“Molte risorse, ma agli anziani va più che a giovani e minori”

Per la prima volta ci sono risorse ingenti per la lotta contro la povertà e questo è apprezzabile. Ma il sistema del reddito di cittadinanza è sbilanciato a favore degli anziani mentre penalizza giovani e famiglie numerose. E questo è sorprendente perché la povertà incide sulle famiglie con anziani per meno del 5 per cento mentre è più del doppio sulle famiglie più giovani con minori. La povertà è cambiata e una nuova misura doveva tenerne conto. Il problema è la scala di equivalenza che determina le somme complessive erogate: l’assegno smette di crescere sopra il quinto membro e quindi famiglie molto numerose prendono un reddito relativamente basso. E poi il tipo di scala adottato, diversamente di quella Isee, attribuisce un peso della metà a un bambino rispetto a un adulto. E questo penalizza i minori. Altro problema: avendo distinto la componente reddito dalla componente casa, la prima segue la scala di equivalenza, la seconda no. Ma una famiglia numerosa ha bisogno di una casa più grande e difficilmente potranno bastare i 280 euro fissi. Gli immigrati sono esclusi se non hanno permesso di lungo soggiorno o non sono residenti da 10 anni e anche questo penalizza i bambini perché ci sono più figli nelle famiglie di stranieri che in quelle di italiani.

Disabili, niente misura ad hoc e si conteggia anche l’invalidità

Niente aumento della pensione di invalidità e poche facilitazioni: i disabili sono tra i delusi del reddito di cittadinanza. A un certo punto ne erano diventati l’oggetto della discordia, con la Lega che minacciava il M5s di non votare il decreto. L’accordo è stato raggiunto, la “disabilità” è entrata nel testo ma solo per specificare che anche loro riceveranno il reddito, come tutti: in quanto poveri, non in quanto disabili. “Si parla di lotta alla povertà ma la disabilità è il primo elemento di impoverimento ed è stata trascurata”, spiega Vincenzo Falabella, presidente della onlus Fish.

Alla base della recriminazione c’è il mancato aumento della “pensione di invalidità”, l’assegno da 285 euro mensili che in Italia spetta a circa un milione di persone, tra invalidi totali (486 mila), parziali (348 mila) e minorenni (156 mila). Le dichiarazioni sulle pensioni minime avevano creato l’illusione che l’aumento potesse riguardare anche quelle di invalidità, ma il decreto non lo prevede: semplicemente, i disabili in stato di povertà potranno ricevere il reddito di cittadinanza se rispettano i requisiti, integrando così l’assegno già percepito fino al tetto dei famosi 780 euro. Secondo l’Istat, sono circa 250 mila i nuclei in povertà con un disabile; le altre pensioni di invalidità non saranno ritoccate.

La deroga più importante è l’esclusione dagli obblighi del “patto per il lavoro”: i portatori di handicap riceveranno l’assegno senza dover lavorare; mentre i loro familiari potranno rifiutare offerte troppo lontane da casa (la terza non sarà in tutta Italia, come per gli altri, al massimo entro 250 km). L’unica agevolazione, però, è un aumento di 5 mila euro del patrimonio mobiliare per ogni componente disabile: per ricevere il reddito una famiglia di tre persone deve avere massimo 10 mila euro in banca, se c’è un disabile si sale a 15 mila.

Il problema è che non è prevista una soglia differente per l’Isee (per tutti a quota 9.360 euro) e il reddito. E qui oltre al danno rischia di arrivare la beffa: dal conto non è escluso l’assegno di invalidità da 285 euro. Significa che a parità di entrate ci sarà meno sostegno: ad esempio, 900 euro al mese per un nucleo di tre persone, 600 euro per quello con figlio disabile. Sommando l’assegno di invalidità si arriva più o meno alla stessa cifra, ma non c’è una misura specifica per la categoria, nessun aiuto in più.

Fin qui le certezze. Il decretone, a 24 ore dal consiglio dei ministri, è ancora cesellato dagli uffici e della Ragioneria. La versione definitiva non c’è e nelle ultime bozze sono spuntate alcune novità.

