Lupacchini-Gratteri, il Csm archivierà

Non ci sarà alcun trasferimento per incompatibiltà ambientale a Catanzaro. Va verso l’archiviazione il fascicolo che era stato aperto dal vecchio Consiglio per uno scontro tra il procuratore generale Otello Lupacchini e il procuratore Nicola Gratteri. Dopo la notizia data dal Fatto, ieri il presidente della competente Prima Commissione Alessio Lanzi, laico di Forza Italia, ha fatto sapere che la Commissione depositerà settimana prossima la sua proposta, con le motivazioni, naturalmente.

Dal Csm filtra che i consiglieri della Prima si sono espressi all’unanimità per una richiesta di archiviazione. A loro avviso, sembra di capire, in attesa di leggere la proposta al Plenum, si tratta di un caso limitato, senza alcuna conseguenza sull’andamento della giustizia. Pertanto non ci sarebbe alcun elemento per aprire una pratica per trasferimento dovuto a incompatibilità ambientale. Il Pg Lupacchini ha contestato al procuratore Gratteri, con una nota interna, di non rispettare regole di coordinamento con altri uffici giudiziari e di aver agito scorrettamente non inviando, come prevede il codice, elementi di indagine alla procura di Salerno su magistrati calabresi, ora indagati dai pm campani (di cui Il Fatto ha dato conto ieri) non appena sono emersi spunti ma, in sostanza, solo dopo una prima indagine. Gratteri, quando ha ricevuto quella nota ha visto messa in discussione la sua onestà a cui, ha spiegato, tiene più di ogni altra cosa e quindi, a luglio, si è deciso a scrivere al Csm.

Ha chiesto un intervento anche perché seriamente preoccupato, lui che conosce bene il territorio, di un suo possibile isolamento: in terra di ’ndrangheta, con tutte le sue alte protezioni, è la cosa più pericolosa per un magistrato in prima linea come lui, minacciato di morte quotidianamente. Se dovesse essere confermata l’archiviazione del caso Lupacchini-Gratteri, evidentemente per il Csm non c’è stata alcun comportamento scorretto da parte di Gratteri nè ci sono stati atti ostili di Lupacchini. O comunque, si sarebbe trattato, sembra di capire, di un caso circoscritto.

Ieri, in apertura di Plenum il presidente della Prima commissione Lanzi, dopo gli articoli del Fatto, ha parlato di una fuga di notizie “indebita su una pratica segretata” e ha detto che, per questo, segnalerà la circostanza al Comitato di presidenza. Ha parlato pure di “notizie allarmanti che scatenano l’interesse mediatico”.

Intanto alla sezione disciplinare del Csm, per tutt’altra vicenda, l’arresto dei magistrati Antonio Savasta e Michele Nardi, su ordine del gip di Lecce di Lecce, è arrivata la richiesta del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, come titolare dell’azione disciplinare (insieme al Pg della Cassazione) della sospensione delle due toghe da funzione e stipendio.

“Ancora tutto come 10 anni fa. Il pm scomodo sempre isolato”

La notizia di 15 magistrati indagati dalla Procura di Salerno, inchiesta nata sulla base di atti trasmessi dal procuratore antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris l’ha letta ieri di primo mattino. Il flashback per lui è stato inevitabile. È tornato indietro di una decina di anni, quando era ancora un magistrato e mai avrebbe pensato di lasciare la toga. Quel passo fu la conseguenza per la “punizione” subita a causa di due inchieste condotte da pm a Catanzaro. Si era messo contro tutti. Chi segue le cronache politico-giudiziarie ricorderà i casi Why Not e Poseidone.

Sindaco, leggendo di questa indagine su magistrati calabresi cosa ha pensato?

Non mi permetterei mai di entrare nel merito delle indagini attuali, non sarebbe opportuno. Certo, mi sono ricordato di quando fui mandato via dalla Calabria. Lo Stato, attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto all’epoca da Giorgio Napolitano, scelse di mandare via il pubblico ministero che indagava su criminalità organizzata, massoneria deviata, poteri corrotti e di lasciare al proprio posto i magistrati che mi avevano sottratto le inchieste Poseidone e Why not.

