Proscrizione, vizio antico che colpì anche Cicerone

“Ottaviano, divenuto potente e ottenuto il consolato, lasciò perdere Cicerone e divenne amico di Antonio e Lepido: unì le sue forze con le loro e con loro divise il massimo potere. Così furono proscritti più di 200 uomini che si volevano mandare a morte. Grandissima discussione provocò l’iscrizione di Cicerone nelle liste: Antonio asseriva che non ci sarebbero stati patti se prima non fosse morto l’oratore; Lepido si schierò con Antonio mentre Ottaviano era contrario. Si dice che Ottaviano abbia difeso Cicerone per due giorni e abbia poi ceduto al terzo. Il baratto fu concordato così: Ottaviano abbandonava Cicerone, Lepido suo fratello Paolo, Antonio cedeva Lucio Cesare, che era suo zio. L’ira e la furia a tal punto annebbiarono i loro sentimenti che essi diedero a vedere che nessuna bestia è più feroce dell’uomo che abbia la possibilità di dare armi al proprio risentimento”. Così Plutarco, nella biografia di Cicerone (46.2-6), raccontava i giorni delle liste di proscrizione redatte dai triumviri Antonio, Lepido e Ottaviano, liste dettate da odio politico e risentimenti personali.

Niente di così grave, naturalmente, eppure il recente caso della raccolta di informazioni sugli orientamenti politici del Consiglio superiore della sanità ha suscitato sbigottimento. Sebbene siano subito giunte le smentite della ministra, resta il fatto che quando nelle stanze di un ministero si confezionano dossier e schede personali, delle rassicurazioni interessa poco: resta l’inquieto sapore di un vizio antico del potere, segno di un pericoloso autoritarismo, ancor più se praticato nei confronti di scienziati. Vertigine della lista, avrebbe esclamato Umberto Eco.

Aggiungi un posto in scatola

Nel silenzio di questi giorni freddi mi sveglia un lamento. La gatta del condominio ha partorito qualche giorno fa, sei micetti bianchi e rosa con gli occhietti di cielo, abbatuffolati in fondo a una scatola piena di coperte. Che sia lei o uno di loro? Mi precipito in pigiama nel sottoscala e sbircio nella cuccia, li sta allattando in un incanto di coccole e calore. Bene, ma allora chi è che piange? Continuo a sentirlo. Vado fuori e sotto la mia finestra c’è un gattino esile, tremante, che miagola di freddo e di fame. Annusa in giro, cerca di orientarsi, sembra cieco e ha una zampetta offesa. Qualcuno o qualcosa l’hanno destinato all’addiaccio e agli stenti, forse perché è malato, forse perché è brutto e arruffato. Lo prendo tra le dita e provo a scaldarlo, si calma un attimo, ma ricomincia a gemere. Idea! Lo porto davanti alla scatola. Vediamo che succede. La gatta guizza fuori come un fulmine, lo annusa e si precipita di nuovo dalle sue creature. Mannaggia. Ma poi torna fuori, lo annusa di nuovo, si guarda intorno come a considerare il da farsi, e poi, miracolo, lo prende con la bocca per il pelo del collo e se lo porta dentro. Evviva! Guardo di nuovo nella cuccia, la gatta ha messo il micetto vagabondo tra i suoi più fortunati. Lo lecca dappertutto e lui si è già attaccato a una delle sue tette libere. Una macchia nerastra con un pelo ruvido. Un intruso, uno straniero, un diverso, un disgraziato. Dopo qualche giorno il micetto è diventato morbido, vaporoso, pulito e paffuto come gli altri. Esattamente come loro, con un diverso colore. Gli animali ci ammaestrano talvolta, e nella mia esperienza quasi sempre! Accoglienza, accettazione, benvenuto. C’è spazio sufficiente anche in una scatola, e trovare una tetta libera non è una questione di risorse, ma semplicemente di carità, e di civiltà!

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Vergine, concentrati di più in ufficio. Pesci: regalati ottanta rose rosse

 

ARIETE – Nel Catalogo dei libri naufragati (Bollati Boringhieri) Edward Wilson-Lee parla di Colombo e altre navigazioni: “La storia dello stretto disegnato sulla carta sembra fosse un bluff”. In ufficio ti hanno rifilato un documento fallace: sarà difficile che tu riesca a concludere l’affare.

