Mancano le manette ma c’è Cesare Battisti che scende dall’aereo circondato dagli uomini della polizia, Cesare Battisti sottoposto al rito delle impronte digitali, Cesare Battisti trattenuto per le braccia, Cesare Battisti un po’ smarrito quando capisce che dopo la foto con i poliziotti che l’hanno arrestato gli tocca anche quella con i poliziotti penitenziari che lo prendono in consegna. L’ansia di inseguire Matteo Salvini sui social ha fatto un brutto scherzo al ministro della Giustizia. Alfonso Bonafede, peraltro avvocato, ha postato lunedì sera, poco prima che lo facesse lunedì sera, un video un po’ trash, immagini e colonna sonora, parla solo lui dallo squallido panchetto montato a Ciampino per dire che “Battisti sconterà la pena dell’ergastolo”. Titolo: “Il racconto di una giornata che difficilmente dimenticheremo!” Salvini resta in un angolo. Il resto è l’umiliazione del condannato, l’esibizione del trofeo umano catturato in Bolivia, la gogna pubblica, l’inno alla certezza della pena contro la certezza del diritto alla dignità che come è ovvio vale anche per le persone private della libertà. Come era prevedibile, lo scivolone del Guardasigilli non è passato inosservato sui social dove l’hanno subissato di critiche anche feroci. La prossima volta ci penserà due volte.
Oggi i politici esultano, ieri abbracciavano Lula
Oggi esultano i politici di ogni colore: Cesare Battisti è stato assicurato alle patrie galere, un fatto che restituisce lustro all’intera Repubblica italiana. Ma prima, quando toccava a loro, l’estradizione di Battisti restava al massimo una promessa elettorale. Massimo D’Alema, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Silvio Berlusconi: ognuno, a modo suo, ha coltivato un rapporto più che cordiale con l’ex presidente brasiliano Lula, l’uomo che ostacolava la consegna dell’ex terrorista (o con la sua erede Dilma Rousseff). A distanza di anni se ne rammarica (con una lettera alla Stampa) anche Giorgio Napolitano: “Ricordo le mie iniziative di protesta e di sollecitazione nei rapporti con il presidente Lula – scrive l’emerito –. Ottenni da lui in tal senso un netto impegno, che tuttavia non mantenne”.
Si indaga sui soldi e sul primo viaggio dell’ex Pac in Bolivia
Dopo l’arresto di Cesare Battisti, il punto è capire come e quando l’ex latitante dei Pac (Proletari armati per il comunismo), già condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi, sia potuto arrivare in Bolivia.
Ripartiamo dalla città di Santa Cruz dove Battisti è stato bloccato. Qui l’ex primula rossa era arrivato circa due mesi fa. “A noi – spiega una prima fonte dell’intelligence – risulta che Battisti abbia fatto un primo viaggio in Bolivia”. Probabilmente, è il ragionamento, per pianificare la latitanza. Era il dicembre scorso. Luogo di destinazione, sempre Santa Cruz. Dalle analisi tecniche risulta che il terrorista sia arrivato in Bolivia già a metà di novembre, il giorno esatto è il 16. Da lì fino al 5 dicembre, Battisti resta a Santa Cruz e con buona probabilità nello stesso alberghetto dove ha passato le ultime notti prima della cattura.
Da qui si riparte. Battisti, infatti, dal 5 dicembre scompare dai radar dell’intelligence per ricomparire il giorno della cattura. Cosa abbia fatto, chi abbia visto resta un buco nero. Non è escluso che dalla Bolivia non si sia mai mosso. Si sa che il 18 dicembre invia al governo boliviano una richiesta di asilo politico, il 26 dicembre gli viene rigettata “quindi non c’è stata una vera valutazione”, spiega al Fatto il giornalista boliviano Pablo Stefanoni. “La legge dice che il richiedente deve essere informato e quindi potersi appellare, come ha fatto notare anche il difensore del popolo”, aggiunge il giornalista che spiega: “Sembra che tutto sia stato deciso in anticipo, forse Bolsonaro e Morales ne hanno parlato alla cerimonia di insediamento del presidente brasiliano il 1° gennaio a Brasilia”.
