La “catturandi” dei tesori spariti contro Getty&C.

È una “grande caccia”. Da una parte le migliaia di opere d’arte sottratte al nostro Paese: rubate durante le guerre, saccheggiate da criminali, mafiosi e lestofanti, trafficate da mercanti senza scrupoli. Dall’altra chi si è dedicato e si dedica al loro recupero, come fosse una “missione”. “Ci auguriamo che nel corso di quest’anno possa essere finalmente restituito alle Gallerie degli Uffizi di Firenze il celebre Vaso di Fiori del pittore olandese Jan van Huysum, rubato da soldati nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale”, ha detto all’inizio dell’anno il direttore Eric Schmidt rivolgendosi alla Germania. Quella tela è una delle opere sfuggite al lavoro di Rodolfo Siviero e dei suoi collaboratori. Personaggio da film, Siviero: critico d’arte, spia del regime fascista, durante gli anni del conflitto mette dipinti, statue e altri beni culturali italiani al riparo dall’opera di saccheggio condotta da Hermann Göring per conto di Adolf Hitler e poi dall’esercito tedesco. La sua figura è meno nota dei Monuments men statunitensi a cui George Clooney ha dedicato un film.

Le gesta di Siviero, come quelle dei soprintendenti Pasquale Rotondi ed Emilio Lavagnino, sono invece rimaste nell’ombra, conosciute soprattutto da storici e appassionati. Così come restano spesso nell’ombra le azioni degli uomini che oggi sono impegnati in questa battaglia di recupero di opere d’arte trafugate dai nazisti, rubate da ladri (e magari finite in mano ai boss), oppure di reperti archeologici di grande valore, scavati di nascosto dai tombaroli, passati a intermediari e mercanti, finiti ad arricchire le collezioni di musei o di privati. Si tratta di persone come Nicola Candido, tenente colonnello che comanda il reparto operativo del nucleo “Tutela patrimonio culturale” dei carabinieri. Questo nucleo guidato dal generale Fabrizio Parrulli, composto da trecento militari dell’Arma suddivisi in quindici nuclei territoriali, è stato nato il 3 maggio di cinquant’anni fa, pochi mesi prima di un furto d’arte ancora irrisolto, quello della Natività dipinta da Caravaggio ed esposta all’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Sono specializzati nelle indagini su furti e traffici di opere d’arte e reperti archeologici, ma anche sul mercato dei falsi. Uno degli strumenti del “Tpc” è la banca dati: “Ci risultano 2.434 beni trafugati nel periodo della Seconda guerra mondiale”, spiega il tenente colonnello Candido. Tra quelle c’è la Testa di fauno, un marmo scolpito da Michelangelo, custodito al museo del Bargello e rubata nel 1944. In altri casi, invece, i carabinieri hanno raggiunto un obiettivo: “Nel corso degli ultimi anni abbiamo recuperato 42 opere”. Ad esempio nell’aprile 2016 sono stati sequestrate a due collezionisti milanesi tre tele che i nazisti avevano rubato alla famiglia ebrea Borbone-Parma a Camaiore: una “Madonna con Bambino”, attribuita a Cima da Conegliano, una “Trinità”, attribuita ad Alesso Baldovinetti e una “Circoncisione e presentazione di Gesù al Tempio” di Girolamo Dai Libri. Molte altre vanno ancora ritrovate: “Ne abbiamo localizzate 15. Ora sono in corso indagini”. A occuparsi di queste attività stragiudiziali è il comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali, un organo del ministero della Cultura. Ne fanno parte, oltre al generale Parrulli, anche il capo del gabinetto del ministero, Tiziana Coccoluto, magistrato di Roma, e Lorenzo D’Ascia, avvocato dello Stato e oggi capo ufficio legislativo del Mibac che nel 2014 ha preso il testimone di Maurizio Fiorilli, suo collega che ha seguito molti casi: come il recupero di opere acquistate dal J. Paul Getty Museum, ultimo in ordine di tempo il caso dell’Atleta di Lisippo, una statua ritrovata nel 1964 da alcuni pescatori al largo di Fano, ceduta a dei ricettatori, esportata illecitamente in Germania e poi venduta al collezionista per la sua “Getty Villa” a Malibù.