 

TORO – “La libertà che predicate è troppo semplice, caro mio, per usarla come forchettina da lumache”. L’Ubu incatenato di Alfred Jarry (Gallucci) è svitato, ma la sa lunga: la buona notizia, però, è che hai finalmente la possibilità di troncare un rapporto non libero.

 

GEMELLI – Preparati a un Gennaio di sangue, sentenzia Alan Parks (Bompiani): “Lo conosco da anni. Ha lavorato in bordelli e bar illegali per metà della sua vita. È sempre stato in mezzo alle ragazze. Mi sembra strano che di colpo impazzisca per una tipa”. Ebbene sì, impazzirai d’amor, ma non è grave.

 

CANCRO – “Lui mi ignorò. Era un momento di non ritorno. Per la sua dignità e per il suo amore”: l’Ana Macarena di Daniele Semeraro (Castelvecchi) si trova nella tua stessa situazione. Lascia andare l’amico: tanto tornerà.

 

LEONE – Spiega Davide Grasso (Agenzia X): “Daesh non combatte mai quando entra nelle città: entra in centri ormai disertati dalle forze rivali e combatte solo quando viene attaccato”. Hai un’ultima chance di raccogliere Il fiore del deserto: disarmati e dichiarati.

 

VERGINE – “Lei vorrebbe fare la ballerina, e pure bisogna dire che non sa ballare”, e infatti si ritrova a battere il marciapiede, racconta Alberto Schiavone (Guanda). Scordati anche tu ogni Dolcissima abitudine : sul lavoro concentrati su progetti piccoli, ma realizzabili.

 

BILANCIA – Vi consiglia Luca Ricci (La nave di Teseo): Trascurate Milano, ma pure le amanti sparse in giro per l’Italia. “La smania di riprendere a importunarla cresce a dismisura. Non capisco più niente, ed è esattamente quello che voglio”: prima di sbattere contro il muro dei sensi, procacciatevi un buon airbag.

 

SCORPIONE – “Più gli riusciva di mettere una distanza tra sé e le cose del mondo, più sentiva di meritare ammirazione e stima”: sforzati di tener fuori Il rumore del mondo come Benedetta Cibrario (Mondadori). Solo così ritroverai la giusta lucidità in azienda.

 

SAGITTARIO – Annota Alessandro Perissinotto a zonzo per Parigi lato ferrovia (Laterza): “Il demi-monde è popolato di donne che vivono di seduzione, cioè di favori sessuali, ma anche di conversazioni brillanti”. Stai alla larga dalle seduttive compagnie, colleghe incluse.

 

CAPRICORNO – In Terrore e terrorismo (Einaudi), Francesco Benigno sostiene che “l’attentato politico si presta in modo particolare alle pratiche di manipolazione”. Non che tu corra il rischio di essere gambizzato, ma manipolato sì, e da un amico a te molto caro e vicino.

 

ACQUARIO – Sogni e favole sono a portata di mano, almeno se dai retta a Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie) e imiti “un poeta, un pittore, un regista: esseri umani investiti da una vocazione, la cui vita non è un pettegolezzo, ma una storia vissuta fino ai limiti dell’umano”. Crea!

 

PESCI – “Ovunque fosse andata, avrebbe potuto sempre contare sul proprio coraggio. Quello non ti abbandona, resta con te anche alla fine del mondo”: tu non meriti Ottanta rose mezz’ora, come la prostituta di Cristiano Cavina (Marcos y Marcos), ma molto, molto di più. Fatti un mazzo.

Facce di casta

 

Bocciati

Se il pescatore potesse parlare
Matteo Salvini si professa da sempre grande fan di Fabrizio De Andrè. Il ventennale della morte del cantautore genovese era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsi sfuggire un post, e così il Capitano ha twittato: ”’All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore…’ Ciao Fabrizio, grazie poeta!”. Data l’evidente discrasia tra l’inclinazione comportamentale del ministro dell’Interno e il mondo cantato da De André, le ironie della rete si sono sprecate. Ma un utente ha colpito in particolar modo nel segno, limitandosi a commentare con il seguito della stessa canzone: “Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno, non si guardò neppure intorno ma versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete, ho fame”. In effetti non c’è bisogno di aggiungere molto altro.