Salvaguardati i genitori con bebè sotto i tre anni, single compresi: otterranno il reddito di cittadinanza senza l’obbligo di accettare un’offerta di lavoro. Entra anche una tassa sui giochi a copertura di 400 milioni di euro che mancavano per finanziare reddito di cittadinanza e quota 100. Poco più di un terzo (150 milioni) entrerà nelle casse dello Stato grazie all’aumento dell’aliquota del prelievo sulle slot machine e il resto arriverà dalla tassazione delle vincite e dal contrasto al gioco illegale. Resta, invece, da capire il funzionamento del prestito bancario che servirà a tutti i pensionati della pubblica amministrazione per riappropriarsi di una fetta (30mila euro) del loro Tfr invece di aspettare anche 3 anni. Il 95% degli interessi è a carico dello Stato, il restante 5% a carico del pensionato che potrà pagare la quota tramite prestito bancario, sulla falsariga del dispositivo già adottato per l’Ape, rivelatosi un flop.

Mps, la vigilanza italiana contro la Bce sui crediti deteriorati

Banca d’Italia contro la Banca centrale europea sulla questione della valutazione dei crediti deteriorati di Monte dei Paschi (i prestiti che non sono stati più ripagati dai debitori a causa di difficoltà finanziarie) dopo la recente ispezione congiunta che le due autorità hanno effettuato a Siena. Secondo via Nazionale, scrive Il Sole 24 Ore, i criteri utilizzati dagli ispettori di Francoforte nell’analisi degli Npl (non performing loans) che hanno partecipato alle ispezioni della banca senese, passando al setaccio circa 1.400 crediti deteriorati di Mps, sono risultati troppo penalizzanti. Anche perché, per il quotidiano di Confindustria, sarebbero state utilizzate basi statistiche non condivise da tutti i componenti del team di ispettori e di advisor esterni. E il dissenso di Bankitalia è stato formalizzato in una mail inviata alla Bce dal capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria di Bankitalia. Quindi, si presume, il documento sarà messo agli atti dei risultati definitivi dell’ispezione a Mps. Il faccia a faccia tra il management della banca e i funzionari Bce avverrà la settimana prossima. Dal 23 al 27 gennaio sono infatti attesi a Siena gli uomini di Francoforte.

“Il reddito può essere per sempre, ma 36 mesi a molti basteranno”

Pasquale Tridico, professore di Economia del lavoro a Roma Tre, coordina la squadra dei consiglieri economici del ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Ha curato il percorso del reddito di cittadinanza fino al decreto approvato giovedì.

Professor Tridico, qual è stata la cosa più difficile?

Il confronto con la Ragioneria dello Stato.

Qual era il problema?

Mi sono impegnato a dimostrare che gli incentivi alle imprese sono una partita di giro e non un aggravio ulteriore per lo Stato. Il beneficiario del reddito, se viene assunto, trasferisce l’incentivo sotto forma di sgravio contributivo all’azienda. Noi prevediamo comunque un minimo di cinque mensilità per le imprese: se l’individuo viene assunto al 17esimo mese, l’azienda non prende un mese di sgravi ma cinque. La Ragioneria era perplessa, perché così i mesi massimi pagati non sono più 18 ma 23. Ma se quell’individuo non ottenesse quel lavoro, potrebbe fare domanda per altri 18 mesi di reddito dopo un solo mese di pausa. Lo Stato paga 5 mesi in più subito, ma ne risparmia 17 dopo.

All’impresa non conviene aspettare il primo mese del secondo ciclo, così prende 17 mesi invece di 5?

No, perché dal secondo ciclo l’incentivo è fisso. L’impresa prenderebbe comunque cinque mesi e basta. Così c’è lo stimolo ad assumere il prima possibile il beneficiario del reddito.

Dopo il secondo ciclo può essercene un terzo e poi un quarto e un quinto…?

Lo scopo della misura è che tutti abbiano un reddito minimo. Sempre. Tuttavia, attraverso gli incentivi e le 3 offerte a scalare confidiamo che non si vada oltre il secondo ciclo per la maggior parte della platea.