La Cassazione all’inizio di dicembre ha confermato la confisca stabilita a giugno dal Tribunale di Pesaro. Ora la procura marchigiana sta lavorando alla rogatoria per eseguire la sentenza con l’aiuto delle autorità statunitensi. In parallelo si muoveranno anche i canali diplomatici: “Si lavorerà anche per cercare un accordo”, spiega D’Ascia. A differenza dei casi precedenti, nei quali il Getty ha restituito dei reperti dopo un prestito, questa volta il museo resiste ancora: “Se uno decide di difendersi per le vie giudiziarie poi deve accettare il verdetto. Il Getty ha avuto modo di difendersi e non può dire che non gli basta”, spiega. “Ci aspettiamo che gli Usa rispettino la sentenza”, ha affermato il ministro Alberto Bonisoli dopo la riunione straordinaria del comitato mercoledì scorso. A far ricominciare le indagini sulla statua sono stati due marchigiani, il professore Alberto Berardi e l’avvocato Tullio Tonnini insieme all’associazione “Le cento città”: “Berardi aveva recuperato un frammento dell’incrostazione del reperto e nel 2007 hanno presentato un esposto alla procura di Pesaro – spiega ora il figlio, Tristano Tonnini -. Mio padre è venuto a mancare dopo poco e da allora ho seguito tutta la vicenda”. Ci sono voluti più di dieci anni per arrivare a un risultato: “Ora aspettiamo il rientro. Spero che l’amministrazione di Fano si dia da fare”. Oltre all’Atleta di Lisippo, mercoledì il comitato ministeriale ha trattato anche la vicenda del dipinto reclamato da Schmidt, il cui recupero è più difficile perché “stiamo parlando di un’opera che in questo momento è proprietà di un privato”, ha detto Bonisoli. Sulla vicenda indaga anche la procura di Firenze.

Non è l’unica inchiesta penale finalizzata al recupero di opere sottratte dai nazisti. A Bologna il sostituto procuratore Roberto Ceroni si sta battendo affinché tornino in Italia otto tele di Tintoretto, Tiziano, Carpaccio e altri esportate da Göring e finite al Museo di Belgrado. Il Maresciallo del Reich le aveva comprate a Firenze e il “Kunstschutz”, servizio di “protezione dell’arte”, le aveva portate (come tante altre opere, libri e archivi) in Germania. Al termine del conflitto gli statunitensi si fanno ingannare da Ante Topic Mimara, falsario jugoslavo, che le porta a Belgrado come risarcimento dei danni della guerra. Da lì tornano in Italia nel 2004 per una mostra a Bologna, “Da Carpaccio a Canaletto, tesori d’arte italiana dal Museo nazionale di Belgrado”. Poi, finita l’esposizione, rientrano in Serbia. Solo nel 2014 i carabinieri del Tpc di Firenze, controllando il database delle opere rubate, si rendono conto che quelle tele sparite erano ricomparse in Italia e poi erano state rimandate a Belgrado. A quel punto il sostituto Ceroni avvia un’indagine per il reato di impiego di beni di provenienza illecita e indaga l’ex direttrice della Pinacoteca Jadranka Bentini, l’ex funzionaria dell’ufficio esportazione Armanda Pellicciari e la curatrice della mostra Rosa D’Amico. A fornire prove sulla proprietà italiana delle tele è la dottoressa Maria Liberatrice Vicentini, dagli anni Ottanta e fino al pensionamento anima dell’archivio Siviero, un ufficio del ministero degli Esteri (ora passato al Mibac) che conserva le carte raccolte dallo “007 dell’arte”. Al termine del processo Ceroni chiede l’assoluzione delle tre imputate perché mancava l’intenzione di commettere il fatto, ma vuole che si ordini la confisca dei dipinti. Così è. Il gup Gianluca Petragnani Gelosi accoglie la richiesta e ora ricomincia con una nuova rogatoria l’attività per il recupero (una prima richiesta è stata bocciata dalla magistratura serba), mentre nel frattempo il Mibac coltiva i rapporti coi colleghi di Belgrado e l’aiuto del Ministero degli Affari esteri, tramite l’ambasciata, è impegnata a “convincere” la Serbia.