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Promossi

Caro Pd, per te la pacchia è finita
Michele Emiliano, intervistato ad “Un giorno da Pecora” su Radio Uno, ha ribadito ancora una volta quell’ipotesi alla quale nei giorni peggiori del governo gialloverde, magari di fronte all’ennesimo “La pacchia è finita”, tornano a rivolgersi i nostri più segreti pensieri: “L’accordo per un governo col Movimento 5 Stelle? Avremmo raddoppiato i voti, ci saremmo rilanciati. Ma la gestione orribile del Partito democratico, con l’Io del precedente leader, che mi pare si chiamasse Valdermort (un personaggio di Harry Potter, ndr), ha procurato danni incalcolabili”. Purtroppo infatti quell’accordo non c’è mai stato e l’unico per cui la pacchia è davvero finita è stato il Partito democratico.

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Twitter, occhio alle avvertenze
Se la comunicazione mediatica è ormai l’ingrediente principale di ogni piatto politico, al punto da condizionare l’ascesa di un leader o il destino di un gruppo, tutto ciò che contribuisce a sviluppare una riflessione maggiormente accurata sull’utilizzo dei social e sulle implicazioni che ne conseguono è un’opportunità preziosa. Robert Habeck, leader nazionale dei Verdi tedeschi, dopo essere incappato in un paio di errori comunicativi dettati dall’impulsività da social, quella foga che muove le dita di molti sulla tastiera in cerca di affermazioni roboanti che catturino i like e l’attenzione, ha deciso di capitolare e di chiudere il suo profilo Twitter. “Twitter mi fa scattare qualcosa: sono più aggressivo, polemico, stridulo ed estremo, il tutto con una velocità che non lascia spazio alla riflessione. Evidentemente non sono immunizzato contro questa deriva”, ha spiegato Habeck: un mea culpa che potrebbe essere esteso a buona parte dei leader politici contemporanei, che di social feriscono e periscono quotidianamente. In molti hanno obiettato al redento mediatico che sottrarsi al dibattito, e i social ormai sono uno dei contesti in cui esso ha maggiormente luogo, non è nelle facoltà di un politico che ambisca a governare un Paese. Argomento tutt’altro che trascurabile, certo. Eppure lo spunto che questa autocritica fornisce al dibattito non può che apparirci un’ottima occasione.

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Deca, corto, tiepido ma non troppo: Dio salvi i baristi

“Salve, un caffè. Grazie”. “Normale?”. “Scusi, per favore, un caffè”. “Normale?” “Potrei avere un caffè?”. “Normale?”. Allora poi ti capita di pensare di essere non proprio normale se bevi sempre un caffè, un tradizionale espresso, in una tazzina con un po’ di zucchero. Perché il barista ti interroga con premura, chiede una, due, tre volte aspettando la risposta con apprensione e pronto a miscelare liquidi e pozioni. Così nell’epoca dell’esigenza (delle pretese) e delle stravaganze diffuse pure nei bar d’Italia, ci sentiamo vicini ai baristi che ogni giorno provano a tradurre le ordinazioni degli avventori.