Comunque, che quella sottrazione fosse illegittima è stato accertato…

Ci sono voluti ben dieci anni ma proprio qualche mese fa, a novembre, finalmente la Corte d’appello di Salerno, accogliendo un mio ricorso, ha accertato la verità. Ha dichiarato responsabili di abuso di ufficio i magistrati che mi sottrassero le inchieste dell’epoca a Catanzaro (l’ex procuratore aggiunto di Catanzaro Salvatore Murone in concorso con l’ex senatore di FI Giancarlo Pittelli e con l’ex sottosegretario del ministero delle Attività produttive Giuseppe Galati per Poseidone; l’ex Pg facente funzioni di Catanzaro Dolcino Favi in concorso con l’imprenditore della Compagnia delle Opere Antonio Saladino, per Why Not. Per tutti è stata dichiarata la prescrizione, ndr)”. Insomma, ormai è chiaro che tolsero me e lasciarono il sistema.

Cosa intende per sistema?

Un intreccio deviato composto da magistrati, pezzi dello Stato e pezzi della politica.

I magistrati indagati o arrestati negli ultimi anni cominciano a essere tanti. Come mai secondo lei?

Ritengo che ci sia una responsabilità del Csm nel corso degli anni. Io non sono stato fermato in Calabria dalla lupara ma da Palazzo dei Marescialli che dovrebbe valutare chi, fra i magistrati, va fuori dai binari della giustizia. Invece, il Csm ha fermato chi adempie al proprio dovere. Durante la mia epoca ci fu un’azione contro le mie inchieste da parte del ministero della Giustizia guidato da Clemente Mastella, della Procura generale della Cassazione, titolari dell’azione disciplinare e del Csm. Strumentali furono le decine di interrogazioni parlamentari che legittimavano le ispezioni ministeriali. Ne subii per due-tre anni senza soluzione di continuità

Dal suo punto di vista di ex magistrato, oggi c’è o non c’è una questione morale dentro la magistratura?

Lo pensavo già dieci anni fa e resi dichiarazioni ai pm di Salerno un centinaio di volte. Purtroppo non penso che sia particolarmente cambiata la situazione. E tengo a ricordare che i magistrati salernitani che avevano individuato la correttezza del mio operato e la responsabilità di chi voleva fermarmi, furono trasferiti dal Csm, l’allora procuratore addirittura fu sospeso (il procuratore Luigi Apicella e i pm Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, ndr). Non è mai accaduto nella storia giudiziaria una violenza istituzionale del genere nei confronti miei e dei colleghi di Salerno.

Cosa ne pensa della serata organizzata da “Fino a prova contraria” della giornalista Annalisa Chirico con politici, imprenditori e magistrati?

Non voglio giudicare nessuno, non mi permetto ma da magistrato non sarei andato.

Cosa ne pensa del video del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dopo l’arresto di Cesare Battisti?

Inguardabile.

Da sindaco di Napoli, come legge la bomba alla pizzeria di Gino Sorbillo, in pieno centro storico, l’ultima di una serie?

Torno a esprimere la mia solidarietà a Sorbillo ma sono convinto che Napoli oggi sia particolarmente matura, nella sua stragrande maggioranza dei cittadini, a respingere queste intimidazioni. Ho visto una reazione molto forte verso un atto vile e criminale, è stato giustamente considerato un atto contro la città.

Minacce fasciste a Mentana: solidali Conte e Di Maio

Atto vile e inqualificabile. Gravi e ignobili minacce. Escalation pericolosa e vergognosa. Fa il pieno di solidarietà dal mondo della politica e non solo il direttore del tg di La7 Enrico Mentana che il 16 gennaio ha ricevuto una lettera anonima di minacce che ha postato su Instagram, dichiarando: “Pubblicare la lettera sui social mi pareva la giusta punizione per un interlocutore del genere”. Epiteti offensivi scritti in stampatello rivolti a lui e ad altri giornalisti come Giovanni Floris, Lilli Gruber e Marco Damilano, con ricostruzioni storiche quantomeno fantasiose e una conclusione che non lascia dubbi: “Punirvi è un dovere. Boia chi molla”. Parole corredate da una svastica. Per il presidente Conte le minacce ai giornalisti rappresentano un “attentato alla libertà di stampa”. Il ministro Di Maio invita a stigmatizzare il gesto, mentre il deputato Pd Fiano lancia l’allarme: “C’è un aumento grave di odio e minacce”. Da Forza Italia si fanno sentire Carfagna e Gelmini che esprimono la loro solidarietà ai giornalisti di La7. “Gesto vigliacco senza se e senza ma” per Giorgia Meloni, la segretaria Cisl Annamaria Furlan chiede che si fermi questa “escalation pericolosa e vergognosa”.

