l’accusa pagò con soldi pubblici il matrimonio della figlia. In attesa di capire se la “salva Rixi” soccorrerà i 51 politici lombardi, si può fin d’ora dire che, con l’eventuale passaggio in giudicato di pene superiori a due anni, chi non avrà risarcito completamente andrà in galera. Lo prevede la nuova legge Anticorruzione.