Dagli atti investigativi risulta che il cellulare di Battisti ha agganciato la rete wi-fi dell’area attorno all’aeroporto di La Paz. Un dato che trae in inganno rispetto al mezzo usato per la fuga. Battisti, infatti, non utilizza l’aereo pur possedendo un documento falso. “In Bolivia – spiega una seconda fonte – entra in modo del tutto clandestino”. Dunque in macchina, passando il confine in un punto poco sorvegliato. L’elemento è ritenuto importante per tracciare la rete di fiancheggiatori. Lo vedremo. Ora conviene tornare ai primi mesi del 2018. “In quel periodo già chiediamo alla polizia brasiliana di fare un’annotazione sugli spostamenti di Battisti”, annotazione che “non arriverà mai”. Si arriva poi alle elezioni con gli annunci del futuro presidente Bolsonaro. La febbre sale a dicembre. Si attende la decisione del Tribunale federale. Il 13 dicembre, il magistrato Luiz Fux conferma l’ordine d’arresto e il 14 l’ormai ex presidente del Brasile Michel Temer firma l’ordine di estradizione verso l’Italia. Ancora prima, il 12 dicembre, gli investigatori italiani sono già in Brasile. Sono stati avvertiti di una decisione favorevole, ma quando arrivano all’indirizzo di Battisti, lui è già uccel di bosco. La sua presenza in Bolivia dal 16 novembre sarà ricostruita a posteriori.
La notizia della fuga arriva il 13 dicembre, circa un mese dopo il suo arrivo a Santa Cruz e senza che la polizia brasiliana si accorga di nulla, nonostante le sollecitazioni italiane. Chi sa che sta in Bolivia? Un buon indizio, ci spiega la prima fonte, è un precedente, ovvero l’arresto dell’ottobre 2017 al confine tra Bolivia e Brasile. Qui Battisti viene fermato e accusato di esportazione illegale di valuta, circa 5 mila dollari. In particolare oggi ciò che interessa sono le triangolazioni di soldi che hanno foraggiato l’ultima latitanza. Indicazione che fa il match con la presunta rete di fiancheggiatori. Rete al momento indefinita. Numeri precisi non ve ne sono. Ma senza dubbio, la ricostruzione partirà dal 16 novembre scorso, data in cui Battisti arriva in Bolivia. Più indietro non si andrà. Da quel momento la Procura di Milano procederà con le iscrizioni se vi saranno elementi concreti.
“I garantisti scordano le vittime Battisti? Normale rivendicarlo”
Èstato riportato in Italia Cesare Battisti, dopo una latitanza durata 37 anni. È una vittoria per la giustizia italiana? “Diciamo che la giustizia ha fatto il suo corso”, risponde Piercamillo Davigo. “Fatico a capire chi dice che siccome è passato tanto tempo bisogna lasciar perdere. È passato tanto tempo perché quel latitante era riuscito a non farsi prendere”.
C’erano due ministri ad aspettare Battisti all’aeroporto. L’accoglienza poteva essere più sobria?
Un ministro è a capo di una branca della Pubblica amministrazione. È normale che rivendichi i meriti dell’amministrazione che dirige. Poi le forme con cui manifesta la sua soddisfazione non sta a me giudicarle.
Una giornalista, Annalisa Chirico, ha invitato all’evento dei “garantisti” politici di destra e di sinistra, e anche alcuni magistrati.
In Italia c’è libertà di manifestazione del pensiero, dunque anche di andare a eventi di questo tipo. Ma mi sono sempre meravigliato di quelli che si dicono garantisti e sono attentissimi ai diritti degli imputati, ma niente affatto a quelli delle vittime di reati.
Un emendamento al decreto Anticorruzione trasforma alcune forme di peculato in un più blando reato di “indebita percezione di fondi statali”. È stato chiamato “salva Rixi” perché potrebbe salvare il viceministro leghista Edoardo Rixi.
Non parlo di processi in corso.
La cosiddetta Spazzacorrotti invece è legge.
Nella nuova legge sulla corruzione ci sono alcune misure positive e altre invece inutili. Positivi gli aumenti dei minimi delle pene e soprattutto il diritto premiale, cioè gli sconti di pena per chi collabora. Le due cose sono collegate, perché gli sconti di pena sono utili solo se l’alternativa è una condanna a pene da eseguire. Se la previsione è di avere pene tali da non mandarti in carcere, perché avrai la sospensione condizionale o l’affidamento ai servizi sociali, perché mai uno dovrebbe collaborare?
Cambiata anche la prescrizione, che in futuro dovrebbe essere sospesa dopo la sentenza di primo grado.