Un’altra tela è l’oggetto di una recente inchiesta della Dda di Palermo. Per i carabinieri è l’opera “Most wanted” e l’Fbi statunitense l’ha inserita nelle dieci più importanti opere d’arte rubate: è appunto la “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” di Caravaggio, rubata nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo, passata dalle mani dei ladri fino ad arrivare a quelle del boss Tano Badalamenti, come sostiene l’Antimafia. A coordinare l’indagine, cinquant’anni dopo il furto, è un giovane sostituto procuratore in forza alla Distrettuale antimafia palermitana, Roberto Tartaglia e all’opera ci sono i carabinieri del nucleo “Tpc” che sulla tela di Caravaggio non hanno mai smesso di lavorare.

“La forza dei gialloverdi è il patto del Nazareno”

È il profeta della vox populi. Ha costruito la sua carriera televisiva sul cittadino medio, mettendo il microfono sotto al naso della “gente” incazzata. Ha intercettato “il buonsenso” – declinato nel cattivo senso salviniano – molto prima che il leghista diventasse capitano. Eppure Paolo Del Debbio – ultima apparizione: Quinta colonna – ha fatto perdere le sue tracce proprio nella stagione del populismo al governo. Il suo editore, Silvio Berlusconi, riteneva che lavorasse per favorire il Carroccio. Un contrappasso.

Che fine ha fatto Paolo Del Debbio?

Non ha fatto nessuna fine, non sono ancora morto (ride). A marzo torno in tv, stiamo lavorando a un programma.

Una notizia. Berlusconi quindi si è arreso: è finita l’epurazione dei “sovranisti” da Rete 4?

Eheheh, non so. Bisognerebbe chiedere più in alto. Per quanto mi riguarda, me ne sono stato zitto e buono, ad aspettare il mio turno.

Il Cavaliere si sarà accorto che l’embargo non faceva bene all’audience.

Forse. Ma vede: la mia è una televisione molto popolare e molto poco ideologica. Le categorie di giudizio dei partiti non mi appartengono. La mia nuova trasmissione sarà ancora così.

Eppure la raccontano, di volta in volta, in procinto di candidarsi con Silvio, di guidare il centrodestra, di presentarsi con Salvini in Toscana…

Ma certo. Ero berlusconiano, poi leghista, poi grillino, poi favorivo Renzi, poi quell’altro… le dirò: meglio così. Vuol dire che alla fine non sono di nessuno. E non ho mai avuto la fantasia di candidarmi, so fare un solo mestiere.

Di populista al governo ce n’è già uno. Di successo.

La forza di Salvini è il suo strabismo. Con un occhio guarda al potere. Ma con l’occhio più grande guarda al consenso. Riesce a sembrare il capo di un partito di lotta anche ora che è al governo. Un anti-palazzo nel palazzo.

Quanto può durare questo giochino? Non si vive di sola propaganda sui migranti.

Guardi che la gente non si fa solo i conti in tasca, non valuta solo la sua condizione economica. Sull’immigrazione, e su altro, Salvini è stato capace di costruire una base di senso comune con i suoi elettori.

I Cinque Stelle e Conte ora fanno asse, provano a spostare gli equilibri di forza nella maggioranza.

Conte ha guadagnato prestigio dopo la trattativa con l’Europa, che non ha condotto male. Ora conta di più, se mi passa il gioco di parole. Ma questo è potere interno. Il consenso, come le dicevo, è un’altra cosa.

I gialloverdi sono una meteora o possono durare?

Alla stampa piaccia enfatizzare le divisioni. E quelle ci sono sempre state in tutti i governi. In epoca Berlusconi, per dire, ricordo che Alemanno andava a manifestare contro Tremonti sotto al ministero dell’Economia.

Cinque Stelle e Lega sono molto diversi.

Ma hanno un grande vantaggio: l’alternativa era l’accordo tra Pd e Forza Italia… E poi sono due partiti pre-ideologici (nel senso che un’ideologia non l’hanno mai avuta). Invece di scontrarsi sulle idee, si trovano sul da farsi.

Però la Lega cresce (almeno nei sondaggi) e i Cinque Stelle no. Quanto può reggere così Di Maio?

Almeno fino alle Europee. Poi bisognerà vedere. Anche quello che fa Di Battista.

Partirà per il Congo.

Come Veltroni. A questi che dicono di andare in Africa bisogna stare attenti…

Forza Italia che fine fa?

