I presunti riciclatori di don Vito, scontro tra l’accusa e l’ex pm

Lontano dall’iniziale clamore mediatico, a Roma si celebra un processo che riguarda una parte importante del tesoro di Vito Ciancimino. Secondo la Procura, i soldi “sporchi” dello storico sindaco di Palermo, condannato per i suoi rapporti con i corleonesi e scomparso nel 2002, sarebbero arrivati in Romania per essere riciclati in un groviglio di società che ruotano intorno all’azienda che gestisce la discarica più grande d’Europa, la Ecorec. Ma adesso, quando mancano due settimane alla sentenza di primo grado, l’arringa dell’avvocato Antonio Ingroia, ex pm di Palermo, prova a smontare le accuse.

Andiamo con ordine. Era il 15 luglio 2014 quando la storia del tesoro di Vito Ciancimino si era arricchita con un nuovo sviluppo giudiziario. Trascorsi tre anni dalla condanna di Massimo Ciancimino, accusato di aver impiegato denaro di provenienza illecita, erano stati arrestati tre imprenditori e un ingegnere. Victor Dombrovschi, Raffaele Valente, Sergio Pileri e l’ingegnere amico della famiglia Ciancimino Romano Tronci. La Procura ha chiesto 5 anni e sei mesi di reclusione per i primi due, sei anni per gli altri. Secondo l’accusa stavano tentando di vendere la Ecorec, controllata dalla palermitana Sirco Spa attraverso capitali che, per i pm, provenivano dalla cessione di altre società in cui vi erano partecipazioni azionarie di prestanome di Vito Ciancimino. E quando gli inquirenti erano a caccia del tesoro di Don Vito, gli imputati avrebbero cercato di “impedire l’identificazione della provenienza illecita da quei delitti dei beni della proprietà della Sirco”, si legge negli atti. Del resto quest’ultima società era sottoposta all’amministrazione giudiziaria imposta dal Tribunale di Palermo. E gli imputati, secondo l’accusa, volevano impedire che un accurato controllo potesse far rinvenire il tesoro di Ciancimino. Ultimo tassello del piano sarebbe stata la vendita della Ecorec. Un disegno complesso e non riuscito “per cause indipendenti dalla loro volontà”.

“In tanti anni di carriera, da avvocato e da pubblico ministero, non ho mai visto un tentativo di riciclaggio messo in atto con queste modalità”, ha ribattuto l’avvocato Ingroia, che con il collega Giovanni Liotti difende l’imprenditore romeno Dombrovschi. Ingroia ha evidenziato le “forzature” dell’indagine. Iniziando dalla genesi. L’avvocato ha ricordato come la faccenda sia nata durante l’inchiesta sulla ricostruzione de L’Aquila. Gli inquirenti sostenevano che alcuni imputati fossero interessati all’esecuzione di lavori nella prima fase del post-sisma del 2009. Così avevano approfondito anche i loro interessi in Romania. Il gip aveva però imposto alla Procura di inviare gli atti a Palermo per incompetenza territoriale. Ma per tre mesi il fascicolo sarebbe rimasto dov’era. Anzi, Ingroia ricorda che la Procura de L’Aquila avrebbe chiesto una proroga delle indagini. Il gip però aveva ribadito la necessità di mandare gli atti a Palermo. “Allora mettono in atto un piano B”, continua l’avvocato. Una parte del procedimento viene stralciato e resta a L’Aquila. Successivamente vengono ipotizzati tutti i reati già presenti nel fascicolo iniziale. E visto che “un indagato aveva incontrato un vertice del ministero della Difesa Marina”, il fascicolo arriva a Roma, dove il pm de L’Aquila andrà a lavorare poco dopo.