Per un po’ di tempo, il gentile Antonio Galati del bar Linari di Testaccio a Roma s’è appuntato tutti i desideri con o senza caffeina e con o senza lattosio dei clienti. “Caffè lungo, caffè leggermente lungo, caffè un po’ ristretto, caffè ristretto, caffè né lungo né ristretto, caffè macchiato tiepido, caffè macchiato senza schiuma, caffè macchiato caldo, caffè macchiato freddo, caffè macchiato con soia tiepido, caffè macchiato con soia bollente, caffè macchiato soia fredda, caffè schiumato soia, caffè macchiato caldo in tazza bollente, caffè schiumato freddo, caffè schiumato senza latte, caffè macchiato con latte senza lattosio freddo, caffè macchiato con latte senza lattosio caldo, caffè macchiato con latte senza lattosio tiepido, caffè schiumato con latte senza lattosio, caffè ristretto al vetro e schiumato con latte senza lattosio, caffè decaffeinato schiumato con soia, caffè decaffeinato macchiato con soia, caffè decaffeinato macchiato con latte freddo senza lattosio, caffè ristretto macchiato fino all’orlo della tazzina, caffè lungo macchiato fino all’orlo della tazzina, caffè ristretto in tazza grande, caffè lungo in tazza grande, caffè in tazza grande macchiato schiumato, caffè in tazza grande macchiato freddo, caffè in tazza grande macchiato con latte senza lattosio, caffè in tazza grande schiumato con latte senza lattosio, caffè in tazza grande macchiato con latte freddo senza lattosio, caffè in tazza grande schiumato con soia, caffè in tazza grande macchiato con latte freddo di soia, caffè in tazza grande macchiato tiepido, caffè in tazza grande con acqua calda a parte, caffè in tazza grande con acqua freddo a parte, caffè americano ristretto macchiato freddo, caffè americano ristretto macchiato caldo, caffè americano schiumato, caffè americano schiumato con latte senza lattosio, caffè americano schiumato con soia, caffè con una punta di latte caldo, caffè con una punta di latte freddo, caffè con una punta di latte tiepido, caffè con una punta di latte bollente senza schiuma, caffè d’orzo macchiato caldo, caffè d’orzo macchiato freddo, caffè d’orzo macchiato tiepido, caffè d’orzo macchiato con soia, caffè d’orzo macchiato con latte senza lattosio, caffè d’orzo ristretto con la schiuma di latte di soia a parte, caffè non pressato, caffè appena schiumato con soia, caffè appena schiumato con latte senza lattosio, caffè in tazza bollente con acqua fredda a parte”. Ok, per me un bicchiere d’acqua di sola acqua.

La Settimana Incom

 

Nc

No star
“Oggi Celentano, De Andrè, Vasco, Jovanotti, Dalla, non uscirebbero. Abbiamo fatto cambiare mestiere ai futuri Celentano e Vasco”. Così Red Ronnie è intervenuto durante “Non è l’arena” in un dibattito con Mara Maionchi. La giudice di X Factor ha replicato piccata: “Perché non trovi qualcuno e ce lo porti?”. Però il vecchio Red un po’ di ragione ce l’ha.

 

Sanremo 69
Si avvicina il Festival di Sanremo (dal 5 al 9 febbraio) e Claudio Baglioni, nella tradizionale conferenza stampa di presentazione, si cambia il soprannome (da dittatore artistico a dirottatore artistico): “Il 69 richiama la sincronicità (e voi che pensate al Kamasutra vergognatevi, ndr), lo Yin e lo Yang, l’avvicinamento degli opposti. Sanremo 69 deve essere il Festival dell’Armonia in un momento in cui l’armonia in Italia non c’è. Ho sempre pensato che gli artisti facessero battaglie sociali per farsi perdonare il successo, ma ora è diverso”. Momento Censis: “Il Paese è incattivito, guarda con sospetto anche la propria ombra, non sa che direzione prendere, è confuso”. Ma è Baglioni o De Rita? Sulla Sea watch: “Se non fosse drammatica la situazione di oggi, ci sarebbe da ridere. Ci sono milioni di persone in movimento, non si può pensare di risolvere il problema evitando lo sbarco di 40-50 persone, siamo un po’ alla farsa”. Questo Sanremo ne vedremo delle belle, specie se i vertici Rai entrano in fibrillazione per un artista che dice la sua opinione e contemporaneamente una semplice verità.

 

Ogni scarrafone
“Non perdonerò mai Angelina per quello che ha fatto a mio figlio, soprattutto perché ha rovinato anche la vita dei miei nipoti”. Parola di mamma Pitt. “Brad è stato manipolato, è stato trattato in modo crudele. Mi ha implorato più volte di salire su un aereo per parlare con Angelina. Ma lei non vuole sentire ragioni, non riesce a capire i suoi errori.
Non la biasimo, ha reso un vero inferno la vita di Brad”.

 

Promossi

Caso Howard
Nel senso di Elisabeth Jane, modella, attrice, moglie di Kingsley Amis, e superba scrittrice. Vabbè, siamo in ritardo mostruoso, è stata un caso editoriale qualche anno fa. Ma se non avete letto la saga dei Cazalet, rimediate. E se l’avete letto, fate come noi: ascoltate l’audiolibro letto da una strepitosa Valentina Carnelutti.

 

Checco sono
Checco Zalone a Roccaraso durante le sue vacanze invernali a Roccaraso è rimasto impantanato nella neve con la macchina. Pronto intervento immediato per disincagliare la macchina: nella task force è intervenuto anche il primo cittadino Francesco Di Donato, con cui Zalone si è lasciato andare ad un siparietto irresistibile: “Io sono un tipo da Cortina”. Purtroppo non da Sanremo, dove non lo vedremo.