Ci sono cinque milioni di beneficiari. Ci saranno cinque milioni di posti di lavoro?

In quel conto ci sono bambini, anziani e altri che non sono “attivabili” al lavoro. Se riusciamo ad arrivare 1-1,5 milioni di persone che nel medio periodo trovano lavoro sarà un grande successo.

Quale impresa, pur incentivata, assume a tempo indeterminato un lavoratore finito da anni ai margini della società?

Può sempre licenziarlo per giusta causa. E se vuole licenziarlo per altre ragioni, può farlo ma restituisce l’incentivo.

Quale sarà l’impatto sul mercato del lavoro del nuovo sussidio?

Se il sistema di formazione funziona, nel breve periodo vedremo aumentare il tasso di disoccupazione perché aumenta il numero di lavoratori attivi che cercano un posto, diminuiscono gli inattivi, cresce il Pil potenziale, aumenta il cosiddetto output gap e, sulla base delle attuali regole contabili europee, aumenta lo spazio di manovra fiscale per il prossimo anno, nel 2020.

Quindi potrete fare più deficit con il permesso della Commissione Ue?

Come in Germania tra 2015 e 2017 l’afflusso di migranti ha determinato un aumento di output gap e di Pil potenziale.

Poi ci sono i poveri che, per problemi più gravi della disoccupazione, non sono in condizione di cercare un impiego. I servizi sociali avranno le risorse per gestirli?

Noi abbiamo rafforzato il ‘patto per l’inclusione sociale’ che deve firmare chi non è pronto a lavorare. La rete dei servizi sociali avrà 500 milioni aggiuntivi, dalla legge di Bilancio: erano 300 lo scorso anno. Ci sono anche 100 milioni nel ‘decretone’. Non possiamo permetterci che il tipo di poveri seguiti di solito dalla Caritas o dalla comunità di Sant’Egidio rimangano per strada.

Chi ha la partita Iva e ha un reddito netto basso sarà incentivato a chiuderla e a prendere il sussidio.

Se vuole continuare a lavorare e ha un reddito sotto i 780 euro può ottenere una integrazione. Se invece decide di lasciare il suo lavoro da libero professionista, entrerà in un programma che lo aiuta a trovare un posto da dipendente. E visto che è abile e attivo, non ci metterà molto. A me non dispiace se una falsa partita Iva diventa un vero lavoratore dipendente.

E ora quali sono le sfide maggiori nell’attuazione?

L’integrazione delle piattaforme, il lavoro che stanno facendo Inps e Poste è decisivo per creare una struttura integrata.

In cosa sarà diverso il mercato del lavoro dell’Italia del 2020, dopo il primo anno di reddito di cittadinanza?

Mi aspetto che diminuisca molto il tasso di disoccupazione giovanile, che calino molto i Neet, quelli che non studiano e non lavorano, perché grazie al reddito riusciranno a inserirsi nel mercato del lavoro. Purtroppo c’è una congiuntura internazionale non molto positiva in questa fase, ma confido che il reddito possa innescare una leva positiva sui consumi e sull’occupazione, alimentando la domanda interna così da compensare, almeno in parte, la congiuntura

Ora incombe la recessione sugli effetti del “decretone”

Nel day after del decretone che ha introdotto le misure bandiera del governo giallo-verde, reddito di cittadinanza e quota 100, arriva la gelata di Bankitalia che per il 2019 prevede una crescita del Pil pari allo 0,6% e non all’1% come programmato dal governo. Dato già rivisto dal +1,5% inizialmente stimato, poi corretto nel corso della trattativa con la Ue che ha portato alla revisione dei saldi della manovra per evitare la procedura d’infrazione. I segnali di una possibile recessione ci sono tutti, quando Via Nazionale nel Bollettino economico afferma che l’economia nell’ultimo trimestre del 2018 potrebbe essersi ulteriormente contratta. Se il Pil risultasse col segno meno, l’Italia si ritroverà con due trimestre consecutivi in negativo che è la definizione tecnica di una recessione. Una minaccia per la tenuta dei conti pubblici, già zavorrati per il 2020 e 2021 da clausole di salvaguardia sull’Iva, cioè l’aumento delle tasse sui consumi per 50 miliardi in due anni se non verranno trovate risorse alternative (o fatto deficit di pari entità).