Ingroia, che proseguirà nella prossima udienza, ha ricordato anche che era stata la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, presieduta dalla giudice Silvana Saguto poi accusata di corruzione, a sequestrare tre imprese che facevano capo alla Sirco, già confiscata e amministrata da Gaetano Cappellano Seminara, “attuale imputato di una serie infinita di reati a Caltanissetta” insieme alla Saguto “complice e correa”. Capire chi e in quanti hanno commesso reati in questa storia non è semplice. E il 31 gennaio i giudici decideranno.

Egiziano respinto alla frontiera sparisce a Malpensa

Bloccato per circaun’ora l’aeroporto di Malpensa, ieri sera dalle 19.30 circa, con le piste tutte presidiate dagli agenti di polizia dopo che un cittadino egiziano, E.E., di 30 anni, è scappato dall’aereo diretto a Dakar, in Senegal, su cui era stato imbarcato. L’uomo è arrivato domenica da Dakar a Milano per fare scalo e poi ripartire per il Cairo. Mentre era in transito, è stata fermato per un controllo ed è risultato senza documenti, così è scattato il respingimento. Il primo volo utile per Dakar, la località da cui proveniva, era proprio oggi. L’uomo, scortato dagli agenti, è stato imbarcato sull’aereo e lo ha percorso tutto arrivando al portellone posteriore da dove è riuscito a fuggire approfittando di un momento di distrazione mentre la hostess stava togliendo la scaletta, e si è dato alla fuga sulla pista. Inseguito dai poliziotti, risulta introvabile. Aerei dirottati negli scali vicini tra cui Torino Caselle e Linate, e piste fino alle 20.20 poi è stata riaperta la 35L su decisione dell’Enac, dell’Enav e della polizia. Diversi voli sono stati annullati. Il ministro Salvini ha dichiarato di seguire la vicenda: ”Verrà rintracciato e lo espelleremo subito”.

Contrordine compagni Sánchez non è più simbolo di accoglienza

Anche la Spagna, adesso, potrebbe scoprirsi “vomitevole”. Con questo aggettivo, sette mesi fa, il portavoce di En Marche! – il partito del presidente francese Emmanuel Macron – definiva il comportamento del governo italiano nella gestione del caso Aquarius, la nave con 600 migranti a bordo che rimase per giorni in acque maltesi senza il permesso di attraccare sulle nostre coste.

In questi giorni, però, anche la Spagna ha deciso una stretta sulle Ong, impedendo alla Open Arms di lasciare il porto di Barcellona e di proseguire la propria attività di salvataggio nel Mediterraneo senza che l’Europa abbia prima stabilito una strategia comune sull’accoglienza e lo smistamento dei migranti. Un duro colpo per le sperticate lodi al presidente spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, eletto a paladino della solidarietà, dei buoni sentimenti e della civiltà quando, la scorsa estate, aveva accettato di ricevere alcune delle navi rifiutate dall’Italia.

I complimenti alla Spagna erano arrivati prima di tutto dagli organismi internazionali. Il commissario dell’Unione per le migrazioni Dimitris Avramopoulos, per esempio, era entusiasta: “Diamo il benvenuto alla decisione del governo spagnolo di permettere alla nave di sbarcare a Valencia per ragioni umanitarie. Questa è la vera solidarietà messa in pratica”. Così anche l’Unhcr, l’Organizzazione mondiale per le migrazioni: “Elogiamo la Spagna per il suo intervento. Il soccorso in mare è un principio troppo importante per essere messo a repentaglio”. Ma anche in Italia i fan del modello spagnolo erano in improvviso aumento.

A guidare l’infatuazione collettiva c’era – o magari c’è ancora – il Partito democratico, per bocca e per nome del suo ultimo segretario. Lo scorso giugno Maurizio Martina si scambiava infatti parole al miele via Twitter proprio con Sánchez: “L’intervento della Spagna non è una vittoria, ma un sospiro di sollievo. Grazie a Sánchez per il gesto nobile. Salvini può aspettarsi aiuto dal partito socialista, non dai suoi amici alla Orban”. Con amichevole corrispondenza di Sánchez: “Estimado Maurizio. Siamo pronti per lavorare insieme a un’Europa in cui gli egoismi non prevarranno”.