Tutti quelli che ora criticano la modifica della prescrizione fanno finta di dimenticarsi che ce l’hanno chiesta per anni, forse decenni, tutte le organizzazioni sovranazionali: la Corte di giustizia dell’Ue, l’Ocse, il Greco, gruppo contro la corruzione del Consiglio d’Europa… Ora raccontano che sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado sarebbe una violazione dei diritti umani. Ma solo l’Italia e la Grecia hanno un sistema di prescrizione che azzera migliaia di processi: allora l’Italia è l’unico Paese che rispetta i diritti umani e tutti gli altri sono dei selvaggi?
Le misure inutili?
Il cosiddetto Daspo. Perché prevedere l’interdizione dei corrotti dai rapporti con le pubbliche amministrazioni non serve: se lo si fa per le persone fisiche, metteranno dei prestanome; se lo si fa per le società, cambieranno le società. A meno che non si introducano reati di intestazione fittizia, ma allora il rischio che si dovranno fare migliaia di processi per intestazione fittizia. E questo diventa un problema per gli uffici giudiziari.
Lei indica questo come il grande male della giustizia italiana.
Sì. In Italia abbiamo un numero di processi che non è gestibile con questo codice e con le risorse della giustizia oggi. Bisogna scegliere una volta per tutte: o si riduce drasticamente il numero dei processi, delle fattispecie penali, oppure bisogna cambiare i riti processuali. Quando è stato varato il nuovo codice di procedura penale, la speranza che funzionasse era legata al fatto che la maggior parte degli imputati scegliesse riti alternativi. Cosa che non è avvenuta, tranne per i reati gravissimi, dove la riduzione della pena di un terzo rende conveniente la scelta del rito abbreviato. Ma nella maggior parte dei casi: perché uno dovrebbe patteggiare, se tanto porta a casa la prescrizione, o comunque in carcere non ci andrà perché avrà l’affidamento ai servizi sociali?
Cosa fare per ridurre i processi?
Innanzitutto depenalizzare massicciamente. In secondo luogo modificare quasi del tutto i riti processuali. Io per esempio abolirei il giudizio abbreviato sostituendolo con il patteggiamento per tutti i reati, preceduto però da una dichiarazione di colpevolezza, come si fa nei Paesi dove c’è questo istituto, perché la libertà personale non è un diritto disponibile: uno può patteggiare se è colpevole, altrimenti se si considera la libertà personale un diritto disponibile, uno potrebbe vendersi come schiavo, cosa che non può esistere.
Sono stati ampliati i limiti della legittima difesa.
Intanto non è vero che c’è un problema sicurezza in Italia. Nel 2017 abbiamo avuto il più basso numero di omicidi volontari nella storia italiana: 397. Poi oltre metà di questi omicidi avvengono in contesto famigliare o parentale. Dunque scopriamo che almeno dal punto di vista statistico è più pericoloso stare in casa che uscire. Fatico a capire come, da una parte, siano state approvate leggi che rendono difficile adottare misure cautelari in carcere, dall’altra si aumenti la possibilità di reagire a chi venga in casa a rubare. Non è più ragionevole tenere le persone pericolose in carcere, piuttosto che lasciarle fuori e poi dire ai cittadini: se vuoi, sparagli? Quando hanno unificato la Germania, hanno applicato all’Est le leggi dell’Ovest. Così hanno condannato per omicidio i capi della polizia popolare che avevano dato ordine di sparare a chi saltava il Muro di Berlino. Questi hanno fatto ricorso alla Corte di Strasburgo sostenendo che la legge penale non poteva essere applicata retroattivamente. Ricorsi respinti, perché la convenzione europea dei diritti dell’uomo vieta la retroattività in materia penale, ma dice che questo non impedirà la punizione di fatti che sono considerati crimini dalle leggi dei Paesi civili, come sparare su persone disarmate in fuga. Questa vale anche per noi: se una persona sta fuggendo e se è disarmata e in fuga, vuol dire che non c’è alcuna aggressione in corso. La difesa è legittima in quanto è difesa; se uno sta scappando, non è più difesa.