L’Italia, si legge nel bollettino di Bankitalia, si avvia a chiudere l’anno con una crescita del Pil dell’1% ma “negli ultimi tre mesi del 2018 il Pil potrebbe essere ancora diminuito” dopo la flessione dello 0,1% del terzo trimestre, “a seguito della flessione della domanda interna”, con gli investimenti ancora in affanno, mentre “sarebbe proseguito il recupero delle esportazioni”. Prima dello scorso luglio, la crescita del Pil durava dal secondo trimestre del 2014. Oltre al “ridimensionamento dei piani di investimento delle imprese”, gli altri fattori “più sfavorevoli” per il 2019 sono “le prospettive di rallentamento del commercio mondiale e le difficoltà congiunturali nell’industria”.

Ma nei prossimi anni le cose dovrebbero andare un poco meglio: “Le proiezioni centrali della crescita nel 2020 e nel 2021 sono dello 0,9 e dell’1%”, ma l’incertezza su questi obiettivi è “particolarmente ampia”. A far vedere positivo c’è la distensione nelle ultime settimane sui mercati con lo spread saldo sotto quota 250 punti, ai livelli di settembre. Per Bankitalia sono, infatti, “moderatamente positivi” gli effetti dell’accordo con la Commissione Ue sulla manovra, che hanno fatto calare lo spread tra Btp e Bund tedesco, anche se le condizioni dei mercati sono “più tese di quelle osservate prima dell’estate”.

Una marcia al rallentatore dell’economia italiana che renderà più difficile il controllo dei conti pubblici da parte del governo. Il premier Giuseppe Conte, per ora, esclude una possibile manovra correttiva. “Non è la prima volta che le stime di Bankitalia sono stime che poi non si rivelano fondate. È strano che quando c’erano quelli di prima le stime erano al rialzo, ora al ribasso”, commenta il vicepremier Luigi Di Maio.

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Sì Tavor

Appena nacque il governo Conte, pubblicammo un collage degli oracoli e oroscopi catastrofisti dei signorini grandi firme sull’Apocalisse prossima ventura. I nostri migliori indovini dicevano sostanzialmente tre cose. 1) Conte è una pippa, dunque sarà il burattino di Di Maio&Salvini e ci sputtanerà in Europa e nel mondo. 2) 5Stelle e Lega sono due branchi di incapaci, ignoranti, nemici della scienza e del progresso, non sanno neppure legarsi le scarpe, figurarsi governare un Paese: prepariamoci al disastro. 3) 5Stelle e Lega hanno vinto perché, da bravi populisti e sovranisti, hanno truffato gli elettori con fake news e promesse che non potranno mai mantenere tenendo i conti in ordine: il reddito di cittadinanza e quota 100 costano rispettivamente 50 o 60 e 20 o 30 miliardi. Quindi o le tradiscono, e allora vengono impiccati sulla pubblica piazza da chi s’è fidato di loro; oppure le mantengono, e allora sfasciano i conti e l’Italia fa bancarotta e viene sbattuta fuori dall’Europa (che poi è il sogno dei giallo-verdi). Comunque vada, sarà un disastro. Noi ci permettemmo di osservare che queste fosche previsioni erano forse un tantino eccessive e premature, soprattutto prima di conoscere il premier e di vedere all’opera il governo Salvimaio. Ma, se l’apocalisse non si fosse verificata e i giallo-verdi fossero riusciti a mantenere almeno qualcuno degli impegni presi, quel pregiudizio universale si sarebbe ritorto come un boomerang contro chi l’aveva lanciato e a vantaggio di chi avrebbe dovuto esserne colpito.