Nell’estasi pro-Sánchez era poi intervenuto anche Paolo Gentiloni, che condividendo un post del socialista spagnolo si era lasciato andare a un colloquiale “Adelante Pedro!”.

Ma la lista dei dem folgorati sulla via estiva di Madrid è lunga. Graziano Delrio, capogruppo Pd alla Camera: “Grazie alla Spagna per averci dato una lezione di umanità. Grazie per aver sostituito il nostro governo delle chiacchiere con il governo dei problemi”.

Stesso pensiero della vicepresidente del Senato – ancora in quota dem – Anna Rossomando: “La Spagna, grazie al nuovo governo socialista guidato da Sánchez, ci ha dato un esempio di umanità e di Stato di diritto”. Il concetto era diventato quasi un mantra per i parlamentari Pd e per le loto note stampa. Anche il senatore Francesco Verducci su accodava: “Il governo spagnolo di Sánchez sta dando una lezione di forza, civiltà e umanità al governo italiano del trio Salvini/Di Maio/Conte”.

Ma anche da Bruxelles non mancavano gli elogi al buon cuore iberico. Patrizia Toia, capodelegazione Pd all’Europarlamento, rivendicava con orgoglio: “Abbiamo invocato la solidarietà europea e da chi è arrivata? Da un progressista, non certo da un Orbán qualunque del Mediterraneo”.

“Ecco come dovrebbe funzionare l’Europa – sanciva col petto in fuori Udo Bullmann, leader dei Socialisti e democratici al Parlamento europeo (il gruppo di cui fa parte il Pd) – ringraziamo Pedro Sánchez per questo grande gesto di umanità e solidarietà. Siamo orgogliosi di te!”. Chissà se lo sono ancora.

“Mia figlia è stata uccisa dai guardacoste di Atene”

Non era ancora l’alba nel mar Egeo, quando un gommone carico di migranti e diretto verso le isole greche ha cominciato a imbarcare acqua al largo della costa sud-occidentale della Turchia. A bordo 47 persone tratte in salvo dalla guardia costiera di Ankara. tutte tranne una bimba di 4 anni. Ma la morte della piccola profuga irachena Zainab, denuncia il padre Mohammed Fadil, non sarebbe stata solo conseguenza delle precarie condizioni del barcone e del mare, ma anche di un respingimento forzato dei guardacoste greci: “C’erano onde forti. Pensavamo che fossero venuti a salvarci. Ci hanno detto di spegnere il motore. Poi hanno legato la nostra barca alla loro facendoci girare in cerchio. Hanno provato a ucciderci. Sono riuscito a salvare due miei figli, ma non l’altra”, è il suo racconto disperato al termine del soccorso a circa 5 miglia al largo della località turistica di Kusadasi. La denuncia del respingimento getta nuove pesanti ombre sulle autorità di frontiera di Atene, già accusate da diversi testimoni e da alcune ong, tra cui Human Rights Watch, di rimandare indietro “sommariamente” e anche con “violenze” i migranti al confine terrestre con la Turchia, lungo il fiume Evros. Con conseguenze che nel periodo invernale risultano ancora più drammatiche: il mese scorso, 4 di loro sono morti assiderati dopo uno di questi presunti episodi.

E mentre il Mediterraneo continua a mietere vittime, il tribunale del riesame di Catania ha annullato il provvedimento dal procuratore Carmelo Zuccaro che aveva aperto un’indagine sull’attività della nave di Medici senza frontiere (Msf) Aquarius il 20 novembre scorso.