Ah, questo non lo so. Osservo la presenza di Tajani. Non solo fisica, ma ideologica.

Un’europeista. In direzione ostinata e contraria al consenso.

Che dire, si vede che il tajanismo è la fase matura del berlusconismo. Bisogna che stiano attenti a una cosa: il messaggio di Salvini è “proteggiamo l’Italia dall’Europa”, il messaggio che rischia di arrivare da Forza Italia è “proteggiamo l’Europa dall’Italia”.

Berlusconi ha detto: “Avrei voluto un delfino, ma ho trovato solo sardine”.

Suggerirei “pesci sega”.

Bene. È Silvio stesso il responsabile del suo malinconico declino?

Berlusconi ha molte qualità, tra le quali non c’è la capacità di scegliere un successore. Per lui il quid non manca ad Alfano: manca a tutti.

E manca davvero?

È un personaggio impossibile da replicare. E poi, dicevamo, ha avuto intorno pesci sega. E anche tonni, pesci palla…

Un acquario. Della struggente solitudine di Renzi cosa pensa?

Povero Renzi. Ho l’impressione che stia decidendo cosa fare da grande. Credo voglia un lavoro che gli faccia fare un po’ di soldi: la tv, il giro di conferenze all’estero… Però è finito in un cul de sac: se smette di fare politica, lo chiamano ancora a fare le conferenze?

Potrebbe dargli un microfono e assumerlo nella sua prossima trasmissione.

Temo di fare un giornalismo che non gli si addice.

Focus: la Commissione

 

Presieduta da Stefano Rodotà, la Commissione sui Beni Pubbliciè stata istituita presso il ministero della Giustizia il 21 giugno 2007, al fine di elaborare uno “schema di legge delega per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici”. Una simile iniziativa era stata proposta già nel 2003 da un gruppo di studiosi presso il ministero dell’Economia e delle Finanze. Preliminarmente, si è proposto di innovare la stessa definizione di bene, ora contenuta nell’art. 810 Codice civile, ricomprendendovi anche le cose immateriali, le cui utilità possono essere oggetto di diritti: si pensi ai beni finanziari, o allo spettro delle frequenze. Si è prevista, anzitutto, una nuova fondamentale categoria, quella dei beni comuni, che non rientrano stricto sensu nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa, potendo appartenere non solo a persone pubbliche, ma anche a privati. Ne fanno parte, essenzialmente, le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate. Vi rientrano, altresì, i beni archeologici, culturali, ambientali.

Beni comuni, un milione di firme nel segno di Rodotà

Un ritorno al futuro nel nome di Stefano Rodotà. Potrebbe essere definito così l’ambizioso progetto del Comitato popolare in difesa dei beni comuni, sociali e sovrani, che al prestigioso giurista, scomparso nel 2017, è dedicato. Un Comitato che si è dato l’obiettivo di far rivivere uno dei lasciti più interessanti, e meno applicati, della vita politica di Rodotà, la legge istitutiva dei Beni comuni a cui lavorò nel 2007 e che nessun Parlamento ha mai sentito il bisogno nemmeno di discutere.

L’iniziativa si è dipanata lo scorso 30 novembre con un convegno all’Accademia dei Lincei di Roma, stesso giorno in cui si è costituito il Comitato che il prossimo 19 gennaio terrà l’assemblea nazionale di lancio della raccolta firme sul testo di legge di iniziativa popolare depositato in Cassazione. I promotori del Comitato sono in gran parte quelli che componevano la Commissione Rodotà a partire dal professor Ugo Mattei, vicepresidente di quell’organismo e presidente del Comitato attuale. La novità dell’iniziativa, però, sta in almeno tre mosse.

La prima è di non limitarsi, nella raccolta delle firme per la legge popolare, alle 50 mila che la legge richiede, ma di arrivare a un cifra molto superiore: un milione. L’altra idea-chiave è quella di ricalcare fedelmente, nel progetto di legge, il testo della proposta Rodotà. Terza idea, ancora più inedita, costituire una Società cooperativa ad azionariato popolare “nell’interesse dei beni comuni e delle generazioni future che costituisca una infrastruttura stabile a disposizione di tutti per le prossime battaglie” come spiega Ugo Mattei in questa conversazione con il Fatto. Senza la minima ambizione elettorale ma anche con l’auspicio che il dibattito sulla riforma degli strumenti di democrazia diretta, a partire dalle modifiche istituzionali alla legge di iniziativa popolare e al referendum stesso, possa favorire il progetto. Al di là di quell’esito, l’iniziativa ambisce comunque a reggersi sulle proprie gambe.