Come distruggere un uomo: recuperare un fine-lavori sul web

Ero là da due giorni. Caffè e uova al cucchiaio, che rinvigoriscono. Sulle uova zietta mi ci spreme il limone, rende meno faticosa la deglutizione. La mia cara zietta, 88 anni. Ci tengo. Fu lei a bloccare mio padre che voleva sciogliermi nell’acido quando disegnai il mio primo fumetto, una storia di cavalli e indiani, sulla carta da parati, i cavalli scala 1:1. Sentire zietta piangere mi è insopportabile, sono corso subito da lei.

Glielo regalai io, il pc. Qualcosina ci fa, le foto dei nipoti, siti osteopatici. Poi ha cercato di ottenere un documento catastale dal sito di Roma Capitale. Un tramezzo spostato in bagno, l’amministratore la tampina per il fine-lavori, col bastardo me la vedrò dopo.

Mi sono immerso alla ricerca del fine-lavori perduto. Dall’1/1/2019 non si può più fare un accesso tradizionale (username e password) ma si accede solo se muniti di Spid. Da vero cretino ho chiesto a zietta se per caso avesse uno Spid, ottenendo nuovi fiotti di lacrime. Chiedendomi che cazzo fosse ’sto Spid (una droga chimica?) ho scoperto che è un documento di identità digitale. Ok, Roma Capitale, adesso tu mi dici come rimedio un bello Spid per far tornare il sorriso a zietta! “Ok coglione – ha risposto Roma Capitale – ora tu fornisci mail, cellulare, carta di identità e codice fiscale”. Serrato interrogatorio a zietta che tra i lucciconi riesce a fornirmi tutto. Ecco a te, Roma Capitale! Adesso partoriscimi ’sto fine-lavori delle mie palle! “Sta a sentire, scemo – risponde acida la schermata – devi inviare tutto non a me ma a uno dei 9 Identity Provider, ah! ah!”, (giuro, ha riso). E che sono gli Identity Provider? “Semplice, cretinetto, lo trovi nella modalità Cie o Cns e scegli in base al livello di sicurezza Spid”.

“Ma se lo Spid non ce l’ho, come cazzo faccio a sapere quanto è sicuro?”, ho urlato. “Guarda i 9 Identity Provider qua sotto, c’e tutto, se sai leggere e non hai il Q.I. di un acaro”. Guardo: Aruba, Poste Italia, Tim e altre sigle sconosciute, tutti Identity Provider lì per sedurmi. Non ci ho capito più niente, ma non per la rabbia, proprio perché non ci ho più capito niente. Un fine-lavori, solo un cazzo di fine-lavori.

Ho pianto anch’io, abbracciato a zietta sul divano, la tessera sanitaria in mano. Un altro uovo al cucchiaio e l’idea. Posso accedere con i miei dati! Vado! Username, la mia mail! Fatto! La password… e chi se la ricorda. Zia guaisce, mentre io imposto “crea nuova password” con un dolore ai testicoli nuovo di zecca. Mi manderanno il link sulla mail, col link posso creare la password, con la password potrò accedere… a niente. Dice “codice errato”. Provo 36 indirizzi mail compreso quello dell’idraulico, hai visto mai. Niente.

Sarà il geometra del terzo piano, lui col Comune ci lavora, a chiarire che come User non va la mail ma il Codice Fiscale. E allora perché non ci scrivono “Codice Fiscale”!? “Non è colpa del Comune, ma dello Stato – risponde sbadigliando il geometra, sono le 4 del mattino – sperano che ci muoiano abbastanza anziani, hanno problemi con le pensioni”. Ora zietta ha il suo fine-lavori. Io vado a farlo ingoiare all’amministratore, con qualcuno mi devo sfogare. Con Roma Capitale da chi vado?