Ora, dopo sette mesi, possiamo serenamente constatare che: 1) Conte conta e sa il fatto suo, in Italia e in Europa, come gli riconoscono a denti stretti anche i suoi più strenui detrattori; 2) gli incapaci, pur con tutti i loro errori, indecenze e gaffe, non sono ancora riusciti a far rimpiangere i capaci di prima, infatti nei sondaggi la maggioranza gode di un consenso unico in Europa mentre le opposizioni continuano a calare; 3) il reddito di cittadinanza e la quota 100 sulle pensioni, pur con mille limiti, paletti e incognite, sono legge dello Stato, con tanto di coperture e senza procedure d’infrazione né espulsioni dall’Europa. Tant’è che il partito dei pop-corn, che attende in riva al fiume il passaggio dei cadaveri giallo-verdi tifando prima per lo spread, poi per la fucilazione europea, infine per il fallimento delle due riforme-bandiera, è letteralmente ammutolito e punta patriotticamente sulla recessione (che però riguarda tutta Europa, a prescindere dai governi). Non abbiamo titoli per dare consigli alle opposizioni, che riescono benissimo a sbagliare tutto da sole.

Ma, al posto loro, ci faremmo visitare da un bravo psicanalista, o almeno da un esperto di logica. Perché non si può continuare a dire tutto e il contrario di tutto: ci vuole coerenza, anche nelle cazzate. Prendiamo il Tav, perfetta parabola della demenza collettiva. Si dice che i 5Stelle siano nemici della scienza, così Toninelli (No Tav) incarica uno scienziato, il prof. Marco Ponti, di studiare con tre colleghi i costi e i benefici. Salvini (Sì Tav) l’opera la farebbe, ma si atterrà al responso degli esperti. Repubblica e dunque il Pd (o viceversa) accusano Ponti di non essere imparziale perché già in passato si era espresso contro il Tav. Come dire che gli scienziati Pro Vax non sono imparziali perché sono sempre stati Pro Vax. Ponti deposita la relazione, di cui per ora si sa soltanto che è negativa: i costi superano di gran lunga i benefici, dunque il Tav-Torino Lione non s’ha da fare. Il Corriere scopre che nel 2012 Ponti cofirmò un articolo prudentemente pro Tav, dunque chi lo accusa di partigianeria dovrebbe riconoscerne l’imparzialità: invece lo accusa di aver voltato gabbana. A questo punto il Pd e dunque Salvini (o viceversa) invocano un referendum: siccome la scienza dice no, gli amici della scienza decidono che non vale più e i nemici del populismo si affidano al popolo confidando nella disinformazione generale.

Problema: per ora la Costituzione prevede solo il referendum abrogativo, dunque dovrebbe proporlo chi vuole cancellare il Tav, cioè i 5Stelle, che però sono al governo non per fare referendum, ma per deliberare ciò che han promesso agli elettori con leggi e decreti (specie se il contratto con la Lega impegna il governo a “ridiscutere integralmente il progetto”). C’è poi il referendum consultivo, ma solo comunale o regionale, mentre questo sarebbe nazionale (il Tav lo pagano tutti gli italiani, anzi gli europei, mica solo i piemontesi) e richiederebbe una legge costituzionale, che sarebbe pronta fra due anni e che comunque i partiti pro Tav (Pd e FI) non hanno i numeri per approvare. A meno che la Lega voti con loro, facendo cadere il governo. A quel punto il M5S sarebbe libero di indire referendum contro il dl Sicurezza e la illegittima difesa. Dunque non ci sarà nessun referendum. E allora, ecco un’altra ideona: siccome i No Tav contestano soprattutto il buco inutile, inquinante e costosissimo di 57 km attraverso le Alpi, facciamo solo il buco e non la ferrovia per collegarlo a Torino e a Lione, usando la linea vecchia. Purtroppo è già tutto previsto dall’attuale progetto, che i Sì Tav si erano già venduti una volta nel 2015 annunciando un risparmio di 948 milioni. Ora se lo rivendono uguale, ma come nuovo, promettendo un risparmio – mi voglio rovinare, signore! – di 1,7 miliardi (non si sa se aggiuntivi o comprensivi dei 948 milioni). E non spiegano perché non risparmiare direttamente 15-20 miliardi tagliando pure il buco, visto che la vecchia linea già collega Torino a Modane (con treni semivuoti). Un bravo psicanalista spiegherebbe quest’ossessione per il buco con una versione 2.0 dell’invidia del pene: l’invidia dell’ano.