“Puntiamo a collocare un milione di azioni da un euro – spiega Mattei – che potranno essere sottoscritte direttamente ai banchetti di raccolta firme. Il risultato dovrebbe essere quello di avere a disposizione uno strumento concreto per ingaggiare battaglie in difesa dei beni comuni”. Non si è riusciti finora a cambiare le regole del diritto – anche se la legge di iniziativa popolare a quello punterebbe – e allora la mossa alternativa è quella di dotarsi di strumenti mutualistici e di agire direttamente. “La nostra idea è di costruire anche una piattaforma Blockchain, da utilizzare per decidere democraticamente, una testa, un voto, come impiegare il capitale raccolto”.

Il mutualismo delle origini si era mosso in questo modo, costituendo direttamente “istituzioni” alternative – allora furono le società di mutuo soccorso, le cooperative, poi i sindacati e i partiti – per agire direttamente nel campo pubblico. Al di là della proprietà comune di beni comuni Mattei definisce il progetto una “operazione costituente di democrazia diretta” che non si limita ad utilizzare gli strumenti esistenti, il referendum, ma prova a darsene di propri.

“Il referendum per l’acqua pubblica, su cui abbiamo raccolto 1,7 milioni di firme, è stato un grande evento e un grande successo ma quella partecipazione non si è sedimentata in infrastrutture democratiche”. La Società ad azionariato popolare dovrebbe servire meglio allo scopo.

Il terreno del mutualismo, anche fuori dagli schemi classici, è ormai praticato in diverse forme. Si pensi alla nave Mediterranea che, grazie a una raccolta pubblica che ha già raggiunto circa 500 mila euro, mette direttamente in pratica il monitoraggio nel mar Mediterraneo. La “fabbrica recuperata” Rimaflow, a Trezzano sul Naviglio, sta sperimentando la soluzione di una fondazione etica che le affitti i magazzini per le sue produzioni.

I Beni comuni della commissione Rodotà sono una sorta di “diritto terzo” tra la proprietà e la sovranità, cioè il pubblico. Per Beni comuni, infatti, la Commissione intendeva quelli “funzionali all’esercizio di diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”. Le risorse naturali, i fiumi, i laghi, l’aria, la fauna e la flora, i beni archeologici, culturali, ambientali. “Si tratta – aggiunge Mattei – di riconoscere soprattutto il principio della salvaguardia intergenerazionale” proteggendo i diritti futuri e ragionando sul “lungo periodo” sintonizzando il Codice civile sulla Costituzione.

Un milione di firme non sono però troppe da raccogliere? “Sì, ma occorre pesare il massimo possibile”. Per ora, come forze organizzate, ci sono l’Arci, Slow Food, Libertà e giustizia, la Federnotai ha messo a disposizione i notai per le firme, si conta su quel che resta dei comitati per l’acqua pubblica e si è avviata l’interlocuzione con i sindacati.

Ma è chiaro che l’iniziativa riuscirà se coglierà un’esigenza più ampia, politica nel senso di una partecipazione stanca delle alchimie partitiche e delle ristrettezze istituzionali delle cosiddetta Terza Repubblica. Se quindi si attiverà una reale democrazia partecipata. È quanto si spera nel Comitato promotore.

“Acqua pubblica, nessun pasticcio. M5S è No Tav: niente referendum”

Se il tempo è fatto anche di cerchi che si chiudono, Roberto Fico ne rincorre uno che è la sua storia. Perché il presidente della Camera è lo stesso militante che nel 2005 si fece fotografare accanto a un cartello: “L’acqua in questa fontana deve rimanere pubblica”. E indosso aveva un gilet giallo. Quasi 14 anni dopo, Fico attende l’approvazione a Montecitorio della legge sull’acqua pubblica, per lui “fondamentale”. E il filo rosso resta quanto disse nel discorso di insediamento: “Il mio impegno nella vita pubblica è iniziato dalla difesa del territorio e dei beni comuni”.