Secondo Radio Radicale i giudici avrebbero dissequestrato oltre 200 mila euro dei 460 mila bloccati nell’ambito dell’inchiesta sullo smaltimento in mare come immondizia indifferenziata di 24 mila kg di abiti e coperte dei migranti salvati in mare. Agli agenti marittimi Francesco Gianino e Giovanni Ivan Romeo, oltre che al comandante e parte dell’equipaggio dell’Aquarius, il procuratore Zuccaro aveva contestato l’art. 452 del codice penale, “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, per avere concordato con gli agenti marittimi di smaltire sistematicamente rifiuti speciali sanitari pericolosi a rischio infettivo, sanitari e non, derivati dall’attività di soccorso dei migranti a bordo della nave Aquarius, classificandoli fraudolentemente come rifiuti speciali e conferendoli in modo indifferenziato insieme con i rifiuti solidi urbani’’. E se parte delle somme adesso sono state dissequestrate, l’Aquarius ormeggiata a Marsiglia resta tuttora sotto sequestro e priva di bandiera dopo che le autorità panamensi hanno revocato la sua iscrizione nei registri navali di quel paese. La Dda di Palermo, intanto, ha neutralizzato un’ organizzazione criminale che gestiva viaggi veloci di migranti a bordo di gommoni tra Tunisia e Sicilia, scoperta dalla Dda di Palermo. L’operazione, denominata “Barbanera” ha portato al fermo di 14 persone

Draghi: “Crescita rallenta. Pronti anche a recessione”

Con l’incertezza che persiste e che “mette in discussione l’esistenza stessa della Ue”, e l’ombra della recessione che si allunga sull’Eurozona, la Banca centrale europea comincia a lanciare avvisi. “L’attuale posizione è già molto accomodante”, ma “se ci fosse una recessione, la Bce avrebbe gli strumenti necessari”, ha detto il presidente della Bce Mario Draghi parlando per l’ultima volta al Parlamento Ue prima del suo scioglimento.

Draghi parla di “incertezza geopolitica”, che “mette in discussione i pilastri su cui è stato costruito l’ordine post II guerra mondiale, mette in discussione la Ue, ha a che fare con la Brexit, la negazione del sistema multilaterale”. Tutti elementi che contribuiscono al rallentamento dell’economia, visto che “per l’Eurozona i segnali sono stati più deboli del previsto”, ha spiegato Draghi, che tra i fattori di incertezza mondiali ha citato il rallentamento della Cina e le tensioni commerciali tra Usa e Pechino. Per questo la Bce si dice “pronta a intervenire qualora ce ne fosse bisogno”. Di certo arriveranno nuove aste di liquidità a tassi negativi (Tltro) per le banche dell’Eurozona (potrebbero arrivare a marzo). I tassi resteranno poi bassi almeno oltre l’estate.

Truffati delle banche, i dubbi Ue sui rimborsi

Bruxelles si è mossa e conferma che “è in corso una discussione” sul tema. Col rischio di una possibile bocciatura. Mentre al Tesoro la linea è, in sostanza, riassumibile con “gliel’avevamo detto”. La vicenda del rischio che la Commissione europea possa bloccare i rimborsi ai cosiddetti “truffati dalle banche” contestando l’aiuto di Stato illegittimo rischia di mettere in serio imbarazzo il governo. E con esso di far salire la rabbia di 300 mila persone.

Breve riassunto. Ieri il Fatto ha rivelato un documento inviato dagli uffici di diretto riporto del direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera a quelli legislativi del ministero. È il 16 dicembre e i tecnici stroncano la modifica decisa da Lega e M5S sul ristoro ai truffati. In manovra il governo ha previsto un fondo pubblico da 500 milioni l’anno fino al 2021 per indennizzare i 300 mila ex azionisti e obbligazionisti di Banca Etruria, Marche, Carife e Carichieti, mandate in “risoluzione” dal governo Renzi a fine 2015 e delle due popolari venete. Dopo le richieste delle associazioni dei “truffati”, spaventati dalla trafila burocratica, la prima versione viene modificata, eliminando l’obbligo per chi chiede l’indennizzo di dimostrare di aver subito una vendita di titoli scorretta (misselling) con una sentenza del giudice o dell’arbitro finanziario Consob. L’indennizzo di fatto diviene generalizzato sulla base dell’assunto che c’è stata una “violazione massiva” delle norme a tutela dei risparmiatori. Il ristoro viene allargato anche a Onlus e microimprese.