Diritti, lavoro e mafia: il Prof e il partigiano in lotta per la Carta

La deferenza filiale. Che stupendo e contagioso sentimento. Specialmente se pieno, oltre che di affetto, di ammirazione. Ebbene, io qui vi canterò questo sentimento, incontrato in una serata di antifascismo e di Costituzione. Il suo interprete è un professore calabrese in pensione dal 2007, di nome Umberto Ursetta. Il suo oggetto è il presidente emerito dell’Anpi Carlo Smuraglia. Il teatro è Vimodrone, comune della provincia milanese. L’occasione, la presentazione di un libro dello stesso Smuraglia sulla Costituzione, alla cui difesa l’autore ha dedicato con passione più di un decennio, inanellando – benché “ormai anziano” – due clamorose vittorie: il referendum del 2006 e quello, giocato in condizioni quasi disperate, del 2016.

Ursetta ha insegnato storia per una vita. Nativo di Sorbo San Basile, paese, come lui dice, “in estinzione”, giunse dalla Sila a Milano ai tempi di Piazza Fontana. Cercò prima la Bocconi, essendo allora gli studi di economia e commercio gli unici consentiti ai diplomati degli istituti tecnici. Ma la liberalizzazione ottenuta dal Sessantotto gli fece subito cambiare idea. Se ne andò così a Scienze Politiche, dove nel ribollire di quegli anni ebbe proprio Smuraglia come professore. Con lui scoprì il diritto, e in particolare il diritto del lavoro, giusto nel periodo in cui nasceva lo Statuto dei lavoratori. Ne divenne allievo entusiasta, tanto che fu quella la materia della sua tesi di laurea. Tanto che avrebbe dedicato ai diritti dei lavoratori parte del suo insegnamento, sempre condotto in istituti sperimentali (“ed è stata la mia fortuna”).

Per questo ora che ospita Smuraglia, nella propria veste di presidente dell’Anpi di Vimodrone, lo accoglie come se ne fosse un figlio. Lui che va verso i settanta, Smuraglia oltre i novanta. Salgono uno dietro l’altro le scale della villetta silenziosa dove ha casa la famiglia Ursetta. Davanti sta il presidente emerito e icona dell’Anpi, suo antico professore, dietro sta l’allievo riconoscente. Il primo sale i gradini senza difficoltà, il secondo gli tiene il braccio premurosamente, “attenzione professore” nelle zone senza luce.

In casa la famiglia attende il grande evento della cena col professore prima del dibattito. La signora Ursetta, colori normanni ma anche lei paese della Sila – sono dovuti venire a Milano per conoscersi –, e i due figli adulti. Tutto viene offerto con generosità mediterranea. Cucina calabrese, “ma attenzione, bisogna sempre distinguere tra il semplice calabrese e il calabrese fatto in casa”.

È così che emerge la storia dello Smuraglia seguito fin dai banchi dell’università, e si capisce il segreto di quella devozione: l’Anpi e i referendum sono solo una aggiunta di fronte all’antico affetto dello studente venuto un giorno da lontano a imparare i diritti dei più deboli. E nel tinello riempito di prezioso rispetto emerge anche la storia di Ursetta, che già conoscevo per i suoi studi sulle lotte contadine, in particolare per un bel libro sul processo, chiuso con la classica insufficienza di prove, per l’assassinio del sindacalista siciliano Salvatore Carnevale.

Racconta i suoi tanti anni da insegnante, terminati con un lungo periodo a Cernusco sul Naviglio. Racconta le sue ricerche sulle lotte contadine in Calabria, e soprattutto su come vennero represse. Si commuove al ricordo di Giuditta, contadina uccisa agli ordini di un agrario durante l’occupazione di un fondo, si indigna al racconto delle motivazioni con cui i magistrati regalavano impunità agli assassini, la storia delle armi che per effetto di una caduta casualmente sparavano e implacabilmente colpivano. Contadini senza diritti in una terra che ora lui vuole descrivere in un prossimo libro attraverso le figure più coraggiose dell’antimafia.

Un rapido e silenzioso cenno alla signora, perché prima di uscire gli ospiti ricevano in regalo il salame “calabrese fatto in casa”, e poi (“attento professore”) si va al dibattito.

Nella sala consiliare, davanti a più di cento persone, Umberto Ursetta presenta il libro di Smuraglia che parla di “Costituzione nel cuore”. Ma presenta soprattutto e direi solo l’autore, e si capisce che non finirebbe mai di farlo. Si capisce che sta restituendo, a lui e a se stesso, qualcosa che arriva da lontano. Nato quando il suo accento parlava di Calabria più di oggi. Quanti sentimenti ben riposti ci portiamo dentro per una vita. Poi, quando li riscopriamo, tutto si affolla in una nuova luce. “E ora la parola al professor Smuraglia”.