Grillo si difende: “A Oxford nessun insulto agli italiani”
Non c’è stato “alcun insulto verso gli italiani” a Oxford. Il giorno dopo lo speech alla prestigiosa Università inglese, concluso con una dura contestazione da parte degli studenti, Beppe Grillo smentisce di aver offeso i ragazzi presenti in sala: ”Non ho attaccato nessuno. Nessun insulto”, ha detto ieri il garante del Movimento 5 Stelle intervenendo a Stasera Italia, su Retequattro. Grillo giudica dunque in maniera positiva l’incontro alla Oxford Union: “Bellissima, era pienissimo. Ci siamo scambiati delle disinformazioni che loro hanno su di noi e noi che abbiamo su di loro. Penso di aver dato una buona impressione”. Due giorni fa Grillo aveva parlato per circa un’ora di fronte agli studenti, che lo avevano incalzato soprattutto sul rapporto tra politica e scienza e sull’alleanza del Movimento 5 Stelle con la Lega. E proprio dell’alleanza gialloverde Grillo è tornato a parlare ieri su Retequattro, ribadendo in parte lo stesso concetto espresso a Oxford: “Con Matteo Salvini io non ho rapporti. Non sono più il capo politico. Ho rapporti solo con elevati, essendo l’elevato”.
A quell’incontro non si doveva andare
Quando in serata contattiamo Federico Cafiero De Raho per sapere se sia andato alla serata organizzata dall’associazione Fino a prova contraria di Annalisa Chirico, la risposta ci giunge come una boccata di aria fresca: “Non mi è sembrato opportuno partecipare a un incontro che veniva presentato come un convegno ma che di fatto si risolveva in una cena in cui si pagava 6 mila euro a tavolo”.
Il Procuratore Nazionale Antimafia dice una cosa semplice, persino banale. Eppure quelle parole diventano rivoluzionarie se confrontate con il comportamento meno netto dei colleghi procuratori invitati alla cena di ieri sera. Alcuni non si sono fatte troppe domande e hanno partecipato al meeting con gli imprenditori e i politici di area berlusconian-salvinian-renziana per discutere della giustizia migliore per le imprese. Altri hanno fatto un passo indietro all’ultimo momento presentando giusticazioni imbarazzate sulle ragioni del forfait.
La serata prevedeva talk tematici e la creazione di gruppi di studio finalizzati a proporre riforme per la giustizia. Gli ospiti imprenditori erano del calibro di Marco Tronchetti Provera o Luca di Montezemolo. C’erano poi alcuni ex membri del Governo Berlusconi come Giulio Tremonti e Gianni Letta, editori come Luca De Michelis. Anche sul versante magistrati però l’associazione schierava pesi massimi: oltre a Cafiero de Raho sulla locandina figuravano il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, di Napoli, Giovanni Melillo, di Catanzaro, Nicola Gratteri e di Firenze, Giuseppe Creazzo. Più il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio e il presidente del Consiglio di Stato Patroni Griffi nonché il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. Il sito internet spiegava che i comuni partecipanti avrebbero dovuto prenotare al prezzo di 6000 euro per ogni tavolo da dieci persone.
Ieri abbiamo scritto un post sul sito del Fatto per consigliare ai pm che risultavano sulla locandina di non partecipare a un evento finanziato da privati che pagano 600 euro a coperto. Era comprensibile perché un imprenditore fosse disponibile a pagare per cenare con un politico e un procuratore. Ci sembrava inspiegabile invece che un magistrato accettasse di fare da comparsa in un simile contesto. L’adesione diventava ancora più imbarazzante vista la presenza di ‘special guest’ come il vicepremier Matteo Salvini. Sulla locandina c’erano anche la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e il vicepresidente renziano del Csm, David Ermini, che hanno declinato.
Le modalità di finanziamento della cena e la trasparenza dei paganti non dovrebbero essere un dettaglio trascurabile per un pm. Eppure il procuratore Federico Cafiero de Raho è stato l’unico a darci una risposta all’altezza del suo ruolo. Altri procuratori ci hanno detto di avere avuto una malattia o un impegno.
Paolo Ielo, dopo avere dato la sua adesione alla cena-evento ha preferito dare forfait. Se avesse partecipato avrebbe potuto incrociare Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd indagato per finanziamento illecito proprio dallo stesso pm Ielo per il pagamento di 150 mila euro ricevuto da Parnasi nel 2018 dalla Fondazione Eyu per uno studio. Non solo. Sulla locandina oltre al nome di Ielo c’era anche quello di Adrio De Carolis, il membro di Eyu che ha firmato il bilancio della fondazione Dem per il 2017. Alla fine sono andati alla cena solo il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, quello di Catanzaro, Nicola Gratteri, e quello di Bologna, Giuseppe Amato. “Mi si nota di più se non vado o se vado?”. La scena di Ecce Bombo torna utile per descrivere il dilemma dei procuratori italiani ieri sera.
