N elle aule della commissione Affari costituzionali e Lavori Pubblici del Senato è andata in scena una (breve) battaglia sui servizi di telefonia e sulla trasparenza delle tariffe che ha visto la facile e solita vittoria delle compagnie a discapito degli utenti. I 4 emendamenti presentati dal Movimento 5 Stelle al decreto Semplificazioni per porre un freno ai continui cambi di contratto imposti dagli operatori per fare rincari di massa e bloccare i costi “nascosti” nei contratti sono stati dichiarati tutti inammissibili. Motivo ufficiale: il decreto non riguarda i rapporti dei cittadini con le imprese private, ma solo le “Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione”.
Decisione che ha sollevato più di un dubbio, visto che nel decreto sono comunque finiti diversi emendamenti che escono dalla sfera pubblica, e che “lascia l’amaro in bocca”, commentano dallo staff dei Cinque Stelle, perché gli emendamenti, se approvati, avrebbero rivoluzionato il mercato telefonico dando finalmente ai consumatori un’arma per difendersi contro lo strapotere dei big della telefonia.
“Ci deve essere stata qualche manina che, alla fine, ha fatto desistere da questi emendamenti che arrivano dalla maggioranza e che già erano stati vagliati dagli uffici competenti”, prosegue un addetto ai lavori. La manina, certo, ma non è mancata nemmeno la cara vecchia attività lobbistica con nome, cognome e logo: rimandare la trasparenza delle offerte pubblicitarie e cancellare i servizi nascosti e le modifiche unilaterali dei contratti è d’altronde un interesse primario delle compagnie. E infatti ai membri della maggioranza, e al presidente della commissione Lavori pubblici Mauro Coltorti, è arrivata un’accorata email ufficiale di Vodafone in cui vengono elencati i danni che quegli emendamenti avrebbero fatto ai big telefonici. “Tra gli emendamenti presentati – si legge – ce ne sono alcuni che destano gravi preoccupazioni a Vodafone e ad altri primari operatori nazionali e che impattano negativamente sulla libertà commerciale degli operatori”. Ed ancora: “Le sarei grato se potesse approfondire tali proposte, valutandone eventualmente un posizionamento contrario, al fine di evitare gravi impatti sul settore delle telecomunicazioni”.
Le compagnie continuano a lamentare bassi profitti, gestendo un mercato praticamente saturo con i ricavi della rete mobile in rallentamento (-2%) a causa dell’entrata nel mercato di Iliad, e dopo aver investito più di quanto preventivato nell’asta per le frequenze veloci 5G (6,55 miliardi di euro). E nel frattempo agli utenti che succede? Dovranno continuare a subire le attivazioni di servizi non richiesti (la chat erotica, l’oroscopo o l’abbonamento delle suonerie) e dei contenuti a sovrapprezzo rispetto al servizio base (si possono stimare in circa 2 miliardi) e, soprattutto, le modifiche contrattuali unilaterali che concedono al gestore la possibilità di apportare, a proprio vantaggio, dei cambiamenti alle condizioni iniziali, inviando semplicemente e a costo zero un sms o una mail al cliente (il quale, invece, ha solo 30 giorni per comunicare tramite una raccomandata da 5 euro l’accettazione o meno della modifica). Un abuso di queste modifiche che, negli ultimi anni, ha avuto un effetto a catena: un gestore inizia e gli altri a ruota si adeguano, proprio come accaduto con le bollette a 28 giorni che hanno portato nelle tasche dei gestori 1 miliardo di euro l’anno prima che la politica bloccasse il meccanismo.
Da anni le associazioni dei consumatori chiedono maggiori tutele nei servizi di telefonia, ma gli effetti più concreti sono solo le multe irrisorie che arrivano dalle Authority e che non hanno mai avuto effetti concreti. Ora, archiviata la possibilità di intervento nel decreto Semplificazione, per togliere questo potere agli operatori le strade da seguire sono due: una legge ad hoc o l’approvazione da parte dell’Agcom, cui spetta il compito di garantire la trasparenza nelle comunicazioni sui prezzi, di una delibera che vieti i costi nascosti e garantisca una comunicazione più semplice dei contratti. Finora, però, l’Authority non ha scritto neanche una riga.