Un’altra donna accusa Varriale: “Io picchiata”

Un’altra accusaper Enrico Varriale: una donna, con la quale l’ex vicedirettore di Rai Sport avrebbe una relazione, la scorsa notte ha contattato il 112 raccontando di essere stata da lui schiaffeggiata. In attesa degli accertamenti della polizia, che è intervenuta nell’abitazione del giornalista, Varriale – già accusato di aver molestato la sua ex compagna – ha però spiegato in questo caso di essere “vittima di una folle gelosia” e promette un’azione legale. La denuncia della donna potrebbe finire all’attenzione del pm che ha già avviato il fascicolo che vede il giornalista accusato di stalking ai danni della ex compagna. La segnalazione ai pm sarebbe partita dall’ospedale dove la donna si è recata, come previsto dal codice rosso.

Marò, “no prove contro, rispettarono le regole”

“Non ci sonoprove che a uccidere i pescatori indiani siano stati i marò italiani”. E, qualora fossero stati loro, “si sarebbe trattato al massimo di omicidio colposo, reato prescritto”. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per i fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che secondo le autorità indiane il 15 febbraio 2012 avrebbero ucciso due membri dell’equipaggio del peschereccio St. Antony, al largo del Kerala. Per il pm Erminio Amelio, gli accertamenti effettuati dall’India, sono in parte inutilizzabili. I militari invece “hanno rispettato le regole d’ingaggio, sparando in acqua tre raffiche di proiettile”. L’omicidio volontario dunque è “totalmente escluso”.

Il primo sciopero è della scuola: “Pochi soldi in manovra per gli insegnanti e classi pollaio”

Le sigle sindacali della scuola di Cgil, Uil, Snals e Gilda rivendicano che sia lo sciopero di apertura del periodo di agitazione e in effetti è così. Proclamato prima che la protesta si allargasse allo sciopero generale del 16 dicembre, domani i docenti e il personale tecnico amministrativo della scuola si fermeranno contro le politiche portate avanti dal ministero dell’Istruzione o, parafrasando il segretario della Flc Cgil Francesco Sinopoli, contro una politica scolastica che ormai non si decide più al ministero bensì a Palazzo Chigi e senza interlocutori.

Le richieste sono prima di tutto legate alla manovra e all’assenza di un reale impegno economico sulla scuola nella sua funzionalità corrente, non tanto nell’ottica degli investimenti previsti dal Pnrr. “Solo lo 0,62 per cento della spesa è destinato alla professione docente” scrivono in una nota congiunta in cui manca ovviamente la Cisl. Contestano gli aumenti del nuovo contratto dei docenti, pari a 87 euro, a cui si aggiungeranno circa 12 euro e solo qualora si decida di destinare a pioggia i soldi stanziati per premiare la dedizione e il valore degli insegnanti. Una cifra ben lontana dai 100 euro più volte promessi e annunciati. Secondo i sindacati, infatti, la differenza attuale tra lo stipendio di dipendenti di pari livello nel resto della Pa e quelli della scuola è di almeno 350 euro.

Ancora, contestano al governo di aver trovato 300 milioni di euro per rinnovare i docenti Covid in scadenza il 31 dicembre ma “zero risorse per confermare il personale Ata”. Inoltre, l’assenza di tutte le misure a costo zero che rispecchiano una scelta politica, lontana da qualsiasi vincolo di bilancio: nessun concorso riservato per i Dsga oggi facenti funzioni, nessuna abolizione dei vincoli sui trasferimenti del personale. Infine, problemi che da anni restano irrisolti: dalla riduzione del numero di alunni per classe alla necessità di presidi sanitari e sistemi di sanificazione, con l’assegnazione di un dirigente a ogni scuola azzerando la pratica delle reggenze. “La scuola, soprattutto in questa fase delicata, è un pilastro essenziale per la tenuta sociale e democratica del nostro Paese, ne rafforza la coesione e la giustizia sociale – hanno detto ieri i segretari generali di Cgil e Uil, Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri –. Da parte del governo occorre un segnale di attenzione tangibile. Per questo domani saremo al fianco di tutte le lavoratrici e i lavoratori che parteciperanno allo sciopero”.