Sconcerto di Bonafede: “Perché Salvini e Bongiorno vanno lì?”
Di buon mattino il ministro della Giustizia consulta la rassegna stampa. Si aspetta e cerca la pioggia di articoli su Cesare Battisti, ma poi si imbatte nel pezzo di Repubblica sulla cena a Roma sulla giustizia con magistrati, imprenditori, renziani vari e due ministri della Lega, Matteo Salvini e Giulia Bongiorno. E rimane sorpreso, anzi “stupito”.
È lo sconcerto del Guardasigilli Alfonso Bonafede, il numero due dei Cinque Stelle. I coinquilini di governo del Carroccio, tra i quali con il passare delle ore monta l’irritazione per la serata di Fino a prova contraria. Tanto che nel pomeriggio su Facebook batte un colpo Alessandro Di Battista, l’uomo su cui i 5Stelle puntano quasi tutto nella partita vitale delle Europee: “Ma Salvini che ci va a fare a una cena da ancien régime insieme alle Boschi, ai Letta, ai Lotti e ai Carrai? Oltretutto certi sono soggetti come i fili della luce… Salvini, sono serate da Malagò (il presidente del Coni, ndr), torna in te!”.
E in serata il capo del Carroccio gli risponde, proprio entrando al ristorante La Lanterna: “Perché dovrei stare lontano da Nordio, dalla Severino, da Cairo? Il mio dovere è incontrare e ascoltare tutti, non sono lì per la Boschi. Il 90 per cento di giudici e avvocati fa bene il proprio lavoro e vogliono fare ancora meglio e quindi è mio dovere esserci”. Ed è duello, già da campagna elettorale. L’altro, evidente filo della vicenda.
Come è chiaro che Di Battista ha tradotto nero su bianco i cattivi pensieri dentro il Movimento. “Sono i vecchi poteri che si ritrovano, quelli che temono la legge spazzacorrotti e la riforma della prescrizione” riassumono. E colpisce anche quell’hashtag, #innomedelPil. Un messaggio indiretto sul Tav, è l’impressione. E comunque il nodo politico resta la presenza di Salvini “a un raduno di garantisti”, come lo definisce in mattinata Maria Elena Boschi, l’icona del renzismo. Per di più accompagnato dalla ministra della Pubblica amministrazione Bongiorno, la leghista che ha posto più volte l’aut aut agli alleati: “La riforma della prescrizione è inscindibile da quella del processo penale”. Ergo, secondo il Carroccio va assolutamente realizzata entro il gennaio 2020, quando entrerà in vigore la “nuova” prescrizione. Un collegamento che il Movimento ha sempre negato. E allora è naturale che la presenza dell’ex legale di Giulio Andreotti alla serata romana accenda ansie e sospetti. Così si torna a Bonafede, che ieri fa visita al carcere di San Vittore a Milano. Ma con i collaboratori commenta ugualmente la cena prevista in serata, a cui non è stato invitato (“qui al ministero non è arrivato nulla”) e di cui, giurano, non sapeva. Perché ai suoi il ministro manifesta “lo stupore” per la presenza di Salvini e Bongiorno.
E dà la sua linea: “È sempre meglio tenersi molto lontano da certi salotti romani, sono quanto di più lontano dal cambiamento”. Insomma, Bonafede marca la distanza. E a sostegno da via Arenula sibilano: “È bizzarro discutere di riforma della giustizia senza il ministro competente: forse non si parlerà proprio di giustizia…”. Per questo si muove Di Battista, nei fatti l’anti-Salvini. Che infatti risponde e rivendica: “Se vado ad ascoltare degli imprenditori dove c’è anche Renzi divento renziano? Allora se vedo Milan-Inter con i nerazzurri divento dell’Inter? Bizzarro”. Mentre Bonafede non cerca i colleghi del Carroccio. Perché un altro sospetto è che quella dei leghisti sia una piccola provocazione, inscenata per ottenere reazioni furibonde. Così il Movimento sceglie di far reagire in via ufficiale solo Di Battista: il big ora più in vista, certo, ma senza responsabilità di governo. Perché è meglio schivare il più possibile polemiche tra ministri, è la consegna dettata da tempo da Di Maio, che con il capo del Carroccio non vorrebbe discutere mai.