“Evita” Casellati sogna il Quirinale (con l’ex portavoce di Re Giorgio)

Maria Elisabetta Alberti Casellati. Pausa. Presidente del Senato e seconda carica dello Stato. Altra pausa. Aspirante presidente della Repubblica.

Diavolo d’un Nitto Palma, l’ex ministro berlusconiano della Giustizia (sovente ad personam), trombato alle ultime Politiche e oggi riciclatosi come “direttore del gabinetto” di Casellati a Palazzo Madama. Da quando infatti Palma imperversa nello staff presidenziale del Senato, la seconda carica dello Stato si è convinta di poter diventare “la prima” nel 2022, al termine del settennato di Sergio Mattarella.

E così ecco spuntare l’impettita presidente del Senato, già falco forzista in materia di giustizia, passare in rassegna i finanzieri a bordo di una camionetta blindata e ornata finanche del vessillo di capo dello Stato supplente. Ma la fissazione di Casellati che aspira al Quirinale sono i palchi dei teatri, in occasione delle “prime”. Impressionante la somiglianza tra il Mattarella del 7 dicembre alla Scala e la Casellati versione San Silvestro alla Fenice di Venezia.

L’aneddotica è varia e contempla strappi mai accaduti. Spicca il messaggio di buon 2019 dopo la mezzanotte del 31 dicembre e postato sui social. Uno strappo notevole risale al 19 dicembre, durante la cerimonia al Colle per gli auguri alle alte cariche: Casellati ha tenuto un discorso lungo, provocando il disappunto di Mattarella, già contrariato per questa continua evoluzione della sua “supplente”. Il 23 poi si è fatta accompagnare in Libano dalla ministra Trenta: per protocollo il titolare della Difesa può scortare solo il capo dello Stato.

Ora per il 2019, il presidente del Senato promette di fare ancora meglio. E su consiglio di Palma, a Palazzo Madama dovrebbe arrivare il terzo portavoce in pochi mesi: Maurizio Caprara, già consigliere per la stampa di Giorgio Napolitano al Colle. Appunto.

Per lo stesso ruolo era stata interpellata anche Danila Subranni, figlia del generale Antonio condannato a 12 anni per la Trattativa Stato-mafia. Ex portavoce pagatissima dello scissionista Angelino Alfano, ha poi scelto l’offerta di Mariastella Gelmini, capogruppo forzista alla Camera.

Bersani rompe il Tabù Napolitano

Finalmente comincia a sgretolarsi nel Pd il muro dell’omertà sul lungo regno di Giorgio Napolitano, che ha contribuito non poco, ben prima dell’avvento di Renzi, alla devastazione del Pd.

La storica e liberatoria rottura del silenzio è merito dell’Augusto retroscena minzoliniano sul Giornale di ieri, che riporta una densa dichiarazione di Pier Luigi Bersani a proposito del fatale autunno del 2011 del governo tecnico di Mario Monti, imposto proprio da Re Giorgio. Ovviamente, l’ammissione arriva sull’onda del clamoroso pentimento di Juncker, presidente della commissione dell’Ue, sull’austerità in quella fase: “Servì a fare fuori me e Berlusconi”. Bersani conferma quelli che finora erano stati dettagli rivelati solo a mezza voce: “Ricordo ancora la direzione in cui posi i dirigenti del partito di fronte all’opzione governo Monti o elezioni. Mi trovai di fronte un fuoco di sbarramento di sei interventi di esponenti di primo piano che consideravano Monti una scelta obbligata. Poi c’era Napolitano…”. Ecco, finalmente quel nome è stato pronunciato. È la prima volta che accade tra i big del Pd. Ora, Bersani prenda coraggio, completi il pensiero e tolga i tre puntini. Fare i conti con il realismo distruttore di Napolitano sarebbe un passo in avanti per la sinistra. Per ripartire serve anche questo.