Nel parere i tecnici di Rivera stroncano le modifiche. Consentire l’accesso anche a persone non fisiche, annota, porterà “con ogni probabilità a una procedura di infrazione europea”, Idem per l’indennizzo generalizzato “incompatibile con i limiti imposti dalla normativa Ue”. I tecnici avvisano che sarà impossibile erogare i rimborsi senza l’ok dell’Ue, visto che si rischia l’accusa di danno erariale. Il testo, avvisano, “andrà sottoposto di nuovo alla Commissione”, che nella prima versione “non aveva fatto pervenire osservazioni” critiche. Una specie di silenzio assenso.

Stavolta, invece, pare diverso. Da Bruxelles confermano al Fatto che “su questa materia è in corso un dialogo con il governo”. Al momento una decisione non è stata presa. Al Tesoro la attendono, ma traspare il nervosismo. La versione è che i rilievi dei tecnici sono stati superati “dalla decisione politica di Lega e M5S di andare avanti”. Al Tesoro i tecnici avevano scritto una norma che consideravano “difendibile” anche in sede europea, ma poi i partiti “ l’hanno fatta riscrivere a una minoranza di associazioni”, dicono da via XX Settembre.

Finora Bruxelles ha autorizzato l’indennizzo a investitori truffati, purché piccoli e danneggiati da banche finite in dissesto. Sempre, però, con una sentenza del giudice o di un arbitro finanziario. Una linea che sembra preludere a una possibile bocciatura della norma attuale. In attesa dell’esito, peraltro, i tempi si allungano e 1,5 miliardi messi a bilancio restano bloccati.

Le associazioni sono in rivolta. Ieri hanno chiesto chiarimenti al governo e una convocazione al Tesoro. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha chiesto l’audizione alla Camera proprio del dg del Tesoro Rivera, magari giovedì insieme a quella, sul decreto Carige, che terrà il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Al Tesoro sono contrari. Ma il ministro sarà subissato di domande sul caso. E dovrà spiegare come mai il Tesoro ha dato il via libera e la Ragioneria bollinato un testo che il ministero aveva stroncato.

Non soltanto Mps, ecco chi rischia con la stretta Bce

Mentre la politica italiana scende in campo contro la Bce, accusata di penalizzare il settore del credito in Italia, le banche quotate ieri hanno vissuto una nuova giornata di passione alla Borsa di Milano, trascinate al ribasso dalle ipotesi di stampa sugli esiti preliminari degli “esami periodici” della Vigilanza bancaria sui loro patrimoni e soprattutto dalle ipotesi sulle misure che sarebbero state chieste dai controllori dell’Eurozona per mettersi in regola.

Lunedì le vendite a Piazza Affari sono state innescate dalla comunicazione di Mps (resa nota a mercati chiusi venerdì 11 gennaio) sulla risposta preliminare arrivata il 5 dicembre scorso, che ha imposto misure draconiane sulla cessione entro il 2026 dei crediti difficili esprimendo dubbi sull’attuazione del piano di salvataggio per sostenere la raccolta e la redditività. Ieri mattina Il Sole 24 Ore avanzava l’ipotesi che misure simili siano state chieste, alla stessa data, anche a tutte le altre banche europee sottoposte al controllo patrimoniale Srep, pur con scadenze temporali diverse quanto a cessione dei crediti dubbi. Alle banche italiane sarebbe chiesto di aumentare gli accantonamenti fino a svalutare totalmente lo stock di crediti deteriorati in un arco pluriennale predefinito. La notizia (o la sua interpretazione) ha fatto scattare l’ondata di vendite in Borsa: in due sedute l’indice settoriale del credito a Piazza Affari ha perso il 3,7%, Mps ieri ha chiuso a -7,65% (che si assomma al -10% di lunedì), seguita da Ubi (-4,97%), Bper (-4,74%), Banco Bpm (-4,13%), Creval (-4,46%), UniCredit (-3,16%) e Intesa (-1,25%).