Il Comitato popolare in difesa dei beni comuni lancerà una raccolta di firme sulla legge di iniziativa popolare per tutelarli, pensata da Stefano Rodotà. Ma ha ancora senso parlarne, o sono termini e concetti novecenteschi, da vecchia sinistra?

Sono concetti più attuali che mai, perché i beni comuni sono essenziali per la vita e lo sviluppo dell’essere umano. E tutelarli è quanto mai urgente, in un mondo che guarda alle privatizzazioni a tutto campo, e che in nome di un certo di sviluppo economico vuole bruciare tutto.

Un mondo che va a destra?

È un sistema fondato sul consumismo esasperato e su sensazioni superficiali. È il tutto e subito del neo-liberismo.

Ma come si tutelano i beni di tutti, nei fatti?

I punti fondamentali da sviluppare sono due: innanzitutto il modello di governance, ossia come gestirli, con decisioni partecipate. E poi va definito il principio, magari mettendolo in Costituzione, secondo cui sui beni comuni non si può fare profitto, se non quello derivante da una gestione sana, da reinvestire per la collettività

I promotori del comitato vorrebbero creare “un’infrastruttura di democrazia diretta”. È la via giusta?

Per me la democrazia diretta non può sostituire quella rappresentativa. Piuttosto, penso alle due forme come vasi comunicanti. E penso che, man mano che si consultano in via diretta i cittadini, sia necessario dare loro modo di informarsi, ossia di avere la conoscenza per deliberare.

Per Davide Casaleggio, che controlla la piattaforma web del M5S Rousseau, “il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile” e presto “le Camere non saranno più necessarie”.

Credo che da qui a un prossimo futuro sia molto meglio dare ai cittadini strumenti di scelta. Parliamo di modelli di democrazia che possono integrarsi, senza pensare a una sostituzione.

M5S e Lega sembrano aver trovato un punto di caduta su un quorum del 25 per cento per il referendum propositivo. Che ne pensa?

Si sta lavorando nelle commissioni, e io da presidente della Camera rispetto questo lavoro. Mi preme che si creino strumenti di partecipazione, come assemblee di quartiere o nelle municipalità, o come il bilancio partecipativo.

Appena eletto lei disse: “La mia presidenza è legata all’approvazione della legge sull’acqua pubblica”. E a fine mese se ne discuterà alla Camera.

È fondamentale che venga approvata un’ottima legge sul tema, senza alcun compromesso al ribasso. Privatizzare l’acqua è come privatizzare l’aria: su ciò che serve per vivere non si può fare profitto.

E se non fosse una buona legge?

Sarebbe un notevole problema politico. Deve essere la migliore legge possibile.

Luigi Di Maio ha detto di voler creare un gruppo in Europa che sia “la grande famiglia della democrazia diretta”. È la rotta giusta?

La democrazia diretta non è l’unico tema. Ci sono le questioni ambientali, il modello di lavoro del futuro, il reddito di cittadinanza universale. Il discorso è lungo e va ancora sviluppato.

Ha suscitato molte polemiche l’accordo in via di definizione del M5S con il gruppo polacco di estrema destra Kukiz’15, antiabortista.

È chiaro che creare una piattaforma condivisa può diventare complesso con una distanza su un tema così importante come i diritti civili, acquisiti con tante battaglie.

Di Maio vuole parlare ai Gilet gialli. Lei che idea si è fatta del movimento, noto anche per fatti violenti?

È un fenomeno troppo recente per fare un’analisi consistente, si muove con velocità. Mi interessa la sua evoluzione. Poi il rapporto tra i Gilet e il governo è una vicenda interna alla Francia.

Ma hanno peso elettorale?

Questo lo decideranno i cittadini francesi. A mio avviso se si candidassero nel breve periodo avrebbero molti problemi di organizzazione interna. Potrebbero avere davanti un percorso più lungo.

Sabato a Torino sono di nuovo scesi in piazza per il sì al Tav. E la Lega spinge per un referendum.