Grazia a Oberleiter, dal Tirolo anni 60 all’ergastolo

Le cronache lo hanno consegnato alla Storia come terrorista. Ma, secondo il Quirinale, “i suoi atti criminosi non hanno provocato decessi”. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ieri ha concesso la grazia a Heinrich Sebastian Oberleiter. Il suo nome è legato al movimento indipendentista del Tirolo e ai continui attentati degli anni ‘60 e ‘70. Oberleiter era uno dei cosiddetti “bravi ragazzi della Valle Aurina”. “Bravi”, per modo di dire, avendo alle spalle, il 77enne, una serie di condanne, fra cui tre ergastoli. L’ultima, a 16 anni, incassata dal tribunale di Brescia nel maggio del 1974, per l’attentato sul treno Brennero Express del 1964. “Non eravamo né di destra né di sinistra, ma semplicemente spinti dall’amore per la heimat (termine per definire “casa” o, in questo caso, “patria”, ndr) , disse in un’interviste. Fra le motivazioni con le quali Mattarella lo ha inserito fra i sette destinatari dei provvedimenti di grazia anche il “ravvedimento del condannato” e l’espresso “ripudio della violenza” oltre al “forte rammarico per le vittime di tutti gli attentati di quel periodo”.

L’sms di Appendino: “Se esce che gli steward non c’erano per motivi di soldi siamo morti”

“Se viene fuori che gli steward non c’erano per problemi di soldi siamo morti”. Il messaggio che il 5 giugno 2017 la sindaca di Torino, Chiara Appendino, mandava via chat al suo capo di gabinetto, Paolo Giordana. Due giorni prima c’era stata la tragedia di piazza San Carlo, con le ondate di panico che si erano abbattute sulle decine di migliaia di persone ammassate sotto il maxi-schermo per la finalissima di Champions League tra Juventus e Real Madrid, la folla impazzita, la gente calpestata mentre tentava di fuggire. Si sapeva che c’erano stati 1.500 feriti in un elenco che comprendeva anche due donne, Erika Pioletti e Marisa Amato, che in seguito moriranno per le gravissime lesioni riportate nella ressa.

La conversazione tra Appendino e Giordana è stata l’asso giocato in Corte d’Assise dalla difesa di uno dei nove imputati di disastro colposo, il viceprefetto Roberto Dosio. Il processo, ripreso ieri, riguarda le lacune in materia di organizzazione e di gestione della piazza. L’obiettivo degli avvocati Claudio Strata e Giancarla Bissattini è stato dimostrare che la Commissione provinciale di vigilanza da lui presieduta, l’organo deputato a svolgere una serie di controlli, non deve pagare per le omissioni di altri. La chat si riferisce solo a uno dei tanti punti controversi: la questione degli steward che avrebbero dovuto controllare gli accessi. E che quella sera non c’erano. “Ma nessuno – hanno detto gli avvocati – informò la prefettura. L’agenzia Turismo Torino, alla quale il Comune affidò l’organizzazione, il 1° giugno scrisse alla questura che per ragioni economiche non era possibile predisporre un servizio di steward. Quindi ci pensarono le forze dell’ordine, mobilitando in tutto un centinaio di agenti. Ma di questo la Commissione rimase all’oscuro”. Nella chat, Appendino domanda a Giordana: “Sapevamo che la questura ci aveva chiesto di mettere gli steward e che non avevamo soldi?”. Il funzionario risponde che “non era una richiesta” perché si trattava di una circolare del Viminale “valida per tutta Italia” e inoltrata a Turismo Torino; quindi aggiunse che “se gli steward fossero stati indispensabili ci avrebbero dovuto mettere quella prescrizione. Non lo hanno fatto. Affari loro”. “Io – replica la sindaca – non la farei così semplice. Su ’sta roba verrà fuori un merdone unico”.

Il 27 gennaio 2021 Appendino e Giordana sono stati condannati a 18 mesi con il rito abbreviato. Ora attendono il giudizio d’appello.