Gli animali fantastici di Marotta

Quando, qualche anno addietro, le chiocciole colorate di Cracking Art iniziarono a popolare nelle città i piccoli e grandi centri commerciali, sembrò quasi che un’originale e innovativa ondata di colore li volesse in qualche modo salvare dalla condanna definitiva dell’antropologo Marc Augé, che li aveva sommamente elevati a uno degli epigoni della “surmodernità” nel circoscrivere la sua teoria dei “nonluoghi”.

Di certo carine e simpatiche, esiste però un lungo filo rosso che lega queste chiocciole fucsia, rosse, blu (ma vi sono anche elefanti, lupi, lemuri, rondini, pinguini), figlie di un design industriale e contemporaneo, all’opera di uno scultore e artista italiano: Gino Marotta (1935-2012). Offre tale intuizione la piccola ma meritevole mostra Il favoloso mondo di Gino Marotta (a cura di Erica Ravenna e Laura Cherubini) fino al 17 febbraio alla galleria Erica Ravenna Arte Contemporanea che, dopo l’esposizione Roma anni 60: no-pop del 2017, prosegue il suo percorso verso la ri-scoperta di quell’epoca aurea.

Partito a 13 anni alla volta di Roma da Campobasso su un camion che trasportava patate per ammirare i quadri di De Chirico, Gino Marotta (cui è sempre piaciuto raccontare questo aneddoto picaresco all’origine della sua educazione artistica) è uno degli esponenti più dirompenti dell’Arte Concettuale e Povera del movimento della Scuola di Piazza del Popolo.

La mostra romana procede con ordine dai suoi inizi, a cavallo tra gli anni 50 e 60, con Bandone (1958) realizzato a partire da lamiere trovate, secondo la moda del tempo di recupero di materiali industriali. Ma è nella sala centrale che si dipana il favoloso mondo di Marotta, un’oasi coloratissima al confine col miraggio fatta di metacrilato tagliato e scolpito a mano: all’ombra di una Palma verde (1969) sfilano così un fenicottero rosa (1968), un dromedario bluette (1969), e ancora una giraffa verde (1970), un rinoceronte rosso (1971), mentre galleggia placida una Ninfea blu (metacrilato e neon, 1964) che omaggia Monet.

Marotta, inoltre, seppe portare la tridimensionalità della scultura e la continua sperimentazione dei materiali anche nella pittura grazie a quadri come Amor sacro e amor profano (tela emulsionata, tempera e metacrilato, 1970), la serigrafia di Carlotta Chaber, sempre del 1970, in cui il suo materiale d’elezione si sposa ecletticamente in un gioco di sovrapposizioni, trasparenze e messa a fuoco ora con gli stracci, ora con la vilpelle, ora con lo zinco.

I tarocchi di Calvino svelano in realtà l’animo umano

Il libro Il castello dei destini incrociati è stato scritto dal celebre autore di romanzi, anche per ragazzi, Italo Calvino, che sperimenta un nuovo tipo di soggetto, le carte da tarocchi.

Ci troviamo nell’epoca dove esistevano ancora i castelli, le corti e i cavalieri, nonché i maghi, la paura per le streghe e il fantastico. Questo libro racconta la storia di un castello non lontano da un fitto bosco in cui possiamo trovarci diverse persone, le solite persone che occupano un castello: nobili, viandanti, persone che commerciano, eccetera. Un giorno però tutte queste persone non riescono a parlare, sono diventate tutte mute, però possono ancora ascoltare, pensare e soprattutto giocare a carte. Decidono così, gli occupanti del castello, di cominciare uno strano gioco che gira attorno alle carte. Ogni carta avrà una sua propria storia, storie che fanno ridere e piangere, storie che fanno paura e serenità, insomma l’autore non si è lasciato sfuggire neanche una storia.