Miracoli della moda vintage: “Io, amante di libri e film vecchi, mi sento meno sola”

 

Cara Selvaggia, a giugno compio vent’anni e il mio vissuto, per colpa di moltissimi coetanei che ho conosciuto nel frattempo, è il seguente: una vita di prese per il culo perché mi piacevano i vecchi, la musica vecchia, i film vecchi, l’arte, i libri, lo studio, la filosofia, le passeggiate, la politica, la stagione invernale, i cappotti marroni. Per un lungo periodo ho odiato le mie passioni, mi sarebbe tanto piaciuto avere qualcuno con cui condividerle ma era praticamente impossibile trovare un quattordicenne (o giù di lì) simile a me, nei posti che frequentavo. Guardavo le facce dei Beatles sui poster appesi in camera mia e pensavo: “Ma perché mi piacete proprio voi? Perché non Fedez? Perché non Emis Killa?”. Li guardavo, i Beatles, implorandoli di usare una macchina del tempo per tornare indietro e di scrivere le canzoni della Pausini. Di non passare alla storia, di non produrre quei capolavori che mi hanno reso impossibile l’adolescenza. Pomeriggi interi chiusa in casa ad ascoltare roba che, secondo voi coetanei, ascoltavo solo io. Innumerevoli volte al cinema da sola perché a nessuno di mia conoscenza interessavano gli stessi film. Io a vedere film indie, voi Spiderman. A ricreazione spesso rimanevo seduta a leggere, ad informarmi su quello che mi piaceva, per conto mio. Per voi ero diversa, ero noiosa. Ero strana, ero vecchia. Ci ho sofferto per anni. Fortunatamente poi col tempo non ci ho fatto più caso, anzi, ho cominciato quasi a considerare la mia vecchiaia precoce come un punto di forza. Poi, a un certo punto, vi vedo cambiare rotta. Perché cambiare rotta fa figo. Perché c’è il ritorno del vintage. Adesso vi fate le foto coi vinili, nelle librerie, nei musei, nei mercatini vintage, postate su internet foto in bianco e nero di gente che non sapete neanche chi cazzo sia, adesso vi piacciono le band antiche. E, sì esatto, proprio quelle per cui mi dicevate: “Oh basta dai, ma ‘sta roba la ascolti solo tu”. Le cose che fate per sentirvi così originali e alternativi oggi sono le stesse che qualche annetto fa vi facevano schifo. Vi piacciono i Queen, perfino, grazie a Bohemian Rapsody, il filmetto sciapo su Freddie Mercury giusto per quelli come voi che seguono le mode e non il talento. Insomma, su, mi prendevate in giro perché mi piacevano, anche esteticamente, vari cantanti e attori per voi inguardabili e santo cielo, fino all’altro ieri sbavavate ancora sui ragazzini con i baffetti da sviluppo puberale e oggi sbavate sulle foto di Roger Taylor quarant’anni fa, ma ce la fate? Ipocriti. Il massimo è quando vi comportate come se tutto questo vi piacesse da sempre. Quanto mi date fastidio. E quanto godo, nel silenzio della mia cameretta col poster dei Beatles. Perché io già lo sapevo, ma adesso, perbacco lo sapete pure voi: avevo ragione io.

Martina

 

Martina, hai il mio affetto e la mia solidarietà e hai ragione tu, è vero, ma se a 18 anni dici “perbacco”, fattelo dire: hanno ragione anche un po’ loro.

 