“L’Italia non gli crede più, sarà un fallimento totale”

Il 18 gennaio 1994, nello studio del notaio romano Francesco Colistra, veniva depositato l’atto costitutivo del movimento politico Forza Italia. Soci fondatori sono Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, Luigi Caligaris, Antonio Martino e Mario Valducci. La mente, il cervello politico dell’operazione, è però Giuliano Urbani, politologo, professore universitario. Suo era il compito di stendere il programma e infondere nel nuovo partito quelle idee liberali cui il Cavaliere diceva di ispirarsi. Sono passati 25 anni.

Professor Urbani, Berlusconi si ricandida…

Un’operazione che non ha alcun senso politico. Lo dico con amarezza, ma ormai l’ex premier ha esaurito la sua funzione storica. Ha dato le carte per vent’anni, è durato anche più del previsto, ora basta. La sua ridiscesa in campo sarà un insuccesso totale. Gli italiani non gli credono più.

Secondo lei, perché lo fa?

Siamo di fronte a una persona con un ego smisurato. Per lui, gli altri è come se non esistessero. Credo voglia dare sfogo alla sua ambizione personale: pensa ancora di poter contare qualcosa sulla scena politica. E forse di poter difendere meglio le sue aziende.

La stessa motivazione del 1994, quando scese in politica per salvare le aziende.

Di sicuro questo elemento era presente, ma salvando se stesso e le sue aziende, Berlusconi pensava anche di salvare il Paese e di cambiarlo in senso liberale. Poi, purtroppo, col tempo ha prevalso l’interesse personale su quello collettivo. Come molti imprenditori, Berlusconi era liberale nel senso che voleva essere libero di fare come gli pareva. Gli imprenditori, diceva Luigi Einaudi, hanno una visione mefistofelica del liberalismo.

Per questo fallì la famosa rivoluzione liberale?

Sì, ma anche perché nel centrodestra s’imbarcarono personaggi che non avevano nulla a che fare con quelle idee: Fini, Bossi, Casini… Poi Berlusconi fece due errori clamorosi.

Quali?

Innanzitutto non si adoperò mai per una legge elettorale umana, in senso maggioritario, come il doppio turno di collegio. Poi, nonostante la lotta politica con la sinistra, avrebbe dovuto costruire dei ponti con alcuni suoi leader per avviare un dialogo sulle riforme che poteva essere decisivo. A fine anni 90, per intenderci, a fare il commissario europeo si doveva mandare Giorgio Napolitano, non Emma Bonino.

Cosa ricorda dei giorni della discesa in campo?

Un grande entusiasmo, la voglia di fare qualcosa di utile per il Paese, di salvarlo dalla vittoria annunciata della sinistra; la consapevolezza di voler costruire un movimento del tutto nuovo e diverso dagli altri. Vi ho aderito con assoluta lucidità. E ho continuato a crederci, fino al 2005. Poi me ne sono andato.

Lei lasciò la poltrona da ministro dei Beni culturali nel 2005 (secondo governo Berlusconi). Il suo posto fu preso da Rocco Buttiglione.

Non mi sentivo più parte di quel modo di fare politica. Il progetto del grande partito liberale di massa era fallito. Berlusconi e Gianni Letta provarono a convincermi a restare, senza successo.

Oggi Forza Italia, seppur molto indebolita, resiste intorno al 10%…

Perché, di fronte a un sempre più ridotto elettorato di centro che guarda a destra, ha ancora una veste presentabile, a differenza della Lega che, solleticando gli istinti più beceri e populisti, presentabile non è. A parte questo, dal 1994 è rimasto solo il nome: ormai è un partito morto, finito. Senza Berlusconi, si sgretolerebbe in due ore.

Non ha trovato un delfino.