“Pittelli ha scritto pure a me, ma ve lo nego”

Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia, qualche giorno fa ha lasciato i domiciliari per tornare in carcere. Il motivo? Una lettera inviata alla ministra per il Sud. “Non potrei avere rapporti di corrispondenza con nessuno, ma ti prego di credere che sono ormai disperato”, scrive Pittelli. Che poi aggiunge: “Stiamo preparando una nuova istanza nel merito e un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sgarbi proporrà come primo firmatario”. La segreteria della ministra ha trasmesso la missiva di Pitelli all’Ispettorato di pubblica sicurezza di Palazzo Chigi, che a sua volta l’ha trasmessa alla Questura di Catanzaro. Di lì a poco è arrivata la decisione del tribunale di Vibo Valentia: l’ex parlamentare, scrive il giudice, ha “consapevolmente trasgredito alle prescrizioni impostegli”, ossia il divieto di “colloquiare e comunicare anche per telefono o sistemi informativi, con persone diverse da quelle che con lui coabitano”. E così Pittelli è tornato in carcere.

Sgarbi è vero quel che scrive Pittelli, ossia che lei proporrà un’interrogazione parlamentare?

Sì, è vero, lui me l’ha chiesto. Io volevo farla (l’interrogazione parlamentare, ndr), poi il materiale non l’ho visto. In ogni modo l’avrei fatta, ne ho già fatta una.

Ma quindi Pittelli ha scritto anche a lei dai domiciliari?

Sì, direi che ha scritto anche a me, ma non vorrei che diventasse un’aggravante. A questo punto devo aver paura. Lei può dire: Sgarbi ha ricevuto la lettera, ma ha paura di dirmelo perché non vorrebbe peggiorare la situazione. Se mandare una lettera a un parlamentare aggrava la situazione della persona, è una cosa inverosimile.

Ma Pittelli aveva il divieto di comunicare all’esterno, ossia con persone diverse da quelle che abitano con lui.

Ma la legge dice che non può mandare una lettera ad un parlamentare? È assurdo. Il che vuol dire che il Parlamento non conta più un cazzo, che il governo dei giudici, che a voi piace tanto, è affermato (…) Mi sento intimidito e non le posso dire se ho ricevuto la lettera.

Ho capito che lei si sente intimidito, ma prima ha affermato il contrario.

Non glielo posso dire, non lo so. Per la verità non lo so, ma nego. Io sono andato a trovare Battisti (Cesare, ndr) che mi ha dato delle carte che lo riguardavano. Che devo fare? Devo consegnarle alla polizia? Se lo vado a trovare non posso prendere una carta? Se io parlamentare vado in carcere, è lo stato di carcere che io vado a ispezionare, quindi vado anche a casa. Forse l’ho fatto anche in passato. (….) In ogni modo trovo inaudito il comportamento della Carfagna. Io ho ricevuto centinaia di lettere di detenuti. (…) Quindi tutte le lettere che mi sono arrivate dai carcerati sarebbero state illegali, eppure sono partite. (…) A me pare che il parlamentare abbia tutte le prerogative per avere rapporti con un carcerato, compreso materiale che lui ti invia, la sua posta personale. Poi se questa posta è stata violata non è stato perché qualcuno ha fatto un’infrazione alla casella postale della Carfagna, ma perché lei l’ha consegnata alla polizia. Una cosa che a me pare anche di una cattiveria inaudita.

“Appalto Aspi truccato”. Indagato Del Basso De Caro

Il deputato Pd, Umberto Del Basso De Caro, è indagato dalla Procura di Benevento. L’iscrizione è avvenuta – ma per circostanze differenti – nell’ambito di un’inchiesta che riguarda presunti illeciti commessi per l’aggiudicazione di una procedura aperta indetta da Autostrade per l’Italia (Aspi) e che ieri ha portato all’arresto (ai domiciliari) di quattro persone. Corruzione aggravata, turbata libertà degli incanti ed emissione di fatture per operazioni inesistenti sono le accuse contestate a vario titolo ad alcuni degli indagati. Non però a Del Basso De Caro, iscritto per vicende diverse sulle quali si tiene però il massimo riserbo, ma che verrà convocato in Procura per l’interrogatorio. Sentito dal Fatto, il deputato ha smentito l’indagine a suo carico.