Bisognerebbe innanzitutto chiarire di che tipo di referendum parliamo. E comunque per la Costituzione per indirne uno servono 500mila firme, e se accadesse non avrei nulla da dire. Piuttosto avrei da dire se il Movimento appoggiasse un referendum sul Tav, questione che non ha mai lontanamente posto. Il M5S è costituzionalmente contrario a quest’opera. Ricordo che la prima riunione nazionale dei meet up venne fatta nel 2005 a Torino, per unirsi alla protesta dei No Tav.

Il sì al referendum sarebbe un grande problema.

In questi 14 anni non è mai stata ventilata una posizione del genere. Il Movimento si era preso la responsabilità di annullare l’opera, in quanto la riteneva un’involuzione e non un progresso dopo aver analizzato di tutto e di più sul Tav.

Sabato a Napoli ha visto a teatro Beppe Grillo, che dal palco le dettò: “I ricordi più belli del Movimento li ho con te”. Siete pronti all’asse per riprendervi il Movimento?

(Sorride, ndr) Io l’asse con Grillo ce l’ho dal 2005, perché assieme abbiamo costruito il M5S. E dopo tanti anni siamo ottimi amici.

Ma Grillo ha ancora un ruolo di peso nel Movimento?

Beppe è un grande motore di idee, uno che vede il futuro. È Beppe Grillo.

No stampa-Sì stampa, 2 piazze e 2 misure

Non tutte le piazze sono uguali. Quella del sì al Tav di Torino di sabato, con la presenza attiva dei partiti favorevoli all’opera (Pd, Fi e Lega), ha conquistato le prime pagine dei tre maggiori quotidiani – Repubblica, Corriere, La Stampa – con gigantesche fotografie, commenti, editoriali, pagine e pagine di servizi. L’altro giorno a Torino c’erano circa 15.000 persone, molte di meno della marcia dei 60.000 dei no al Tav dell’otto dicembre, ma per questi quotidiani il peso è diverso. Tant’è che i no Tav si sono meritati soltanto ridotti richiami in prima e poche pagine all’interno.

Nessun voltafaccia, Io analizzo solo i dati

Ieri Gian Antonio Stella sul Corriere della sera mi ha accusato di aver cambiato idea sul Tav Torino-Lione in base a un articolo scritto col prof. Boitani sulla Voce.info del 2012, affermando (cito per brevità titolo e sottotitolo): “La Tav? Meglio lasciarla partire. Quando lo ‘scettico’ Ponti diceva sì. Nel 2012, il capo della commissione costi-benefici invitava a realizzare l’opera”.

Sono da sempre un suo fan, tanto da raccomandare i suoi libri sulle migrazioni ai miei studenti. Ma domenica Stella ha alluso al fatto che avrei cambiato parere in modo poco scientifico e condizionato dal mio attuale ruolo (gratuito) di valutatore. Il peso di Boitani, che oggi ha accentuato il suo atteggiamento favorevole al progetto, in quell’articolo è stato molto significativo. Ma certo questo non è verificabile.

Invece lo è il senso della nostra frase di allora “.se i conti sembrano indicare che i costi siano ancora superiori ai benefici, la differenza si è molto ridotta…”. La nostra valutazione, basata sui pochi dati ufficiali allora disponibili, rimaneva negativa, anche se meno negativa, data la riduzione dei costi fatta. Cioè uno spreco minore di soldi pubblici. Dicevamo poi che se, nonostante lo spreco, fosse stata presa una decisione, era meglio accelerare i tempi ed evitare di far crescere i costi, aumentando lo spreco. Ora abbiamo avuto dati molto più aggiornati e precisi, proprio provenienti dall’Osservatorio di governo dell’architetto Paolo Foietta. E, come devono fare studiosi degni di questo nome, sia le conclusioni di allora, sia quelle del mio gruppo ora, si basano sui numeri, non su ideologie. Come ho scritto moltissime volte, io, avendo fatto analisi costi-benefici per 40 anni, credo che se avessi fatto valutazioni basate su ideologie avrei avuto una carriera internazionale assai più breve.

Tav, il Pd adesca Salvini per spaccare i gialloverdi

Dopo la piazza, trovarsi anche in Parlamento. La mossa è, per così dire, la naturale conseguenza della manifestazione di sabato a Torino, dove Pd e Lega hanno sfilato insieme a sostegno del Tav. Per questo ieri i dem hanno deciso di cercare i voti del Carroccio in Parlamento per isolare i 5Stelle. Il mezzo è una mozione che sarà presentata a Palazzo Madama dal senatore torinese Mauro Laus (Pd).