Perché Berlusconi non l’ha mai voluto: lui vuole comandare in totale solitudine. E si è circondato solo di yesmen. Ma poi, guardi, in realtà Berlusconi detesta la politica: la vita di partito, la competizione sul territorio, la gestione delle alleanze, sono cose che lo annoiano moltissimo. Per questo FI è una creatura a sua immagine e somiglianza che finirà con lui.

Berlusconi in campo per il 10%

È tornato. Ancora. Silvio Berlusconi festeggia la sua quinta o sesta o settima giovinezza politica annunciando l’ultima candidatura: sarà nelle liste di Forza Italia per le elezioni europee di fine maggio. Dalla prima discesa in campo è passato precisamente un quarto di secolo (il famoso videomessaggio “L’Italia è il Paese che amo” è del 26 gennaio 1994). Dopo la condanna, la decadenza da senatore nel 2013 e la riabilitazione dello scorso maggio, l’ultimo orizzonte del fu Cavaliere è un seggio a Strasburgo. “Alla bella età che ho – ha dichiarato l’82enne di Arcore – ho deciso per senso di responsabilità di andare in Europa, dove manca il pensiero profondo del mondo”.

Questa la nobile aspirazione annunciata da Quartu, Sardegna, dove è in tour da giorni per le elezioni suppletive (quelle che assegneranno il seggio vacante della Camera). La realtà è un po’ meno romantica: Forza Italia è un partito quasi decotto. Gli ultimi numeri di Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia, le concedono un misero 8%. Per questo c’è bisogno dell’ennesimo sforzo di generosità di Berlusconi. La sua figura, dice la ricerca, può ancora spostare qualche punticino percentuale, per tentare di agganciare almeno quota 10%. Lo stesso Antonio Tajani – che nel vuoto di potere spalancato dall’invecchiamento di B. è diventato di fatto il reggente del partito – gli avrebbe chiesto di candidarsi per evitare una figuraccia storica. Così l’ex premier si è lanciato nell’ultima avventura.

Secondo l’inner circle di Forza Italia, l’ex Cavaliere si presenterebbe da capolista in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali delle Europee. In questo modo diventerebbe inevitabile uno scontro – apparentemente suicida – con Matteo Salvini, che trainerà le liste della Lega anche nella sfida di fine maggio. Una conta con “il capitano” rischia di risolversi in un rovescio molto doloroso, anche se gli azzurri confidano che da qui a maggio le crepe tra Carroccio e Cinque Stelle si mostreranno in modo sempre più fragoroso. “Entro le elezioni cadranno dall’albero i frutti avvelenati di questo governo – dice Giorgio Mulè, portavoce del partito – a iniziare dal reddito di cittadinanza, che deve partire ad aprile. Le difficoltà lo trasformeranno in un boomerang”.

In verità la sfida Berlusconi-Salvini potrebbe pure essere evitata. Difficilmente il vicepremier si presenterà in tutte le circoscrizioni, visto che l’alternanza di genere prevista dalla legge elettorale – complice la rinuncia del “capitano” al seggio, dopo l’elezione – favorirebbe oltremodo le candidature femminili della Lega. Alla fine l’ex Cavaliere potrebbe privilegiare una scelta più prudente e candidarsi dove Salvini non c’è. Anche perché nel frattempo Forza Italia e Lega, divise in Parlamento, andranno al voto da alleate nelle Regionali in Abruzzo e Sardegna. Malgrado il deputato salviniano Igor Iezzi abbia dato il bentornato a Berlusconi pubblicando su Facebook una foto (poi rimossa) di zombie, morti che camminano.

Salvini: “La Bce vuole più coperture sugli Npl? S’attacca…”