Al punto da esagerare ieri a Di Martedì: “In otto mesi non ho mai litigato né con Salvini né con Conte”. Però resta il fastidio, per la mossa dei dirimpettai. Garantisti e conviviali, ed è lo sberleffo perfetto, agli alleati: da contratto.
Stavolta il Moige è di famiglia
Nel decennio scorso li avevamo lasciati alle prese con le dissolute immagini trasmesse dalla tv: dai Simpson a Sailor Moon fino allo spot delle patatine affidato – apriti cielo – al Rocco nazionale (allora era Siffredi, non Casalino). Ma i tempi cambiano e quelli del Moige, il Movimento italiano genitori, non si fanno certo cogliere impreparati. Così rieccoli nel 2019: la solita sorprendente teoria per cui gli adolescenti “trasgrediscono con alcol, fumo, e porno”, ovviamente amplificata dalle infinite possibilità offerte dal web. Eppure, una novità c’è: stavolta, il Moige, è benedetto nientemeno che dal ministro per la Famiglia, quel Lorenzo Fontana che abbiamo imparato da subito a conoscere per la sua frase sulle unioni arcobaleno che “non esistono”. Ieri al Senato ha officiato il convegno del Moige, che ha presentato il suo dossier sui prodotti illegali a cui i minori italiani hanno liberamente accesso (alcol, sigarette, gioco d’azzardo). Insieme a lui, l’organizzatrice di cene eleganti Licia Ronzulli. A Villa Certosa, però, andava sempre insieme al marito, ha ripetuto più volte ai magistrati che l’hanno poi archiviata. La famiglia prima di tutto. Il Moige può stare tranquillo.
Tavoli a 6 mila euro, solo Tronchetti paga
Pasteggiare senza eccedere con l’eleganza – era richiesto un abbigliamento smart casual – ai piani alti di un palazzo nel centro storico di Roma, la Lanterna disegnata dall’architetto Fuksas; meditare con garantismo e scrupolo – senza annoiare con i tecnicismi – sui tempi della giustizia: così l’associazione “Fino a prova contraria”, fondata e presieduta dalla giornalista Annalisa Chirico, ieri sera, ha radunato politici, magistrati, imprenditori. Oltre alle numerose defezioni dell’ultimo momento, restano i tavoli in stile matrimonio con dieci posti ciascuno al prezzo di 6.000 euro.
Il tema (o il teorema) era sempiterno: giustizia rapida, imprese efficienti, Italia in crescita. Luca Cordero di Montezemolo ricorda che all’epoca di Confindustria interpellò mezzo mondo: “Chiesi agli ambasciatori di Cina, Russia, Giappone e Stati Uniti quale fosse l’ostacolo agli investimenti e mi dissero che le leggi complesse e i processi infiniti sono un problema serio dell’Italia”. Montezemolo ha partecipato per sé, invitato semplice, non finanzia e corregge le tesi dei giornali: “La politica non c’entra. Io assisto e taccio, magari conosco qualcuno. Sono andato per ragionare su un argomento fondamentale per gli imprenditori”. Il generoso Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli, ha prenotato un tavolo. L’ex ministro Paola Severino, avvocato di aziende molto grosse e spesso pubbliche, ha tenuto un discorso: “Il mio era un contributo intellettuale per una giustizia sana per i cittadini e per le imprese. Non mi intrometto in faccende politiche o in equilibri di governo”.
Il presidente Vincenzo Boccia rappresentava Confindustria per testimoniare l’esigenza di usufruire di una “giustizia veloce, certa, chiara”. Neanche Boccia ha saldato il “conto”. Come Urbano Cairo, che ha smentito di aver fermato uno o più tavoli: il proprietario di Torino, Rcs, La7 era un ospite tra gli ospiti di Chirico.
I renziani Maria Elena Boschi e il tesoriere Francesco Bonifazi hanno negato l’approccio al salvinismo per la prossimità con il ministro dell’Interno, pare alloggiato a un tavolo distante e però a portata di sguardo, e poi hanno precisato che il coperto era regolarmente pagato con una donazione all’associazione.
Il Carroccio ha schierato tre ministri: il capitano Salvini, il più tampinato senz’altro, Lorenzo Fontana (Famiglia) e Giulia Bongiorno (Funzione Pubblica). A differenza dei renziani, e qui va ampliato il catalogo dell’incompatibilità tra i due gruppi, Salvini non ha pagato.
