“Dopo tanti anni l’accanimento carcerario non serve a nulla. Ci vorrebbe una commissione per la verità storica e la riconciliazione nazionale. Come hanno fatto in Sudafrica dopo l’apartheid”. Potito Perruggini è il nipote di Giuseppe Ciotta, il brigadiere dell’ufficio antiterrorismo di Torino ucciso il 12 marzo 1977. “Era stato infiltrato tra gli operai della Fiat. Poi, imprudentemente, venne mandato a fare la scorta agli Agnelli nel giorno del matrimonio di Margherita, mettendo fine al suo anonimato. A poco servì spostarlo in servizi più ‘leggeri’, a sorvegliare licei e università”. Uno dei fondatori di Prima Linea, Enrico Galmozzi, gli sparò sotto casa: condannato a trent’anni, ne ha scontati in carcere circa la metà e oggi “predica liberamente su giornali e social”, per usare le parole di Perruggini. Eppure, non è vederlo “marcire in carcere” il sogno del nipote di Ciotta.
Cosa immagina quando pensa alla parola “giustizia”?
Prima che muoiano tutti i protagonisti di quella stagione – i terroristi, i testimoni, gli investigatori – c’è bisogno di aggiungere dettagli per capire cosa è successo davvero. Tra dieci anni non ci sarà più nessuno. Rischiamo di perdere tutte le possibilità di rimettere insieme i pezzi.
I processi non sono serviti?
La settimana scorsa ho sentito il procuratore generale di Caltanissetta appena andato in pensione, Sergio Lari, dire che sulla strage di via D’Amelio si è dovuta riscrivere la storia dopo 11 ergastoli (la revisione del processo dopo le false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, ndr). Io non dico che le sentenze sul terrorismo siano state condizionate da pentiti e collaboratori di giustizia, ma dopo tanti anni non serve a nulla l’accanimento di carattere carcerario.
Che impressione le ha fatto la cattura di Battisti?
La notizia dell’arresto mi ha reso felice, ovvio. Ma la spettacolarizzazione del suo rientro in Italia non ha aggiunto nulla alla verità storica. La ricerca dei latitanti è il lavoro ordinario di polizia e magistratura. La politica, invece, deve aprire un canale di dialogo costruttivo con i protagonisti di quella stagione.
Non le interessa vederlo “marcire in galera”, come ha detto il ministro Salvini?
A parte che la maggior parte di loro in galera già non ci sta più e che tanti sono latitanti. Chi è stato in carcere in questi anni siamo stati noi parenti delle vittime. Bisogna raccogliere testimonianze, finché sono ancora in vita. E concedere benefici, alla condizione minima che chi parla dia un contributo effettivo alla costruzione della verità.
Lei propone una pacificazione nazionale sulla scia di quella che Nelson Mandela mise in pratica dopo la fine del regime di segregazione dei neri.
Ho chiesto udienza al presidente Conte, al ministro Salvini, a quelli della Difesa e della Giustizia per mettere a disposizione la mia esperienza personale. Io, per dire, non avrei problemi a incontrare Enrico Galmozzi, nella speranza che possa aggiungere tasselli alla storia di mio zio. Chi lo ha mandato da Milano a Torino a uccidere uno che nemmeno conosceva?
L’amnistia per molti è una bestemmia. Lei la concederebbe?
Chiariamoci: l’amnistia sarebbe, semmai, la fine di un percorso. In Sudafrica, per esempio, ci furono vari livelli di benefici a seconda del contributo offerto. Ma se non iniziamo domani mattina a istituire a Palazzo Chigi o al Viminale un tavolo di lavoro con tutti i protagonisti di quelle vicende, la verità non la sapremo mai. Non è un’operazione che si fa dalla sera alla mattina.
Finora non ha ricevuto risposte al suo appello?
La verità è che questa storia ormai non la conosce più nessuno. Già vent’anni fa, quando ci provò il presidente della commissione Stragi, Giovanni Pellegrino, il Parlamento fu sordo. Figuriamoci adesso che la grandissima parte degli eletti quegli anni non li ha nemmeno vissuti. Però al tempo stesso credo che questa maggioranza abbia mani libere per affrontare questa materia senza pregiudizi, non ha vincoli con le decisioni dei suoi predecessori. Tutti parlano delle Europee di maggio. Però prima del voto, il giorno 9, c’è la giornata nazionale della memoria per le vittime del terrorismo. Voglio sperare che stavolta si veda qualcosa di concreto, non ulteriori prese in giro.