Il vicepremier, ministro dell’Interno, segretario della Lega e Capitano sui social aveva appena finito di celebrare se stesso e il governo in conferenza stampa quando, a piedi davanti a Palazzo Chigi, è incappato di nuovo nei giornalisti. Le domande sono finite sul sistema bancario e Matteo Salvini, come di costume, non si è tirato indietro. Gli chiedono un commento sulla (presunta, Mps a parte) richiesta della Bce alle banche italiane di maggiori coperture sui cosiddetti “crediti deteriorati”, cioè quelli che si farà fatica a recuperare in tutto o in parte: “S’attacca, come dicono a Oxford…”. Difficile che vada a finire così, ma il vicepremier non si preoccupa neanche quando le domande arrivano a Monte dei Paschi, banca oggi di proprietà dello Stato: “Su Mps l’obiettivo è sostenere i risparmiatori, cosa che con i governi passati non è avvenuta. Tutelare i risparmiatori con la certezza che la Bce permetta di farlo senza dettare legge in casa nostra”. La certezza di Salvini su quel che può fare la Vigilanza di Francoforte è forse eccessiva, ma comunque il leader leghista nega divergenze sul punto coi 5 Stelle: “Tutti sono a favore alla tutela dei risparmiatori, non dei banchieri”.

Questi del Sì sono dei buontemponi

La deprecata ipotesi che i Sì-Tav siano in fondo dei buontemponi comincia a dimostrarsi con prepotenza. L’ultimo scherzo escogitato è il tentativo di convincere il ministro Toninelli che si possa tagliare il costo del Tav Torino-Lione di 1,7 miliardi, per addolcirgli il boccone amaro di dire sì a un’opera inutile per la quale il no è nello stesso Dna del Movimento 5 Stelle. Addirittura è già stata suggerita la possibile destinazione dei soldi risparmiati. I primi 500 milioni vanno a una nuova metropolitana a Torino, altri 500 a investimenti nella Val di Susa, e 700 alle Fs per i pendolari, così da compensare (notate bene) i 600 milioni tagliati dal governo giallo-verde nell’ultima legge di bilancio.

Ormai da trent’anni la compagnia di giro fa lo stesso gioco delle tre carte, ipnotizzando politici e giornalisti che non studiano con un sillogismo ridicolo. Dicono: siccome noi per lavoro ci occupiamo della Torino-Lione (infatti un piccolo esercito di piemontesi ci campa da una vita, in questo il Tav è un piccolo ponte sullo Stretto) siamo per definizione i competenti; mentre l’analisi costi-benefici del professor Marco Ponti non è credibile perché quello scienziato dice da anni che sono soldi buttati, quindi i suoi dati scientifici sono di parte. È la stessa logica con cui la mamma no-vax si ritiene competente sulla salute di suo figlio e giudica di parte l’opinione del professor Burioni in quanto favorevole ai vaccini già prima che il bimbo nascesse.

Uno dei più divertenti giochi di prestigio dei Sì-Tav stipendiati dallo Stato è quello con i numeri. Già otto anni fa ebbero l’idea geniale di proporre il Tav low cost con una supercazzola chiamata “fasizzazione”. In pratica si decise di fare solo il nuovo tunnel sotto le Alpi (57 chilometri) e pochi chilometri di collegamento con la vecchia ferrovia a Susa e a Bussoleno. In questo modo, annunciarono trionfanti, il costo dell’opera si dimezza, e scende a soli 8,6 miliardi. La logica zoppica: sei pronto a buttare 15-20 miliardi perché non spenderli vorrebbe dire uccidere l’economia piemontese e italiana tutta, ma se qualcuno ti dimostra che sono soldi sprecati dici “vabbè, allora spendiamone la metà”. L’importante è fare il tunnel. E spetterà ai posteri capire come far arrivare al tunnel 140 treni merci al giorno per giustificare l’investimento.

Ma adesso è il momento del rullo di tamburi: sempre più difficile! Tagliamo ancora, e di ben 1,7 miliardi. Che cosa si elimina dal progetto? Di preciso non si sa, perché a Toninelli piacciono i segreti, che lo fanno sentire importante, e neppure chi spiffera ai giornali l’idea geniale che convincerà il ministro vuole scoprire le (tre) carte. Però basta leggere i documenti ufficiali per supporre che quella cifra corrisponda alla nuova tratta destinata a collegare Avigliana e Orbassano, due località alle porte di Torino che sarebbero il vero collo di bottiglia del traffico merci se il traffico merci esistesse.