L’inchiesta della Procura di Benevento, guidata dal procuratore capo Aldo Policastro, è stata condotta con l’ausilio del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza. Quattro le misure cautelari emesse ieri. Ai domiciliari sono finiti Antonio Bargone, presidente pro tempore della Sat, Società Autostrada Tirrenica spa e in passato sottosegretario ai lavori pubblici dal 1996 al 2001; un imprenditore beneventano; un intermediario residente in Emilia-Romagna e nella cui abitazione sono stati trovati circa 200mila euro in contanti; e infine Vincenzo Voci, “contract manager” di Aspi. Ieri il gip ha anche disposto il sequestro preventivo di 64.128 euro.

Le indagini sono proseguite per circa un anno, finché i pm si sono trovati di fronte a quello che definiscono un “episodio di corruzione e turbata libertà degli incanti volto a pilotare l’assegnazione della gara d’appalto bandita da Autostrade per l’Italia per le tratte autostradali della DT6 di Cassino – Lotto 7 – per un valore di 76.500.000 euro, per la cui aggiudicazione era stata prevista la procedura ‘aperta’”. Alla gara partecipavano due concorrenti: un consorzio di Napoli e il raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) con mandataria la società beneventana, Rti che poi risulterà vincitrice. Per gli investigatori l’assegnazione dell’appalto è avvenuto dopo l’intervento di “vari soggetti intermediari che si sono frapposti tra il privato corruttore e l’incaricato di pubblico servizio deputato alla selezione del concorrente a cui assegnare la gara”. Scrive la Procura: “In particolare, il presidente di Sat spa, quale intermediario di altri incaricati di pubblico servizio della società Aspi e preposti alla gara in argomento (ovvero in grado di influire su di essa), uno dei quali individuato nel Contract Manager di Aspi, esercitava la sua influenza illecita per far aggiudicare al Rti, con capogruppo la società beneventana, la procedura di gara in contestazione, determinandone l’aggiudicazione provvisoria”.

Il tutto dietro la presunta promessa di ricevere “da parte dell’imprenditore beneventano (per sé e quale collettore delle somme dovute dagli altri privati corruttori, parte del Rti) e dell’intermediario ferrarese (che avviava i rapporti con il presidente di Sat spa…)” 360mila euro, “importo pari allo 0,5% circa dell’importo complessivo a base d’asta dei lavori”. Di questa cifra, 64mila euro circa, secondo i pm, sarebbero stati bonificati su un “conto corrente intestato al presidente di Sat spa”.

L’indagine conta anche altre iscrizioni, come coloro che sono finiti nel mirino dei pm “per le attività volte ad aiutare gli indagati a eludere le investigazioni”. Ieri Aspi ha fatto sapere di aver “provveduto, in via cautelativa, alla sospensione degli incaricati di pubblico servizio”.

“Le cure ai No vax costano ogni mese 70 milioni al Ssn”: lo studio Altems

Una spesa di quasi 70 milioni tra il 13 agosto e il 12 settembre, di 64 tra il 15 settembre e il 15 ottobre. “Inferiore, in quest’ultimo periodo, solo perché si è ridotta la platea dei non vaccinati”, dice Americo Cicchetti, direttore di Altems, l’alta scuola di economia e management sanitario dell’Università Cattolica. Sono due gli studi con i quali l’Ateneo ha stimato i costi a carico del servizio sanitario per le ospedalizzazioni dei no-vax, sia in area medica sia in terapia intensiva. I numeri non si discostano molto da quelli indicati da Walter Ricciardi: circa 50 milioni al mese. Altems ha stimato il costo giornaliero di un ricovero in area medica in 709 euro, di quello in terapia intensiva in 1.680. Ha anche calcolato che la vaccinazione, nel primo periodo preso in esame, avrebbe potuto evitare 5.932 ricoveri in area medica (in questo caso il costo supera i 51 milioni) e 715 in terapia intensiva (oltre 18,7 milioni). Ma cosa concorre a far lievitare la spesa in terapia intensiva? “Dobbiamo distinguere tra costi diretti e indiretti”, osserva Alessandro Vergallo, presidente di Aaroi-Emac, a cui fanno capo i medici anestesisti e rianimatori. “C’è un costo di default, che è una sommatoria di logistica, reparti che fanno da supporto, personale, numero di posti letto occupati – prosegue Vergallo –. In linea generale possiamo calcolare circa mille euro a paziente al giorno. Ma parliamo solo di costi diretti, riferiti a un sistema sanitario non in affanno. Poi ci sono quelli indiretti, dovuti a rallentamenti, trasferimenti, attivazione di nuovi posti letto, aumento delle liste d’attesa”.