La richiesta (preliminare, differenziata caso per caso e soprattutto da verificare sulla base degli esiti finali dell’”esame”) avanzata dalla Bce ha scatenato la reazione di Lega e Movimento 5 Stelle. Il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha bollato le comunicazioni come “l’ennesimo intervento a gamba tesa della Bce” che “può creare un danno all’Italia da 15 miliardi”, un “nuovo attacco della vigilanza Bce al sistema bancario italiano e a Mps”. Le cifre citate da Salvini sono tratte da un’analisi di Mediobanca Securities che, nell’ipotesi che a tutte le banche si applichino le richieste Bce rese note da Mps, ha calcolato in 15 miliardi gli accantonamenti supplementari necessari alle banche italiane per ottemperare alle nuove richieste.

Secondo i deputati M5S in Commissione Finanze alla Camera si tratta di una mossa che produce “gravi danni all’Italia”: le regole sulla vigilanza “dovrebbero garantire stabilità, non portare tutto il sistema a saltare”, tanto che annunciano che si opporranno alla vendita all’estero degli istituti per proteggere i risparmi. Invano Intesa, Ubi, Banco Bpm e Bper ieri hanno emanato note con cui hanno comunicato di ritenersi in regola con le richieste Bce e di avere impatti più limitati di quelli di Mps. Ma il mercato ha letto le cifre dei bilanci, non i comunicato: la più tartassata dalle vendite (a parte Mps) è stata proprio Ubi che in base ai conti al 30 settembre scorso ha anche i tassi di copertura delle “sofferenze”, i crediti inesigibili, più bassi tra i principali istituti quotati (al 51% contro una media di settore al 68%) e quindi sarebbe quella che dovrebbe accantonare di più per coprire i crediti inesigibili. La fotografia è in movimento, perché da fine settembre sono state già eseguite vendite rilevanti di crediti dubbi, ad esempio da Banco Bpm, ma queste richieste peseranno sulla redditività delle banche italiane, attuale e prospettica, che gli analisti stimano inferiore a quella media delle concorrenti europee.

Le indiscrezioni sulle richieste preliminari dell’esame Bce (gli esiti definitivi arriveranno a fine marzo) hanno rimesso in moto anche il valzer delle ipotesi su possibili aggregazioni tra istituti italiani, comprese operazioni di nazionalizzazione o interventi di acquisizioni dall’estero. Oggetti dei rumors, oltre a Mps, anche Bpm, Bper e la stessa Ubi. Quello che è certo, a oggi, è che le regole Antitrust non facilitano questi percorsi: l’impatto sulla rete degli sportelli e sui dipendenti, variabile caso per caso, sarebbe comunque pesante.

Diffamò Boldrini: sindaco della Lega pagherà 30 mila euro

Condannato per diffamazione dal tribunale di Savona il sindaco leghista di Pontivrea Matteo Camiciottoli, che nel 2017 in un post su Facebook aveva scritto: “Potremmo dare gli arresti domiciliari degli stupratori di Rimini a casa della Boldrini, magari gli mettono il sorriso”. Il riferimento era ai giovani africani arrestati per la feroce violenza sessuale su una giovane polacca sulla spiaggia della città romagnolo. Il primo cittadino ligure dovrà versare circa 30.000 tra risarcimento e spese a Boldrini e a cinque associazioni che si sono costituite parte civile, comprese “Non una di meno” e “Se non ora quando”. Camiciottoli ricorrerà in appello e ha detto di non aver chiesto scusa perché la sua era “solo una critica politica. Ritengo che per gli stupratori occorra l’ergastolo”. E conclude: “Se vuoi l’immigrazione incontrollata devi mettere in conto che possano verificarsi anche gesti come lo stupro di Rimini”. Boldrini, presente in aula, ha dichiarato: “Lo faccio per la mia dignità, per mia figlia e per tutte le figlie d’Italia”. Ha poi aggiunto: “Io non ho mai parlato di porte aperte, è una mistificazione. Chi entra illegalmente sul territorio senza permesso di soggiorno va espulso”.