Peccato che l’Avigliana-Orbassano già nel 2011 fu “fasizzata” (parlano così) al 2030, e solo in caso di intensa crescita del traffico. Nella delibera Cipe n. 19 del 2015, che ha ufficialmente stanziato il denaro da sprecare sulla Torino-Lione, c’è scritto che il costo totale dell’opera è 8,6 miliardi ma che il costo per lo Stato italiano della parte italiana dell’opera (tutto compreso) è 958 milioni. Calcoli il lettore come i nostri eroi possano, “rifasizzando” la Avigliana-Orbassano, diminuire di 1,7 miliardi una spesa di 958 milioni. Solo dei maghi. O dei buontemponi.

“Il ‘piccolo Tav’ è una cazzata. Il M5S stia attento: sparirebbe”

“Non esistono mediazioni. Sono trent’anni che lo diciamo”. Alberto Perino, 73 anni tra pochi mesi, leader storico dei No Tav, non vuole credere al possibile progetto low cost che la Lega vorrebbe portare avanti per convincere il M5S a cambiare idea sulla Torino-Lione. E tira fuori tutta l’insofferenza del movimento.

Che ne pensa dell’idea di un Tav “più piccolo” con risparmi sulla tratta italiana?

È una cazzata. Non capisco quale sia la novità. Gli 8 miliardi di euro di costo valgono soltanto per il tunnel di base. Quello non cala. Non solo. L’opera più devastante dal punto di vista economico e ambientale è proprio il tunnel di base. Questo è un tentativo di far passare dalla finestra quello che non è entrato dalla porta e la Lega sta cercando di recuperare dei soldi per pagare i propri debiti. È sempre stata coi padroni e a favore delle grandi opere, che servano o no.

Esiste la possibilità di fare un progetto a basso costo?

No, non esiste. E cosa vuole dire? Vogliono fare un binario solo? Vogliono fare un tunnel solo anziché le due canne? Ma poi, fatto il tunnel tra 20 anni, fuori rimarrebbero delle linee vecchie. La Francia ha già fatto sapere che fino al 2038 non considererà neanche l’ammodernamento della linea da Lione a Saint Jean De Maurienne (all’inizio del tunnel, ndr). Mi sembra una stronzata e qualcuno gli dà credito anche tra i 5 Stelle. Molti di loro non sono informati e non hanno studiato. Noi abbiamo fornito la nostra collaborazione, ma molti incontrano solo Mario Virano (ex commissario di governo alla Torino-Lione e direttore di Telt, ndr) e ascoltano la balla delle penali da pagare, che non esistono.

Il commissario di governo Paolo Foietta, però, sostiene che non viene ascoltato, né ricevuto.

Foietta è come se fosse Virano. Ripeto: non ci sono penali da pagare. Vogliono fare la fine del Tap, la facciano. I Cinque Stelle non andranno lontani se bruciano questa carta. Per noi non esistono governi amici e non sono mai esistiti, quindi non ci scandalizziamo più di tanto.

Eppure il M5S è stato, fin dagli inizi, No Tav.

Il M5S ha cavalcato il No Tav, il No Tap, il No Muos, l’Ilva e tutto il resto. Poi cosa è successo? Guardiamo al Terzo Valico. La smettano di fare melina. Se vogliono farlo lo facciano. Non saranno di certo i primi che ci fregano. Già altri lo hanno fatto, ma poi qualcuno è sparito dalla circolazione.

Se i 5Stelle arrivassero a un compromesso con la Lega anche sul fronte della Torino-Lione, come si comporterà il movimento No Tav?

Prenderemo atto che ci hanno bidonato. Poi ci saranno altre elezioni e chi semina vento raccoglie tempesta. Rifondazione comunista quando ha votato il dodecalogo che comprendeva la Torino-Lione e le “missioni di pace” all’estero è rimasta al governo, ma quando il governo è saltato e si sono ripresentati alle elezioni non sono più tornati in Parlamento. Stessa cosa per i Verdi.

La battaglia politica sul Tav può essere la tomba di molti partiti e movimenti?

Certamente. Per i Cinque stelle lo sarà se cambiano idea. Gli altri invece sono favorevoli perché ci sono i lavori per gli amici degli amici. I Cinquestelle fanno tenerezza perché loro non lo farebbero nemmeno per quel motivo.