Un focolaio alla Difesa: così è morta l’impiegata

La Difesa e l’ex comandante della Scuola di lingue estere dell’Esercito (Slee), istituzione di un certo prestigio che ha la sede principale a Perugia, si troveranno in Tribunale per la morte di un’impiegata che, in pieno lockdown, lavorava in presenza due giorni a settimana. Eppure era reduce da un tumore, con invalidità al 100 per cento. La signora Cinzia Lo Voi aveva 58 anni e 38 di servizio, se n’è andata l’8 febbraio scorso dopo 17 giorni in ospedale. L’Inail ha riconosciuto l’infortunio sul lavoro. Un focolaio in un ufficio militare, non proprio di carattere strategico: 9 contagiati su 10 secondo l’Inail; 10 su 11 secondo altre fonti. In quelle settimane le vaccinazioni erano appena iniziate e Perugia e l’Umbria furono travolte dalla variante detta inglese e poi Alfa. La prima vera ondata di Covid nella regione, andò in crisi anche il principale ospedale del capoluogo e l’Esercito ne montò uno da campo

Il pubblico impiego nel gennaio 2021 era quasi tutto a casa. Anche la signora Cinzia, i corsi di lingue erano sospesi. “L’hanno fatta tornare per smaltire l’arretrato, così hanno detto”, racconta la figlia Maddalena. La mamma lavorava all’ufficio del personale. “A quanto abbiamo capito c’era un militare con la moglie positiva a casa”. Alcuni colleghi confermano, altri no: “Nessuno l’ha costretta, poteva restare a casa”. Insomma, un eccesso di zelo.

L’ex marito e i figli della signora si sono affidati all’avvocato Stefano Giubboni, ordinario di diritto del lavoro a Perugia, per chiedere i danni. Preparano anche un esposto alla Procura. Non ha voluto rispondere al Fatto il generale Salvatore Carta che dirigeva la Scuola fino ai primi di novembre, quando l’ha lasciata facendo un discorso che ha ferito i familiari dell’impiegata: “La Scuola ha saputo reagire – ha detto, riferendosi all’emergenza sanitaria –. Non si è fermata e ha continuato a svolgere la sua missione, con modalità diversificate e adeguate”.

In realtà si sono contagiati quasi tutti i dipendenti. Un capitano è finito in ospedale. E la signora Lo Voi non ce l’ha fatta: “Polmonite da Sars-Cov2 con insufficienza respiratoria e pneumotorace bilaterale con pneumomediastino, in soggetto già affetto da eteroplasia mammella (2018) trattata chirurgicamente e con chemio e radio terapia”, dice la scheda Istat. “L’assicurata lavorava in smart working con rientro in ufficio all’occorrenza, su chiamata e comunque in media 1-2 volte la settimana – scrive l’Inail –. Sembrerebbe appurato che possibili fonti di contagio in ambiente lavorativo fossero presenti. Le giornate lavorative a contatto con i colleghi positivi sono compatibili con infezione avvenuta a causa di contatto lavorativo”.

Secondo i familiari, la signora per andare in ufficio era costretta a passare per la stanza di un sottufficiale che, probabilmente, aveva la moglie positiva a casa. Non è chiaro se fosse noto all’amministrazione, a ogni modo il professor Giubboni rileva la violazione delle regole sullo smart working. Alla Slee però, secondo la ricostruzione dei familiari, una norma categorica sui lavoratori fragili è arrivata solo dopo la tragedia.