Calvino ci dice che una piccola cosa, come le carte, ci può raccontare la vita intera di una persona, ma anche ci fa capire che la vita si può vedere in modo diverso come esattamente le carte che si possono leggere da destra a sinistra.

L’autore ci fa capire che anche se scrive una storia fantastica torna sempre sulla realtà e finisce dunque di parlare dei sentimenti umani.

 

Di Tiziano Sclavi resta solo l’ombra quando è lontano dal suo Dylan Dog

Chissà cosa voleva dire Tiziano Sclavi con questo suo graphic novel. Il creatore di Dylan Dog esce (almeno formalmente) dalla sua comfort zone del formato da edicola e delle regole della casa editrice Bonelli per firmare con il disegnatore Werther Dell’Edera il volume Le voci dell’acqua. L’intuizione di fondo è spiegata in modo un po’ didascalico nelle ultime pagine: gli esseri umani sono fatti in gran parte di acqua, e “tutta quest’acqua dovrà pur finire da qualche parte”. Quando Stavros, il protagonista, sente le voci forse non è schizofrenia, come gli diagnostica un medico frettoloso, ma l’eco di vite passate, visto che le parole arrivano solo quando l’acqua scorre. Un’idea non male per sviluppare una trama “alla Sclavi”, con quel misto di cinismo, horror e poesia che negli anni Ottanta è stato il segreto del successo di Dylan Dog. Invece qui manca completamente una solida struttura narrativa, il libro procede per frammenti tra loro connessi in modo labile e non sempre evidente. E battute, situazioni, piccoli colpi di scena macabri o surreali sembrano sempre già visti: l’immaginario di Sclavi e i suoi tic sono rimasti fermi agli anni Ottanta ma nei decenni trascorsi sono anche diventati così condivisi e imitati – su Dylan Dog e non solo – che ora non riescono più a sembrare originali. Un po’ come succede a quei comici le cui battute passano di bocca in bocca al punto che, quando le pronunciano loro dal vivo, nessuno ride più. I disegni di Werther Dell’Edera si fanno rarefatti come la storia che devono illustrare, efficaci, non memorabili ma capaci di creare un’atmosfera d’inquietudine.

 

Balistreri invecchia e soffre di amnesie: l’unica terapia è cercare i “mostri”

Libro dopo libro, accade di trovarsi ad amare un personaggio e a dargli appuntamento al prossimo capitolo delle sue inchieste. Parliamo, ovviamente, di thriller, e il personaggio in questione è uno dei poliziotti più controversi dell’Italia in giallo: il solingo Michele Balistreri, appellato anche come Mike o Michelino, e che il bravissimo Roberto Costantini – ingegnere e dirigente della Luiss che ha debuttato da scrittore in età matura – ci ha fatto conoscere da ragazzo nella Libia pre-Gheddafi, indi da giovane neofascista della Capitale, infine da uomo che va a caccia di mostri assassini e femmine sposate per tenere a bada i suoi dèmoni.

Adesso Balistreri è arrivato alla sua sesta indagine, Da molto lontano, e nella seconda parte del romanzo un sentimento di timore e di nostalgia assale l’affezionato lettore. Il poliziotto è in pensione e inizia a soffrire una strana e complessa forma di amnesia, dovuta sì al Lagavulin e alle Gitane ma anche alle sanguinose vicende familiari in Libia (la cosiddetta Trilogia del Male, 2011-2014), traumi mai sopiti. E l’unica terapia possibile è ritornare a occuparsi di omicidi. Stavolta, dopo diciassette anni, riaffiora un caso irrisolto del 1990, durante i sofferti mondiali italiani di calcio, quando la Nazionale azzurra viene eliminata da Sua Divinità Diego Armando Maradona. L’omicidio di due giovani, Umberto e Penelope, e l’intreccio con gli affari del papà di lui, potente costruttore della Capitale. La trama è magistrale e al solito Costantini viviseziona i tanti mali del nostro Paese, epoca per epoca. E qui compaiono il palazzinaro diventato senatore e il pm leghista e manettaro che finisce al Csm. L’unico che non cambia mai è Balistreri, nonostante l’età.