Il testo impegna il governo “a procedere in tempi brevi alla prosecuzione dei lavori della linea ferroviaria Torino-Lione sbloccando gli appalti in capo a Telt”, la società italo-francese che dovrebbe costruire l’opera. Il motivo, come detto, parte da quanto visto in piazza Castello dove “erano presenti gli esponenti di maggioranza del Governo che insieme agli altri hanno manifestato per ribadire il Si alla Tav. Considerata altresì la dichiarazione del vice premier Matteo Salvini, quella di essere da sempre coerentemente favorevole alla realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione”.

La mozione sarà presentata oggi. E i dem chiederanno alla conferenza dei capigruppo che venga calendarizzata d’urgenza. “Vogliamo dare alla Lega una immediata e concreta possibilità di smarcarsi dalla posizione del M5S – ha spiegato il capogruppo Pd Andrea Marcucci – In Parlamento abbiamo i numeri per farlo”. A guardare chi c’era in piazza sabato, sembrerebbe di sì. Dal governatore Sergio Chiamparino ai big del Pd come Maurizio Martina, unico dei candidati segretari. Con lui c’erano il forza-leghista presidente della Liguria, Giovanni Toti (oltre a Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini), il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari e il governatore veneto Luca Zaia (Lega). Insomma, le forze politiche che hanno governato il Paese negli ultimi anni e che oggi che sulla Torino-Lione trovano una nuova convergenza che deriva anche dall’interesse verso quell’agglomerato di interessi, da Confindustria a pezzi di sindacato che passa per il “Partito del Pil” che ha i suoi addentellati istituzionali nei governatori delle Regioni del Nord. In Piemonte, peraltro, si voterà presto.

La mossa del Pd è un modo per stanare la Lega, scesa in piazza a favore dell’opera e alla prese con un lavorio continuo per isolare l’alleato di governo, da sempre contrario, che ha già dovuto ingoiare il via libera al Terzo Valico ligure. Una pressione che oggi passa per ipotesi assai indigeste ai 5Stelle, alcune delle quali, per la verità, evocate solo dalla grande stampa. La prima è quella dell’improbabile referendum, proposto dalla Lega, a cui appendere il futuro del Tav visto che l’analisi costi benefici boccia l’opera. Ieri Salvini lo ha ribadito in un’intervista a La Stampa (“dovrebbe essere nazionale e voterei sì” ) trovando il plauso del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. La seconda è quella di una “revisione dell’opera” con una forte riduzione dei costi, intorno a 1,5 miliardi, che pare Salvini vorrebbe proporre come soluzione per uscire dall’impasse. Ipotesi che non piace ai 5Stelle, a cui peraltro – spiegano fonti di vertice – non è arrivata nessuna proposta leghista. Di certo da oggi i due alleati dovranno trovare una linea comune sulla mozione dem. Dalla Lega, però, nessuno spiega quale sarà.

La cattura in Bolivia dopo un mese di latitanza

È stato fermato mentre camminava per le strade di Santa Cruz de la Sierra, a 200 km dalla capitale La Paz, sabato sera, con fare circospetto e barba finta. A segnalarlo alle polizie italiana e brasiliana che hanno agito con Criminalpol, Interpol, Digos di Milano, con il contributo degli 007 dell’Aise e l’antiterrorismo, un vicino che l’ha riconosciuto dall’identikit. La localizzazione nel Paese è avvenuta dopo che il suo legale aveva presentato la richiesta di asilo politico a La Paz. Soddisfazione unanime è arrivata dalla politica. Primo fra tutti Matteo Salvini che su Twitter ha ringraziato le forze dell’ordine e il presidente Bolsonaro, che ha ricambiato la soddisfazione. A precederlo suo figlio, il deputato Eduardo che ha avvisato su Twitter il ministro degli Interni italiano “dell’arrivo di un regalino”.

Battisti arriverà alle 12.30 di oggi da Santa Cruz al carcere romano di Rebibbia. Questo permette all’Italia di aggirare l’accordo con il Brasile sulla pena ridotta a 30 anni e gli farebbe scontare l’ergastolo come dichiarato dal ministro della Giustizia Bonafede.