Ricconi e alti prelati Usa, la cassaforte sovranista

Lunedì sera, Guglielmo Picchi ha cenato a New York con Steve Bannon e alcuni miliardari americani. L’evento si inserisce in un tour che il sottosegretario agli Esteri leghista sta facendo negli States per preparare la visita di Matteo Salvini, a fine febbraio. Ma anche all’interno di un “nuovo corso” che mette insieme politica americana e movimenti nella Chiesa anti Papa- Francesco. D’altra parte il cardinale Raymond Leo Burke, legato all’ex guru di Trump, è tra i capofila di quella parte di Chiesa critica verso tutte le aperture e le riforme di Bergoglio. In America, la cosa sta montando da mesi: tanto è vero che una serie di Diocesi conservatrici hanno deciso di non dare l’obolo al Vaticano, ma di destinarlo ad altri. Tra questi, anche Bannon.

Già qualche mese fa Legatus, un’associazione di uomini d’affari creata nel 1987 da Thomas Monaghan, il fondatore della catena Domino’s Pizza, ha congelato in un fondo le donazioni annuali dei suoi affiliati anziché inviarle a Roma come in passato, dopo il dossier Viganò (che chiede le dimissioni del Papa).

Ma la rete si allarga. Alcuni di questi fondi arrivano direttamente in Italia, ovvero alla Certosa di Trisulti, sede della Fondazione Dignitatis Humanae, che si pone come punto di riferimento del sovranismo europeo, con tanto di scuola di formazione. “Abbiamo dei miliardari americani che ci finanziano. Ma no, mi dispiace, non posso dire i nomi”, conferma il presidente Benjamin Harnwell.

Tornando alla cena americana, dunque, Picchi tesse le reti non solo politiche, ma anche economiche con gli Stati Uniti. Tanto è vero che nel suo tour sta facendo incontri sia istituzionali che non. Tra gli incontri quelli con i think tank, come l’Heritage Foundation, il Center for New American Security e l’Atlantic Council; con Rudy Giuliani, ex sindaco di New York e capo degli avvocati personali del presidente Trump; con David Tessler, vice direttore dell’ufficio di pianificazione politica del dipartimento di Stato di Mike Pompeo, e curatore anche delle questioni connesse all’Iran; incontri al Pentagono; con il senatore repubblicano, Wicker. E poi, c’è stata la cena con i rappresentanti della Lockheed Martin, l’azienda dell’avio-spazio che produce gli F-35 e con gli investitori di Wall Street. Picchi è arrivato in America il 13 e riparte il 17.

Salvini in America arriverà a fine febbraio al Cpac 2019, la grande convention annuale dei conservatori americani (Conservative political action conference). Al Gaylord National Resort in Maryland, dovrebbe pure Trump. Incontrarlo è il vero obiettivo del ministro dell’Interno.

Quella di Picchi è una missione individuale: il viaggio se l’è pagato da solo. Tanto per confermare che alla Farnesina ci sono due linee: quella ufficiale di Moavero Milanesi e quella parallela, che porta avanti il Sottosegretario.

Intanto, a fine gennaio, è atteso negli Stati Uniti anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria.