Adrio Maria De Carolis, capo di Swg, ha realizzato un sondaggio per supportare il dibattito: “I processi sono troppi lenti, gli imprenditori bocciano la legge Spazzacorrotti”.
Un antipasto è trapelato sui quotidiani, ma il vero studio è stato servito con la cena. Dunque De Carolis, dispensato da ulteriori contributi, era ospite di Chirico. Luca De Michelis, editore con Marsilio e componente dell’associazione, era assente. Come ai matrimoni, si esagera sempre con i tavoli.
Giustizia & Affari: a cena l’inciucio Lega, Pd e pm
La cornice è molto chic: la Lanterna di Fuksas, la terrazza in vetro e acciaio che domina via del Corso e i tetti di Roma. Il sogno visionario è quello di Annalisa Chirico, firma iper garantista del Foglio: far incontrare i reduci del renzismo con Matteo Salvini, insieme ai pezzi grossi dell’establishment italiano, dall’impreditoria alla magistratura. Tutti a cena: un frugale convivio da 6mila euro a tavolo, 600 euro a coperto.
Organizza l’associazione della giornalista “Fino a prova contraria”, con un modesto obiettivo (“Una nuova giustizia”) e uno slogan arrembante (“Più giustizia, più crescita, in nome del Pil”).
Più che un evento, è una profezia politica: collegare i puntini che uniscono il Pd e la Lega (dal Tav in giù), mescolarli a un po’ d’industria italiana e alle star di procure e tribunali. Con una tesi di fondo: la lentezza dei processi è il primo freno allo sviluppo economico. Insomma: fare rete, come direbbe qualcuno. Tenendo insieme tutto quello che separa Lega e Cinque Stelle.
Il risultato è per certi versi notevole. Ai tavoli della Chirico siedono, in ordine sparso, Matteo Salvini (con i suoi ministri Bongiorno e Fontana), i renziani Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi, il berlusconiano Giorgio Mulè. C’è il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e uno stuolo di imprenditori vip: Montezemolo, Tronchetti Provera, Briatore, Cairo e pure Lotito. Ci sono gli immancabili Gianni Letta e Giovanni Malagò. E poi i veri protagonisti, nomi di prestigio delle procure e dei tribunali: Nicola Gratteri (Catanzaro), Francesco Lo Voi (Palermo), Giuseppe Amato (Bologna), Carlo Nordio (ex aggiunto a Venezia).
Un aperitivo alle 19 e 30, poi il convegno sulla giustizia, la cena (risotto e pesce) e la musica lirica dal vivo.
Introduce l’ex Guardasigilli Paola Severino e chiarisce subito lo spirito della serata: “Io sono iscritta al partito di chi ama costruire invece di demolire”. Ai Cinque Stelle fischiano le orecchie: quello “del fare” è i partito degli altri. Di chi vuole le grandi opere. Di chi vuole una giustizia rapida e i processi con una data di inizio e di conclusione (alla faccia della riforma della prescrizione del grillino Bonafede).
Il fulcro di questo improbabile equilibrio – dal Pd a Salvini – è la figura eccentrica di Annalisa Chirico. Amica personale tanto di Renzi quanto del “capitano” leghista, ex compagna di Chicco Testa, paparazzata di recente sullo yacht di Montezemolo, paladina della magistratura garantista.
Il suo piano riesce fino a un certo punto: molti degli ospiti annunciati preferiscono rinunciare, sentendo odore di polemica politica. Disertano il procuratore di Roma Paolo Ielo, quello di Napoli Giovanni Melillo e quello di Firenze Giuseppe Creazzo; il vicepresidente del Csm David Ermini, il presidente del consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi e il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho (che al Fatto dice: “Non mi sembrava opportuno sedere a un tavolo da 6mila euro”). Saltano anche ospiti politici, come Marco Minniti e soprattutto l’iper renziano Marco Carrai. Salvini e Boschi ci sono, ma negano ogni addebito. L’ex ministra: “Siamo agli antipodi rispetto alla Lega, che ha scoperto il garantismo solo oggi”. Il “capitano” – seduto al tavolo nobile della Chirico, con Bongiorno, Fontana, Severino, Nordio, Gratteri, Lo Voi e Paolo di Benedetto – replica: “Dove c’è Renzi non ci sono io, e non sono certo qui per la Boschi, ma per ascoltare magistrati, avvocati e imprenditori”. Sarà come dice lui, ma gli alleati di governo non hanno affatto apprezzato.