Stare in buoni rapporti con gli ex ricchi è più facile

Cara Selvaggia, ho letto il tuo articolo su Alessia Marcuzzi in vacanza col suo nuovo marito, il suo ex e la nuova moglie del suo ex. Ho letto anche che sarebbe una moda seguita da molti vip evidentemente capaci, al contrario di noi mortali, di rimanere amici e complici dopo una separazione. Bene, bella notizia. Peccato che la spiegazione sia meno romantica delle apparenze: hanno i soldi. Facile così, Selvaggia cara. Se io fossi stata ricca, dieci anni fa, quando dopo il tradimento di mio marito ho dovuto avviare le pratiche per il divorzio, mi sarei risparmiata anni di tribunali in cui incrociare la sua faccia da stronzo. E la faccia piena di botox e risentimento di lei. Credimi, se non fossi stata povera e non avessi dovuto lottare per tenermi almeno un tetto sotto il quale vivere con nostra figlia, io me ne sarei fregata della sua elemosina. Gli avrei lasciato i suoi spicci e mi sarei rifatta una vita con una leggerezza che forse sì, a quel punto mi avrebbe anche concesso tregua e voglia di perdonare. Invece, anni di battaglie legali ci hanno incattiviti e resi nemici, pure con grande dispiacere di nostra figlia. Noi le Maldive, le vacanze con gli ex non ce le siamo proprio potuti permettere. Non per assenza di buona volontà o di umanità, ma di denaro.

Rossana

 

La tesi mi convince poco, cara Rossana. Penso a quanti divorzi milionari sono sfociati in battaglie legali e ripicche andate avanti anni. Facciamo così: vediamo come va il divorzio (annunciato in questi giorni) di Jeff Besoz, ovvero Ceo di Amazon e uomo più ricco del mondo, e sua moglie. Ho come la sensazione che questa volta, a colpi di avvocati, il pacco più grosso spetterà a Mrs Amazon. E che lo spargimento di sangue sarà copioso.

 

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La lisergica banca (d’investimenti) dello Stato di Bengodi: il caso Carige

Dalla grandinata di bellicose dichiarazioni politiche sulla vicenda del salvataggio di Carige, spicca la persistente suggestione a creare una “banca d’investimento dello stato”, in grado di “prestare ad imprese e cittadini”. Magari attraverso la fusione con Mps. A parte gli ovvi vincoli di realtà, prima che imposti dalla Commissione Ue, come il fatto che l’aggregazione tra due entità fragili non produce una banca forte, colpisce l’approccio alla creazione di questo bengodi di Stato.

Del surreale progetto si era già avuta eco in occasione della presentazione del nuovo piano industriale triennale di Cassa Depositi e Prestiti, il mese scorso. In quella circostanza il vicepremier Luigi Di Maio aveva dichiarato che ruolo della Cdp sarebbe divenuto quello di assistere le imprese e aiutare i piccoli risparmiatori “quando le banche private non saranno disponibili a erogare crediti e strumenti di aiuto e agevolazione”. Premesso che nessuna banca di promozione e sviluppo nazionale in Europa “aiuta i piccoli risparmiatori” (qualunque cosa ciò significhi), messa in questi termini pare che l’ipotetica banca pubblica che subentri o affianchi Cdp presterebbe soldi anche a chi ha scarse probabilità di restituirli. In pratica, dopo la povertà verrebbe sconfitto anche il rischio di credito. Le cose stanno in termini assai meno esaltanti, invece: Mps deve essere restituita al mercato entro il 2021, operazione che ad oggi appare problematica, mentre Carige inizia solo ora la via crucis che potrebbe portare alla sua nazionalizzazione temporanea, ammesso che la Commissione Ue consideri sistemica la banca genovese. Anche l’altro “vasto programma” dei pentastellati, quello che vorrebbe la separazione tra banche commerciali e quelle d’investimento, è un assoluto non sequitur. In Italia nessuna banca è finita in dissesto per impropria commistione tra operazioni finanziarie in conto proprio e in conto terzi. Non solo, ma non ha alcun senso reiterare che “ci si batterà in Europa” per far passare questa separazione, che è di stretta pertinenza delle norme nazionali, e potrebbe essere realizzata in tempi brevi, se solo vi fosse volontà politica. Ma soprattutto, se si sostituissero gli slogan pop con analisi della realtà.

A proposito di quest’ultima, mentre Carige potrà godere della garanzia pubblica per un importo massimo di 3 miliardi, che “casualmente” sono quelli dei finanziamenti della Bce a tasso stracciato (in scadenza il prossimo anno ma i cui effetti si sentiranno già nel 2019), la domanda s’impone, lievemente angosciante: che faranno tutte le altre banche italiane, alle prese con la stessa scadenza di decine di miliardi di prestiti Bce, visto che ricorrere ai mercati è diventato proibitivamente costoso a causa dello spread sovrano italiano? Ebbene no: il rischio di credito è tutt’altro che morto. Soprattutto in Italia.