Indagine sul socio di Renzi sr. “Il pm rifiutò di inviare gli atti”

Dal Comune alla Procura di Trani. Ha solo cambiato casa il sistema corruttivo nella città pugliese, come documenta l’indagine sui due magistrati tranesi – Michele Nardi e Antonio Savasta – arrestati due giorni fa con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Mazzette che giravano nelle stanze di alcuni magistrati dal 2014 a tempi più recenti, fino all’agosto scorso nel caso di Nardi. Tutto comincia quattro anni fa, quando un’imponente operazione giudiziaria denominata “Sistema Trani” mette fine all’amministrazione dell’allora sindaco, Luigi Riserbato, arrestato (e poi scarcerato) con l’accusa successivamente caduta di associazione per delinquere, e oggi sotto processo per altri reati quali corruzione, abuso d’ufficio, turbativa d’asta e disastro ambientale. Era il dicembre 2014 e in città la presenza del Tribunale pareva rappresentare l’anticorpo civico istituzionale a difesa della legalità.

E così mentre i carabinieri entravano in Comune, un ulteriore gruppo associativo a delinquere, formato da giudici, un poliziotto, due avvocati e alcuni imprenditori truccavano le carte giudiziarie a suon di mazzette, diamanti, orologi, auto. Insomma mentre il Tribunale si mostrava pubblicamente come il presidio del bene civico, c’era chi agiva da Roma ma con base operativa a Trani nella convinzione che “la magistratura è una setta massonica demoniaca”. Sono le parole usate dal magistrato Nardi mentre parla al telefono con una donna. E lo stesso pm che ha incassato l’ultima tangente dall’imprenditore Antonio D’Introno – il quale ha deciso di rivelare tutto alla magistratura leccese – in un bar di Trani davanti casa sua questa estate, il 18 agosto 2018. E secondo le prove registrate da D’Introno, è l’altro magistrato Antonio Savasta, a novembre del 2018 a suggerire all’imprenditore coratino, che rivorrebbe indietro i soldi delle mazzette, di scappare all’estero e aspettare che le indagini di Lecce si svuotino in accuse lievi con prove inconsistenti.

Savasta è lo stesso che, secondo quanto emerge dalle carte della procura di Lecce, favoriva l’imprenditore toscano ora interdetto su disposizione dei magistrati salentini, Luigi Dagostino, ex socio di Tiziano Renzi (estraneo all’inchiesta), padre dell’ex premier. Come utilità, tra le altre cose, otteneva un incontro, avvenuto il 7 giugno 2015, a Palazzo Chigi con l’allora sottosegretario Luca Lotti. Come racconta Dagostino ai pm, fu lui che fissò “tramite Tiziano Renzi un appuntamento, dicendogli che volevo portare un magistrato che aveva interesse a mostrare una proposta di legge”. Secondo le accuse quindi, “nonostante le sollecitazioni della Finanza – è scritto nell’ordinanza – Savasta non procede nei confronti di Dagostino, omettendo sia di iscriverlo che di trasmettere gli atti a Firenze”. Che l’imprenditore fosse stato in rapporti con Tiziano Renzi il pm lo sapeva. Lo racconta Carmelo Salamone, finanziere che ha condotto le indagini.

Sentito il 23 aprile 2018, Salamone spiega ai magistrati di aver appreso proprio da alcuni articoli pubblicati su Il Fatto notizie su Dagostino: “Agli inizi di dicembre del 2015 appresi stampando un articolo de Il Fatto del 19 settembre 2015 che Tiziano Renzi era interessato, insieme a Luigi Dagostino, ad aprire un The Mall a Fasano e quindi inquadrai meglio la figura di questo imprenditore. Lessi anche dalla rassegna stampa del Comando Generale un altro articolo che parlava sia di Tiziano Renzi che delle società toscane che avevamo individuato come utilizzatrici delle false fatture tra cui Nikila e Mecenate. (…) Andai a parlare con Savasta nel dicembre 2015/gennaio 2016, gli portai gli articoli, che lui lesse, ma non cambiò idea e disse che non intendeva inviare la notizia di reato alla Procura di Firenze per uso di fatture false”.