“Serve più sorveglianza sui vaccini, i morti accertati però sono 16”

Il professor Giorgio Palù, virologo e presidente dell’Agenzia del farmaco Aifa, nonché membro del Comitato tecnico-scientifico, due giorni fa è finito su tutti i siti no vax. In un’audizione al Senato ha collegato 608 decessi ai vaccini contro il Covid-19, ma in realtà basta leggere il 9° rapporto di farmacovigilanza dell’Aifa per rassicurarsi: “Il 71,5% (435/608) delle segnalazioni presenta una valutazione del nesso di causalità con l’algoritmo dell’Oms, in base al quale il 59,5% dei casi (259/435) è non correlabile, il 30,6% (133/435) indeterminato e il 6,2% (27/435) inclassificabile per mancanza di informazioni sufficienti. Complessivamente, 16 casi (3,7%) sui 435 valutati sono risultati correlabili (circa 0,2 casi ogni milione di dosi somministrate), di cui 14 già descritti nei Rapporti precedenti. Le rimanenti 2 segnalazioni si riferiscono a 2 pazienti di 76 e 80 anni con condizione di fragilità per pluripatologie, deceduti per Covid-19 dopo aver completato il ciclo vaccinale”. Morti di Covid, non di vaccino.

Professor Palù cosa è successo?

Cercherò di essere chiaro. Nel discorso le 608 segnalazioni sono diventate 608 autopsie e non è la verità: sono segnalazioni di decessi a poche ore dalla somministrazione del vaccino o a 200 giorni, cioè sette mesi. La maggior parte di queste persone aveva 78 anni e altre patologie, non è morto nessuno di anafilassi, i casi accertati sono 15-16. Le autopsie non si fanno sempre, sono state fatte nei casi eclatanti come quelli da trombosi venose profonde. Sono 0,2 casi ogni milione di dosi quando la possibilità di morire di Covid è al 2-3% sopra i 60 anni e si sale al 10 o al 20 sui 90 anni.

L’Aifa fa sorveglianza passiva, cioè per lo più raccoglie le segnalazioni. Non sarebbe utile un impegno per la farmacovigilanza attiva?

Dovremmo avere più risorse e più finanziamenti. Dal 2008 l’Aifa finanzia progetti di sorveglianza attiva in alcune Regioni che dovrebbero essere potenziati. E i casi mortali certi sono quelli associati al vaccino a vettore adenovirale (AstraZeneca, ndr): quelle trombosi iniziali erano sicuramente ascrivibili al vaccino, la correlazione c’era.

E c’è stato qualche ritardo nel rendersene conto.

A livello internazionale, non solo italiano.

I bambini. Possibile che a 11 anni, 11 mesi e 29 giorni si faccia un terzo della dose e a 12 anni, un giorno dopo, quella intera come gli adulti?

Gli studi hanno dimostrato che con questa dose la produzione di anticorpi nei bambini fino a 11 anni è simile a quella degli adolescenti e degli adulti.

Però con questo andamento dei ricoveri e dei contagi, nonostante i vaccini, rischiamo di trovarci in difficoltà negli ospedali a gennaio.

Parliamo di Delta, non ancora di Omicron. È un’evoluzione collegata anche alla stagionalità, i casi crescono soprattutto nel Nord e nel Nord-est dove il clima è più freddo. Ma lì si sono vaccinati di meno e c’è il ricircolo del contagio: la protezione che era al 95% con il prototipo di Wuhan e con le varianti successive è calata dopo 6 mesi al 45%. E con questo clima al Nord si diffondono particelle di aerosol, non di droplet, di gocce spesse. Tutto questo incide. Ma con la terza dose gli anticorpi aumentano anche di 15, 20 volte. Se saranno sufficienti anche a coprire Omicron lo sapremo presto.

Cosa sappiamo della resistenza dei vaccini alla variante Omicron?

C’è uno studio tedesco, un altro è citato dalla Fda Usa: sembra sia necessario un titolo neutralizzante superiore a quello garantito dalla seconda dose. Ma sono solo dati ancora preliminari.